La Frisco nei suoi primi anni di vita, quando portava il nome di W. S. Porter (San Francisco Maritime National Historical Park) |
Piroscafo cisterna di
4610 tsl, 2699 tsn e 7000 tpl, lunga 120,5-121,67 metri, larga 15,2 e pescante
7,31-8,5, con velocità di 8,5 nodi. Di proprietà della Società Anonima di
Navigazione Petroleum, con sede a Genova; iscritto con matricola 1321 al
Compartimento Marittimo di Genova, nominativo di chiamata IBKM.
Durante il conflitto
non fu mai requisita dalla Regia Marina, né iscritta nel ruolo del naviglio
ausiliario dello Stato.
Breve e parziale cronologia.
25 agosto 1906
Varata come statunitense
W. S. Porter nei cantieri della
Newport News Shipbuilding & Drydock Company di Newport News, Virginia,
Stati Uniti (numero di costruzione 44). Madrina è la signorina Jacqueline
Bickford; la cerimonia del varo viene parzialmente rovinata perché la nave si
blocca sullo scalo subito prima di entrare in acqua, e si rende necessario
aspettare l’alta marea per poterla finalmente veder galleggiare. Comunque, non
subisce danni.
Ordinata nel 1902, la
W. S. Porter è in assoluto la prima
nave cisterna costruita nei cantieri della Newport News Shipbuilding &
Drydock Company, che nel corso della propria attività costruirà in tutto 83
navi di questo tipo.
1° novembre 1906
Completata come W. S. Porter per la Associated Oil
Company di San Francisco (altre fonti parlano invece della Saginaw Oil Company
di Monterey; per un’altra la nave sarebbe stata costruita per la Saginaw Oil
Company e successivamente venduta alla Associated Oil Company).
Velocità originaria
9,5 nodi (per altra fonte, 11), stazza lorda originaria 4902 tsl, portata lorda
6500 tpl, dislocamento 10.400 tonnellate.
Impiegata nel
trasporto di petrolio e derivati lungo le coste degli Stati Uniti.
Luglio 1907
Durante un viaggio
dalla California del Sud a Treadwell con 50.000 barili di petrolio, la W. S. Porter incontra una tempesta che
causa danni alle lance di salvataggio e deforma in più punti il parapetto.
Un’altra immagine, purtroppo di pessima qualità, della nave come W. S. Porter (da www.gauriac.fr) |
Novembre 1907
Durante un viaggio da
Douglas Island a Monterey con un carico di petrolio, la W. S. Porter incappa in un uragano, che provoca danni per un valore
complessivo di 110.000 dollari: il ponte viene parzialmente dislocato, una
scialuppa viene distrutta, porte ed oblò vengono fracassati, le cabine
inondate; fortunatamente non ci sono feriti, e i danni non interessano alcuna
parte vitale della nave, che è così in grado di raggiungere Monterey. Da questo
porto, dopo alcune riparazioni provvisorie, la Porter raggiunge Honolulu, dove viene sottoposta a lavori di
riparazione più estesi.
20 marzo 1909
Alle 16.20, in
posizione 40°53’ N e 12°85’ E, una tromba marina manca di poco la W. S. Porter (capitano Macdonald) al
largo della costa meridionale dell’Oregon. La tromba marina viene avvistata a
poppavia sinistra a circa un miglio di distanza, in movimento verso nordest ad
una velocità di circa 12-15 miglia orarie; quando si avvicina alla petroliera,
il comandante Macdonald fa suonare la sirena, e la tromba marina, dopo essere
passata sulla poppa della W. S. Porter,
inizia a collassare. Dopo circa cinque minuti il vento, fino ad allora una burrasca
da sudest, cala d’intensità e direzione, divenendo una brezza moderata da
ovest, per poi girare verso nordovest intorno alle sei di sera.
Successivamente la W. S. Porter viene immessa in bacino nei
cantieri Union Iron Works di San Francisco per riparazioni a scafo, macchine e
caldaie.
Giugno-Luglio 1910
Durante un viaggio da
San Francisco a Nome (Alaska) e ritorno, al comando del capitano Holmes, la W. S. Porter rischia a più riprese di
affondare a causa degli icebergs. Durante il viaggio di andata, la pirocisterna
rimane intrappolata per due giorni e mezzo in una distesa di ghiacci alla
deriva; giunta poi a Nome, deve mantenere un servizio di vedetta rafforzato a
causa dei blocchi di ghiaccio alla deriva nella baia. In un’occasione, la Porter e due piroscafi, il Corwin e l’Edith, devono salpare le ancore ed allontanarsi da riva per quattro
volte in un giorno per evitare i blocchi di ghiaccio; in una di queste
occasioni la Porter deve inoltre far
ricorso a tutta la potenza delle proprie macchine per evitare che il vento, che
soffia forte dal largo e spinge i blocchi di ghiaccio ad una velocità di cinque
nodi, la spinga ad incagliare sulla spiaggia.
13 novembre 1911
Alle 22 la W. S. Porter (capitano C. Madeaon, con a
bordo il pilota W. H. I. Patterson, che è al comando al momento della
collisione) sperona il piroscafetto Westerner
(capitano Bernard Kelly, con a bordo il pilota S. V. Short), una goletta a
vapore della compagnia Olson & Mahony, sul fiume Columbia, al largo di
Pillar Rock, nell’Oregon (quattordici miglia a monte di Astoria).
Entrambe le navi stanno
scendendo il fiume, il Westerner (in
navigazione da Salama a San Francisco con un carico di legname) in posizione
più avanzata e la Porter un po’ più
indietro; poco prima della collisione, il Westerner
perde il frenello di dritta del timone, il che lo rende ingovernabile e lo fa
deviare dalla rotta. Il comandante Kelly fa calare l’ancora, ma poco dopo
l’equipaggio del piroscafo avvista le luci della Porter che sta scendendo il fiume, a circa un miglio di distanza.
Kelly suona per cinque volte la sirena per avvertire la petroliera del
pericolo; nell’ultima occasione, quando ormai la collisione è prossima, lancia
sette fischi brevi ed acuti, ma non riceve nessuna risposta dalla Porter, che prosegue per la sua rotta
fino a speronare il Westerner. A
bordo della Porter, infatti, nessuno
ha sentito i segnali lanciati dal piroscafo: quando a bordo il pilota Patterson
avvista la luce verde del Westerner,
questi fa lanciare a sua volta due fischi ed ordina di mettere tutta la barra a
dritta e le macchine indietro tutta, ma ormai è troppo tardi per evitare
l’impatto. La Porter sperona il Westerner a centro nave, sul lato di
dritta; per evitarne la completa perdita, il piroscafetto dev’essere portato ad
incagliare su dei bassifondali tra Pillar Rock ed Altona, dove affonda
parzialmente – nel giro di soli sei minuti – in cinque metri e mezzo d’acqua,
lasciando emergere parte del castello di prua e la porzione superiore delle
sovrastrutture. La Porter, viceversa,
è in grado di proseguire. L’impatto è stato tanto violento che alcune massicce
travi in legno del carico, stivate in coperta sul Westerner, sono state tranciate in due.
Vi è una vittima: il
secondo ufficiale del Westerner,
rimasto ferito nell’impatto ed annegato dopo essere caduto in mare. Il resto
dell’equipaggio della goletta a vapore, gettatosi in acqua, viene recuperato
dalle lance della Porter.
Alleggerito del suo
carico, trasbordato su delle chiatte, il Westerner
verrà rimesso in galleggiamento nel pomeriggio del 19 novembre, rimorchiato a
Portland dal rimorchiatore Melville e
qui immesso in bacino, dove verrà constatato che la collisione ha causato una
grossa falla (che si estende dal parapetto fino alla sentina) sul lato di
dritta. Il danno, per quanto grave, verrà giudicato riparabile.
1917
La Porter compie tre viaggi ad Everett
(Washington) rimorchiando la nave cisterna a vela Falls of Clyde (ancor oggi esistente), carica di carburante per le
Great Northern Tanks, in seguito ad un’avaria di macchina che ha immobilizzato
per qualche tempo una delle petroliere che fanno servizio con tali serbatoi.
Dicembre 1919
Assegnata per qualche
tempo alla tratta California-Portland.
Al termine del suo
primo viaggio da Gaviota a Portland (dove giunge a Natale), dopo aver scaricato
il petrolio contenuto nelle sue cisterne, la Porter rimorchia la nave cisterna a vela Falls of Clyde da Astoria a San Francisco.
13 marzo 1920
La W. S. Porter prende a bordo dodici
naufraghi del piropeschereccio Ituna,
trasbordati dalla nave faro di San Francisco, e li porta a San Francisco.
L’Ituna è naufragato in una burrasca alle
10.30 del 13 marzo, durante un viaggio da San Francisco a Reedsport (con un
carico di cemento e 30.000 dollari di macchinari), quindici miglia a nordovest
della nave faro di San Francisco; una falla apertasi nella stiva prodiera ne ha
causato l’affondamento in soli dieci minuti. Due membri dell’equipaggio,
rimasti bloccati nelle loro cabine, sono affondati con la nave, mentre gli
altri dodici hanno raggiunto la nave faro dopo quattro ore di difficile
navigazione nel mare in burrasca su una scialuppa.
1925
Acquistata dalla “Petroleum”
Società Anonima di Navigazione, con sede a Genova, e ribattezzata Frisco. Stazza lorda e netta 4794 tsl e
2946 tsn (4610 tsl e 2699 tsn dal 1938), nominativo di chiamata NQHL.
In gestione a Giuseppe
Chiarella, amministratore delegato della “Petroleum” (la compagnia è di
proprietà della sua famiglia).
1926
È comandante della Frisco il capitano di lungo corso
Pennetti.
1934
Il nominativo di
chiamata viene cambiato da NQHL a IBKM.
Navi italiane internate a Fortaleza, 1940-1941: da destra a sinistra, Aequitas, Frisco, Anselmo e Laura Lauro (USMM) |
Violatori di blocco
Al pari di oltre un
quarto dell’intera flotta mercantile italiana, la Frisco, al momento della dichiarazione di guerra con cui l’Italia
entrava nel secondo conflitto mondiale (10 giugno 1940), non si trovava in
Mediterraneo: la vecchia pirocisterna era in quel momento in navigazione
nell’Atlantico, al largo della costa settentrionale Brasile. Preclusa ogni
possibilità di rientrare in Italia, alla nave non rimase che dirigere verso il
più vicino porto neutrale per farvisi internare, prima di poter essere trovata
da navi da guerra britanniche o francesi: nella fattispecie, il porto di
Fortaleza, nello stato brasiliano del Ceará, dove giunse il 20 giugno 1940.
Cinque giorni prima
la Frisco era stata preceduta a
Fortaleza da un altro bastimento italiano, il piroscafo da carico Aequitas;
un terzo, il piroscafo Laura Lauro,
avrebbe raggiunto anch’esso quel porto il 23 giugno.
In quegli stessi
giorni, la medesima scena si ripeteva in più di quindici porti diversi del
Sudamerica: decine di navi mercantili italiane, sorprese dalla guerra in quelle
acque, cercarono rifugio in Brasile, in Argentina, in Uruguay, in Colombia, in
Venezuela. Furono ben diciotto le navi italiane internate nei porti del Brasile;
sedici in quelli dell’Argentina; sei in quelli venezuelani; due in quelli
uruguaiani ed altrettante in quelli della Colombia. Si trattava di un
assortimento di bastimenti di tutto rispetto, molti dei quali avevano nelle
stive carichi che sarebbero stati di notevole utilità se avessero potuto
raggiungere l’Europa: per questa ragione, la sorte di queste navi ricevette
considerevole attenzione nel corso delle conferenze interministeriali tenute a
Roma per valutare come gestire la questione delle tanti navi mercantili
internate in porti stranieri.
L’attenzione di
Supermarina si concentrò soprattutto sui 36 mercantili internati in Brasile,
Argentina ed Uruguay: in accordo con il Ministero degli Esteri, l’alto Comando
della Regia Marina ordinò ai suoi addetti navali in quei Paesi di mettere allo
studio le possibilità di far rientrare – se non in Italia, cosa ormai
impossibile, quanto meno nell’Europa occupata dalle forze dell’Asse – almeno
una parte di quelle navi. Ciò sarebbe dovuto avvenire violando il blocco imposto
dalle forze aeronavali del Commonwealth, che pattugliavano l’Atlantico a caccia
di mercantili italiani e tedeschi (al largo delle coste brasiliane questo
compito era svolto, tra gli altri, dai grossi incrociatori ausiliari Asturias e Circassia): un viaggio solitario e pericoloso, in cui ciascuna nave
avrebbero dovuto procedere senza alcuna protezione, alla massima velocità
possibile, evitando ogni incontro con unità sconosciute. Se intercettati da
navi da guerra britanniche, i violatori di blocco si sarebbero dovuti
autoaffondare, per evitare che nave e carico cadessero in mano nemica.
Come porti di
destinazione vennero scelti quelli della costa atlantica della Francia,
occupati dalle forze tedesche: e più precisamente Bordeaux e Saint Nazaire. Se
i violatori di blocco avessero completato con successo i propri viaggi, sarebbe
stato almeno possibile recuperare i carichi contenuti nelle loro stive,
consistenti in gran parte in materiali che sarebbero stati molto utili per
l’industria bellica e le forze armate dell’Asse. Dalla Francia i materiali
trasportati dai violatori di blocco sarebbero potuti proseguire per l’Italia
via terra, mentre le navi, non potendo rientrare in Mediterraneo (i dui
accessi, Suez e Gibilterra, erano saldamente in mano britannica), avrebbero
potuto essere utilizzate dai tedeschi per i traffici costieri, o come depositi
galleggianti; per alcune si sarebbe anche potuto tentare il trasferimento in
Mar Baltico, dove si sarebbero potute rendere più utili.
I progetti per il
recupero dei mercantili internati in Argentina ed Uruguay vennero presto
abbandonati da Supermarina per «questioni
di sicurezza e di opportunità politica e diplomatica»: i governi di quei
due Paesi sudamericani, infatti, erano ritenuti troppo filobritannici, tanto da
far dubitare delle possibilità di riuscita di un tentativo di fuga delle navi
italiane bloccate nei loro porti. Il presidente brasiliano Getúlio Vargas (a
capo di un regime dittatoriale di stampo fascista), invece, aveva dato varie
volte prova di amicizia nei confronti dei Paesi dell’Asse; per questo,
giudicando le condizioni in Brasile più favorevoli, tutti gli sforzi si
concentrarono sul rientro dei mercantili internati in quel Paese.
Su diciotto
bastimenti, solo due erano navi cisterna: la Frisco e la ben più moderna Franco
Martelli, internata a Recife; c’erano
poi il transatlantico Conte Grande,
internato a Santos, e quindici navi da carico.
Il 6 settembre 1940
un rapporto settimanale d’intelligence (Weekly
Intelligence Report) redatto dalla Naval Intelligence Division
dell’Ammiragliato britannico menzionava tra l’altro che «secondo quanto riferito, Frisco, Aequitas e Laura
Lauro, tutti a Ceará, Brasile, sarebbero stati posti sotto guardia brasiliana,
e l’Aequitas avrebbe subito la rimozione di parte del proprio apparato
motore».
La Frisco durante l’internamento a Fortaleza (Coll. Fam. Cincotta, dal libro “Con il favore di Eolo” di Rossana Copez) |
Per i marinai della Frisco, quei mesi passati a Fortaleza
furono quasi una vacanza: con la nave bloccata alla fonda, dividevano il tempo
tra la spiaggia e le osterie, alternando una nuotata ad una rissa da bar,
giocando e facendo progetti per il futuro tra le dune di sabbia bianchissima.
La guerra che già devastava mezza Europa ed Africa doveva allora sembrare molto
lontana: ma c’era già chi si stava adoperando per riportarli proprio nel mezzo
della bufera.
Bartolo Cincotta, secondo ufficiale della Frisco, durante l’internamento a Fortaleza il 22 dicembre 1940 (Coll. Fam. Cincotta, dal libro “Con il favore di Eolo” di Rossana Copez) |
Le modalità ed i
tempi per il trasferimento delle navi italiane dai porti neutrali a quelli
francesi vennero definite a seguito di riunioni tenutesi a Roma tra
rappresentanti dei Ministeri della Marina, delle Comunicazioni (che aveva
competenza sulla Marina Mercantile), degli Esteri e degli Scambi e Valute
nell’autunno del 1940, ed il 14 dicembre 1940 le relative disposizioni vennero
trasmesse agli addetti navali italiani in Brasile, Spagna ed Argentina (prima
che si rinunciasse ad organizzare il rientro dei mercantili internati in
quest’ultimo Paese).
Il capitano di
fregata Eugenio Torriani ricopriva in quel periodo la duplice carica di addetto
navale in Brasile ed Argentina; soltanto nel marzo 1941 gli sarebbe stato
affiancato temporaneamente il tenente di vascello Vincenzo Di Vicino, facente
parte della disciolta missione navale italiana in Venezuela ed in attesa di
rimpatrio. A quest’ultimo venne affidato provvisoriamente l’incarico di addetto
navale a Rio de Janeiro, in attesa dell’arrivo dall’Italia del nuovo addetto
navale titolare, capitano di fregata Carlo Zampari. Furono Torriani, Zampari e
Di Vicino, coadiuvati dalle autorità consolari di Parà, Bahia, Pernambuco,
Santos e São Luís, a mettere a punto ed eseguire il piano per il trasferimento
dal Brasile alla Francia occupata, contattando i comandanti delle diverse navi
internati nel Paese sudamericano e scegliendo quelle in condizioni migliori per
tentare l’ardua traversata. Prima dell’arrivo di Zampari e Di Vicino, il
comandante Torriani si consultò con l’ambasciatore d’Italia a Rio e con
l’addetto navale tedesco per raccogliere ed analizzare tutte le informazioni
disponibili per pianificare la non semplice operazione.
Il piano iniziò a
prendere forma nei dettagli nel corso del febbraio 1941, mentre s’intensificava
lo scambio di dispacci tra Supermarina e l’addetto navale a Rio. Il 20 febbraio,
con foglio segreto numero 5133 spedito per via aerea, il capitano di fregata
Torriani comunicava ai suoi superiori di essersi personalmente recato nel nord
del Brasile col primo aereo disponibile per visitare i mercantili internati a
Belem, Fortaleza, Recife e Bahia (e specialmente quelli destinati a partire,
per constatarne di persona le condizioni) e parlare coi loro comandanti, cui
aveva personalmente comunicato le istruzioni sul da farsi, evitando così
possibili interpretazioni errate. Torriani scrisse anche che «dato l’intenso e generale controllo
esercitato localmente dagli inglesi in tutti i settori e specialmente in quello
marittimo» era difficile che i preparativi per la partenza delle navi non
venissero notati dai britannici; per di più, prima di salpare occorreva
presentare regolare richiesta di “dispaccio” alle autorità portuali locali, ed
una partenza furtiva, che avesse saltato tale procedura, anche in caso di
successo avrebbe provocato delle ripercussioni a livello politico di portata
imprevedibile, per non parlare dei provvedimenti che le autorità locali
avrebbero intrapreso nei confronti delle restanti navi italiane per evitare
altri episodi del genere. Tuttavia, al momento le autorità marittime centrali
del Brasile apparivano benevole, il che induceva Torriani a ritenere possibile
l’ottenimento di un’immediata approvazione della richiesta di “dispaccio” che i
comandanti delle navi violatrici di blocco avrebbero dovuto presentare subito
prima della partenza, così che non vi sarebbe stato il tempo di fughe di
notizie che avrebbero altrimenti permesso ai britannici di organizzare
l’intercettazione dei bastimenti partenti da parte delle loro navi che
pattugliavano le acque del Brasile. D’accordo con l’addetto navale tedesco, il
capitano di fregata Torriani riteneva che per maggior segretezza sarebbe stato
meglio evitare che Supermarina decidesse e comunicasse le date di partenza di
ciascuna nave, limitandosi invece ad emettere un ordine “di massa” (inviando un
telegramma convenzionale all’ambasciata ed all’addetto navale) e lasciando che
fosse lo stesso Torriani a decidere sul posto la data della partenza.
Per rifornire le navi
partenti di provviste e di acqua senza dare nell’occhio, non si sarebbe
provveduto ad un rifornimento unico, bensì alla graduale accumulazione, giorno
per giorno, di quantità limitate, formando a poco a poco delle scorte.
Il 21 febbraio il
capitano di fregata Torriani si recò a Recife, dove aveva convocato i
comandanti della Frisco e del
piroscafo Monbaldo (internato a
Belém) oltre a quelli delle navi internate in quello stesso porto: a tutti
impartì e spiegò le istruzioni sul da farsi nel caso si fosse reso necessario
rendere inutilizzabili le navi, ed al contempo s’informò nel dettaglio sulla
situazione delle prime tre navi destinate a partire dai porti del Brasile
settentrionale, ossia la Frisco
stessa, il Monbaldo e la Franco Martelli.
Per quanto riguardava
la Frisco, una delle criticità principali
riguardava il suo stato maggiore: oltre al comandante, infatti, vi erano
soltanto due ufficiali di coperta, dei quali il primo ufficiale era anziano (66
anni) e malato, mentre il secondo ufficiale non aveva la qualifica di capitano,
ma soltanto quella di padrone marittimo non patentato. Il capitano di fregata
Torriani decise pertanto di rimpiazzare il primo ufficiale della Frisco con il capitano di lungo corso Giacomo
Scardaci, già comandante del piroscafo Librato
internato a Recife, che da qualche tempo era stato avvicendato da un altro
ufficiale nel comando della propria nave. Le pratiche per la sostituzione
richiesero una decina di giorni, lasso di tempo entro il quale risultò
possibile ultimare anche i restanti preparativi per la partenza.
Un altro elemento di
cui tenere conto, nel caso della Frisco,
era costituito dalle sue ormai vetuste macchine, le cui caldaie dovevano essere
accese ben quarantott’ore prima della partenza, e dalle condizioni in cui si
trovava in quel momento la sua carena, che ne limitavano la velocità massima a
circa sette nodi.
Mentre le cisterne
della Frisco erano già tutte piene di
nafta, la nave disponeva ancora di una piccola stiva in cui sarebbe stato
possibile caricare altre duecento tonnellate di merci da trasportare in Europa.
Torriani decise di farvi imbarcare della gomma, materiale particolarmente
importante per l’industria bellica e particolarmente difficile da reperire in
Europa: ne fece pertanto acquistare 200 tonnellate, per tramite del direttore
della filiale brasiliana della Pirelli. Consegnata agli italiani a Belém, la
gomma avrebbe poi dovuto essere trasportata a Fortaleza a bordo di un
mercantile neutrale, per poi essere caricata sulla Frisco; l’imbarco della gomma sarebbe comunque rimasto «subordinato al criterio di non causare
ritardi ad eventuali ordini di partenza. In caso le navi dovessero partire
prima di poter imbarcare il quantitativo di gomma, questa verrà rilevata,
giusta accordi, dalla Pirelli brasiliana».
Non è del tutto
chiaro se, alla fine, la gomma sia stata effettivamente caricata sulla Frisco oppure no.
Il 5 marzo 1941
Supermarina comunicò a Navitalia Rio de Janeiro di aver approvato le proposte
contenute nel foglio 5133 del 20 febbraio e di ritenere necessario, «per sopravvenute circostanze», preparare
urgentemente anche la partenza dei mercantili scarichi, specialmente le navi
cisterna, lasciando in Brasile soltanto le navi non in condizione di affrontare
la traversata e quelle per le quali erano in corso trattative di vendita. Venne
disposto che ogni violatore di blocco, giunto a 200 miglia dal porto di
destinazione, avrebbe dovuto comunicare il suo nome e la data prevista di
arrivo alla radio, alla minima potenza di trasmissione; l’atterraggio sarebbe
dovuto sempre avvenire un’ora dopo l’alba, a Belle Ile, dopo di che le navi
sarebbero proseguite verso Saint Nazaire. Ai comandanti dei violatori di blocco
veniva ribadito il «preciso dovere» di
autoaffondare le loro navi se si fossero trovate a rischio di cattura da parte
di unità britanniche, onde evitare che potessero essere utilizzate dal nemico;
gli equipaggi che non avessero ottemperato a queste disposizioni sarebbero
stati soggetti alle pene previste dal Tribunale Militare di Guerra.
Supermarina avrebbe
trasmesso un segnale convenzionale, dopo di che l’addetto navale italiano in
Brasile sarebbe stato libero di decidere autonomamente, in base alle proprie
valutazioni sulle condizioni del tempo ed alle informazioni sulle navi
britanniche che pattugliavano le acque del Sud Atlantico a caccia di violatori
di blocco, la data e l’ora della partenza di ciascuna nave. Per confondere le
idee ad eventuali agenti nemici, Supermarina suggerì anche di far compiere
preparativi e false partenze ad altre navi in altri porti, contemporaneamente
alla partenza di ciascun violatore di blocco.
Per via aerea,
Supermarina inviò in Brasile dei fascicoli numerati da consegnare a ciascuna
nave in partenza, con istruzioni su come compiere la traversata.
La Frisco fu anzi scelta per essere la
prima nave italiana a partire dal Brasile, insieme alla ben più moderna
motonave cisterna Franco Martelli,
internata a Recife.
Dopo lunghi e
minuziosi preparativi e dopo aver completato «il rifornimento di viveri per la navigazione nonché le provviste di
macchina e coperta compresa la scorta di acqua», le due petroliere
partirono contemporaneamente, l’una da Fortaleza, l’altra da Recife, nella
notte tra il 28 ed il 29 marzo 1941.
Al comando della Frisco era il capitano di lungo corso
Paolo Fraviga; la vecchia petroliera viaggiava a pieno carico, con ben 5800
tonnellate di nafta nelle sue vecchie cisterne. La sua autonomia massima era di
3100 miglia.
Prima di partire,
l’equipaggio della Frisco provò e
ricontrollò per un’ultima volta il funzionamento dell’apparato motore, dei
motori ausiliari e degli organi di governo; poi, alle 22.30, la nave lasciò il
suo ormeggio in rada silenziosamente, con tutte le luci spente. Per ordine del
comandante Fraviga, l’equipaggio si premurò di svolgere le manovre di partenza
evitando qualsiasi rumore, così che eventuali agenti nemici a Fortaleza non si
accorgessero di niente fino al sorgere del sole; alle 23 la Frisco era in franchia della rada e le
macchine vennero portate alla massima forza, procedendo verso il mare aperto.
Le luci di Fortaleza ed il vicino faro di Mucuripe scomparvero definitivamente
alla vista alle due di notte del 29 marzo, ed entro il mattino successivo anche
la costa brasiliana non era più visibile. Alle nove del mattino del 29 marzo la
Frisco aveva percorso 69 miglia, ad
una velocità media di 5,29 nodi; il tempo non era dei migliori, con vento
fresco e mare agitato dal primo quadrante, e piovaschi ad intervalli.
Il secondo ufficiale
Bartolo Cincotta avrebbe ricordato, molti anni dopo: "Uscimmo quella notte. A luci spente, silenziosamente. Il comandante
Fraviga, esperto uomo di mare genovese, sapeva essere molto convincente: nessun
rumore, massimo silenzio. Anche la paura doveva tacere, in quella notte.
Facemmo le manovre quasi senza respirare. Ne andava delle nostre vite. Fuori
dalle acque territoriali incrociavano continuamente le navi inglesi (…) Ci avevano tenuto costantemente sott’occhio
in quei mesi di sosta, spiavano ogni nostra mossa. La nostra paura e la
tensione era alle stelle. Impercettibili si udivano le preghiere che ognuno di
noi bisbigliava, a mezza bocca, al Padreterno, chè ci aiutasse. Riuscimmo a
lasciare Fortaleza: appena in mare aperto il comandante decise di fare una
diversione iniziale, una “finta”, insomma, e poi dritti verso Nord. Per trenta
giorni la fortuna fu dalla nostra parte, nessuna nave nemica ci avvistò. In
verità, la Frisco era vecchia e malandata, e i suoi motori a vapore facevano,
nell’arrancare sulle onde oceaniche, un tale fumo, da sembrare un potente e
temibile incrociatore".
Bartolo Cincotta sulla Frisco (Coll. Fam. Cincotta, dal libro “Con il favore di Eolo” di Rossana Copez) |
Come prescritto
dall’addetto navale italiano a Rio de Janeiro, dopo aver lasciato Fortaleza la Frisco compì inizialmente un’ampia
diversione, allo scopo di confondere le idee ad eventuali osservatori; poi
assunse rotta verso nord, risalendo il 29° meridiano Ovest.
Alle nove del mattino
del 30 marzo le miglia percorse dalla stessa ora del giorno precedente erano
134, ad una velocità media di 5,58 nodi; permanevano il vento ed il mare dal
primo quadrante ed i piovaschi. Nelle successive ventiquattr’ore la Frisco percorse altre 147 miglia, alla
velocità media di 6,1 nodi; alle nove del mattino del 31 la sua posizione venne
calcolata come 02°00’ N e 39°22’ O.
Gli informatori
britannici, intanto, non avevano tardato a notare che la Frisco non era più in porto: la "Weekly Résumé of the Naval, Military And Air Situation" n. 83
del War Cabinet, che copriva gli eventi del conflitto da mezzogiorno del 27
marzo 1941 alla stessa ora del 3 aprile, riferiva infatti che «The tanker Frisco (4,910 tons) sailed from
Ceara, Brazil, and the tanker Franco Martelli (10,535 tons) from Pernambuco on
the 28th March»; ed il Weekly
Intelligence Report n. 56 della divisione d’intelligence dell’Ammiragliato,
datato 4 aprile 1941, comunicava tra l’altro che «The tanker Frisco, 4,910 tons, sailed from Ceara on March 28, and the
tanker Franco Martelli, 10,535 tons, sailed from Pernambuco, on the same day
having cleared for Oslo; the latter is thought to have 10,000 tons of oil on
board». Del resto anche i giornali brasiliani non mancarono di dare notizia
della partenza: il quotidiano "A Noite" di Rio de Janeiro, ad
esempio, già il 31 marzo 1941 scriveva che «Il
piroscafo italiano Frisco, qui ancorato dal luglio dell’anno passato, è salpato
con destinazione ignota. Il console d’Italia, interrogato in proposito, ha
detto che naturalmente la nave ha ricevuto ordine di partire, ma che ignorava
la sua destinazione».
La notizia della partenza della Frisco sul giornale brasiliano “A Noite” del 31 marzo 1941 (da www.memoria.bn.br) |
Il 31 marzo, dopo aver preparato la vernice il giorno precedente, l’equipaggio iniziò a verniciare la nave di gigio cenerino scuro, per renderla più difficile da avvistare; tutto il personale disponibile di guardia venne impiegato nell’operazione. Il tempo non cambiava, sempre con vento teso e mare agitato dal primo quadrante e piovaschi ad intervalli; andò anzi peggiorando nel pomeriggio del 1° aprile, quando il vento (sempre dal primo quadrante) divenne fresco e forte ed il mare molto agitato.
Per tutta la
traversata non venne avvistata nessuna nave, neutrale o nemica: una vera
fortuna, dal momento che l’abbondante e denso fumo emesso per tutta la
traversata dalle vecchie macchine della Frisco
l’avrebbero resa agevolmente avvistabile anche da grande distanza.
La Frisco durante la navigazione da
Fortaleza a Saint Nazaire (sopra, USMM; sotto, coll. Fam. Cincotta, dal libro
“Con il favore di Eolo” di Rossana Copez)
Un aereo avvistato e fotografato dalla Frisco, il 26 aprile 1941 (Coll. Fam. Cincotta, dal libro “Con il favore di Eolo” di Rossana Copez) |
Il 28 aprile
l’Ufficio di Collegamento italiano a Berlino poté riferire a Supermarina del
felice esito della traversata. Lo stesso giorno, alle quattro del pomeriggio,
la Frisco lasciò Saint Nazaire con
l’assistenza di un rimorchiatore e, sotto la guida del pilota, proseguì per
Nantes, dove giunse alle 20.30. Due ore dopo, ormeggiata la nave, le caldaie
vennero finalmente spente.
Successivamente la Frisco si trasferì da Nantes a Bordeaux,
sede della base sommergibilistica italiana di Betasom, ov’era confluita la maggior
parte dei violatori di blocco italiani giunti dalla Spagna, dalle Canarie, dal
Brasile e dall’Estremo Oriente. Qui fu visitata dal contrammiraglio Romolo
Polacchini, comandante di Betasom.
La Frisco in arrivo a Bordeaux, scortata da unità tedesche per il tratto finale della navigazione (Coll. Fam. Cincotta, dal libro “Con il favore di Eolo” di Rossana Copez) |
Per la felice
riuscita della traversata, il comandante Fraviga fu insignito della Medaglia di
Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Comandante di nave mercantile, priva di armamento bellico, effettuava
senza scorta la traversata atlantica, percorrendo zone di mare intensamente
vigilate dal nemico e raggiungeva felicemente un porto di nazione alleata".
Gli altri ufficiali della Frisco –
primo ufficiale Giacomo Scardaci, da Catania; secondo ufficiale Bartolo
Cincotta, 20 anni, da Lipari; primo macchinista Emanuele Schiappacasse, da
Camogli; secondo macchinista Ugo La Rosa, da Genova; marconista Francesco
Boschi, da La Spezia – furono decorati con la Croce di Guerra al Valor
Militare, con motivazione "Imbarcato
su piroscafo che privo di armamento bellico, effettuava senza scorta una lunga
traversata atlantica, percorrendo zone di mare intensamente vigilate dal
nemico, cooperava al felice esito dell’impresa". Ricevettero inoltre un
premio in denaro ed una licenza premio.
Sopra, il
comandante Fraviga a bordo della sua nave; sotto, l’ammiraglio Polacchini tra
gli ufficiali della Frisco (USMM)
A partire dal 6
giugno 1941 la Frisco venne
noleggiata alla Kriegsmarine come "Stützpunkttanker" (letteralmente
“petroliera-base” o “petroliera appoggio”), ed impiegata, in sostanza, come
deposito galleggiante di carburante a Bordeaux e/o per la movimentazione di
carburante tra la base di Bordeaux ed i depositi di carburante situati lungo la
Gironda.
Apparentemente la Frisco non si mosse più da quel porto
(era ancora lì tre anni dopo, nel settembre 1943), e la maggior parte del suo
equipaggio venne probabilmente rimpatriata, come accadde agli equipaggi di
altri violatori di blocco italiani giunti a Bordeaux e lì rimasti.
Tornati in Italia (per
via ferroviaria, con un viaggio alquanto contorto attraverso la Germania),
molti si reimbarcarono e dovettero affrontare la dura guerra del Mediterraneo,
che falcidiò la Marina Mercantile ed il suo personale: ad esempio il secondo
ufficiale della Frisco, Bartolo
Cincotta, ebbe il comando del motoveliero Maria
Immacolata e sopravvisse al suo affondamento – avvenuto al largo della
costa tunisina il 13 luglio 1942, durante un viaggio da Trapani a Tripoli, ad
opera del sommergibile britannico Una
–, rimanendo ferito al torace e ad un polpaccio (il proiettile, conficcatosi
nella carne, vi sarebbe rimasto per ben vent’anni). Rimasto invalido per questa
ferita, non potendo più navigare, aprì nel dopoguerra (1946) un’agenzia
marittima a Cagliari, oggi gestita dai suoi discendenti.
Alcuni altri uomini
della Frisco, quattro o cinque, rimasero
invece a bordo della nave con compiti di vigilanza e manutenzione. Uno di essi, il nostromo Carmelo Nolano da Pozzallo, morì a Bordeaux il 16 aprile 1942, ucciso da un colpo di pistola partito accidentalmente durante un turno di guardia. Fu sepolto a Villenove-d'Ornon.
Secondo l’Albo d’Oro
della Marina Mercantile il cameriere Salvatore Renno, da Siracusa, facente
parte dell’equipaggio della Frisco,
sarebbe deceduto in prigionia il 10 gennaio 1942. Considerato che nel gennaio
1942 la Frisco era a Bordeaux, e
l’Italia e la Germania ancora alleate, ciò sembra piuttosto strano: forse Renno
era rimasto per qualche motivo in Brasile, senza partecipare al viaggio di
forzamento del blocco, e qui morì in internamento.
Il 9 o 10 settembre
1943, in seguito all’annuncio dell’armistizio di Cassibile, la Frisco venne catturata a Bordeaux dai
tedeschi, che seguitarono ad utilizzarla come "Stützpunkttanker".
Sembrerebbe che anche
dopo l’armistizio il gruppetto di marinai italiani imbarcati sulla Frisco per la vigilanza sia rimasto a
bordo ed abbia continuato ad assolvere questo ruolo, adesso sotto completo
controllo tedesco.
La guerra intanto
proseguiva, e per la Germania si avvicinava la fine: nel giugno 1944 le forze
angloamericane sbarcarono in Normandia (operazione "Overlord"), e due
mesi più tardi altre forze Alleate sbarcarono in Provenza (operazione
"Dragoon"); le truppe tedesche attestate sulla costa occidentale
francese, per evitare di restare accerchiate ed intrappolate dall’avanzata
delle forze Alleate, dovettero ripiegare, lasciando soltanto alcune guarnigioni
con l’incarico di tenere il più a lungo possibile alcune basi-chiave come La
Rochelle, Saint-Nazaire, Lorient e Brest (alcune delle quali vennero
rapidamente conquistate dagli Alleati, mentre altre furono assediate ma non
attaccate direttamente, e resistettero fino alla fine della guerra) per creare
delle sacche di resistenza alle spalle dello schieramento Alleato. Anche
Bordeaux dovette essere abbandonata dalle truppe tedesche, venendo liberata il
29 agosto 1944; prima di ritirarsi, tuttavia, i tedeschi provvidero al
sistematico autoaffondamento di tutte le navi presenti nel porto e sulla
Gironda, con il duplice scopo di evitare che tali navi cadessero intatte in
mano Alleata e di ostruire il porto di Bordeaux ed il corso della Gironda e dei
canali circostanti, in modo da renderli inutilizzabili il più a lungo
possibile. Nel volgere di un paio di settimane, si autoaffondarono così nella
Gironda decine di navi mercantili e ausiliarie di ogni tipo e dimensione,
tedesche, ex francesi ed ex italiane. Tra queste ultime vi erano parecchi
violatori di blocco che, raggiunta Bordeaux partendo dalle Canarie, dal Brasile
o dall’Estremo Oriente, erano caduti in mano tedesca dopo l’8 settembre: le
motonavi Himalaya e Fusijama, le navi cisterna Clizia, Todaro e Burano,
e per l’appunto la Frisco.
Il 26 agosto 1944 (il
volume "Navi mercantili perdute" dell’USMM parla del 4 agosto 1944,
ma si tratta evidentemente di un errore; altre fonti francesi parlano del 23, 25
o 27 agosto) la vecchia pirocisterna venne autoaffondata dai tedeschi con
cariche esplosive sulla riva destra della Gironda, davanti ai pontili di un
deposito di carburante situato in una località chiamata Furt, vicino al
villaggio di Gauriac. In tal modo, i tedeschi ottennero sia di sottrarre la
nave alla cattura, sia di ostruire l’accesso ai pontili ed al deposito di
carburanti di Furt, impedendo così agli Alleati di servirsene. Affondata in
soli due-tre metri d’acqua, la nave rimase in gran parte emergente, anche con
l’alta marea.
Il
relitto della Frisco nel 1944, poco
dopo l’autoaffondamento (da www.gauriac.pagersperso-orange.fr
e www.inventaire.aquitaine.fr)
La fine della Frisco fu preceduta da un’azione
partigiana il cui svolgimento appare alquanto confuso: partigiani francesi
attaccarono la nave e ne catturarono il piccolo corpo di guardia, ma poi la
lasciarono nuovamente deserta al suo ormeggio di Furt, dando così ai tedeschi
la possibilità di abbordarla ed affondarla sul posto come pianificato.
Secondo l’allora
diciottenne René Lepas, la Frisco
aveva fatto scalo a Furt, ove si trovava un grosso deposito di carburante
(scavato nel fianco della collina), per riempire i suoi serbatoi; calata
l’oscurità, la nave era stata attaccata da partigiani francesi che ne avevano
catturato l’equipaggio, portandolo nel vicino villaggio di Comps, ove il
maggiore Cailleux, al comando di quel gruppo partigiano, aveva una proprietà.
Un gruppetto di partigiani tra cui Raymond Gentet, Jean Dejean e Raymond Magnen
era stato poi lasciato presso la località detta “Quercia verde”, che dominava
Furt, per sorvegliare la nave; lo stesso Lepas si era recato a parlare con
loro, portando loro da bere e restando assieme a loro per alcune ore del
mattino del 27 agosto. Dopo un po’, i partigiani videro una nave da guerra
tedesca – un cacciatorpediniere, secondo Lepas – che risaliva la Gironda a
bassa velocità; la nave avvistò la Frisco,
ormeggiata senza nessuno a bordo al pontile di Furt, e non potendosi avvicinare
(trovandosi nel ristretto canale navigabile che passava accanto all’Île Verte)
mise a mare un’imbarcazione con a bordo alcuni uomini, che raggiunsero
rapidamente la pirocisterna. I partigiani non ci misero molto a capire che
intenzione di quel drappello era di autoaffondare la Frisco all’ormeggio, e si misero a discutere sul da farsi: alcuni
volevano aprire il fuoco sui marinai tedeschi (che erano a tiro dei partigiani,
appostati proprio sulla loro verticale), per impediro loro di autoaffondare la
nave; altri temevano che se avessero fatto così la nave da guerra tedesca
avrebbe cannoneggiato Gauriac per rappresaglia. Dopo un’accesa discussione
prevalse la posizione del maggiore Cailleux, che riteneva che non valesse la
pena di scatenare una rappresaglia per così poco, ed i partigiani non
spararono. La Frisco venne così
autoaffondata.
Secondo il tenente
colonnello André Jolit, comandante delle forze della Resistenza francese nella
zona di Blaye (il quale nel settembre 2002 scrisse un articolo in merito sulla
rivista locale “L’Estuarien”), la Frisco
– che Jolit descrive erroneamente come “un
cargo estone o lituano”, errore poi ripreso da altri giornali e siti
francesi che lo ripetono ancora oggi – faceva parte di un gruppo di navi in
disuso, di scarso o nessun valore strategico, mantenute alla meno peggio e che
i tedeschi avevano ormeggiato a ciascun pontile od approdo lungo la Gironda con
il preciso scopo di autoaffondarle sul posto, in caso di arrivo degli Alleati,
per rendere tali approdi inutilizzabili. La Frisco
non aveva più un equipaggio, bensì un corpo di guardia di quattro o cinque
uomini – italiani, secondo Jolit – incaricati di sorvegliarla.
La Resistenza
francese era venuta a conoscenza dei piani tedeschi, ed aveva preso
contromisure a livello locale; nella zona di Blaye (entro la quale ricadeva
anche Gauriac), saputo che i tedeschi intendevano autoaffondare la Frisco davanti a Gauriac per ostruire
l’accesso a quei pontili ed impedire l’utilizzo dell’adiacente deposito di
carburante, lo stesso Jolit, comandante del Corps-Franc
"Marc" che conduceva le attività resistenziali nella regione,
aveva ordinato al gruppo partigiano di Gauriac, comandato da Jean Labadie, di
catturare il corpo di guardia presente sulla Frisco e di tagliarne gli ormeggi, affinché la vecchia nave andasse
ad arenarsi più lontano e non potesse essere affondata dai tedeschi davanti ai
pontili di Furt. Labadie avrebbe dovuto procedere non appena avesse ricevuto un
apposito ordine da Jolit; ma il 19 agosto 1944 quest’ultimo era rimasto
seriamente a ferito durante un’azione presso Berson, e nessuno dei suoi
sottoposti era a conoscenza dell’operazione contro la Frisco, così che l’ordine non era stato emesso. Labadie, vedendo i
tedeschi in partenza, aveva allora deciso di propria iniziativa di dare inizio
all’operazione; il suo gruppo partigiano aveva attaccato nottetempo la vecchia
petroliera, catturato il modesto corpo di guardia senza difficoltà e si stava
apprestando a tagliare gli ormeggi della Frisco,
quando era sopraggiunto il maggiore Cailleux, in uniforme ed all’oscuro degli
ordini di Jolit, che aveva accusato Labadie di aver preso un’iniziativa
avventata. Labadie aveva tentato di spiegare la situazione, ma Cailleux, “facendo leva su un’autorità di cui non era
investito”, aveva ordinato di non tagliare gli ormeggi e di impadronirsi
della nave, che sarebbe divenuta preda bellica della Francia. Dopo qualche
esitazione e discussioni, Labadie aveva ceduto, e la Frisco era stata lasciata all’ormeggio. Poi era arrivata la nave da
guerra tedesca, ed i partigiani, non avendo armi con cui affrontarla, avevano
dovuto ritirarsi ed assistere impotenti mentre i marinai tedeschi avevano
abbordato la deserta Frisco e
l’avevano autoaffondata come pianificato, ostruendo i pontili del deposito di
carburanti di Furt, che era poi caduto in disuso proprio per questo, non
essendo più possibile alle navi di attraccarvi per rifornirsi a causa della
presenza dell’ingombrante relitto. Secondo Jolit, dunque, il maggiore Cailleux,
lungi dall’essere al comando del gruppo partigiano di Gauriac (questo ruolo era
invece ricoperto da Jean Labadie), era un “soggetto terzo” che ben poco sapeva
delle azioni ed intenzioni della Resistenza, e che con il suo inopportuno
intervento aveva frustrato l’esecuzione di un piano oltremodo semplice.
Il giornale locale
“La Petite Gironde”, in un articolo intitolato "GAURIAC L'activité des F.F.I." pubblicato nel settembre 1944, afferma
che l’attacco alla Frisco da parte
dei partigiani sarebbe avvenuto alle dieci di sera del 22 agosto, e che avrebbe
portato alla cattura di quattro tedeschi (mentre le altre fonti parlano di
italiani), tra cui il comandante. Il giornale affermava inoltre che i
partigiani avevano “protetto il pontile di Furt, il solo intatto nella
regione”, ma ometteva di dire che l’autoaffondamento della Frisco ad opera dei tedeschi lo rendeva del tutto inutilizzabile.
Tra coloro che
parteciparono direttamente all’azione partigiana contro la Frisco vi era René Couteau, che in un’intervista rilasciata
sessant’anni dopo avrebbe raccontato: "Il
25 agosto, stavo innestando dei peschi dal signor Souffron, a Plisseau (…) Il signor Videau, un vicino (appresi in seguito
che era il delegato territoriale del Partito Comunista Francese), mi propose un
aperitivo con lui, avendo bisogno di vedermi. Parlammo per un po’ e mi confermò
che aveva assolutamente bisogno di me. “I tedeschi vogliono far saltare la
petroliera a Furt il 27; devi trasportare un fucile mitragliatore con la tua
bicicletta fino alla cresta che domina il fiume a monte del castello Poyanne”.
(…) Seguii la strada accompagnato dal
capo panettiere della panetteria Arnaudin. Il 27, giunti sul posto di buon’ora,
attendemmo l’arrivo dei tedeschi. Dominavamo la petroliera [dalla nostra
posizione]. Verso le 10.30,
un’imbarcazione con a bordo cinque tedeschi ed armata con una mitragliatrice
avanzò, avevano appena affondato la petroliera a Bourg sur Gironde [si trattava
della Clizia, altra nave cisterna
italiana impiegata come "Stützpunkttanker"]. Aprimmo il fuoco, il fucile mitragliatore s’inceppò, i tedeschi si
sdraiarono sul fondo della barca, uno si mise alla mitragliatrice. Ci
accovacciammo sotto gli alberi. I tedeschi trasbordarono sulla petroliera.
Lasciammo il posto strisciando tra i vigneti, lasciando il fucile mitragliatore
in un pozzo d’aerazione di una cava. Di ritorno a casa, un’ora dopo, verso
mezzogiorno, una forte esplosione risuonò, la petroliera affondò nel fiume".
Secondo un breve
racconto di Eric Fiseri, nipote del membro dell’equipaggio della Frisco Filippo Fiseri, sul sito www.wrecksite.eu, i marinai italiani a
bordo della nave cisterna nell’estate del 1944 sarebbero stati cinque, tra cui
appunto anche Filippo Fiseri; dopo la cattura da parte dei partigiani francesi
e la successiva liberazione, Fiseri rimase in Francia, stabilendosi ad Ambès
(non lontano da Bordeaux) e mettendo su famiglia. Visse fino all’età di 96
anni.
La Frisco in una foto aerea dell’Institut Géographique
National scattata il 29 agosto o 10 settembre 1948 (foto IGN, via www.gauriac.fr e www.gauriac2.free.fr)
Il volume USMM "Navi
mercantili perdute" afferma che il relitto della Frisco sarebbe stato successivamente recuperato dai francesi, ma è
in errore. Il 12 dicembre 1944 la Frisco
venne dichiarata preda bellica dalla Corte delle Prede francese, ma al di là di
questo, le autorità transalpine non fecero molto per recuperare questa “preda”,
nonostante il suo ingombrante relitto precludesse l’utilizzo del deposito di
carburante di Furt, che infatti dovette essere abbandonato. Il recupero della
vecchia petroliera venne ritenuto troppo costoso; nel giro di poco tempo il
relitto venne insabbiato nel letto del fiume a tal punto da rendere molto
difficile la sua rimozione, più volte pianificata ma mai portata a compimento.
L’ultima domanda di
recupero della Frisco risale al 30
aprile 1981, quando il consiglio municipale di Gauriac chiese con insistenza al
Prefetto della Gironda di esaminare la possibilità di rimuovere il relitto
della vecchia pirocisterna, che paralizzava il porticciolo di Marmisson perché
con la sua massa «costituisce uno
sbarramento che devia le correnti e fa insabbiare il porto», impedendo ai
pescatori professionisti di sbarcare il pesce pescato. Secondo il consiglio
municipale, sarebbe stato sufficiente rimuovere il relitto perché le correnti
della Gironda, tornate alla normalità, provvedessero in modo naturale al
“desabbiamento” del porticciolo; inoltre, senza più la Frisco ad ostruirli, i vecchi pontili del deposito di carburante
avrebbero potuto essere riparati ed utilizzati sia dai pescatori professionisti
locali che dal crescente numero di turisti che veniva a visitare l’estuario
della Gironde. La risposta della prefettura giunse dopo qualche settimana: il
recupero della Frisco era escluso
perché ritenuto troppo costoso.
Ormai saldamente
intrappolato dal fango della Gironda, il relitto della Frisco giace ancor oggi là dove affondò nel 1944 (le coordinate
esatte sono 45.06502925 N e 0.62680652 O, o 45° 3,9018' N e 0° 37,6084' O): la
nave si presenta in assetto di navigazione, con un leggero appoppamento; la
prua e la sovrastruttura centrale emergono al di sopra della superficie, così
come l’albero prodiero, che è ancora in piedi a dispetto degli oltre
settant’anni trascorsi. L’albero centrale, piegato e caduto, affiora invece
soltanto per pochi metri dalle acque della Gironda, mentre l’albero poppiero
(crollato nei primi anni ’90) ed il fumaiolo sono da tempo scomparsi. La
vecchia petroliera che violò il blocco dal Brasile alla Francia è ormai parte
integrante del paesaggio di Gauriac: gli uccelli marini ne hanno eletto le
parti emergenti a posatoio, i turisti la guardano con curiosità e la
fotografano, senza sospettare la storia che si nasconde dietro quei resti
arrugginiti. È nota localmente anche come “le
bateau qui coule” (la nave che affonda).
Il relitto della Frisco in una foto precedente al 1999 (da www.mapio.net) |
Una lunga serie di immagini
della Frisco come appare oggi:
In tre immagini dal sito www.lesvelos-vcm.fr.over-blog.net:
(g.c. Renaud Solacroup – Journal Haute Gironde) |
(da www.danielfoucart.over-blog.com) |
(da www.gauriac.pagesperso-orange.fr) |
(© Blaye Tourisme) |
(foto C. Businelli © coll. Conservatoire de l'estuaire de la Gironde) |
(g.c. Alexandre Dagan via Flickr) |
(da www.lesbaladesdeclaire.fr) |
In tre immagini dal sito www.lesvelos-vcm.fr.over-blog.net:
Due foto datate 7 febbraio 2015, da Wikimedia Commons (utente Nataloche):
Un’altra foto di Nataloche, datata 14 marzo 2015, che mostra il relitto durante l’alta marea (da Wikimedia Commons) |
Una sequenza
datata 21 luglio 2016, da Wikimedia Commons (utente franck-fnba):
Al crepuscolo, in una foto scattata il 9 dicembre 2017 (foto Gycessé via Flickr) |
Nel 2019 (da www.voyages2jacques.centerblog.net) |
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