Profilo dei MAS classe 500 seconda serie, cui apparteneva il MAS 541 (Associazione Navimodellisti Bolognesi) |
Motoscafo armato silurante del tipo Velocissimo "500" seconda serie (dislocamento di 21-25,5 tonnellate, lunghezza 18,70 metri, larghezza 4,70, pescaggio 1,43, velocità massima 42-44 nodi, equipaggio dieci uomini, armamento due tubi lanciasiluri da 450 mm, una mitragliera da 13,2 mm, una tramoggia antisom con sei bombe torpedini da getto). Le unità di questo tipo, con carena a due gradini, non erano molto robuste ma erano veloci e manovriere. Il MAS 541 era una delle quattro unità di questo tipo (MAS da 540 a 544) costruite dai cantieri Celli di Venezia.
Breve e parziale cronologia.
1939
Costruito dai cantieri Celli di Venezia.
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, il MAS 541 fa parte della III Squadriglia MAS, che forma con il gemello MAS 540, alle dipendenze del Comando Militare Marittimo Basso Adriatico di Brindisi (per altra fonte la III Squadriglia MAS avrebbe avuto base a Taranto, alle dipendenze del Dipartimento Militare Marittimo Ionio e Basso Adriatico).
Alcuni mesi più tardi verrà trasferito nel Dodecaneso, assegnato alla XXII Squadriglia MAS.
16 febbraio 1941
Il MAS 541 scorta il sommergibile Anfitrite (tenente di vascello Brunone Ghersina) in un’uscita mattutina per prove in mare da Portolago (Lero).
27 febbraio 1941
Il MAS 541 (guardiamarina Guido Cosulich), insieme al gemello MAS 546 (tenente di vascello Antonio March), ai cacciatorpediniere Francesco Crispi e Quintino Sella ed alle torpediniere Lupo e Lince, parte da Rodi per partecipare alla riconquista dell’isola di Castelrosso, occupata dai britannici due giorni prima con un colpo di mano.
L’operazione britannica, denominata "Abstention", ha preso il via nel pomeriggio del 23 febbraio, quando i cacciatorpediniere Hereward (capitano di fregata Charles Woollven Greening) e Decoy (capitano di fregata Eric George McGregor) sono partiti da Suda con a bordo duecento “commandos” (appartenenti al No. 50 Commando) incaricati di impadronirsi dell’isola con uno sbarco a sorpresa. Il piano britannico prevede che i commandos conquistino l’isola, scarsamente difesa (il modesto presidio italiano consiste in 35 uomini del Regio Esercito e della Regia Marina addetti alla locale stazione di vedetta, al comando del capo radiotelegrafista di seconda classe Filippo Mastropaolo, più una decina tra carabinieri e militi della Guardia di Finanza), per poi essere rinforzati dopo ventiquattr’ore da un reparto di Royal Marines e truppe dell’Esercito (una compagnia del reggimento Sherwood Foresters, al comando del maggiore L. C. Cooper) che dovranno tenere Castelrosso respingendo i successivi contrattacchi italiani. Fine ultimo dell’operazione è di assicurarsi una base avanzata nel Dodecaneso, punto di partenza per future operazioni aeronavali in Egeo.
Sempre nel tardo pomeriggio del 23 febbraio sono partiti da Suda anche gli incrociatori leggeri Bonaventure (capitano di vascello Henry Jack Egerton) e Gloucester (capitano di vascello Henry Aubrey Rowley, nave di bandiera del contrammiraglio Edward de Faye Renouf), forza di copertura dell’operazione, mentre il sommergibile Parthian (capitano di fregata Michael Gordon Rimington) ha effettuato ricognizione periscopica dei punti prescelti per lo sbarco il 18-19 febbraio e deve fungere da faro durante lo sbarco. La cannoniera Ladybird (capitano di corvetta John Fulford Blackburn) è partita da Famagosta (Cipro) alle 23.30 del 23 febbraio con un drappello di 24 Royal Marines da sbarcare a Castelrosso quale primo rinforzo ai commandos, mentre il grosso dei Royal Marines e gli Sherwood Foresters seguiranno il 26 febbraio, trasportati dal panfilo armato Rosaura (capitano di vascello R. Spencer) che partirà da Cipro con la scorta del Bonaventure e dell’incrociatore leggero australiano Perth (capitano di vascello Philip Weyland Bowyer-Smith).
Lo sbarco dei commandos è avvenuto prima dell’alba del 25 febbraio: cinquanta commandos, trasportati da dieci lance baleniere, sono stati sbarcati presso Punta Nifti, all’estremità orientale dell’isola ed a sud dell’abitato di Castelrosso (gli altri sono sbarcati mentre già erano in corso i combattimenti); dopo aver teso un agguato ad un autocarro italiano in viaggio tra Punta Nifti ed il porto, uccidendo due soldati e ferendone un terzo, hanno colto di sorpresa e rapidamente sopraffatto il piccolo presidio italiano, impadronendosi della stazione radio, uccidendo un soldato e catturandone dodici dopo una breve resistenza, ma non prima che un radiotelegrafista riuscisse a trasmettere a Rodi una richiesta di aiuto.
Il messaggio ha determinato l’immediata reazione delle forze italiane del Dodecaneso: già tra le 8.30 e le nove del mattino dello stesso 25 febbraio alcuni bombardieri italiani Savoia Marchetti S.M. 79 e S.M. 81 hanno bombardato il porticciolo, il castello e le alture principali di Castelrosso (dove si sono trincerati i commandos), danneggiando con una bomba la Ladybird, che si trovava nel porticciolo dopo avervi sbarcato il suo drappello di Royal Marines (che avevano proceduto all’occupazione del porto ma sono stati successivamente reimbarcati dopo che il comandante dei “commandos” ha detto di non aver bisogno di loro), ed indotto le navi britanniche ad allontanarsi da Castelrosso (la Ladybird fa ritorno a Cipro), privando i “commandos” della loro copertura e persino del collegamento radio.
Alle 12.15 del 25 febbraio il Comando Superiore Forze Armate dell’Egeo ha poi ordinato la riconquista di Castelrosso, affidando il comando dell’operazione all’ammiraglio Luigi Biancheri, comandante delle forze navali del Dodecaneso. Lo stesso 25 febbraio
Lupo (capitano di fregata Francesco Mimbelli) e Lince (capitano di corvetta Guido Cucchiara) sono partite da Rodi alle 15.30, trasportando una compagnia di fucilieri della 50a Divisione Fanteria "Regina" da sbarcare a Castelrosso e l’ammiraglio Biancheri (imbarcato sulla Lince), intenzionato a dirigere personalmente l’operazione; un’ora più tardi hanno lasciato l’isola anche Crispi e Sella, aventi a bordo un reparto di camicie nere ed uno di marinai. Ricognizioni aeree sono state disposte a sud e ad est di Castelrosso, in un raggio di 70 miglia, a tutela delle unità incaricate dello sbarco contro eventuali interventi di forze navali nemiche.
Rallentate dal maltempo, le siluranti italiane sono giunte a Rodi alle otto di sera del 25 febbraio, ed hanno incontrato difficoltà nelle operazioni di sbarco a causa del mare agitato e del forte vento, oltre che per la carenza di imbarcazioni adatte; in conseguenza di ciò e di una segnalazione della Lince relativa a navi nemiche in avvicinamento, che rischierebbero di cogliere le unità italiane all’alba (prima del completamento delle operazioni di sbarco), alle 23.08 l’ammiraglio Biancheri ha deciso di reimbarcare le truppe – fino a quel momento erano stati sbarcati circa 65 uomini del IV Battaglione del 9° Reggimento Fanteria "Regina" e della 201a Legione Camicie Nere "Egea" – e tornare a Rodi, per ritentare lo sbarco di giorno e con migliori condizioni meteomarine. Prima di andarsene, le navi italiane hanno imbarcato anche alcuni civili italiani affluiti nel porto dopo che si era sparsa la notizia del loro arrivo.
Nel frattempo, anche i britannici hanno incontrato difficoltà impreviste: gli attacchi aerei italiani sul porticciolo di Castelrosso hanno portato ad annullare lo sbarco delle truppe da parte del Rosaura nelle ore diurne, rimandandolo alla notte, ma la lentezza dello yacht armato è stata fonte di ulteriori problemi, mentre Hereward e Decoy, incaricati di scortare il Rosaura, si sono ritrovati a corto di carburante a causa di una diversione alla ricerca delle navi italiane (della cui presenza sono stati informati dai commandos: anche questa notizia porta a modificare i piani, essendoci il rischio che le navi italiane attacchino il Rosaura mentre sbarca gli Sherwood Foresters), che non sono riusciti a trovare (dopo essere stato informato dai commandos di quanto stava accadendo, il comandante dell’Hereward ha cercato di ricongiungersi con il Decoy invece di andare immediatamente alla ricerca delle navi italiane, scelta che sarà in seguito pesantemente criticata). Alla fine, alle 2.30 del 26 Rosaura e cacciatorpediniere hanno ricevuto ordine di dirigere su Alessandria, dove il panfilo dovrà trasbordare i Royal Marines sui cacciatorpediniere che, frattanto rifornitisi di carburante, li sbarcheranno a Castelrosso. Nel mentre, i “commandos” possono contare solo sulle proprie forze.
Gloucester, Bonaventure e Decoy sono arrivati ad Alessandria alle otto di sera del 26, mentre Hereward e Rosaura vi giungono solo alle quattro del mattino del 27; il Rosaura trasborda quindi i suoi Marines sul Decoy e sul cacciatorpediniere Hero (capitano di fregata Hilary Worthington Biggs), mentre il comando dell’operazione passa al capitano di vascello Everton del Bonaventure, essendosi sentito male l’ammiraglio Renouf. Alle sette del mattino il Decoy ed il cacciatorpediniere Hasty (capitano di corvetta Lionel Rupert Knyvet Tyrwhitt) lasiano Alessandria per Castelrosso, seguiti dopo un’ora e mezza da Bonaventure, Perth, Hero ed il cacciatorpediniere Jaguar (capitano di corvetta John Franklin William Hine).
Nel frattempo, alle sei del mattino del 27 febbraio Lupo e Lince ripartono da Rodi con le truppe incaricate di riprendere Castelrosso, e con i MAS 541 e 546 (capo sezione) a rimorchio; sulla Lince si trova sempre l’ammiraglio Biancheri. (Precedentemente, alle 00.20 è partito il motoveliero requisito Sant'Antonio, carico di viveri e materiale ed incaricato di coadiuvare le operazioni di sbarco. All’alba tre aerei vengono inviati in ricognizione in un raggio di 90 miglia a sud e ad est di Castelrosso). Le navi italiane, che procedono tenendosi lontane dalla costa turca, giungono davanti a Castelrosso alle nove del mattino; alle 9.20, mollato il rimorchio dei due MAS, le torpediniere accostano per l’entrata da ovest.
Alle 9.35 la Lince entra per prima in porto (cinque minuti prima, fumogeni e razzi di segnalazione Very si sono levati dal monte Vigla) ed alle 10.10 dà inizio allo sbarco, mentre la Lupo rimane al largo; con l’aiuto del MAS 541, lo sbarco delle truppe imbarcate sulla Lince viene completato in mezz’ora, mentre da terra truppe britanniche attestate nel cimitero di Castelrosso sparano raffiche di mitragliatrice contro la Lupo, causando alcuni feriti e destando la reazione dei cannoni della torpediniera, che riduce rapidamente i britannici al silenzio. Poi, anche la Lupo – da cui hanno frattanto scostato il MAS 546 ed il Sant'Antonio – entra in porto e sbarca le sue truppe. In tutto, le due torpediniere sbarcano 240 tra soldati e marinai imbarcati a Rodi (una compagnia di fucilieri, un reparto di marinai e due cannoni anticarro da 47/32 mm) e poi due plotoni aggiuntivi di trenta marinai ciascuno, avendo il podestà e la popolazione di Castelrosso raccontato all’ammiraglio Biancheri, esagerando, che i britannici nell’isola sono più di 500. La forza da sbarco è affidata al comando del tenente colonnello Ruggero Fanizza e del capitano di corvetta Alberto Mannini (quest’ultimo comanda i reparti di marinai, oltre un centinaio).
Le due torpediniere appoggiano l’avanzata delle truppe sbarcate con le loro artiglierie, colpendo la zona portuale ed il palazzo del governatore e provocando tre morti e sette feriti tra i commandos. Nel giro di poco tempo vengono riconquistati l’abitato ed il castello, dove sono liberati i soldati italiani del presidio catturati dai britannici (tra cui capo Mastropaolo; altri, che si erano sottratti alla cattura nascondendosi, si ricongiungono con le truppe italiane) e catturata la bandiera britannica che viene portata sulla Lince come trofeo; entro mezzogiorno la compagnia fucilieri s’impossessa dei rilievi del Vigla e del Paleocastro, mentre il reparto di marinai rastrella l’abitato. Alcuni dei commandos vengono catturati, mentre il grosso ripiega verso il cimitero (dove rimane una compagnia di retroguardia) e poi verso Punta Nifti (dov’era stato stabilito l’accampamento principale dopo lo sbarco); l’attacco italiano è appoggiato dalla Regia Aeronautica, che bombarda le posizioni britanniche del Paleocastro e poi di Punta Nifti, e dalle artiglierie delle torpediniere, cui nel primo pomeriggio si unisce anche il Crispi. Questi sbarca un altro plotone di trenta marinai, che va a rinforzare le truppe che combattono nell’isola; i commandos continuano a resistere a Punta Nifti, ed alle 21.10 viene fatto partire da Rodi il Sella (capitano di corvetta Arturo Redaelli) con una sezione di lanciafiamme, per snidarli definitivamente. Sempre da Rodi arrivano due idrovolanti, che portano dei mortai per le truppe attaccanti.
Alle 20.30, per evitare che eventuali forze navali britanniche inviate in aiuto dei commandos possano sorprendere le sue navi (con l’oscurità è venuta a mancare la ricognizione aerea, e dunque la possibilità di avvistamento e preavviso) e per intercettare eventuali invii di rinforzi britannici via mare, l’ammiraglio Biancheri ordina l’uscita dal porto delle sue unità (passando per il passo di levante) e le dispone per la ricerca notturna a rastrello, con Lince (nave ammiraglia), Crispi e Lupo sulla direttrice da Castelrosso fino a trenta miglia a sud con un intervallo di sei miglia tra una nave e l’altra, i due MAS – che escono in mare indipendentemente – in posizione ravvicinata ai due passi d’accesso all’isola, circa tre miglia a sud, ed il sommergibile Galatea una ventina di miglia a sudovest di Castelrosso. In base agli ordini di Biancheri, le siluranti continueranno la crociera fino alle 3.30 del 28 febbraio, dopo di che entreranno a Rodi per non essere tagliate fuori da un eventuale intervento di forze navali avversarie. La notte è estremamente buia, il mare quasi calmo, ma dopo mezzanotte si alza un forte vento ed iniziano piovaschi.
Ricevuto l’ordine dell’ammiraglio Biancheri, il MAS 546 scosta dalla banchina del porto di Castelrosso alle 20.10, seguito dal MAS 541; i due MAS si dirigono in sezione verso il punto quattro miglia a sud del faro di Ipsili, dove giungono alle 21.30. Qui il MAS 546 ferma i motori ed ordina al MAS 541 di spostarsi due miglia più ad ovest.
28 febbraio 1941
All’1.09, in seguito a nota trasmessa dalla Lince, il MAS 546 ordina al MAS 541 di dirigersi verso il porto, dov’è previsto l’arrivo del Sella, ma all’1.38 revoca tale ordine in seguito ad una nuova nota della Lince che comunica “nemico in vista”.
All’1.22, infatti, il Crispi ha avvistato due navi – probabilmente cacciatorpediniere – che subito sono sparite nella foschia, prima che la nave italiana avesse finito di accostare per inseguirle; l’ammiraglio Biancheri ordina allora al Sella di non entrare a Castelrosso, ma rimanere al largo in crociera e se possibile ricongiungersi con il resto della formazione.
Le navi avvistate dal Crispi sono quelle provenienti da Alessandria: quando giungono a Castelrosso, sbarcano nella baia di Navalaka un primo plotone degli Sherwood Foresters, che tuttavia sulla spiaggia di sbarco, che dovrebbe essere presidiata dai commandos, trova soltanto munizioni ed equipaggiamento sparpagliati in disordine, il cadavere di un commando e due sbandati che informano il maggiore Cooper del contrattacco italiano. Dopo una breve consultazione con i suoi ufficiali, Cooper conclude che la situazione appare compromessa a causa della mancanza di adeguato supporto aeronavale, e viene dunque deciso di abbandonare l’isola: entro le tre di notte il grosso dei commandos viene frettolosamente reimbarcato sulle navi, che dirigono poi per Suda, mentre gli ultimi rimasti vengono circondati e catturati dagli italiani.
Nel frattempo, il peggioramento delle condizioni meteomarine induce ad ordinare ai MAS di rientrare a Rodi, all’1.50, mentre le altre siluranti si spostano dapprima verso sud e poi verso ovest, continuando la ricerca. Il MAS 541 subisce un’avaria che lo fa rimanere indietro rispetto al MAS 546, che lo perde di vista, e che rallenta per permettergli di raggiungerlo.
Alle 2.53 il Crispi avvista un’unità identificata come un incrociatore, contro cui lancia due siluri, e poco dopo un terzo; la nave avvistata reagisce con tiro di cannoni e mitragliere, ed il Crispi risponde al fuoco. Si tratta del Jaguar, che sta coprendo la ritirata delle truppe britanniche da Castelrosso (in precedenza, si era portato all’imboccatura del porticciolo ed aveva lanciato quattro siluri contro le unità all’ormeggio, mancandole).
Alle 3.07 il MAS 546 avvista a circa 4 km di distanza l’accensione di un proiettore, seguita da quella di alcuni illuminanti e da rumore di cannonate; compreso che si tratta di unità avversarie e non sapendo dove sia il MAS 541, dirige per l’attacco isolatamente, avvistando alle 3.13 due unità in linea di fila (ritenute essere incrociatori: in realtà si tratta del Jaguar, e non è presente una seconda nave) impegnate in uno scontro con il Crispi, contro le quali lancia infruttuosamente due siluri alle 3.15.
Il MAS 541, trovandosi a maggiore distanza dal luogo dello scontro, avvista anch’esso gli illuminanti tirati durante lo scambio di cannonate tra Crispi e Jaguar (non vede, invece, le fiammate dei colpi di cannone) mentre procede isolatamente verso Rodi, ma il comandante Cosulich decide di non attaccare perché non conosce la posizione delle unità italiane e di quelle avversarie e teme di non riuscire a distinguere gli amici dai nemici.
Alle 3.30, ormai perso il contatto con l’avversario, tutte le navi dirigono su Rodi, come da ordini. Il MAS 541 vi arriva alle sette del mattino, andandosi ad ormeggiare nel porticciolo del Mandracchio, preceduto di pochi minuti dal MAS 546. Una ricerca notturna da parte dei cacciatorpediniere britannici Nubian, Hasty e Jaguar tra Rodi e Castelrosso, sulla base di un contatto radar e dell’intercettazione di traffico radio nella zona, risulta infruttuosa.
Il mattino del 28 la riconquista di Castelrosso giunge al termine, le truppe italiane completano il rastrellamento dell’isola catturando alcuni militari britannici sbandati ed il materiale abbandonato dai commandos in ritirata.
L’ammiraglio Biancheri concluderà nella sua relazione: "Il comportamento dei Comandanti e degli equipaggi impegnati fu degno delle migliori tradizioni". Il comandante Cosulich ed ilresto dell’equipaggio del MAS 541 (secondo capo motorista Roberto Pulcri, da Cagliari; sottocapo radiotelegrafista Mario Del Buono, da Portoferraio; sottocapo nocchiere Concetto Licciardello, da Catania; sottocapo motorista Vincenzo Vaccarello, da Ragonà; sottocapo motorista Antonio Quartulli, da Carovigno; sottocapo nocchiere Leonardo D’Addante, da Ischitella; sottocapo radiotelegrafista Ettore Dorio, da Oderzo; motorista Primo Loffredo, da Porto Santo Stefano; cannoniere Giovanni Lissoni da San Maurizio al Lambro) riceveranno per la loro partecipazione la Croce di Guerra al Valor Militare, altri comandanti e militari del presidio di Castelrosso e delle forze da sbarco riceveranno anch’essi decorazioni.
Ben diverso il giudizio sul fallimento dell’operazione da parte britannica; l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham, comandante della Mediterranean Fleet, giudicherà "Abstention" come "un affare marcio [ch]e dà poco merito a tutti" ed incolperà Renouf per l’accaduto, mentre una successiva inchiesta concluderà che il comandante dell’Hereward, dopo essere stato informato dai commandos dell’arrivo delle navi italiane nella notte tra il 25 ed il 26 febbraio, non avrebbe dovuto perdere tempo riunendosi con il Decoy (che si trovava più al largo) prima di andare alla loro ricerca, ma invece agire subito. Unico risvolto positivo per i britannici, la cattura di un cifrario italiano Y-I.
Le perdite nei combattimenti sono ammontate in tutto a tre morti, undici feriti, sette dispersi e 20 prigionieri tra i britannici, ed otto morti, undici feriti e dieci tra dispersi e prigionieri per gli italiani. Una ventina di abitanti (greci) di Castelrosso verranno condannati a varie pene detentive per aver collaborato con i britannici durante la breve occupazione dell’isola.
Maggio 1941
Il MAS 541, insieme agli altri MAS della sua squadriglia ed alle altre unità navali del Comando delle Forze Armate dell’Egeo (cacciatorpediniere Francesco Crispi e Quintino Sella, torpediniere Lupo, Libra, Lince e Lira, quattro sommergibili), viene temporaneamente messo a disposizione dell’ammiraglio Karlgeorg Schuster, comandante delle forze navali tedesche nell’Egeo, dal Comando Supremo, per le operazioni per la conquista di Creta (operazione "Merkur"). Per i MAS l’ammiraglio Schuster disporrà l’invio in agguato nel Canale di Caso.
20 maggio 1941
Il MAS 541 (guardiamarina Guido Cosulich) salpa da Castello (Scarpanto) alle 17 insieme ai MAS 520, 523, 526 e 540 (caposquadriglia, tenente di vascello Antonio March), per attaccare una formazione di due incrociatori e quattro cacciatorpediniere britannici provenienti da Alessandria ed in navigazione a 24 nodi verso il Canale di Caso, segnalata alle 7.30 da un ricognitore Savoia Marchetti SM. 79 (si tratta della Forza C del contrammiraglio Edward Leight Stuart King: gli incrociatori sono il Naiad ed il Perth, i cacciatorpediniere sono Kingston, Kandahar, Nizam e Juno).
In seguito a questa segnalazione il generale Ettore Bastico, responsabile di Egeomil (il Comando delle forze armate italiane nel Dodecaneso), ritenendo che le navi britanniche intendano attraversare il Canale di Caso durante la notte, ha ordinato all’ammiraglio Biancheri di inviare in agguato i MAS disponibili. Il caposquadriglia March ha impartito ai comandanti subordinati istruzioni precise: condurre una ricerca notturna nel Canale di Caso ed avvicinarsi alle unità avversarie fino a distanza minima, sfruttando le condizioni favorevoli offerte dalla notte calma e priva di luna.
Entro le 20.30 tre MAS raggiungono la zona assegnata. I due più avanzati sono il MAS 523 (tenente di vascello Antonio Lombardo) ed il MAS 526 (sottotenente di vascello Carlo Arcolessi), che alle 20.35 – mentre la Forza C sta passando tra le isole di Caso e Scarpanto – avvistano le navi britanniche, lanciano il segnale di scoperta e passano all’attacco con il lancio di quattro siluri. Contrariamente a quanto ritenuto dai loro comandanti, i siluri non vanno a segno; i britannici non avvistano i MAS in avvicinamento ma avvistano le scie dei siluri, reagendo con un intenso tiro di artiglieria e mitragliere pesanti che non reca loro alcun danno ed ha invece l’effetto di permettere anche ai MAS 541, 520 (guardiamarina Carlo Griffon) e 546, che si trovano in posizione più arretrata ma anch’essi davanti alla rotta della Forza C, di avvistare la formazione britannica grazie ai bagliori prodotti dal loro tiro nell’oscurità, dirigendosi verso di essa.
Il MAS 541 ed i due compagni si trovano a manovrare in mezzo alla formazione avversaria, nella quale riescono a penetrare senza essere avvistati; tutti e tre lanciano i rispettivi due siluri da ridotta distanza, dopo di che si ritirano a tutta velocità, utilizzando i motori principali, sotto intenso tiro di artiglieria e mitragliere. Il MAS 541, in particolare, avvista le navi britanniche alle 20.40 e lancia i suoi due siluri contro un incrociatore alle 20.52, ritenendo di averlo probabilmente colpito. Anche il MAS 546 ritiene di aver colpito un altro incrociatore.
Le ottimistiche rivendicazioni dei comandanti dei MAS verranno convalidate dal Comando della Zona Militare dell’Egeo, sulla scorta delle segnalazioni della stazione di vedetta di San Giorgio (nell’isola di Caso, distante una quindicina di miglia dal luogo dello scontro), che ha seguito attentamente lo scontro avvistando e segnalando subito cinque fiammate seguite dal rumore di altrettante esplosioni, e del sommergibile Onice (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli), che poco dopo lo scontro ha avvistato solo tre cacciatorpediniere nel Canale di Caso. L’ammiraglio Biancheri riterrà perciò che nell’attacco i MAS abbiano messo a segno cinque siluri (la stima dei loro comandanti era di 4-6 centri), affondando o danneggiando gravemente due incrociatori ed un cacciatorpediniere, e così scriverà nella relazione inviata al generale Bastico. Biancheri scriverà inoltre nella sua relazione: “La reazione nemica fu violenta con molti cannoni, mitragliere e proiettili illuminanti, ed una sola accensione di proiettore. Il tiro risultò alquanto disordinato e non fu mai tale da mettere in serio pericolo le nostre unità. Lanciate alla massima velocità, esse non tardarono a sottrarsi al tiro nemico, che presto cessò del tutto. Il comandante del gruppo, tenente di vascello March, diede ordini precisi e redditizi. Tutti i comandanti portarono le unità all’attacco con slancio, calma ed affiatamento. Sfruttarono abilmente le circostanze della notte calma e senza luna, e non esitarono a serrare sotto sino a distanze che potevano sembrare temerarie (…) Il contegno degli equipaggi fu, come sempre, esemplare”. Il guardiamarina Cosulich riceverà la Medaglia d’Argento al Valor Militare per aver danneggiato gravemente una grossa unità nemica.
In realtà, nessuno dei siluri lanciati è andato a segno. La Forza C, entrata nel Canale di Caso in linea di fila (mentre i comandanti italiani, nell’oscurità, hanno ritenuto che la formazione fosse su due colonne), ha avuto il primo sentore dell’attacco all’1.30 del 21 maggio, quando il cacciatorpediniere Nizam ha dato l’allarme segnalando “siluro sulla dritta”; l’arma è stata evitata con la manovra (le navi hanno accostato in fuori), ed anche gli attacchi successivi non hanno prodotto risultati. A reagire aprendo il fuoco – giudicato dagli stessi britannici come “piuttosto disordinato” – contro i MAS sono stati Naiad, Kandahar e Juno, che hanno erroneamente ritenuto di aver danneggiato quattro dei sei MAS attaccanti (in realtà erano cinque e nessuno ha subito danni). Nella confusione, il Kandahar è stato colpito da alcune raffiche di mitragliera da 40 mm sparate dal Juno, riportando lievi danni ed un principio d’incendio che ha contribuito all’impressione, da parte italiana, di aver messo un siluro a segno.
21 maggio 1941
Il MAS 541, il MAS 520 ed il MAS 546 si trovano ormeggiati al piccolo molo del porticciolo di Scarpanto, intenti a rifornirsi di carburante, quando alle 2.40 la zona viene illuminata da alcuni colpi illuminanti sparati dai cacciatorpediniere britannici Jervis, Ilex e Nizam, incaricati di bombardare con le loro artiglierie il piccolo campo d’aviazione di Scarpanto. Pur essendo i MAS sprovvisti di siluri, tutti lanciati durante l’azione notturna nel Canale di Caso poche ore prima, il sottufficiale comandante la sezione ordina di accendere i motori ed uscire in mare; mentre ancora il primo MAS sta superando le ostruzioni, i cacciatorpediniere interrompono il fuoco (hanno sparato neanche una decina di colpi contro la costa, quasi tutti finiti in mare senza fare danni: si lamentano danni da schegge a due Dornier Do 17 tedeschi e due feriti).
Estate 1943
Il MAS 541 risulta far parte della V Flottiglia MAS, di stanza in Sardegna, insieme ai MAS 502, 504, 505, 507, 509, 510, 531, 543, 544, 546, 549, 556, 558, 561 e 562.
Autunno 1943
In seguito all’armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) il MAS 541, frattanto trasferito a La Maddalena ed inquadrato nella V Flottiglia MAS (capitano di fregata Enrico Marano) ivi stanziata con i MAS 505, 507, 509, 510 e 546 e con le motosiluranti MS 24, MS 52 e MS 72, viene impiegato in missioni di infiltrazione di agenti Alleati – incaricati di raccogliere informazioni su consistenza e movimenti delle forze tedesche e stabilire contatti con le locali formazioni partigiane – sulle coste liguri e toscane. In queste missioni, le piccole unità italiane operano alle dipendenze della missione "Balaclava" dello Special Operations Executive (SOE), il servizio segreto britannico incaricato di condurre missioni di spionaggio, ricognizione e sabotaggio in territorio occupato dall’Asse e di supportare i locali movimenti partigiani.
"Balaclava" è la prima missione Alleata giunta in Corsica per fare dell’isola una base per operazioni sulle coste dell’Italia centro-settentrionale e della Francia sudorientale; a comandarla è il maggiore britannico Noel Andrew Cotton Croft, già celebre esploratore artico prima della guerra, con il tenente di vascello Fisher Howe dell’Office of Strategic Services (OSS, il servizio segreto statunitense precursore della CIA) come vice.
Croft ha stabilito il suo quartier generale a Bastia – che diventerà la principale base Alleata in Tirreno per questo tipo di operazioni, con La Maddalena come base di sostegno – poco dopo la cacciata delle ultime truppe tedesche dalla Corsica; inizialmente i britannici intenderebbero usare per le loro missioni dei pescherecci, ma tale scelta appare da subito poco praticabile in considerazione della scarsa attività peschereccia che si svolge in tempo di guerra nelle acque del Mar Ligure e del Tirreno, che porterebbe alla loro immediata scoperta da parte tedesca. Il capitano di vascello Norman Vincent Dickinson dell’Inshore Squadron, giunto alla Maddalena poco dopo l’armistizio, ha suggerito al capitano di corvetta Patrick Whinney della Naval Intelligence Division dell’Ammiragliato britannico di utilizzare per le missioni di "Balaclava" i MAS italiani, passati sotto il suo controllo. Francis Brooks Richards, già alto funzionario dello Special Operations Executive durante il conflitto e poi autore di una storia delle operazioni clandestine via mare nella seconda guerra mondiale (“Secret Flotillas: Clandestine sea operations in the Mediterranean, North Africa and the Adriatic, 1940–1944”), così descrive nel suo libro la situazione venutasi a creare: “Come [Dickinson] aveva sottolineato quando ne aveva assunto il controllo [dei MAS], sarebbe stato estremamente sciocco aspettarsi che gli equipaggi di queste unità uscissero e affrontassero in combattimento i loro ex alleati o, peggio ancora, i loro stessi compatrioti, in mare. (…) [Dickinson] suggerì a Whinney di prendere in considerazione l'idea di utilizzarli come alternativa migliore ai suoi pescherecci. Era una soluzione che lo avrebbe sollevato dall'imbarazzo di trovare loro qualcosa da fare e avrebbe fornito a Whinney delle imbarcazioni veloci adatte alle esigenze delle missioni di trasporto clandestino in mare. Whinney stentava a credere alla sua fortuna, anche se non era affatto sicuro che DDOD (I) [Deputy Director Operations Division (Irregular), il responsabile delle operazioni clandestine della Royal Navy, nella persona del capitano di vascello Frank H. Slocum, parente del celebre navigatore solitario Joshua Slocum] avrebbe approvato l'idea. Sapeva che per Slocum la sicurezza dei suoi passeggeri era sempre fondamentale e che c'erano innegabili rischi nell'impiegare coloro che fino a poco tempo fa erano stati equipaggi nemici in un conflitto in cui i fascisti italiani fedeli al dittatore spodestato e screditato stavano ancora combattendo al fianco dei tedeschi”.
Ottenuta l’approvazione da Slocum, Whinney si è messo all’opera per adattare i MAS al loro nuovo compito: in primo luogo, ha deciso di utilizzare esclusivamente i MAS (e non anche le più grandi MS), ritenuti per le loro caratteristiche più adatti alle missioni clandestine; secondariamente, ha disposto la rimozione dei tubi lanciasiluri, in modo da alleggerirli (con conseguente incremento della velocità massima da 37 a 47 nodi) ed aumentare lo spazio disponibile per sistemare a bordo i canotti con cui sbarcare gli agenti. La velocità così raggiunta dai MAS è sensibilmente superiore a quella delle motosiluranti britanniche impiegate in analoghe missioni nel Canale della Manica, ed i loro motori ausiliari permettono loro di avvicinarsi alla costa a 6 nodi senza farsi sentire (almeno in teoria; in pratica Whinney ha rilevato che, se soffia una brezza leggera dal largo, da terra è possibile avvertire una sorta di lamento acuto quando i MAS sono a circa un miglio dalla riva).
Dopo una prima sommaria selezione degli equipaggi, volta ad appurare che tra di essi non vi fossero simpatizzanti fascisti, Dickinson ha richiesto al comando italiano della Maddalena di mandare i MAS a Bastia, a disposizione di "Balaclava"; al contempo, Whinney ha formato quattro squadre di due uomini ciascuna con personale britannico tratto dalle unità dell’African Coastal Flotilla (la flottiglia britannica incaricata di condurre operazioni speciali sulle coste italiane, operante da basi in Algeria prima dello sbarco in Sicilia) frattanto giunte alla Maddalena, che dovranno accompagnare gli ufficiali di "Balaclava" nelle missioni sui MAS con l’incarico di formare gli equipaggi dei canotti incaricati di portare gli agenti a terra.
Brooks Richars, citando il libro di memorie di Whinney “Corsican Command”, traccia in “Secret Flotillas” una colorita descrizione del primo incontro tra Whinney e gli equipaggi dei sei MAS della V Flottiglia dopo il loro arrivo a Bastia da La Maddalena: “…il giorno dopo il loro arrivo dalla Maddalena, gli equipaggi erano schierati per la sua ispezione, allineati lungo il pontile con le spalle all'acqua. Ogni equipaggio era separato dal suo vicino da uno spazio di due o tre metri. Whinney sentiva che un'ispezione formale di questo tipo non faceva affatto al caso suo: avrebbe preferito fare un’ispezione su ogni MAS mentre l’equipaggio era al lavoro ma, come scoprì allora e in una serie di occasioni successive, gli italiani potevano essere pignoli per le formalità. Dopo un grandioso saluto dell'ufficiale italiano in comando, una formale stretta di mano e un secondo, ancora più grandioso, saluto, l'ufficiale in comando presentò il primo dei comandanti dei MAS, che avevano tutti tra i 25 e i 30 anni. Il saluto, che Whinney descrisse come una sorta di brusca schermatura degli occhi, come da un'improvvisa luce accecante, e la stretta di mano furono ripetuti e passarono ad ispezionare l'equipaggio successivo, che era rigidamente sull'attenti, con un aspetto elegante e pulito. Erano a metà di questo secondo equipaggio quando uno dei marinai avanzò a passo svelto, alzò il braccio con il palmo rivolto verso il basso nel saluto nazista e disse ad alta voce: "Heil Hitler!" Seguì un momento di profondo imbarazzo per tutti, non per ultimo quell'uomo stesso, che si guardò intorno imbarazzato per vedere cosa ne pensassero i suoi compagni di bordo. Non gli offrirono alcun conforto. Qualcosa doveva essere fatto. Whinney resistette all'impulso di spingere l'uomo in acqua, che era solo circa due metri dietro di lui. Rivolgendosi all'ufficiale in comando, il cui volto era inorridito, gli chiese di dire all'uomo che ora avrebbe dovuto combattere dall'altra parte. L'ufficiale in comando rivolse a Whinney una comprensiva ombreggiatura degli occhi e poi si rivolse all'autore del reato. Sotto la conseguente valanga di rimproveri, l'uomo si dissolse in quella che Whinney descrisse come una "macchia di grasso" [vecchia espressione gergale inglese per definire ironicamente “un minuscolo residuo, gli unici resti distinguibili di un antagonista dopo una zuffa”]. Ciò non mancò di sortire il suo effetto sui suoi compagni, anche se più in là nella lunga fila ci furono uno o due altri "Heil Hitler". Ciascuno ricevette lo stesso impressionante trattamento, che secondo Whinney avrebbe fatto onore a un istruttore di Whale Island. [Questo episodio] fornì una sorta di metro approssimativo di inaffidabilità, ma le modifiche apportate in quel momento non sradicarono, purtroppo, tutti i colpevoli. Davanti a un bicchiere di vino dopo l'ispezione, Whinney affermò che l'episodio avrebbe forse dovuto essere considerato una benedizione sotto mentite spoglie, un mezzo per separare le capre dalle pecore. Mentre delineava ciò che ci si poteva aspettare dai MAS, la formalità del procedimento andò gradualmente allentandosi. Non ci sarebbe stata alcuna attività offensiva contro i loro compatrioti che combattevano dall'altra parte o contro i loro ex alleati, i tedeschi. Naturalmente, se l'altra parte avesse attaccato, avrebbe dovuto rispondere a tono. Ma, a riprova della loro nuova vocazione pacifica, gli Alleati chiedevano loro di togliere i tubi lanciasiluri, lasciando loro un paio di mitragliatrici leggere ed una da 20 mm montata a poppa per scoraggiare gli inseguitori. Per il momento gli era impossibile dire altro, ma gli italiani sembravano sollevati da quanto avevano sentito”. Per quanto riguarda le caratteristiche dei mezzi, il tenente di vascello Thomas M. Maxted della African Coastal Flotilla apprezza dei MAS la velocità (con i loro 42-47 nodi, sono i più veloci tra i mezzi a disposizione di "Balaclava") ed il basso profilo, lamentandone di converso la scarsa affidabilità, la notevole rumorosità dei motori principali e la non grande attitudine a tenere il mare, nonché la mancanza di strumenti di navigazione all’infuori di una bussola (l’autrice Linda Parker aggiunge agli svantaggi la bassa velocità dei più silenziosi motori ausiliari).
Dopo aver inizialmente tentato di utilizzare una motolancia tipo Fairmile B, la ML 576, rivelatasi però troppo lenta, il gruppo di Whinney inizia le operazioni con i MAS alla fine del novembre 1943.
Oltre all’infiltrazione ed esfiltrazione di agenti Alleati, i MAS vengono impiegati nel recupero di prigionieri fuggiti e nel trasporto di rifornimenti per gli avamposti stabiliti dagli Alleati nelle isole minori dell’arcipelago toscano al fine di osservare e segnalare il traffico costiero tedesco. Insieme ad essi verranno impiegate in queste missioni le motosiluranti britanniche della 28th Motor Torpedo Boat Flotilla e quelle statunitensi del 15th PT Squadron (capitano di corvetta Stanley Maitland Barnes), anch’esse di base a Bastia e La Maddalena, sotto il coordinamento di Whinney.
Proprio il comandante del MAS 541, sottotenente di vascello Guido Cosulich, è scelto dal comandante della flottiglia MAS per essere la “guida” di Whinney, del quale diviene presto uno dei più fidati ed apprezzati comandanti di MAS. Brooks Richards così ne parla nel suo “Secret Flotillas”: “…un giovane tenente di vascello dai capelli rossi… che si rivelò essere un membro della famosa famiglia armatoriale triestina dei Cosulich. Per via dei suoi ispidi capelli rossi, divenne presto noto ai suoi nuovi colleghi britannici come “Ginger”. Whinney trovò nel MAS 541, sotto il comando di “Ginger”, tutto ciò che avrebbe potuto desiderare: un minimo di ordine e pulizia, ma con tutto pulito, ordinato e ben mantenuto. A bordo il morale era prevalentemente buono e Whinney fu positivamente impressionato dalla personalità e dall’alta competenza professionale del direttore di macchina del 541, capo Pulchri [Roberto Pulcri]. Quando fu invitato nel piccolo quadrato ufficiali per un primo bicchiere di vino, Whinney scoprì che i trofei del 541, scritti su una paratia, comprendevano l’HMS Fiji, l’incrociatore affondato durante l’invasione aerotrasportata tedesca di Creta nell’aprile 1941 (…) Per la fine di novembre, il reparto dell’ACF di Whinney era pronto ad operare con i MAS italiani. Un’attenta osservazione l’aveva convinto che “Ginger” Cosulich era il più esperto ed affidabile dei giovani comandanti italiani dei MAS; era anche quello con cui aveva iniziato a lavorare per primo e che aveva potuto conoscere meglio. Per fortuna il comandante italiano concordava con la scelta di Whinney di Cosulich per la prima importante operazione”.
2-3 dicembre 1943
Il MAS 541 (sottotenente di vascello Guido Cosulich) viene impiegato nella notte tra il 2 ed il 3 dicembre per il secondo tentativo dell’operazione "Valentine", lo sbarco di due agenti italiani dello Special Operations Executive britannico sulla costa a nord di La Spezia: si tratta di Paolo Risso “Gino”, membro dell’organizzazione partigiana genovese “Otto” (che raccoglie informazioni per gli Alleati e tiene i collegamenti tra questi e le formazioni partigiane dell’Italia nordoccidentale), e del secondo capo radiotelegrafista Silvio De Fiori della Regia Marina, che porta con sé un apparato radio per mantenere i collegamenti con gli Alleati.
Un mese prima il fondatore e comandante dell’Organizzazione “Otto”, professor Ottorino Balduzzi, ha inviato da Voltri all’Ile Rousse (Corsica) il barcone I due fratelli, con a bordo tre dei suoi uomini (tra cui anche Paolo Risso) incaricati di stabilire un contatto con gli Alleati, nonché – come prova di buona volontà – alcuni prigionieri angloamericani fuggiaschi, soccorsi ed assistiti dalla sua organizzazione: tra di essi il colonnello Thomas Gordon Gore, catturato in Nordafrica ed amico personale del maresciallo Bernard Law Montgomery, comandante dell’VIII Armata britannica, cui Balduzzi ha affidato un messaggio del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) indirizzato agli Alleati, un piano dettagliato per l’appoggio ad uno sbarco in Liguria ed alcune informazioni militari. È stato proprio Gore a persuadere i comandi Alleati ad Algeri, inizialmente poco interessati alla collaborazione con il movimento resistenziale italiano (tant’è che in quel momento la Special Force del SOE in Corsica conta solo due uomini, un capitano ed un sergente), dell’utilità di appoggiare i partigiani, dichiarando che Balduzzi ed il maggiore Alfredo Pizzoni, presidente del CLNAI, sono “uomini di prima classe, in contatto con tutti i gruppi della Resistenza sulle alture dietro Chiavari, Genova, Voltri etc. che sono piene di resistenti inclusi 200 a Torriglia, dov’è il QG tedesco per la Liguria… sono in grado, e pronti in qualsiasi momento, a tagliare le linee di comunicazione tra Piacenza e Parma, La Spezia e Parma e Genova e La Spezia, e possono agevolare considerevolmente qualsiasi sbarco nella zona di Genova, asserendo di avere 200.000 operai dell’Ansaldo ed altri stabilimenti in Liguria, tutti antitedeschi e pronti ad agire”. Grazie all’interesse di Gore, a fine novembre è stato effettuato un primo lancio di denaro e generi di conforto per i partigiani attivi in Liguria (forse in assoluto il primo aviolancio organizzato dagli Alleati a favore della Resistenza italiana), ed adesso si procede all’invio di uomini per stabilire contatti stabili tra partigiani ed i comandi Alleati.
L’operazione, in assoluto la prima di "Balaclava", è stata tentata quattro giorni prima con la ML 576, ma interrotta a causa del maltempo, che ha impedito di mettere a mare il battellino gonfiabile da usare per lo sbarco degli agenti. A bordo si trovano sia il tenente di vascello Whinney che il maggiore Croft.
Questa volta l’operazione viene completata con successo: due ore dopo la partenza, il MAS 541 spegne i motori principali ed attiva quelli ausiliari, più silenziosi, per avvicinarsi al punto designato per lo sbarco (Deiva, tra Moneglia e Sestri Levante, sulla costa orientale del Golfo di Genova), mentre La Spezia è sottoposta ad un bombardamento aereo; giunto a poche centinaia di metri da riva, il MAS mette a mare un battellino gonfiabile condotto dal maggiore Andrew Croft (ai remi) e dal sergente Geoffrey Arnold (vedetta armata), con a bordo i due agenti. Qualche difficoltà viene incontrata quando Croft si rende conto che la scogliera nel punto scelto per sbarcare gli agenti è molto più ripida di quanto non apparisse dalle foto della ricognizione aerea, il che costringe il battellino a vagare per una quarantina di minuti lungo la costa prima di trovare un punto idoneo allo sbarco. Croft porta il battellino fino ad una minuscola spiaggia e qui Risso e De Fiori vengono sbarcati direttamente sulla terraferma, dopo che Arnold ha verificato l’assenza di nemici nella zona circostante.
10 dicembre 1943
Partito da Bastia, il MAS 541 conduce un’incursione all’isola della Gorgona, nell’arcipelago toscano, catturando gli otto militi della Repubblica Sociale Italiana che ne costituiscono l’esiguo presidio e sbarcando al loro posto cinque (per altra fonte nove) agenti di un Operational Group (OG) dell’Office of Strategic Services statunitense (altra fonte parla di agenti dello Special Operations Executive britannico, ma sembra probabile un errore) ed un apparato radio, per costituirvi un posto d’osservazione avanzato.
18 dicembre 1943
Trasporta a Capraia un gruppo di ufficiali statunitensi incaricati di svolgere un sopralluogo dell’isola, nonché viveri e materiali per il presidio statunitense.
27 dicembre 1943
Nuova missione di trasporto di viveri, materiali e personale a Capraia.
28 dicembre 1943
Al comando del sottotenente di vascello Guido Cosulich, il MAS 541 salpa da Bastia con a bordo due agenti francesi dell’O.S.S. (il tenente Bernard Benezra, alias Ben o Bernard Bermond, ed il capitano Antoine Dominique Borghi, alias Denis) da sbarcare in Francia. La missione è chiamata “Tomate” dai servizi francesi, “Canal II” dall’O.S.S. e “Clinton” dai britannici: gli agenti devono stabilire la rete informativa “FYR” (“Frascati-Yves-Riand”, dal nome dei tre gruppi in cui sarà suddivisa, che giungeranno a contare complessivamente 144 membri) a Montecarlo, finalizzata a raccogliere informazioni sulle difese tedesche sulle coste della Provenza.
Si tratta della missione più lunga finora intrapresa da un MAS alle dipendenze di "Balaclava": fino a quel momento, infatti, si sono infiltrati agenti solo sulla vicina costa italiana; stavolta, la località della costa francese in cui vanno sbarcati gli agenti, nella zona di Cap Camarat, dista ben 150 miglia da Bastia, il che costringe il MAS ad imbarcare carburante in più in contenitori di plastica, ed a sbarcare alcuni membri dell’equipaggio per compensare il conseguente aumento di peso. Come scrive Brooks Richards, “Cosulich aveva dovuto farlo spesso quando combatteva dalla parte dell’Asse, ma era una cosa che a nessun comandante di unità veloce da combattimento piaceva fare, perché rendeva la nave più vulnerabile”.
Per questa missione, il MAS 541 imbarca il maggiore Croft ed il tenente di vascello Maxted, quest’ultimo avente la direzione della missione. A causa di un malinteso, il MAS parte più tardi rispetto a quanto previsto, ma dopo tre ore e mezza di navigazione a 30-35 nodi può passare ai motori ausiliari e verso mezzanotte avvista verso proravia la sagoma dell’Ile-du-Levant.
29 dicembre 1943
Il MAS 541 accosta verso nord, ma data la velocità di soli 6 nodi consentita dai motori ausiliari, solo alle 4.25 raggiunge l’area designata per lo sbarco degli agenti. Cinque minuti dopo mette in mare il battellino, armato dal maggiore Croft e dal marinaio Donald Miles e con a bordo i due agenti, circa 800 metri ad est-sud-est di Cap-du-Pinet (circa 6,2 km a nordest di Ramatuelle).
Secondo i rapporti redatti per l’operazione, la costa tra Cap-du-Pinet e Pointe-du-Capon è dirupata e disseminata di scogli affioranti e secche; la scarsa profondità delle acque costiere ed il fatto che l’altura più pronunciata vicino alla costa supera di poco i 120 metri, tuttavia, sono stati presi in considerazione, ed insieme alla presenza di una valletta fluviale dall’aspetto “promettente”, hanno spinto i pianificatori dell’operazione a ritenere che esista nel tratto di costa in questione un punto favorevole per uno sbarco senza appoggio da terra pur essendo la zona circostante ben difesa. In effetti è così: la conformazione rocciosa della costa occulta il battellino a sguardi indiscreti, ed una volta a terra Miles, recatosi in ricognizione, scopre un sentiero che passando attraverso un fitto bosco conduce verso l’interno. I due agenti lo imboccano, mentre Croft e Miles ripartono con il battellino e rientrano sul MAS circa cinquanta minuti dopo averlo lasciato (ritrovarlo rappresenta l’unica reale difficoltà, in quanto durante l’attesa la deriva l’ha spostato di circa un miglio dalla posizione originaria: fortunatamente, la notte è particolarmente chiara, e la luce delle stelle li aiuta a ritrovare il MAS in tempi brevi). All’alba il MAS 541 è a sole trenta miglia dalla costa francese; Croft loderà poi la determinazione mostrata da Cosulich e Maxted nel portare a termine la missione nonostante l’arrivo sul posto in ritardo sui tempi previsti, e la decisione ed il giudizio dimostrati nella sua attuazione.
29-30 dicembre 1943
Al comando del sottotenente di vascello Cosulich, il MAS 541 prende il mare con a bordo il capitano di corvetta Whinney (investito della direzione dell’operazione) ed il sottotenente di vascello Ranald Boyle (vice di Whinney) per condurre l’operazione “Furtive”, la consegna presso Cavalaire, vicino a Saint Tropez (secondo il rapporto di Whinney; Slocum parlerà invece nella sua “Sea Operations Analysis” di Pointe-des-Issambres, sull’altro lato di Saint Tropez rispetto a Cavalaire) di un pacco con del denaro inviato dal Secret Intelligence Service (SIS) britannico alla rete informativa francese “Alliance”, diretta da Marie-Madeleine Fourcade, ed il simultaneo ritiro di un altro pacco contenente informazioni raccolte dalla medesima rete.
Il mattino del 29 dicembre Whinney ha ricevuto da Londra una comunicazione che indicava il punto d’incontro con gli agenti francesi presso Cavalaire, ma tale punto dista 900 metri da quello precedentemente indicato: Whinney ha segnalato la discrepanza e chiesto urgentemente chiarimenti, ma la questione non è stata ancora risolta al momento della partenza del MAS, che pure avviene un’ora più tardi del previsto a causa di un ritardo nella consegna del carburante, di cui vi è carenza in Corsica. Spremendo i motori, quando il MAS giunge all’altezza di Cap Corse e vira verso est la velocità è salita da 30 a 35 nodi; a questa velocità prosegue per tre ore e mezzo, incontrando un po’ di maretta che tuttavia non causa problemi, all’infuori degli inevitabili disagi all’equipaggio esposto al vento ed agli spruzzi gelidi. Poi, viene ridotta la velocità e si passa ai motori ausiliari (che a Whinney sembrano un po’ troppo rumorosi) per il tratto finale di avvicinamento, tra Cap Camarat a dritta e le isole d’Hyères a sinistra, della durata di due ore: grazie alla velocità tenuta durante la navigazione, l’ora di ritardo è stata recuperata, ed il MAS giunge all’appuntamento in perfetto orario. Anche il mare si è calmato.
Whinney crede di aver ordinato al MAS di fermarsi a 680 metri da riva, ma in realtà questi si ferma ad una distanza quasi doppia (forse Whinney, abituato al sistema imperiale invece che a quello metrico, ha fatto male i suoi calcoli). Insieme al sottufficiale Charles Ernest Bates, Whinney giunge a riva con un battellino pneumatico alle 2.10, con un ritardo di dieci minuti sulla tabella di marcia, ma non trova nessuno. L’ufficiale britannico viene nuovamente colto dai dubbi sulla correttezza del punto d’incontro comunicato via radio il giorno precedente, e dopo aver atteso invano per venti minuti decide di provare a spostarsi nel “vecchio” punto d’incontro, situato 900 metri più ad est; anche qui non c’è nessuno, e dopo altri venti minuti di attesa Whinney e Bates si spostano con il battellino nella baia accanto, per poi tornare nella posizione originaria. Mentre aspettano accanto al molo dove dovrebbe avvenire l’incontro con i francesi, un proiettore situato sulla costa – appena sopra di loro – si accende tre volte, puntando nella direzione in cui si trova il MAS, ma non lo inquadra.
Alle quattro del mattino, quando ormai manca solo mezz’ora alla scadenza convenuta per la ripartenza del MAS verso Bastia, Whinney e Bates intraprendono il viaggio di ritorno verso il MAS, che faticano tuttavia a trovare; per loro fortuna Ranald Boyle, rimasto sul MAS per assumere il comando in assenza di Whinney, ha intuito che sono più lontani dalla riva rispetto al previsto e si avvicina per raccoglierli, trovandoli appena prima che scada il tempo convenuto.
Ad ogni modo, la missione è fallita. (Per altra versione, il MAS impiegato in quest’operazione sarebbe stato il 543).
3 gennaio 1944
Secondo tentativo di eseguire “Furtive”. Di nuovo gli agenti non vengono trovati. (Per altra versione, il MAS impiegato per quest’operazione sarebbe stato il MAS 543).
Gennaio 1944
A partire dal 6 gennaio, i MAS della V Flottiglia iniziano a fare la spola tra Bastia e l’isola di Capraia, dov’è stato stabilito un piccolo presidio statunitense con il compito di osservare e segnalare i movimenti del traffico costiero tedesco finalizzato ad inviare via mare rifornimenti verso il fronte di Cassino.
12 gennaio 1944
Il MAS 541 trasporta personale e materiale da Bastia a Capraia.
15 gennaio 1944
Il MAS 541 trasporta rifornimenti e migliori strumentazioni radio al posto d’osservazione avanzato della Gorgona, costituito il mese precedente: operazione “Big Game”.
16 gennaio 1941
Nuovo viaggio da Bastia a Capraia con personale e materiale.
17 gennaio 1944
Il MAS 541 salpa da Bastia alle 17.15 per effettuare l’operazione “Ladbroke”, lo sbarco di due agenti francesi (tra cui François Pelletier, nome in codice “Ruben”, comandante del duo) dello Special Operations Executive a Cap Camarat, vicino a Saint Tropez. Il tenente di vascello Thomas Maxted ha il comando dell’operazione, ed a bordo del MAS sono presenti anche il maggiore Croft, il caporale Francis Basil Bourne-Newton dei Royal Engineers ed il marinaio Frederick Durant Ashton, incaricati di armare il battellino che dovrà sbarcare gli agenti. I due agenti sono stati sottoposti in Corsica ad un addestramento della durata di varie settimane sull’utilizzo di battellini gonfiabili, la scelta dei punti di sbarco e lo sbarco su coste controllate dal nemico in modo da poter a loro volta addestrare altri agenti di loro scelta, ed hanno lungamente studiato le fotografie scattate dalla ricognizione aerea della costa francese tra Marsiglia e Mentone. Particolarmente importante è ritenuta la riuscita della loro infiltrazione.
Dopo la partenza, la bussola del MAS 541 va in avaria, e la piccola unità deve mettersi alla cappa per ben tre volte per controllare la sua posizione durante la navigazione d’avvicinamento alla zona scelta per sbarcare gli agenti. Alle 21 viene avvistata la costa francese, ma non essendo ancora arrivata l’ora prestabilita (il MAS è in anticipo), il MAS 541 incrocia in attesa che questa giunga; si mette poi a cercare il piccolo villaggio in prossimità del quale si trova il punto di riferimento che consentirebbe di individuare la spiaggia dove sbarcare gli agenti, ma a causa della scarsa visibilità questo non viene trovato neanche dopo diverse ore di ricerca lungo la costa con l’uso dei motori ausiliari.
18 gennaio 1944
Alle nove del mattino, essendo ormai prossimo il sorgere del sole, il MAS 541 deve abbandonare la missione e rientrare alla base senza aver potuto sbarcare gli agenti.
Lo stesso giorno prende nuovamente il mare con a bordo due ufficiali statunitensi, che sbarca nell’Isola d’Elba insieme a viveri e materiale.
19 gennaio 1944
Il MAS 541 prende il mare con a bordo quattro agenti dello Special Operations Executive, due uomini (un italiano, Ranieri, ed un operatore radio canadese, Martin) e due donne (entrambe italiane e conosciute dai britannici solo per nome, Anna e Fiammetta), presso Moneglia, a nord di La Spezia, ma il tentativo fallisce per problemi alla bussola (che continuano a perseguitare l’unità perché a Bastia non sono disponibili attrezzature per riparare le bussole), che fanno sì che il MAS, già partito da Bastia in ritardo, raggiunga la costa nel punto sbagliato ed impieghi troppo tempo per trovare il punto di sbarco, tanto da doversi ritirare prima che sorga il sole.
I quattro agenti sono stati inviati in Corsica in aereo direttamente dalla base del SOE di Monopoli (nome in codice "Maryland") a fine dicembre 1943, accompagnati dal capitano Dick Cooper, già membro della Legione Straniera, dopo aver tentato senza successo di attraversare le linee sul fronte dell’VIII Armata britannica, ed hanno già tentato senza successo di sbarcare sulla costa ligure mediante delle PT-Boats statunitensi ad inizio gennaio.
La situazione si complica ulteriormente in quanto sia Ranieri che Martin s’innamorano di Fiammetta, con conseguente insorgere di gelosie reciproche; inoltre Martin accusa problemi cardiaci e si dichiara troppo malato per proseguire ed anche Anna si ammala e si lamenta per il basso morale, così che la missione viene abbandonata ed i quattro vengono rimandati a Monopoli e poi a Napoli e Brindisi. Successivamente, si scoprirà – grazie a Fiammetta, che ha finto di ricambiare le attenzioni di Ranieri per raccoglierne le confidenze – che Ranieri è un convinto fascista, e che era intenzionato a tradire i compagni e tutta la rete del SOE una volta sbarcato dietro le linee nemiche, ergo il fallimento della missione è stato, col senno di poi, il male minore. In ogni caso Croft commenterà che in caso di partecipazione di donne a missioni future, sarà meglio evitare di farle accompagnare da degli uomini.
(Per altra fonte, in questa data il MAS 541 avrebbe sbarcato personale sulla costa italiana).
20 gennaio 1944
Nell’ambito dell’operazione “Richmond 2”, il MAS 541 in sezione con il MAS 543, dopo aver costeggiato l’Elba e poi seguito la costa toscana verso sud, sbarca sei agenti a Porto Ercole e ne recupera altri sette precedentemente sbarcati (tra cui un sottotenente di vascello della Royal Navy ed un maggiore e un capitano dell’Esercito statunitense), insieme ad un prigioniero di guerra fuggito.
Lo sbarco avviene a mezzo di un battellino gonfiabile giallo, che può contenere tre uomini per volta (compreso quello addetto a portarlo avanti e indietro tra il MAS e la riva); tra gli agenti che il MAS 541, accompagnato dal MAS 543, sbarca all’alba alla foce del fosso Tafone, sulla sottile striscia di terra tra Tarquinia e l’Argentario (una trentina di km a nord di Tarquinia), vi è il ventiquattrenne giornalista statunitense Peter Tompkins. Corrispondente del “New York Herald Tribune”, ha passato gran parte della giovinezza in Italia, imparando la lingua e frequentando gli ambienti dell’alta borghesia e dell’aristocrazia romana (era amico personale del principe Camillo Gelasio Caetani, uno degli ultimi esponenti della celebre famiglia aristocratica che diede a Roma diversi papi, morto sul fronte greco-albanese nel dicembre 1940: ciò gli consentirà di farsi passare, da spia, per un aristocratico italiano), lasciandola solo nel 1941 per fare ritorno negli Stati Uniti; qui, all’ingresso in guerra di quel Paese, si è arruolato nell’O.S.S. con il grado di capitano, chiedendo di essere inviato come spia in Italia per contribuire all’abbattimento del regime fascista. Sbarcato a Salerno a fine settembre 1943, ha incontrato a Capri il filosofo Benedetto Croce e con lui ha preso accordi per la formazione di una rete clandestina, autonoma sebbene alle dipendenze dell’O.S.S., che s’incarichi di infiltrare agenti oltre le linee tedesche per raccogliere informazioni sui movimenti delle truppe tedesche e stabilire collegamenti con le formazioni partigiane del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): l’Organizzazione Resistenza Italiana (ORI). Il progetto non avrà seguito, perché i suoi superiori dell’O.S.S. lo riterranno troppo ambizioso, il governo badogliano lo osteggerà perché diffidente verso i partigiani ed i britannici lo riterranno superfluo in quanto già gestiscono una rete stabilita attraverso il SOE.
L’invio di Tompkins a Roma è stato deciso direttamente dal comandante dell’O.S.S., il generale William Joseph Donovan; Tompkins è giunto a Campo Borgo, in Corsica (vicino a Bastia), per via aerea con un B-26, per poi imbarcarsi sul MAS 541. Lo accompagna in questa missione un agente segreto italiano; con sé ha una piccola valigia, una pistola Beretta calibro 9 corto, 300 sovrane d’oro, una macchina fotografica Minox, dei cifrari ed i quarzi di ricambio per una radiotrasmittente clandestina.
Sulla spiaggia di Porto Ercole Tompkins, come convenuto, trova ad attenderlo dei partigiani, che lo portano in auto a Tarquinia e da qui a Roma, dove il 21 gennaio – il giorno prima dello sbarco di Anzio – incontra il funzionario del SIM Franco Malfatti e membri del CLN e del fronte militare clandestino. Tompkins, nome in codice “Pietro”, si spaccerà a Roma alternativamente per Federico Caetani, inesistente fratello del suo defunto amico Camillo Caetani; per il capitano Luigi Desideri, distaccato presso il comandi della città aperta di Roma; o per Roberto Berlingieri, cugino fittizio di un’altra famiglia aristocratica di simpatie fasciste, veste nel quale incontrerà, ad un ricevimento, il famigerato capitano delle SS Erich Priebke. Stabilito il suo nascondiglio a Palazzo Lovatelli, in una stanza segreta (vi si accede da una piccola apertura in un muro, nascosta da un comodino), costituirà una rete di spie – in gran parte italiane, tra cui l’esponente socialista Giuliano Vassalli ed il tenente di polizia Maurizio Giglio, poi catturato e fucilato alle Fosse Ardeatine – che raccoglieranno informazioni sugli spostamenti delle truppe tedesche, sulle posizioni difensive, sull’ubicazione di caserme e depositi di carburante e munizioni (così agevolando la loro distruzione ad opera di incursioni aeree); per cinque mesi Tompkins trasmetterà agli Alleati queste informazioni con la sua radiotrasmittente a cristalli – in codice “Radio Vittoria” –, che dovrà spostare a più riprese per evitarne l’individuazione da parte tedesca.
22 gennaio 1944
Durante la notte il MAS 541 tenta di sbarcare degli agenti a sud di Sestri Levante, ma viene fatto segno a tiro da terra e costretto a ritirarsi (altra fonte parla di uno scontro a fuoco con similari unità nemiche).
27-28 gennaio 1944
Al comando del sottotenente di vascello Cosulich, il MAS 541 prende il mare per un’altra missione “Ladbroke”, lo sbarco di due agenti dello Special Operations Executive a Cap Camarat (Provenza), con a bordo Whinney (al comando dell’operazione), Croft, Ashton e Bourne-Newton. La missione fallisce per errore di navigazione.
28 gennaio 1944
Terzo tentativo di eseguire “Furtive” (anche nota come “Popeye”), stavolta con successo. L’incontro avviene come convenuto presso Pointe-des-Issambres, 9,8 km a sudovest di Saint- Raphaël; viene consegnato il pacco con due milioni e mezzo di franco, ritirata la “posta” e recuperati anche due agenti della rete informativa “Alliance”, Elie de Dampierre “Berger” e Claude Descatoires “Gardon”, calatisi con un cavo dalla scogliera. (Per altra versione, il MAS impiegato sarebbe stato il 543).
17 marzo 1944
Il MAS 541 sbarca cinque agenti dello Special Operations Executive nei pressi di Castiglioncello (Operazione “Amloch”).
18 marzo 1944
Sbarca un agente del SIS vicino a Punta Invrea (Operazione “Steadfast”).
(g.c. Antonio Cimmino, via La Voce del Marinaio) |
Scomparsa
L’ultima missione del MAS 541 ebbe inizio alle sei di sera del 21 marzo 1944, quando sempre al comando del sottotenente di vascello di complemento Guido Cosulich, salpò da Bastia per l’operazione "Cadex", lo sbarco di commando francesi del Battalion de Choc, muniti di cariche esplosive per azioni di sabotaggio, presso Capo Arenzano, ad una decina di miglia da Genova.
Per quella missione, il MAS 541 era eccezionalmente affollato: oltre ai dieci uomini dell’equipaggio ed ai cinque commandos francesi (il capitano Max Roumy, il tenente Raymond Gerber e gli aiutanti capi Théopile Stevens, Jean Antoine Seta ed Elie Verdier, tutti del 3éme Commando del 1er Groupe Commandos d’Afrique; non è del tutto chiaro se dovessero sbarcare tutti e cinque, in quanto alcune fonti affermano che la missione era finalizzata allo sbarco di due commandos), erano infatti presenti a bordo altri due ufficiali francesi imbarcatisi per assistere allo svolgimento dell’operazione, il capitano di fregata Charles Bourdeau de Lajudie detto Vieux Martin ed il maggiore di cavalleria André Riottot (entrambi facenti parte dello stato maggiore del generale Henry Martin, comandante del I Corpo d’Armata francese di stanza in Corsica) ed uno britannico, il tenente di vascello Alastair Campbell Dow della Royal Naval Reserve (uno degli ufficiali operativi dell’Africa Coastal Flotilla), avente il comando della parte navale dell’operazione. Ben diciotto uomini che parlavano tre lingue diverse, su una minuscola unità di neanche diciannove metri per cinque.
Obiettivo dell’azione dei commando erano un ponte ferroviario ed una galleria stradale, tra Genova e Savona, ma l’operazione non ebbe mai luogo: dopo la partenza, il MAS 541 non diede più notizie di sé, scomparve nell’Alto Tirreno senza lasciare traccia.
O meglio, qualche traccia della tragedia riemerse alcune settimane dopo la scomparsa della piccola unità: il 7 aprile 1944 il mare depositò sulla spiaggia di Antibes il corpo dell’aiutante capo Verdier, e sei giorni più tardi anche la salma dell’aiutante capo Seta venne trovata su una spiaggia presso Port-de-Bouc. I corpi non presentavano segni che potessero permettere di risalire alle cause della morte. Gli altri sedici uomini non furono mai ritrovati.
Da parte francese si sospettò a lungo che l’equipaggio italiano avesse nutrito ancora simpatie per il regime fascista e fosse passato al servizio della Repubblica Sociale Italiana dopo aver eliminato il personale straniero presente a bordo, convinzione probabilmente alimentata – oltre che dalla diffidenza e dal rancore nutriti dai francesi nei confronti degli italiani fin dal giugno 1940 – dal brutto episodio del MAS 505, cinque membri del cui equipaggio si ammutinarono poche settimane dopo la scomparsa del MAS 541, assassinando i tre ufficiali (italiani) presenti a bordo e consegnando la loro unità ai tedeschi. Dovevano riferirsi a questo episodio le notizie che i francesi raccolsero all’Isola d’Elba quando vi sbarcarono qualche mese dopo, e che vennero da essi erroneamente collegate alla sparizione del MAS 541.
La versione di un ammutinamento e defezione del MAS 541 fu a lungo sostenuta da parte francese, anche a livello ufficiale e da parte di storici francesi; anche in alcune pubblicazioni recenti, come “Ice Steel and Fire: British Explorers in Peace and War 1921-45” di Linda Parker, si ripete questa erronea notizia (“Croft non si fidava dei loro [dei MAS] equipaggi italiani. Ed i suoi sospetti si dimostrarono corretti in quanto in una missione per lo sbarco di alcuni commando francesi, l’equipaggio italiano s’impadronì dell’unità, assassinando uno dei colleghi di Croft, il tenente Dow, e poi passò con i tedeschi”).
Niente del genere, però, era accaduto al MAS 541, che non ricomparve in un porto sotto controllo tedesco ed i membri del cui equipaggio, dal comandante all’ultimo dei marinai, non furono mai più rivisti. In mancanza di rivendicazioni del suo affondamento da parte tedesca, la spiegazione più verosimile è che la piccola unità fosse incappata in una mina alla deriva, andando completamente distrutta con conseguente morte dell’intero equipaggio, tra il 21 ed il 22 marzo 1944.
Scomparvero con l’unità:
Charles Bordeau de Lajudie, capitano di fregata Marine Nationale, 48 anni, da Parigi
Guido Cosulich, sottotenente di vascello Regia Marina (comandante), 26 anni, da Lussinpiccolo
Proto Dau, marinaio cannoniere Regia Marina, 20 anni, da Sassari
Alastair Campbell Dow, tenente di vascello RNVR, 38 anni, da Glasgow
Raffaele Ferrari, marinaio Regia Marina, 21 anni, da Napoli
Raymond Eugène Gerber, tenente Commandos d’Afrique, 29 anni, da Bourkaka
Giuseppe Giacomini, marinaio motorista Regia Marina, 22 anni, da Civitavecchia
Remo Goffredi, marinaio segnalatore Regia Marina, 21 anni, da Belluno
Primo Loffredo, sottocapo motorista Regia Marina, 26 anni, da Monte Argentario
Elio Piersimoni, sottocapo nocchiere Regia Marina, 22 anni, da Camerata Picena
Roberto Pulcri, capo motorista di terza classe Regia Marina, 30 anni, da Cagliari
André Riottot, maggiore di cavalleria Francia Libera, 38 anni, da Parigi
Max Alain Adrien Roumy, capitano Commandos d’Afrique, 42 anni, da Nemours
Jean Antoine Seta, aiutante capo Commandos d’Afrique, 30 anni, da Bostélicane
Théopile Louis Stevens, aiutante capo Commandos d’Afrique, 35 anni, da Saint-Gilles-lez-Bruxelles
Antonio Toma, sottocapo radiotelegrafista Regia Marina, 23 anni, da Maglie
Elie Verdier, aiutante capo Commandos d’Afrique, 32 anni, da Chéragas
Secondo Vincenzi, marinaio cannoniere Regia Marina, 21 anni, da Cesenatico
Caso poco chiaro è quello del telegrafista Ian Hamilton MacGregor della Marina britannica, di 24 anni, da Edimburgo. Questi risulta “disperso, presumibilmente ucciso” (“missing presumed killed”, MPK) in data 21 marzo 1944, come il tenente di vascello Dow; e come Dow ed altri uomini della Royal Navy rimasti uccisi durante le missioni di “Balaclava” risultava in forza alla HMS Hannibal, che a dispetto del nome non era una vera nave, bensì un’installazione terrestre della Marina britannica (che tradizionalmente trattava le sue basi terrestri, dette stone frigates – “fregate di pietra” – alla stregua di navi, con tanto di nome) ad Algeri, attiva dal 1943 al 1946. Sembra dunque molto probabile che MacGregor sia rimasto anch’esso ucciso a bordo del MAS 541, sul quale probabilmente accompagnava il tenente di vascello Dow; ma di lui non si fa menzione in alcun testo consultato relativamente alla perdita di questa unità, il che rende impossibile avere la certezza che fosse effettivamente presente a bordo.
Brooks Richards scrive nel suo “Secret Flotillas” che l’ipotesi della mina sarebbe stata confermata da un’esplosione che fu avvertita da terra al momento della scomparsa del MAS 541, e dal successivo ritrovamento, nel dopoguerra, del relitto dell’unità. Brooks Richards cita quale fonte sul ritrovamento del relitto il capitano di vascello Claude Huan, dell’ufficio storico della Marina francese. Brooks Richards lamenta, nel descrivere la sorte del MAS 541, la perdita tra gli altri del comandante Cosulich, “...che era, insieme al marchese Centurioni [il sottotenente di vascello Giulio Centurione, comandante del MAS 510], uno dei più esperti, eccezionali e generalmente apprezzati degli originari comandanti dei MAS italiani”.
Alla memoria del comandante Cosulich venne conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare; con regio decreto del 22 maggio 1944 fu promosso per merito di guerra a tenente di vascello, con anzianità di grado e decorrenza amministrativa dal 28 gennaio 1944. Gli altri membri dell’equipaggio del MAS 541 furono insigniti della Croce di Guerra al Valor Militare alla memoria.
La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del sottotenente di vascello Guido Carlo Cosulich, nato a Lussinpiccolo il 6 novembre 1917:
"In comando di motosilurante destinata a nuovi compiti in base avanzata, effettuava rischiose missioni di guerra lungo costa controllata e fortemente insidiata dal nemico. Animatore dei propri dipendenti, in ogni circostanza dava prova di slancio, coraggio ed alto senso del dovere. In ultima rischiosa missione risultava disperso con la sua unità che non rientrava alla base.
(Acque dell'Alto Tirreno, dicembre 1943-marzo 1944)."
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, anno XXXV, aprile-giugno 2021
La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (8 settembre 1943-15 settembre 1945)
L'appoggio navale italiano alle missioni speciali
Sulle prime missioni della Marina Militare italiana a fianco degli Alleati
Ice Steel and Fire: British Explorers in Peace and War 1921-45
Mission Accomplished: SOE and Italy 1943-1945
Fusiliers marins et commandos: Baroudeurs de la Royale
Mémorial des officiers de marine – BOURDEAU de LAJUDIE Charles, Adrien, Ludovic, Gabriel
Bernard Benjamin Benezra alias Bermond
Bernard « Benjamin » Bermond, un Résistant intrépide, à l’origine de la création du Mémorial
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