mercoledì 15 aprile 2020

Rina Corrado

Il Rina Corrado (Arch. Giorgio Spazzapan, via www.promotorimuseimare.org)

Piroscafo da carico di 5179,67 tsl e 3124,63 tsn, lungo 125,93 metri, largo 15,94 e pescante 8,67, con velocità di 11-11,5 nodi. Appartenente alla Società di Navigazione Corrado di Genova, iscritto con matricola 1689 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo di chiamata internazionale ICEM.

Breve e parziale cronologia.

1918?
Impostato sullo scalo n. 1 dei cantieri Harland & Wolff Ltd. di Queen’s Island, Belfast.
22 agosto 1918
Varato come War Snake nei cantieri Harland & Wolff Ltd. di Queen’s Island, Belfast (numero di costruzione 538).
28 agosto 1918
Dopo che l’installazione di macchine e caldaie (ed anche il completamento di cabine e sistemazioni interne) nello scafo appena varato è stata compiuta nel tempo di record di soli sei giorni, il War Snake può dare inizio alle prove di macchina.
29 agosto 1918
Completato come War Snake per lo Shipping Controller di Londra.
Stazza lorda originaria 5159 tsl; si tratta di un piroscafo da carico standardizzato tipo "B", uno dei numerosi tipo di navi da carico standardizzate messi in costruzione dal Regno Unito durante la prima guerra mondiale per rimpiazzare il naviglio mercantile distrutto dagli U-Boote tedeschi. La decisione di mettere in costruzione centinaia di nuove navi mercantili è stata presa dalle autorità britanniche nel 1916, dopo un 1914 ed un 1915 che avevano visto il Regno Unito perdere 1.600.000 tonnellate di naviglio mercantile; alla fine del 1916 è stato creato a Londra lo Shipping Controller, autorità governativa incaricata dell’organizzazione e gestione del naviglio mercantile requisito per le esigenze belliche, che nel dicembre 1917 ha dato il via all’Emergency Shipbuilding Programme, un piano per la costruzione di 3.100.000 tonnellate di naviglio mercantile (in aggiunta alle navi messe in costruzione già nel 1916). Piano tanto vasto da impegnare la totalità dei cantieri navali britannici e da richiedere anche la realizzazione di nuovi cantieri “ad hoc” nel Canale di Bristol, ed a far costruire una parte delle nuove navi in Canada (135 navi), negli Stati Uniti (160 navi per circa 700.000 tsl) ed in Giappone. Le navi costruite nel quadro dell’Emergency Shipbuilding Programme sono collettivamente chiamate “navi tipo War” (pur non appartenendo ad un unico tipo): tutti i loro nomi, infatti, sono composti da una parola preceduta dal prefisso “War”, come nel caso del War Snake. Il piano prevede nove diversi tipi di navi mercantili standardizzate, denominati A (con la variante “AO”, nave cisterna), B (e la variante “BO”, cisterna), C, D, E, F, G, H e N. Tutti sono accomunati da un progetto semplificato e dalla ricerca della massima portata lorda al minimo costo, dalla massimizzazione dell’efficienza e dalla riduzione delle esigenze di manutenzione. Il tipo “B” (il più numeroso tra quelli costruiti, insieme al tipo “A”), di cui fa parte il War Snake, è un piroscafo da carico di aspetto piuttosto tradizionale, a due ponti e tre casseri, con un unico albero a proravia del fumaiolo, di poco più di 5000 tsl, circa 8000 tpl, 122 metri di lunghezza per 16 di larghezza, propulso da una macchina a vapore a triplice espansione con una singola elica per una velocità di undici nodi. Per ridurre il rischio di avvistamento da parte degli U-Boote, l’albero è telescopico ed i picchi di carico sono abbattibili, ed il progetto della nave è caratterizzato da un profilo basso.
Registrato a Londra, il War Snake viene affidato in gestione a G. Heyn & Sons.
(Secondo un articolo di giornale del 1923, il piroscafo sarebbe stato originariamente ordinato ai cantieri Harland & Wolff dalla Cunard Line di Liverpool, col nome di Venusia, per la sua linea per Boston, venendo tuttavia trasferito al governo britannico prima del completamento per essere impiegato in guerra, e venendo ribattezzato War Snake. Il Venusia ed il gemello Verentia sarebbero state le prime navi da carico ordinate dalla Cunard nei cantieri Harland & Wolff).
1918
Compie diversi viaggi verso i porti del Mediterraneo, trasportando rifornimenti bellici.
In questo periodo fa parte dell’equipaggio del War Snake il fuochista Thomas Patrick Dillon, sopravvissuto sei anni prima all’affondamento del transatlantico Titanic: Dillon era stato uno dei pochissimi naufraghi ad essere recuperati dal mare – dopo essere rimasti a bordo fino all’inabissamento della nave – da una delle due sole scialuppe tornate indietro a cercare superstiti (la numero 4, al comando del timoniere Walter Perkis).
25 febbraio 1919
Il marinaio William S. Russell, di 43 anni, muore a bordo del War Snake, ancora in regime di requisizione da parte del governo britannico, mentre la nave si trova a Le Havre.
1919
Acquistato dalla Cunard Steamship Company Ltd. di Liverpool (meglio nota come Cunard Line) e ribattezzato Venusia (al contempo la Cunard acquista anche il gemello War Lemur, che ribattezza Verentia).
Stazza lorda e netta risultano essere rispettivamente 5222 tsl e 3178 tsn.

Il Venusia ad Avonmouth, in una foto datata 27 settembre 1919 (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net)

1921
Il Venusia entra in collisione in porto con il piroscafo Nottingham della Anglo-American Oil Company. L’incidente causerà una vertenza legale tra le due compagnie.
21 aprile 1921
Partito da Londra il 9 aprile al comando del capitano Michael Doyle, il Venusia è la prima nave ad arrivare a Montreal dall’Europa al termine della stagione invernale, intorno alle nove di sera. Com’è tradizione a Montreal, pertanto, il comandante Doyle riceve dalla commissione di porto un bastone con pomo dorato, quale simbolico trofeo.
Secondo diversi giornali dell’epoca (che addirittura pubblicano nei loro articoli degli aggiornamenti sulla rispettiva posizione dei due piroscafi), il Venusia avrebbe gareggiato con un altro piroscafo in arrivo dall’Europa, il Cabotia della Donaldson Line (ex War Viper, piroscafo standardizzato tipo B: un gemello del Venusia ex War Snake, anch’esso costruito dai cantieri Harland & Wolff), per arrivare per primo a Montreal. Il Cabotia, partito da Glasgow lo stesso giorno in cui il Venusia è salpato da Londra, ed inizialmente “favorito”, ha accumulato un ritardo di un paio di giorni a causa di una distesa di iceberg nella quale si è imbattuto, che lo ha costretto a ridurre la velocità (anche il Venusia, una ventina di miglia da Cape Ray, s’imbatte in una distesa di iceberg, nella quale naviga per una quindicina di miglia prima di raggiungere acque libere).
Al suo arrivo a Montreal il 24 aprile, tuttavia, il comandante del Cabotia, capitano W. E. Mitchell, dichiarerà alla stampa che non è mai esistita nessuna gara tra i due piroscafi, e di aver anzi ricevuto ordine di procedere a mezza velocità, essendo partito da Glasgow prima del previsto a causa di un imminente sciopero dei portuali.
Il 28 aprile si terrà invece nel porto di Montreal una regata tra una barca armata da ufficiali del Venusia ed una con ufficiali del Cabotia: le due barche, partite da una boa vicino a Windmill Point, designano come traguardo una immaginaria linea che parte all’altezza della plancia del Venusia. La regata viene vinta dalla barca del Venusia. Lo stesso giorno, nel pomeriggio, il presidente della commissione di porto di Montreal, W. G. Ross (accompagnato dai colleghi M. Farquhar Robertson e A. E. Labelle, nonché dal segretario della commissione di porto, P. Fennell, dal comandante del porto, Toussaint Bourassa, dall’agente della Cunard Line a Montreal Robert Reford e da vari funzionari locali), consegna al comandante Doyle il bastone con pomo dorato a bordo del Venusia.
3 dicembre 1921
Il Venusia inaugura una nuova linea merci della Cunard tra Londra e Boston.
La nuova linea è servita da tre piroscafi – Venusia, Verbania e Makaha – con partenza bisettimanale nei mesi invernali, fino a quando l’arrivo della primavera permette la riapertura del porto di Montreal in Canada; all’andata i piroscafi vanno da Londra a Boston senza scali intermedi, mentre al ritorno – se non sono stati completamente caricati a Boston – fanno sosta a Portland per completare il carico.
Giugno-Luglio 1923
Il Venusia, in servizio sulla linea Londra-Boston, rimane bloccato per due mesi a Londra a causa dello sciopero di massa dei lavoratori portuali britannici.
Agosto 1923
Acquistato dalla American Levant Line Ltd./S. & J. Thompson di Londra e ribattezzato River Delaware.
Giugno 1924
Sottoposto in bacino ad alcune riparazioni di minore entità a Chester, in Pennsylvania.
23 dicembre 1927
Durante le operazioni di caricamento del River Delaware nel porto di New York, lo scaricatore di porto John McGrath, di sessant’anni, precipita nella stiva, rimanendo ucciso.
1931
Acquistato dalla Società Anonima di Navigazione Corrado, con sede a Genova, e ribattezzato Rina Corrado. Nominativo di chiamata internazionale PEML.
1933
Il nominativo di chiamata radio cambia da PEML ad ICEM.
9 ottobre 1935
Sei giorni dopo l’inizio della guerra d’Etiopia, un gruppo di lavoratori portuali gallesi prende d’assalto il Rina Corrado al suo arrivo nel porto di Cardiff, tappezzandone dapprima la murata con grandi manifesti recanti la scritta "Hands off Ethiopia" (“giù le mani dall’Etiopia”), per poi sciamare a bordo lungo la passerella ed applicare altri manifesti sui boccaporti, mentre a terra una folla di diverse centinaia di persone li acclama. Gli ufficiali del Rina Corrado protestano per l’ostile accoglienza ricevuta. I manifestanti si disperdono poi prima dell’arrivo della polizia.
5 febbraio 1941
Il Rina Corrado, il piroscafo Enrico Costa e la pirocisterna Alberto Fassio partono da Bari alle 16 diretti a Tripoli, in convoglio privo di scorta.
9 febbraio 1941
Dopo una sosta a Palermo, il convoglio raggiunge indenne Tripoli alle 10.




Il Rina Corrado sbarca un reparto di cavalleria a Patrasso, nel maggio 1941 (Archivio Centrale dello Stato)




13 maggio 1941
Il Rina Corrado, insieme ai piroscafi CasaregisLaura C., salpa da Brindisi a mezzogiorno con la scorta della torpediniera Castelfidardo. I tre piroscafi trasportano viveri e materiali per la costruzione di un oleodotto lungo il Canale di Corinto: il progetto è stato voluto dalla Regia Marina perché le petroliere italiane, che trasportano in Italia nafta romena dal Mar Nero, sono troppo grandi per poter attraversare il canale a pieno carico; per questo, si prevede che debbano scaricare parte della nafta all’imbocco del canale, per poi reimbarcarla all’altra estremità, dove essa verrà pompata attraverso l’oleodotto. Inoltre, l’oleodotto sarebbe ancor più utile qualora il transito nel Canale di Corinto dovesse essere interrotto per bombardamento aereo.
14 maggio 1941
Il convoglio giunge a Patrasso alle 13.10. I lavori di costruzione dell’oleodotto, grazie al personale e materiale trasportati dal Rina Corrado e dalle altre navi, avranno inizio il 19 maggio.
2 agosto 1941
Il Rina Corrado compie un viaggio da Patrasso a Catania, con la scorta della torpediniera Altair.
7 ottobre 1941
Requisito a Messina dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
29 ottobre 1941
Nella notte tra il 28 ed il 29 ottobre il Rina Corrado e la pirocisterna Conte di Misurata, sotto carico nel porto di Palermo, vengono infruttuosamente attaccati da bombardieri britannici in più ondate. Durante l’ultima ondata, intorno alle tre di notte, la nebbia artificiale emessa per occultare le navi ormeggiate nel porto si dirada, il che permette agli aerei attaccanti – complice la notte serena e luminosa, con eccellente visibilità notturna – di meglio localizzare Rina Corrado e Conte di Misurata, prendendoli particolarmente di mira; grazie anche alla reazione contraerea (che dissuade i bombardieri dall’avvicinarsi troppo prima di sganciare), tuttavia, nessuna delle bombe va a segno.

(Archivio Centrale dello Stato)

Convoglio “Duisburg”

Alle 3.30 dell’8 novembre 1941 il Rina Corrado, al comando del capitano di lungo corso Guglielmo Schettini, salpò da Messina alla volta di Tripoli, con un carico di 4167 tonnellate di materiali vari per le forze armate italiane e l’amministrazione civile della Libia, 621 tonnellate di munizioni e materiale d’artiglieria, 807 tonnellate di carburante in fusti (benzina per aerei, secondo una fonte) e tre automezzi del peso complessivo di tre tonnellate. Erano inoltre a bordo, oltre all’equipaggio, cinque militari del Regio Esercito diretti in Libia. Ricopriva il ruolo di regio commissario l’anziano 1° capitano del Genio Navale Direzione Macchine Benedetto Trucco.
Insieme al Rina Corrado uscirono da Messina la pirocisterna Conte di Misurata (capitano di lungo corso Mario Penco) e la loro scorta, i cacciatorpediniere Grecale (capitano di fregata Giovanni Di Gropello), Libeccio (capitano di fregata Corrado Tagliamonte) ed Alfredo Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò). Queste cinque navi formavano il secondo gruppo di un grande convoglio, denominato «Beta», in partenza per la Libia con un ingente quantitativo di rifornimenti per le truppe italo-tedesche operanti in Nordafrica: in tutto costituivano tale convoglio sette navi mercantili e sei cacciatorpediniere di scorta.
Il primo e più numeroso gruppo del convoglio, salpato da Napoli il giorno precedente, era formato dalla motonave Maria (capitano di lungo corso Angelo Pogliani), dal piroscafo italiano Sagitta (capitano di lungo corso Domenico Ingegneri), dalla motonave cisterna Minatitlan (capitano di lungo corso Guido Incagliati) e dai piroscafi tedeschi Duisburg (capitano di lungo corso Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San Marco (capitano di lungo corso Paul Ossemberg), scortati dai cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta, capitano di vascello Ugo Bisciani), Euro (capitano di corvetta Giuseppe Cigala Fulgosi) e Fulmine (capitano di corvetta Mario Milano). La riunione dei due gruppi era prevista per il mattino dell’8 novembre, nello stretto di Messina.

Il convoglio «Beta», noto anche come "Duisburg" (51. Seetransportstaffel per i comandi tedeschi), era in assoluto uno dei più grandi convogli dell’Asse mai partiti per l’Africa Settentrionale: normalmente, infatti, i convogli italo-tedeschi per la Libia non contavano più di tre o quattro mercantili. La formazione di un convoglio tanto numeroso, in vista di una pianificata offensiva italo-tedesca contro Tobruk e l’Egitto (con inizio previsto per il 21 novembre, per la quale era necessario costituire considerevoli riserve di carburante ed altri rifornimenti), era stata autorizzata dal Comando Supremo il 29 ottobre, a dispetto della perplessità della Marina. A fine ottobre il traffico con il Nordafrica era stato temporaneamente interrotto a seguito della notizia dell’arrivo a Malta, il 21 ottobre (136° anniversario di Trafalgar, data scelta non a caso), di una formazione navale britannica: la Forza K, composta dagli incrociatori leggeri Aurora e Penelope e dai cacciatorpediniere Lance e Lively. Questa formazione aveva la precisa finalità di insidiare le linee di rifornimento italo-tedesche dell’Africa Settentrionale, compiendo scorrerie notturne – profittando della superiorità della Royal Navy rispetto alla Regia Marina nel combattimento notturno, dovuta sia al possesso del radar che ad un migliore addestramento alle azioni di notte – a danno dei convogli dell’Asse diretti in Libia. Aurora e Penelope erano stati inviati direttamente dal Regno Unito (provenivano da Scapa Flow), Lance e Lively erano invece stati distaccati dalla Forza H di Gibilterra.
L’invio a Malta della Forza K scaturiva da una richiesta originatasi direttamente dal primo ministro britannico Winston Churchill, il 22 agosto 1941, per mezzo di una lettera spedita all’Ammiragliato britannico: intervenendo in una diatriba in corso fin da inizio luglio tra l’Ammiragliato ed il Comitato dei Capi di Stato Maggiore, nella quale si lamentava l’insufficienza dei mezzi a disposizione della Mediterranean Fleet per assolvere il suo compito di contrasto all’invio di rifornimenti dall’Italia alla Libia, Churchill proponeva di dislocare a Malta una forza leggera composta da uno o due incrociatori ed unità sottili. La risposta fu la costituzione della Forza K.
Tra il 21 ottobre e l’8 novembre la nuova forza britannica di base a Malta aveva già compiuto due tentativi di scorreria notturna, ma senza successo: nelle notti del 25-26 ottobre e dell’1-2 novembre, infatti, le navi della Forza K erano uscite in mare per intercettare rispettivamente un convoglio italiano ed una formazione di cacciatorpediniere in missione di trasporto, ma non erano riuscite a trovare né l’uno né l’altra ed erano rientrate a mani vuote.
La sospensione dei traffici da parte italiana, ordinata il 22 ottobre (dopo che l’arrivo a Malta delle navi britanniche, segnalato dallo spionaggio italiano nell’isola, era stato confermato anche dalla ricognizione aerea) dal capo di Stato Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Arturo Riccardi (che aveva altresì sollecitato un’intensificazione dei bombardamenti su Malta da parte dell’Aeronautica, invitando al contempo il Comando Supremo a fare pressione sull’alleato tedesco affinché i reparti aerei della Luftwaffe, ritirati dal Mediterraneo qualche mese prima, venissero riportati in Italia), era durata pochi giorni: poi era dovuta inevitabilmente riprendere, data la necessità di far avere nuovi rifornimenti alle forze di Rommel, a maggior ragione in vista della già citata nuova offensiva prevista per il 21 novembre, la cui preparazione richiedeva rifornimenti urgenti di considerevoli quantitativi di munizioni, carburanti ed automezzi. Per prima cosa si era ripreso ad inviare mercantili isolati o a coppie a Bengasi; poi si era deciso l’invio del convoglio «Beta», che però sarebbe stato mandato a Tripoli, porto molto più lontano dalla prima linea, invece che a Bengasi: quest’ultimo porto, infatti, non era in grado di ricevere e scaricare un convoglio tanto grande. Non era possibile inviare rapidamente in Libia i rifornimenti previsti per la nuova offensiva utilizzando soltanto Bengasi; c’erano per la verità anche altri porti della Cirenaica (Bardia, Derna, Ain-el-Gazala) che per la loro posizione avrebbero potuto essere raggiunti senza grande rischio di essere attaccati da Malta, ma le loro capacità ricettive erano ancora più ridotte di quelle di Bengasi, ed inoltre tali approdi erano troppo esposti agli attacchi aerei provenienti dalle basi dell’Egitto. In tutta la Libia, soltanto Tripoli era in grado di ricevere e scaricare i quantitativi di rifornimenti necessari per la preparazione dell’offensiva, od anche solo per la normale “sopravvivenza” dell’armata italo-tedesca. Pertanto, fin da inizio novembre l’ammiraglio Arturo Riccardi, capo di Stato Maggiore della Regia Marina, si era ritrovato insistentemente “pressato” affinché si riprendesse il prima possibile il traffico con Tripoli, a partire dall’invio dei numerosi mercantili, tra cui due navi cisterna, già carichi ed in attesa dell’ordine di partenza nei porti del Sud Italia. Il 3 novembre Supermarina aveva risposto che il convoglio richiesto sarebbe potuto essere preparato subito, a patto che gli fosse stata fornita una scorta aerea sia diurna che notturna; ma la scorta aerea notturna era al di fuori delle possibilità della Regia Aeronautica e della Luftwaffe, per cui si era dovuto organizzare il convoglio «Beta» accontentandosi della sola scorta diurna.
In origine Supermarina aveva stabilito che Rina Corrado e Conte di Misurata sarebbero dovuti partire da Palermo, invece che da Messina, e con la scorta dei soli Grecale e Libeccio (l’Oriani non avrebbe fatto parte della scorta del convoglio, mentre nella scorta del gruppo proveniente da Napoli ci sarebbe dovuto essere un cacciatorpediniere in più, l’Antoniotto Usodimare, che poi non partecipò all’operazione); questo gruppo si sarebbe dovuto unire a quello proveniente da Napoli 20 miglia a nord di Pantelleria. Era inoltre previsto che il convoglio dovesse salpare tra il 4 ed il 5 novembre, raggiungendo Tripoli la sera del 6 novembre. Di ciò Supermarina aveva informato Superaereo il mattino del 3 novembre; il Comando Superiore dell’Aeronautica aveva impartito le disposizioni per la scorta del convoglio con aerei da caccia, voli di vigilanza e ricognizione, il bombardamento dei porti ed aeroporti di Malta e l’approntamento su allarme dei reparti aerei, ma poco dopo Supermarina aveva fatto sapere che la partenza del convoglio era rimandata per via delle avverse condizioni meteomarine. Per la verità, più che un miglioramento del tempo i vertici della Marina aspettavano di poter chiarire quali scorte aeree e navali sarebbero state disponibili, ed erano ancora incerti sulla rotta da seguire (inizialmente si era pensato di far passare il convoglio ad ovest di Malta, seguendo la rotta del Canale di Sicilia, ma alla fine si decise invece per la rotta ad est di Malta, tracciando un percorso molto allargato che passasse vicino alla costa occidentale greca per tenersi lontano dal raggio d’azione degli aerosiluranti maltesi). Si sarebbe voluto aspettare almeno una settimana, confidando nel previsto arrivo in Sicilia dei 30 bombardieri tedeschi Ju 88 del Kampfgruppe 606 della Luftwaffe, che il sottocapo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Luigi Sansonetti, giudicava «particolarmente adatti alla lotta su Malta». Ma non c’era tanto tempo a disposizione: il Comando Supremo premeva perché quegli urgenti rifornimenti venissero inviati a Tripoli al più presto, accettando «il rischio e il prezzo» che si sarebbe dovuto pagare, come riferì per telefono l’ammiraglio Sansonetti all’ammiraglio Angelo Iachino, comandante in capo della Squadra Navale.
Il 5 novembre il capo di Stato Maggiore generale, Ugo Cavallero, aveva ordinato personalmente al generale Giuseppe Santoro, sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, di garantire al convoglio una adeguata scorta aerea. Per parte sua Supermarina, al fine di scongiurare eventuali attacchi da parte delle navi di superficie britanniche che si sapeva ora avere base a Malta, assegnò al convoglio, oltre ai soliti cacciatorpediniere della scorta diretta, anche una scorta indiretta formata da due incrociatori pesanti, aventi armamento nettamente superiore a quello degli incrociatori britannici di Malta: la III Divisione Navale dell’ammiraglio Bruno Brivonesi, con Trento e Trieste. In un primo momento si era optato per l’VIII Divisione Navale, di base a Palermo e composta dai due grossi incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi (i più moderni e potenti incrociatori del tipo presenti nei ranghi della Regia Marina, nettamente superiori ad Aurora e Penelope), ma poi si era ritenuto meglio utilizzare degli incrociatori pesanti.
L’ammiraglio Brivonesi, che aveva già compiuto altre missioni di scorta convogli, fin dal maggio 1941 aveva avanzato dei dubbi sulla realizzabilità e opportunità di una scorta ravvicinata ad un convoglio da parte di grossi incrociatori: in caso di allarme, infatti, con le improvvise accostate e dispersioni di unità che conseguivano spesso a tali situazioni, aumentava il rischio di collisioni o di incidenti di fuoco amico; per quanto riguardava la posizione da far assumere gli incrociatori, Brivonesi riteneva che l’unica abbastanza soddisfacente fosse una posizione a poppavia del convoglio, che oltre a proteggere il lato poppiero avrebbe consentito di intervenire rapidamente in caso di attacco sia sul lato dritto che su quello sinistro, e di manovrare tempestivamente in armonia col convoglio. Tenere gli incrociatori a proravia del convoglio, infatti, risultava difficile sul piano pratico e non consentiva di proteggerne né i fianchi né il lato poppiero; tenerli su un lato sarebbe stato più semplice, avrebbe consentito di proteggere adeguatamente soltanto quel lato, lasciando scoperto l’altro.
Il 6 novembre, Supermarina aveva comunicato a Superareo i particolari dell’operazione con l’Avviso n. 7401: i mercantili DuisburgSan MarcoMariaMinatitlan e Sagitta sarebbero dovuti partire da Napoli alle cinque del 7 novembre, scortati da sette cacciatorpediniere della Squadriglia «Maestrale» (quest’ultima essendo la nave caposcorta), ed avrebbero fatto rotta sud verso lo stretto di Messina, ove si sarebbero uniti al convoglio Rina Corrado e Conte di Misurata, provenienti da Palermo con la scorta di altri tre cacciatorpediniere. I quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia (capitano di vascello Ferrante Capponi: Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino, partiti da Napoli insieme al primo gruppo del convoglio, che avevano seguito a distanza) si sarebbero poi uniti alla III Divisione Navale, mentre il convoglio così formato sarebbe entrato in Mar Ionio con la scorta degli altri sei caccia; la formazione avrebbe fatto rotta su Tripoli e la III Divisione, partita da Messina, avrebbe fornito protezione al convoglio con speciale attenzione a minacce provenienti da Malta. Alle 19 del 10 novembre il convoglio si sarebbe ormai trovato prossimo a Tripoli, dunque il gruppo «Trieste» avrebbe invertito la rotta per tornare alla base, mentre i mercantili e la scorta diretta avrebbero raggiunto Tripoli alle 17.30 dell’11 novembre. Per precauzione nel caso di intercettazioni, il messaggio non indicava i nomi dei porti, sostituendoli con nominativi convenzionali: ad esempio, "punto Base" per Messina, "punto Lunghezza" per Tripoli. Per quanto riguardava la copertura aerea, gli idrovolanti della Ricognizione Marittima di base a Messina avrebbero fornito scorta aerea antisommergibili sia al convoglio che alla III Divisione fino al tramonto dell’8 novembre, per un raggio di 100 miglia dalle coste della Sicilia. Il 9 ed il 10 novembre, invece (durante l’avvicinamento e l’arrivo a Tripoli del convoglio), se ne sarebbero occupati gli idrovolanti della Ricognizione Marittima di base a Tripoli. Gli idrovolanti di Messina avrebbero poi riassunto la protezione della III Divisione, di ritorno alla base, quando questa fosse giunta a 100 miglia dalla costa siciliana, nella giornata dell’11 novembre.
Il convoglio avrebbe seguito la rotta che passava ad est di Malta; complessivamente, i sette mercantili avrebbero trasportato in Nordafrica 34.473 tonnellate di materiali (di cui 17.281 tonnellate di carburante e 1579 di munizioni), 389 autoveicoli (172 italiani e 217 tedeschi) e 243 uomini (145 militari italiani, 77 militari tedeschi e 21 civili diretti in Libia).

Rispetto ai piani originari era stato inserito uno scalo intermedio per Rina Corrado e Conte di Misurata, che non sarebbero più partiti direttamente da Palermo per unirsi al gruppo di Napoli a nord di Pantelleria, bensì avrebbero fatto scalo a Messina e si sarebbero uniti al primo gruppo nello stretto. I due bastimenti avevano infatti imbarcato il loro carico a Palermo, come previsto, e poi avevano lasciato quel porto poco prima della mezzanotte del 6 novembre, scortati da Libeccio, Grecale ed Oriani, ed avevano raggiunto Messina intorno alle due del pomeriggio del 7 novembre, sostandovi fino alle prime ore dell’8, quando ne erano ripartiti per congiungersi col gruppo proveniente da Napoli.
Insieme a Rina Corrado, Conte di Misurata, Libeccio, Grecale ed Oriani uscirono da Messina anche Maestrale, Fulmine ed Euro, che erano entrati in quel porto nel pomeriggio del 7 novembre per fare rifornimento, affidando temporaneamente la scorta dei mercantili di Napoli alle quattro unità della XIII Squadriglia Cacciatorpediniere.
Dopo aver lasciato Messina il Rina Corrado, la Conte di Misurata e la scorta diressero per uscire dallo Stretto assumendo rotta verso sud a bassa velocità, in modo da lasciarsi raggiungere dal gruppo proveniente da Napoli. La riunione tra i due gruppi del convoglio – dei quali il primo, quello proveniente da Napoli, aveva già superato lo stretto – avvenne alle 4.30 dell’8 novembre, a sud dello stretto di Messina; si formò un unico convoglio di sette mercantili scortati da MaestraleLibeccioGrecaleOrianiFulmine ed Euro, mentre i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, dopo essersi riforniti a loro volta a Messina (cosa che fecero dopo la riunione delle altre navi), si unirono alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Bruno Brivonesi), salpata da Messina alle 12.35 per fornire scorta indiretta al convoglio.
Durante la mattina vennero avvistati da diverse navi alcuni aerei nemici diretti verso ovest: andavano ad attaccare un altro convoglio diretto in Libia, il convoglio "Pegaso".
Alle 16.45, con l’arrivo della III Divisione (che raggiunse il convoglio in posizione 37°40’ N e 15°57’ E, a 19 miglia per 155° da Capo dell’Armi, e si posizionò a poppavia dello stesso) la formazione poteva dirsi completa.
Il convoglio procedeva su tre colonne: il Rina Corrado formava la colonna centrale insieme a Duisburg e Sagitta, mentre San Marco e Conte di Misurata formavano la colonna di dritta e Minatitlan e Maria quella di sinistra. Il Fulmine era posizionato a dritta della terza colonna, il Libeccio a sinistra della prima colonna; il Maestrale e l’Euro precedevano rispettivamente la colonna di dritta e quella di sinistra, mentre Oriani e Grecale le seguivano. Le navi procedevano ad otto nodi di velocità.
Vi era anche, fin dalla partenza da Napoli e Messina – ma solo di giorno –, una scorta aerea per la quale erano stati mobilitati in tutto 64 aerei (58 dell’Armata Aerea e 6 idrovolanti antisommergibili), mantenendo sempre otto velivoli costantemente in volo sul cielo del convoglio. Sul Maestrale, per coordinare l’attività di tale scorta aerea, era stato imbarcato il tenente pilota Paolo Manfredi della Regia Aeronautica.
Dalle 7.30 fino alle 17.30, sul cielo del convoglio e della III Divisione si alternarono dieci idrovolanti CANT Z. 506 della Ricognizione Marittima, due bombardieri Savoia Marchetti SM. 79 "Sparviero" e ben 66 caccia (34 Macchi MC 200 del 54° Stormo della Regia Aeronautica, due FIAT CR. 42 del medesimo stormo, 22 CR. 42 del 23° Gruppo e otto Messerschmitt Bf 110 della 9a Squadriglia del 3° Gruppo del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe). I caccia si alternavano sul convoglio in numero di quattro per volta: una coppia ad alta quota per contrastare eventuali attacchi di bombardieri, e una coppia a 1000 metri di quota per contrastare attacchi a volo radente e di aerosiluranti.
Tre coppie di SM. 79 decollarono dalla Sicilia ed effettuarono ricognizione marittima verso sudest; altri aerei dell’Aeronautica della Sicilia erano incaricati di effettuare missioni di ricognizione e bombardamento sul porto della Valletta.
Ad ulteriore protezione del convoglio, Supermarina aveva inviato nelle acque di Malta i sommergibili DelfinoCorallo e Luigi Settembrini, con compiti esplorativi ed offensivi nei confronti di unità britanniche in partenza dall’isola.
L’incrociatore pesante Gorizia (anch’esso appartenente alla III Divisione) ed i cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia erano a Messina, pronti a muovere in due ore qualora se ne fosse manifestata la necessità.

Una volta in franchia dello stretto di Messina (la riunione avvenne subito dopo il suo superamento da parte del primo gruppo di navi), il convoglio mise la prua verso est (rotta 90°), per imboccare la rotta che passava ad est di Malta, al largo della costa occidentale greca – rotta più lunga ma anche più sicura, perché avrebbe consentito di restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta, stimato in 190 miglia –, nonché per ingannare i britannici circa la destinazione del convoglio, facendo credere che questa fosse un porto della Grecia oppure Bengasi. (La formazione compì le accostate prestabilite con un anticipo di circa un’ora e mezza rispetto a quanto disposto da Supermarina, ma ciò ebbe l’effetto positivo di far passare il convoglio a distanza da Malta ancora superiore rispetto a quanto stabilito).
Durante la navigazione verso est, inoltre, le unità effettuarono diverse accostate verso ovest per confondere le idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotte; ciò non bastò tuttavia ad impedire che, nel pomeriggio dell’8 novembre – alle 16.45, poco prima del tramonto, secondo il resoconto italiano; già alle 13.55, secondo quello britannico – il convoglio (ma non la III Divisione) venisse comunque localizzato, in posizione 37°38’ N e 17°16’ E (o 37°53’ N e 16°56’ E; 40 o 45 miglia ad est di Capo Spartivento Calabro, parecchio ad est di Malta), da un ricognitore Martin Maryland del 69th Reconnaissance Squadron della Royal Air Force, decollato da Luqa (Malta) e pilotato personalmente dal tenente colonnello John Noel Dowland, comandante del 69th Reconnaissance Squadron. L’idrovolante stava rientrando a Malta quando avvistò il convoglio.
In quel momento, aerei italiani e tedeschi si trovavano ancora sul cielo del convoglio; le navi della scorta – e più precisamente l’Euro, che lo segnalò subito al Maestrale con il messaggio ad ultracorte «Aerei in vista Rb 200 – quota superiore quota 3.000», e poi anche a tutte le altre navi ed a Supermarina con un segnale di scoperta via radio lanciato all’aria – avvistarono il ricognitore da 5000 metri di distanza e fecero segnali luminosi alla scorta aerea – con cui non fu possibile comunicare via radio – per richiedere che attaccasse il velivolo nemico; al contempo il Duisburg, mercantile capoconvoglio, alzò a riva i palloni di avvistamento aereo, ma gli aerei della scorta non fecero nulla (per altra fonte, invece, le segnalazioni previste per avvisare gli aerei della presenza del ricognitore non vennero effettuate, “per grave disservizio”).
Il Maryland si trattenne in vista del convoglio solo il tempo strettamente necessario a rilevarne gli elementi del moto, che comunicò prontamente a Malta alle ore 14 («Un convoglio di 6 navi mercantili e 4 cacciatorpediniere diretto verso levante, nel punto 40 miglia per 95° da Capo Spartivento», anche se la velocità, nella realtà 9 nodi, era sovrastimata in 10-12 nodi). Il messaggio inviato a Malta dal Maryland venne intercettato anche a Roma, ma fu decifrato soltanto in seguito. Oltre a sovrastimare la velocità, il ricognitore aveva leggermente sottostimato il numero di navi nel convoglio (specie di cacciatorpediniere) e non aveva minimamente notato la III Divisione, che seguiva a distanza, mentre aveva apprezzato con estrema accuratezza la rotta e posizione del convoglio.
Contrariamente a molte altre occasioni, e nonostante quanto riferito da diverse fonti secondarie, il servizio di intercettazione e decrittazione britannico “ULTRA” non ebbe alcun ruolo nelle vicende del convoglio «Beta»: vennero infatti intercettati soltanto tre messaggi molto vaghi, dei quali il primo – risalente alle 13.10 del 7 novembre – poté essere decifrato solo alle 20.49 dell’8 novembre, risultando essere un radiocifrato in cui il Ministero della Marina chiedeva al Comando Marina di Salonicco di inoltrare al X Corpo Aereo Tedesco la richiesta di compiere alcuni voli di ricognizione nel Mediterraneo orientale a protezione del convoglio «Beta». Il secondo messaggio intercettato, sempre dal Ministero della Marina a Salonicco, era delle 20 dell’8 novembre e recitava: "A protezione di attacchi provenienti da Alessandria contro l’importante convoglio diretto a Tripoli, si richiede al X Fliegerkorps tedesco di tenere pronte tutte le disponibili unità per i giorni 9 e 10". Il terzo ed ultimo, in cui ancora una volta si parlava di grosso convoglio diretto a Tripoli che sarebbe stato in mare il 9-10 novembre, per il quale si chiedeva la copertura del X Fliegerkorps, fu decrittato dalla Special Liaison Unit di “ULTRA” al Cairo alle 00.34 del 9 novembre, cioè pochi minuti prima che la Forza K aprisse il fuoco contro il convoglio. Tutti e tre i messaggi erano troppo vaghi per poter organizzare un’intercettazione, non contenendo alcuna informazione su porti e orari di partenza o di arrivo, rotta e velocità del convoglio; ma soprattutto, il primo ad essere decrittato lo fu soltanto quando già da tre ore la Forza K era partita per intercettare il convoglio “Duisburg”, basandosi sulle sole informazioni dei ricognitori.

L’orientamento verso est della rotta del convoglio (che virò verso sud solo più tardi) non ingannò i comandi britannici: un convoglio tanto grande non poteva essere diretto né in Grecia né a Bengasi, porto dalle capacità ricettive insufficienti ad accogliere sette mercantili. L’unica destinazione plausibile era Tripoli, e le navi italiane avrebbero cercato di raggiungerla tenendosi al di fuori del raggio della portata degli aerosiluranti: il che permise ai britannici di intuire che il convoglio sarebbe dovuto passare circa 200 miglia ad est di Malta, per poi puntare verso sud dopo il tramonto per raggiungere un porto della Libia, sempre seguendo una rotta che lo tenesse al di fuori del raggio degli aerosiluranti di Malta.
Alle 17.30, di conseguenza, salpò da Malta la Forza K britannica, formata dagli incrociatori leggeri Aurora (capitano di vascello William Gladstone Agnew, comandante della Forza K) e Penelope (capitano di vascello Angus Dacres Nicholl) e dai cacciatorpediniere Lance (capitano di corvetta Ralph William Frank Northcott) e Lively (capitano di corvetta William Frederick Eyre Hussey), con il compito di intercettare il convoglio segnalato. La partenza della Forza K fu tanto fulminea che il comandante del Penelope, capitano di vascello Nicholl, dovette raggiungere la sua nave con un’imbarcazione, in quanto l’incrociatore stava già manovrando per uscire dal porto. Lasciatesi Malta alle spalle, le navi britanniche assunsero rotta 064° (verso est-nord-est) e velocità 28 nodi, in modo da intercettare il convoglio alle due della notte seguente. La ricerca delle navi dell’Asse sarebbe avvenuta lungo la presumibile rotta che il convoglio avrebbe seguito per tenersi al di fuori della portata degli aerosiluranti di Malta.
La ricognizione aerea italiana (due CANT Z. 1007 dell’Aeronautica dell’Egeo) e tedesca (due Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps) non avvistò le navi britanniche.
Anche un bombardiere Wellington munito di radar (del 211st Squadron della RAF) ed otto aerosiluranti Fairey Swordfish (dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, di base a Hal Far) decollarono da Malta per rintracciare il convoglio nel tardo pomeriggio (il primo per seguirlo e mantenere il contatto con esso, guidando sul posto la Forza K; i secondi per attaccarlo), ma non riuscirono a trovarlo: il Wellington per malfunzionamento della radio e del radar, gli Swordfish perché il convoglio seguiva appunto una rotta che lo teneva al di fuori del loro raggio d’azione.
Niente di tutto ciò era a conoscenza delle navi del convoglio «Beta», che proseguirono regolarmente per la loro rotta. Il tempo era buono: mare calmo, nubi leggere e vento debole, forza 3. La scorta aerea venne ritirata al tramonto.
Tra le 18 e le 18.30, mentre la III Divisione Navale e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere zigzagavano sulla sinistra del convoglio, quest’ultimo manovrò per passare dalla formazione su tre colonne a quella su due colonne, distanziate di 1000-1500 metri. La nuova formazione era così composta: a dritta, nell’ordine, MinatitlanMaria e Sagitta; a sinistra, nell’ordine, DuisburgSan Marco e Conte di Misurata, mentre il Rina Corrado procedeva in coda alla formazione, a poppavia degli altri sei mercantili, in posizione centrale rispetto alle due colonne. Tutt’intorno la scorta diretta: Maestrale in testa al convoglio, Grecale in coda (dietro al Rina Corrado), Libeccio seguito dall’Oriani sul lato sinistro, ed Euro seguito dal Fulmine sul lato destro.  
Fino alle 19.30 il convoglio seguì rotta 090°, poi accostò per 122°, ed alle 19.55 per 161°, sempre per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
Alle 20.45 la III Divisione si portò a poppa del convoglio, e tra le 22 e le 24 le navi  di Brivonesi risalirono il convoglio sino a portarsi a 30° di prora a dritta del Maestrale (distante da loro 4 km); poi, a mezzanotte, invertirono la rotta a un tempo per defilare di controbordo al convoglio. L’ammiraglio italiano aveva pianificato i movimenti della sua Divisione e la velocità da tenere in modo da tenersi in contatto col convoglio, mantenendo al tempo stesso una sufficiente libertà di manovra, lungo le spezzate da percorrere, per ridurre il pericolo di attacchi di sommergibili avversari contro i suoi incrociatori. La velocità che la III Divisione avrebbe dovuto tenere, secondo gli ordini di Supermarina, sarebbe stata di 16 nodi; ma con una tale velocità gli incrociatori, per mantenersi in vista del convoglio che procedeva a soli 9 nodi, avrebbero dovuto compiere accostate esageratamente ampie, oppure allontanarsi troppo dal convoglio in ogni accostata. D’altra parte, una velocità di 9 nodi non avrebbe consentito a Trento e Trieste di mantenere un’adeguata manovrabilità; pertanto Brivonesi era giunto ad una soluzione di compromesso, facendo assumere alla III Divisione una velocità di 12 nodi e tenendosi nella scia del convoglio, manovrando periodicamente per risalire il convoglio sul lato di dritta (quello rivolto verso Malta e dunque ritenuto più esposto) fino all’unità capofila, indi accostare di controbordo e tornare in scia al convoglio, per poi replicare tale manovra di pendolamento. In tal modo, le navi di Brivonesi si sarebbero interposte tra i trasporti e la probabile direzione di provenienza di un attacco navale britannico.
Intanto, la Forza K navigava verso la sua ignara preda: avendo inizialmente assunto rotta verso est, la formazione britannica virò verso sudest subito dopo il tramonto, ed attraversò, senza essere avvistata, la zona d’agguato del Settembrini. Le unità britanniche erano disposte in linea di fila, con l’Aurora in testa seguito nell’ordine da LancePenelope e Lively, distanziati tra loro di 750 metri.
Agnew aveva già da tempo preparato e discusso con i comandanti dipendenti un piano d’azione in caso di attacco ad un convoglio: le navi britanniche sarebbero rimaste in linea di fila, per evitare problemi di riconoscimento e per poter lanciare liberamente siluri; prima di attaccare dei mercantili, la Forza K avrebbe neutralizzato le navi di scorta presenti sul lato attaccato; nel caso altre unità di scorta fossero apparse durante l’attacco ai mercantili, esse sarebbero immediatamente divenute bersaglio prioritario; l’Aurora (capofila) avrebbe mantenuto ogni nave di scorta bene di prora fino ad averla posta fuori uso. Così facendo, le navi britanniche avrebbero potuto sfruttare al massimo la loro potenza di fuoco contro il convoglio, e minimizzare il rischio di un attacco silurante. Agnew sottolineò l’importanza di colpire subito i bersagli, fin dalle prime salve, e distribuire il tiro in modo da non lasciar scampo a nessuna delle unità avversarie.
Alle 00.39 del 9 novembre le vedette sulla plancia dell’Aurora avvistarono un gruppo di navi oscurate aventi rotta approssimata 170° (verso sud), a nove miglia di distanza, su rilevamento 30°: era il convoglio “Duisburg”. Il radar non ebbe alcun ruolo di rilievo nell’individuazione del convoglio: le navi italiane vennero avvistate otticamente dalla Forza K, col solo uso di binocoli, perché illuminate dalla luce lunare, mentre il radar fu poi impiegato nel puntamento dei cannoni durante il combattimento. Secondo il rapporto britannico, in quel momento le navi italiane si trovavano in posizione 36°55’ N e 17°58’ E (135 miglia a sud di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento e 180 miglia ad est di Malta), a cinque miglia per 30° dalla Forza K (per altra fonte, a 7 miglia per 30° dall’Aurora, autore dell’avvistamento); la documentazione italiana indica invece il punto dell’attacco come 37°00’ N e 18°10’ E, a circa 120 miglia dalle coste della Calabria ("Navi mercantili perdute" indica la posizione come 37°08’ N e 18°09’ E, circa 120 miglia a sudest di Punta Stilo o 130 miglia a sudovest della Calabria). Secondo Agnew, la visibilità notturna era ottimale per un’intercettazione, la luna splendente e luminosa (su rilevamento 100°, con un’elevazione di 45°), e le condizioni perfette per un’intercettazione (vento forza 3 da nord-nord-ovest, nubi leggere e calma di mare); nel suo rapporto, il caposcorta Bisciani registrò brezza moderata verso sud-est, nuvolaglia leggera e luna scoperta, con «orizzonte ottimo nel secondo quadrante, buono nel terzo, fosco nel quarto». Secondo Brivonesi, la visibilità era buona quando la luna era libera, e scarsa quando le nubi la coprivano.
(Secondo "Struggle for the Middle Sea" di Vince O’Hara, poco ci era mancato che le navi dell’Asse scampassero, anche questa volta, all’intercettazione: le unità della Forza K erano infatti giunte quasi al punto in cui avrebbero dovuto interrompere le ricerche e tornare indietro per raggiunti limiti di autonomia, e Agnew scrisse in seguito che aveva quasi abbandonato le speranze di trovare il convoglio segnalato dal Maryland, quando all’improvviso apparvero nell’oscurità le sagome delle navi nemiche. Questo sembra però in contrasto con quanto riferito da altre fonti, tra cui la storia ufficiale dell’USMM, secondo cui invece l’incontro con il convoglio italiano avvenne un’ora prima del previsto, dato che Agnew si aspettava di incontrarlo intorno alle due di notte: invece, le navi dell’Asse avevano seguito una rotta più ad ovest di quella stimata dai britannici, e la Forza K riuscì a trovarle senza neanche bisogno di dispiegarsi in catena di ricerca. Questo era, peraltro, il modus operandi generalmente seguito dalle unità britanniche: mentre nella nella Marina italiana la ricerca di formazioni nemiche si compiva distendendo le proprie navi “a rastrello” in linea di fronte o di rilevamento, i britannici compivano andavano in cerca di convogli mantenendo le proprie formazioni compatte, in linea di fila).
Il convoglio italo-tedesco avanzava su rotta 161° alla velocità di 9 nodi, nella formazione su due colonne assunta alle 18.30; la III Divisione, quale scorta indiretta, seguiva il convoglio a quattro chilometri a poppavia dritta (ossia verso ovest, ritenuta la più probabile direzione di provenienza di un attacco: Malta, infatti, era a dritta rispetto al convoglio), zigzagando alla velocità di dodici nodi. Mezz’ora prima, le navi di Brivonesi avevano raggiunto il punto più settentrionale nel loro pendolamento, ultimando l’accostata per defilare di controbordo al convoglio; ora avevano accostato per assumere rotta parallela al convoglio e ripetere il pendolamento, verso sud.
Qualcuna delle unità della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvistò anche la Forza K, 3-5 km a poppavia, ma ritenne trattarsi della III Divisione. Il Bersagliere, che avvistò le navi britanniche meno di un minuto prima che aprissero il fuoco, fu l’unico a capire che si trattava di navi nemiche, ed a lanciare immediatamente il segnale di scoperta, ma era già troppo tardi; il segnale fu ricevuto da Maestrale e Trieste proprio mentre la Forza K iniziava a sparare.
Anziché attaccare subito il convoglio, il comandante Agnew manovrò flemmaticamente per portarsi nella posizione più favorevole all’attacco, di poppa al convoglio (dove in genere la sorveglianza risultava più debole) e con la luna di fronte, approfittando del fatto che nessuna nave italiana sembrasse accorgersi della sua presenza.
La Forza K ridusse la velocità da 28 a 20 nodi ed accostò a sinistra per 350°, quindi aggirò il convoglio con una manovra che richiese 17 minuti, attraversandone la scia e portandosi a poppavia dritta rispetto ad esso, di modo che i bersagli si stagliassero contro la chiara luce lunare. Alle 00.50 l’Aurora, trovandosi quasi al traverso di un cacciatorpediniere italiano che procedeva in coda al convoglio (probabilmente il Grecale), puntò dritto su di esso, accostando a dritta su rotta est/nordest; Agnew apprezzò la composizione del convoglio in otto grossi mercantili e quattro cacciatorpediniere. Aveva ormai deciso cosa fare: avrebbe attaccato il convoglio da poppa e poi ne avrebbe “risalito” la formazione, distruggendo sistematicamente i mercantili dopo aver neutralizzato la scorta sul lato attaccato. I bersagli vennero identificati e scelti dai puntatori, i cannoni puntati e preparati ad aprire il fuoco a colpo sicuro. L’Aurora puntò l’armamento principale, asservito al radar di scoperta navale tipo 284, sui cacciatorpediniere della scorta, ed i cannoni da 100 mm di sinistra, asserviti al radar tipo 290 ed alla centrale di tiro poppiera, sui mercantili.
Alle 00.52 la Forza K avvistò su rilevamento 330° (verso sinistra) la III Divisione, della cui presenza nessuno, da parte britannica, aveva fino a quel momento avuto sentore; ma ciò non modificò le intenzioni di Agnew, il quale poco dopo concluse che le due “navi maggiori” (che erano, in effetti, il Trento ed il Trieste, che in quel momento si trovavano un poco di prua rispetto al traverso sinistro dell’Aurora: il Trieste distava tre miglia e mezzo, il Bersagliere meno di tre) ed i cacciatorpediniere che le accompagnavano, oscurate e distanti sei miglia, dovessero essere degli altri mercantili con la loro scorta (tanto che a cose fatte, i britannici ritennero erroneamente di aver affondato dieci mercantili invece che sette, credendo di aver attaccato "otto mercantili e quattro cacciatorpediniere nemici, seguiti da un secondo convoglio di due cacciatorpediniere e due mercantili"). Alle 00.56 il Lively stimò che il convoglio avesse rotta 150° e velocità 8 nodi; in base ai dati del suo radar, il Maestrale (che al momento dell’attacco si trovava al traverso a poppavia della Forza K, a sud della stessa) distava 10.060 metri, i mercantili che lo seguivano 8230 metri.
Alle 00.57, infine, Aurora e Penelope, giunti circa 5 km a sudest del convoglio, aprirono il fuoco sulle ignare navi italiane da una distanza di 5200 metri.

Il tiro britannico si abbatté per primo sui cacciatorpediniere che proteggevano il lato più vicino alla Forza K: FulmineEuro e Grecale. Il primo e l’ultimo vennero ripetutamente centrati prima di poter avere il tempo per imbastire una reazione efficace: il Fulmine affondò dopo pochi minuti, il Grecale rimase alla deriva con danni gravissimi e decine di morti e di feriti gravi, completamente fuori combattimento. L’Euro scampò invece alla strage iniziale (venne anch’esso colpito, ma i danni non risultarono gravi), e tentò di coprire i mercantili con una cortina fumogena, imitato da Maestrale e Libeccio.
La Forza K defilò lungo il fianco dei mercantili, orientando il tiro con l’ausilio dei radar tipo 284; sempre per agevolare il tiro, inoltre, le navi britanniche lanciarono dei bengala illuminanti a quote comprese tra i 600 ed i 1000 metri. Subito dopo l’Aurora, il cui primo bersaglio era stato il Grecale (che venne immobilizzato e incendiato dalle prime tre salve, dopo di che l’Aurora spostò il tiro sul Maestrale, contro il quale stava già sparando il Penelope), anche Lance e Penelope aprono il fuoco: quest’ultimo tirò prima su un piroscafo, colpendolo, e poi sul Maestrale, che accostò per 80° (verso sinistra, aggirando la testa del convoglio: Bisciani ritenne che l’unica possibilità di attacco consistesse nel portarsi in posizione prodiera rispetto alle navi nemiche, accostando a sinistra), accelerò a 20 nodi ed emise cortine fumogene, seguito dal convoglio. Euro e Libeccio manovrarono anch’essi aumentando la velocità, per tentare di occultare le navi di testa del convoglio con cortine fumogene.
Per ordine del Maestrale, che aveva ordinato alle unità della scorta di radunarsi intorno a lui, i superstiti cacciatorpediniere della scorta diretta emisero cortine fumogene per nascondere i mercantili, poi assunsero rotta verso est ed incrementano la velocità. Nella generale confusione, il caposcorta Bisciani ritenne erroneamente che l’attacco provenisse dal lato sinistro del convoglio (in realtà ad essere sotto attacco era il lato destro), e che le navi sul lato destro fossero quelle della III Divisione (mentre era la Forza K). Poco dopo, il Maestrale stesso fu colpito dal tiro britannico, subendo danni leggeri ma anche l’abbattimento dell’aereo della radio, il che gli impedì di comunicare con il resto della scorta e del convoglio.
I cacciatorpediniere della scorta diretta che si trovavano sul lato orientale del convoglio (Libeccio ed Oriani) si ritrovarono così disorientati e senza ordini; per la loro posizione, non avevano neanche compreso – per lo meno nei primi minuti, quelli decisivi – quale fosse il tipo di attacco lanciato contro il convoglio. Si limitarono ad emettere fumo. Alcuni ritennero che le navi fossero sotto attacco aereo, invece che da parte di altre navi di superficie (come attestato nel suo rapporto anche dal tenente Manfredi dell’Aeronautica, imbarcato sul Maestrale): questa fu anche l’impressione che ebbero sulle prime i comandanti di diversi mercantili, anche a causa dei molti bengala lanciati dalle navi della Forza K per agevolare il tiro. Tale convinzione si spinse a tal punto che alcuni dei mercantili aprirono un fitto e disordinato fuoco con le mitragliere in tutte le direzioni, sparando praticamente a caso contro aerei che non esistevano. Come se non bastasse, alcune delle mitragliere dei mercantili, credendo di trovarsi sotto attacco da parte di aerosiluranti (che conducevano i loro attacchi volando a bassa quota), tiravano basso, e finirono col colpire col loro tiro l’agonizzante Fulmine, provocando ulteriori perdite tra il già decimato equipaggio del cacciatorpediniere.
Altro effetto pernicioso della convinzione di trovarsi sotto attacco aereo, anziché navale, fu che i mercantili non tentarono di disperdersi e fuggire (o anche solo di dare la poppa alle navi britanniche), come si faceva solitamente in caso di attacco da parte di navi di superficie: così avrebbero quanto meno reso più difficile alla Forza K il compito di rintracciarlo e distruggerli. Disperdere il convoglio sotto un attacco aereo, infatti, avrebbe reso i mercantili più vulnerabili, privandoli della protezione delle armi contraeree dei cacciatorpediniere ed impedendo il tiro concentrato delle armi contraeree di tutte le navi; mentre in un attacco da parte di navi di superficie, mantenere intatta la formazione serviva solo a facilitare il compito degli aggressori.
Intanto, all’1.18, l’Euro andò al contrattacco silurante, unica unità della scorta ad abbozzare un effettivo tentativo di reazione; il suo comandante, tuttavia, ebbe il dubbio di stare attaccando le navi della III Divisione (anche per via degli ordini impartiti dal caposcorta), così rinunciò a lanciare i siluri ed abbandonò il contrattacco, accostando a sinistra per riunirsi a MaestraleLibeccio ed Oriani, che dirigevano verso est inquadrati dal tiro delle artiglierie della Forza K.
I mercantili, nel vano tentativo di sfuggire alla Forza K (proveniente da ovest, cioè da dritta), misero la prua verso est (verso sinistra); molti comandanti continuavano a non rendersi conto di cosa esattamente stesse accadendo, alcuni virarono verso est perché si erano resi conto che l’attacco proveniva da ovest, altri semplicemente per imitazione di manovra dei primi, altri ancora perché così facendo potevano rifugiarsi nelle cortine fumogene stese dai cacciatorpediniere. Ma non servì a niente. Anche il Maestrale, per motivo difficilmente spiegabile (il relativo volume dell’U.S.M.M. così giudica tale manovra del caposcorta: "Forse d’istinto più che in base ad un ragionamento"), dopo aver trasmesso l’ordine di coprire i mercantili con cortine nebbiogene (l’ultimo impartito prima dell’abbattimento dell’aereo radio) mise la prua in tale direzione, inquadrato dalle salve nemiche. Oriani e Libeccio, in mancanza di ordini, seguirono loro caposcorta per imitazione di manovra, continuando ad avvolgere i mercantili in inutili cortine nebbiogene (più tardi, alzata un’antenna radio di fortuna, fu il Maestrale stesso ad ordinare ai cacciatorpediniere superstiti di seguirlo verso est). L’Euro, unico altro cacciatorpediniere rimasto in efficienza, fece come loro. Il comandante Bisciani avrebbe poi scritto così nel suo rapporto: «Ritengo [all’1.17 circa] che nulla sia più possibile per la salvezza del convoglio, e penso che, occultandoli, potrò riunire i Ct, dei quali due sono in vista con rotta presso a poco parallela alla mia, per una successiva azione» che però non si materializzò mai.
In tal modo, eccetto che per l’abortito tentativo iniziale dell’Euro, nessuna unità della scorta tentò di contrattaccare attivamente le navi nemiche, a differenza di quanto accadde di solito in simili circostanze; la successiva azione della Forza K contro i mercantili incontrò così ben poco contrasto. L’operato della scorta diretta del convoglio "Duisburg" e del caposcorta Bisciani sarebbe stato poi giudicato sfavorevolmente dall’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso Tirreno, e dagli alti comandi della Regia Marina.
Neutralizzata la parte della scorta diretta sul lato attaccato, mentre il resto di quest’ultima brancolava nel buio, alle 00.59 l’Aurora accostò a dritta (verso sud, assumendo rotta parallela a quella del convoglio), seguito dalle altre tre navi, e guidò la Forza K in una manovra avvolgente attorno al convoglio, una sorta di volta tonda nella quale aggirò i mercantili da ovest verso est, risalendo il lato destro del convoglio e facendo sistematicamente fuoco su ognuno dei mercantili con tutte le armi di bordo, da circa 1800 metri di distanza, finché questo s’incendiava od esplodeva. Il tiro preciso, celere e ravvicinato delle unità britanniche – l’ammiraglio Brivonesi stimò che sparassero con ritmo inferiore ai dieci secondi: in ogni caso tirarono con una tale intensità da surriscaldarsi fino a provocare lo scioglimento ed il distacco della vernice – demolì, una dopo l’altra, tutte le navi del convoglio: siccome tutte avevano carburante e/o munizioni tra il loro carico, ognuna di esse prendeva fuoco od era scossa da esplosioni non appena veniva colpita. Come riferito nei loro rapporti dai comandanti di Euro e Grecale, i più vicini al lato attaccato, già pochi minuti dopo l’una i mercantili più poppieri del convoglio erano trasformati in roghi; entro l’1.10 tutti e sette erano immobilizzati ed in preda alle fiamme, scossi dalle esplosioni dei carichi di munizioni.
Oltre che con i pezzi da 152 degli incrociatori (che “fornirono eccellenti prestazioni”, come annotò Agnew nel suo rapporto), con i pezzi secondari da 102 mm degli stessi e quelli principali da 120 dei cacciatorpediniere, le navi della Forza K spararono sui loro bersagli anche con le micidiali mitragliere quadrinate da 40 mm, note come “pom-pom”. Il tiro venne eseguito da distanze comprese tra i 2000 ed i 4000 metri. Venne anche lanciato qualche siluro, tre dall’Aurora ed almeno uno dal Lance.
Primi ad essere colpiti furono Maria e Sagitta, i più vicini alla zona di provenienza della Forza K; poi anche gli altri, uno dopo l’altro. Nessun trasporto fu in grado di sfuggire, data la bassa velocità massima sviluppabile; le cortine fumogene non servirono a nulla, né servì il violento e confuso fuoco di mitragliere che molti dei mercantili – alcuni dei quali credevano ancora di avere a che fare con un attacco di aerosiluranti – aprirono disordinatamente. Molte delle navi, continuando a non capire se fossero sotto attacco navale od aereo, non tentarono nemmeno di diradarsi e fuggire: Agnew scrisse poi che “sembrava che le navi mercantili stessero aspettando il loro turno per essere distrutte”.
Il Lance colpì ripetutamente Maria e Sagitta (oltre al Fulmine), mentre il Lively, che aprì il fuoco per ultimo (all’una di notte), colpì il Duisburg con sei salve, incendiandolo.

Fu l’Aurora, dopo aver messo fuori combattimento il Grecale, ad aprire il fuoco sul Rina Corrado, che fu bersaglio di quattro salve da 152 mm: tanto bastò per ridurre lo sventurato piroscafo ad un relitto in fiamme ed in procinto di affondare. All’equipaggio non restò altro da fare che mettere a mare le imbarcazioni ancora intatte ed abbandonare la nave.
Il comandante Schettini fu tra le vittime; il regio commissario Trucco provvide a distruggere i documenti segreti, dopo di che si gettò in mare portando con sé il denaro che gli era stato affidato. Fu successivamente issato a bordo di una scialuppa.
Non è chiaro quando esattamente sia affondato il Rina Corrado: né le pubblicazioni ufficiali dell’USMM, né i saggi ed articoli scritti in seguito dagli storici forniscono alcun dettaglio sugli orari di affondamento di ciascuno dei mercantili del convoglio, limitandosi a dire che alcuni affondarono subito, mentre altri bruciarono per ore prima d’inabissarsi. Il mattino del 9 novembre, alle 9.10, il guardiamarina Alfonso Di Nitto, imbarcato come osservatore su un idrovolante CANT Z. 506 inviato sul luogo del disastro, scriveva nel suo diario che due mercantili erano ancora a galla: la nave cisterna Minatitlan ed un piroscafo, la cui identità non è però precisata.

Dopo aver incendiato il Rina Corrado, l’Aurora rivolse le sue mitragliere pesanti sul malridotto Fulmine, che fu poi finito dal Penelope; aprì quindi il fuoco sul Conte di Misurata, che stava cercando di allontanarsi, e lo incendiò, dopo di che riservò lo stesso trattamento alla Minatitlan. All’1.04 il Lance lanciò un siluro contro quest’ultima, ritenendo di averla colpita, ed anche l’Aurora lanciò tre siluri contro altrettanti mercantili, giudicando di averne colpiti due.
All’1.25 l’Aurora accostò a sinistra, di prora al convoglio (aggirandone la testa), per tagliargli la rotta ed assicurarsi che nessun mercantile potese sfuggire, indi “ridiscese” il convoglio lungo il suo lato sinistro ed all’1.45 diresse verso ovest per girargli intorno: tutti i mercantili erano ormai avvolti dalle fiamme. Alle 2.06, completata la propria opera di distruzione ed essendo ormai a corto di munizioni (il Penelope, ad esempio, aveva sparato 259 colpi da 152 mm e 111 da 120 mm nel giro di un’ora; l’Aurora, 279 colpi da 152 e 73 da 120; il Lance, 434 colpi da 120, mentre mancano dati sul Lively), la Forza K passò a poppavia di ciò che restava del convoglio, accelerò a 25 nodi e diresse verso ovest per rientrare a Malta, dove giunse alle 13.05 di quello stesso giorno, senza aver subito alcun danno (eccetto uno lievissimo, un foro da scheggia, al fumaiolo del Lively), eludendo anche un attacco da parte di quattro aerosiluranti italiani.
Deludente la reazione della III Divisione: avvistate, all’1.01, le vampe dei cannoni della Forza K che aprivano il fuoco sul convoglio, le navi di Brivonesi accostarono a dritta, su rotta 240°, poi a sinistra; il Trieste aprì il fuoco all’1.03 ed il Trento due minuti dopo, da grandissima distanza (8 km). Mentre manovravano per impegnare le navi della Forza K, i due incrociatori italiani dovettero assistere alla mattanza del convoglio che avrebbero dovuto proteggere: Brivonesi scrisse poi che “Il tiro del nemico aveva un ritmo celere, e salve ben raggruppate che si potevano osservare seguendo le codette luminose dei proiettili. Se non alla prima, alla seconda salva un piroscafo era già in fiamme ed illuminava vividamente gli altri piroscafi contigui. Gli incendi degli altri piroscafi si sono seguiti con una rapidità inimmaginabile, tanto che alle 01.07, ossia sette minuti dopo dell’inizio dell’azione, tutti i piroscafi erano in fiamme. (…) quando il TRIESTE ha fatto partire la sua prima salva (alle ore 01.03) non meno di due piroscafi erano già stati colpiti ed incendiati e quando anche il TRENTO ha potuto iniziare il tiro (alle ore 01.05) quasi tutti i piroscafi erano già in fiamme; essi bruciavano tutti alle ore 01.07”. Brivonesi giudicò che tale risultato dipendesse dall’«ausilio prezioso fornito dagli strumenti radiotelegrafici di cui esso dispone, del munizionamento perfettamente adatto e dei congegni di tiro che esso impiega certamente nelle azioni notturne, ed anche dalla estrema infiammabilità del carico di tutti i piroscafi che costituivano il convoglio DUISBURG».
All’1.08 la III Divisione assunse rotta 180°; pur potendo raggiungere velocità superiori ai 30 nodi, Brivonesi mantenne inspiegabilmente la velocità delle sue navi a 15-16 nodi (la Forza K procedeva a 20 nodi), aumentandoli a 18 solo all’1.12, ed a 24 all’1.18. Intanto la Forza K aggirava il convoglio e ne completava la distruzione, coprendosi proprio con le cortine fumogene stese in precedenza dagli stessi cacciatorpediniere italiani per nascondere i mercantili.
Per via delle rispettive manovre, la III Divisione e la Forza K si ritrovarono a girare intorno al convoglio, scambiandosi inconsapevolmente di posizione (la III Divisione a sudovest del convoglio, la Forza K a nordest); il risultato fu che la Forza K, girando attorno ai mercantili, mantenne sempre il convoglio tra sé e gli incrociatori di Brivonesi (senza neanche volerlo, dato che Agnew non si era minimamente accorto della presenza di incrociatori italiani), il che intralciò non poco il tiro di questi ultimi: tra i cannonieri di Brivonesi ed i loro bersagli s’interponevano i mercantili incendiati ed il fumo generato da questi incendi.
Per quel che riguardava i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, il Bersagliere, prima unità in assoluto ad avvistare il nemico, si era avvicinato alla Forza K facendo fuoco coi propri pezzi da 120, ma aveva ripiegato verso est dopo essere stato bersagliato dal tiro del Penelope; il Granatiere non sparò per la difficoltà di individuare i bersagli, troppo lontani, e per non farsi localizzare dal nemico, indi virò a dritta allontanandosi dalla III Divisione e finendo col passare in mezzo ai mercantili incendiati; Fuciliere ed Alpino, in seguito all’accostata, erano rimasti a poppavia degli incrociatori di Brivonesi e non riuscirono neanche ad avvistare le unità della Forza K.
All’1.25, essendo la distanza divenuta ormai eccessiva (alzo 17 km), la III Divisione cessò il fuoco: a quell’ora il convoglio "Duisburg" non esisteva ormai più. All’1.26 le navi della Forza K risultavano completamente nascoste dal fumo dei mercantili in fiamme. Gli incrociatori di Brivonesi avevano sparato 207 colpi da 203 mm e 82 da 100 mm, senza metterne uno solo a segno. All’1.29 l’ammiraglio fece assumere alle sue navi rotta nord e velocità 24 nodi per intercettare le unità britanniche che, aggirando verso nord i resti del convoglio, dirigevano verso Malta, ma l’incontro non avvenne in quanto Brivonesi, informato da Supermarina del possibile pericolo di un attacco di aerosiluranti, credette di trovarsi nel raggio d’azione di una portaerei britannica: pertanto, all’1.35 – siccome le sagome dei suoi incrociatori, profilandosi contro gli incendi dei mercantili, sarebbero state particolarmente vistose per gli aerei ed anche eventuali sommergibili nemici – assunse rotta nordovest, allontanandosi dal luogo dello scontro e dalla Forza K.
All’1.41 MaestraleLibeccioEuro ed Oriani assunsero rotta 90° (verso est), che seguirono per un po’ a 30 nodi di velocità, mentre il caposcorta Bisciani attendeva che giungesse qualche ordine o notizia sugli accadimenti in corso.
(Secondo una fonte, i quattro cacciatorpediniere si ritirarono una decina di miglia ad est del convoglio per riorganizzarsi, poi andarono al contrattacco, guidati dal Maestrale, aprendo il fuoco con le proprie artiglierie, ma astenendosi dal lanciare siluri per evitare di colpire i mercantili, che si trovavano al di là della Forza K. Le quattro unità di Bisciani seguitarono poi a fare fumo ed ad impegnare le navi britanniche ogni volta che queste divenivano visibili, senza però riuscire a concludere nulla. Niente di tutto ciò, però, risulta dall’approfondita ricostruzione dello scontro fatta dallo storico Francesco Mattesini).
All’1.44 l’ammiraglio Brivonesi ordinò a Bisciani di tornare presso i mercantili per recuperarne i naufraghi; alle due di notte i cacciatorpediniere, tutti spostatisi verso est seguendo il caposcorta (ormai distavano ben 17 miglia da quel che restava del convoglio), invertirono finalmente la rotta per riavvicinarsi al convoglio, procedendo a 18 nodi. Raggiunsero i relitti in fiamme alle tre di notte. Non vi era a galla un solo piroscafo che risultasse salvabile; alcuni erano già affondati, altri lo fecero più tardi.

Poco dopo le tre di notte, i quattro cacciatorpediniere iniziarono a recuperare centinaia di naufraghi dal mare cosparso di nafta e rottami; l’operazione di soccorso, cui molto più tardi si unirono anche FuciliereBersagliere ed Alpino della XIII Squadriglia, proseguì per tutta la mattinata del 9 novembre. Intanto, il malconcio Grecale arrancava verso nord; alle quattro del mattino rimase definitivamente immobilizzato, per cui l’Oriani venne inviato a prenderlo a rimorchio per portarlo a Crotone.
Dalle 7.30 iniziarono a sopraggiungere anche gli aerei: nel corso della giornata, si alternarono sui cieli delle navi superstiti numerosi caccia Messerschmitt Bf 110 del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe, dieci SM. 79 del 10° Stormo Bombardieri della Regia Aeronautica e 22 caccia italiani tra CR. 42 e Reggiane Re 2000 del 23° Gruppo Autonomo e Macchi Mc 200 del 7° Gruppo del 54° Stormo. Tali velivoli esercitavano vigilanza sia antiaerea sia antisommergibili.
La III Divisione Navale, invertita la rotta, tornò anch’essa sul luogo dove il convoglio era stato distrutto, giungendovi alle 9.20 ed unendosi ai superstiti cacciatorpediniere della scorta diretta in posizione 37°02’ N e 18°03’ E.
L’ultimo, amarissimo boccone di quella tremenda giornata la Marina italiana lo dovette inghiottire alle 6.40, quando il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn), attirato sul posto dagli stessi ricognitori che avevano guidato la Forza K – durante la notte era stato visto navigare in superficie, tra le navi incendiate, dai naufraghi di alcuni dei mercantili –, silurò il Libeccio che stava rimettendo in moto dopo aver recuperato un gruppo di 150 naufraghi, in gran parte appartenenti al Fulmine. Privato della poppa, il Libeccio colò a picco alle 11.18, dopo un breve quanto penoso tentativo di rimorchio da parte dell’Euro; la maggior parte dell’equipaggio poté essere salvato, ma molti naufraghi erano stati uccisi dallo scoppio del siluro, che aveva colpito proprio i locali in cui erano stati portati per i primi soccorsi.
Ai cacciatorpediniere della scorta diretta si unirono, per il soccorso ai naufraghi, anche i cacciatorpediniere Nicoloso Da ReccoAntoniotto Usodimare e Vincenzo Gioberti, usciti da Trapani, e le navi ospedale Virgilio, fatta appositamente uscire da Augusta ed arrivata alle 16.30, ed Arno, dirottata sul posto durante la navigazione da Bengasi all’Italia e giunta sul posto poco dopo le undici del mattino (proprio a quell’ora, venne avvistata da bordo la grande nube di fumo nero dell’incendio della Minatitlan). Rientrate in porto tutte le altre unità, le due navi ospedale continuarono ad ispezionare la zona del disastro fino all’alba del 10 novembre, quando Supermarina, ritenendo inverosimile che potessero esservi ancora dei naufraghi da salvare, ordinò loro di tornare in porto. Ma gli alti comandi si sbagliavano.

In ventiquattr’ore di ricerche erano stati tratti in salvo 764 naufraghi delle nove navi affondate: 401 dal Maestrale, 189 dall’Euro, 48 dall’Oriani, 35 dall’Alpino, 34 dalla Virgilio, 21 dall’Arno, 20 dal Fuciliere, undici dal Bersagliere (che inoltre recuperò i cinque uomini dell’equipaggio di un idrovolante CANT Z. 506 della 612a Squadriglia Soccorso, incidentato durante un tentativo di ammaraggio).
Tra i naufraghi tratti in salvo ve ne erano 26 del Rina Corrado. Altri 25 uomini del piroscafo, tra cui il regio commissario Benedetto Trucco, risultavano dispersi: termine che in questi casi significava quasi invariabilmente morti e mai più ritrovati, affondati con la nave o dispersi dalle correnti. Ma non era così per una parte dei “dispersi” del Rina Corrado.
Il 13 novembre 1941 le stazioni di vedetta della Regia Marina di Capo Linguetta, davanti alla baia di Valona (Albania), ebbero la sorpresa di avvistare una scialuppa in lento avvicinamento dal mare aperto: era la lancia del Rina Corrado al comando del regio commissario Trucco, inopinatamente “sfuggita” alle operazioni di ricerca condotte da ben dodici navi in cooperazione con numerosi aerei. In quattro giorni di difficile navigazione, quel fragile guscio di noce aveva percorso le 240 miglia che separavano il luogo dell’affondamento dal porto albanese, riuscendo infine a raggiungere la terraferma presso Capo Linguetta. A bordo erano tredici naufraghi, sfiniti ma vivi.
Il regio commissario Benedetto Trucco ricevette in seguito la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con la seguente motivazione: “R. Commissario di un piroscafo, navigante in convoglio, colpito ed incendiato durante un attacco di unità di superficie nemiche, dopo aver distrutto i documenti segreti, si lanciava in mare portando in salvo il denaro affidatogli. Raccolto da una lancia di salvataggio, condivideva fieramente per cinque lunghi giorni, malgrado la sua età avanzata, le fatiche e gli stenti di una navigazione di fortuna, offrendo mirabile esempio di sereno coraggio e spirito di sacrificio”.
Dei 51 uomini imbarcati sul Rina Corrado, in dodici persero la vita: sette membri dell’equipaggio civile, tra cui il comandante Schettini, e cinque militari della Regia Marina. I superstiti, tra quelli recuperati dalle unità soccorritrici e quelli che raggiunsero Capo Linguetta sulla scialuppa, furono 39.

Le vittime:

Baldassarre Asaro, marinaio cannoniere (Regia Marina), disperso
Ciro Borrelli, marinaio (Regia Marina), disperso
Antonio Califati, marinaio cannoniere (Regia Marina), disperso
Giuseppe Carletti, ufficiale di coperta (Marina Mercantile)
Amerigo Ceffoli, secondo capo segnalatore (Regia Marina), disperso
Giuseppe Massa (o Mazza), marinaio (Marina Mercantile)
Arnaldo Navari, marinaio (Marina Mercantile)
Tommaso Pagliaro, fuochista (Marina Mercantile)
Graziano Petrucci, marinaio (Marina Mercantile)
Giuseppe Poccia, marinaio segnalatore (Regia Marina), disperso
Raniero Pucci, marinaio (Marina Mercantile)
Guglielmo Schettini, comandante (Marina Mercantile)


La distruzione del convoglio “Duisburg” ebbe un effetto particolarmente deleterio sulla situazione delle forze italo-tedesche in Africa Settentrionale, che si ritrovarono indebolite e a corto di rifornimenti dinanzi all’offensiva britannica "Crusader", iniziata il 18 novembre e conclusasi a fine dicembre, dopo alterne vicende, con la conquista britannica dell’intera Cirenaica, per la seconda volta dall’inizio della guerra. Le forze dell’Asse avevano dovuto abbandonare l’assedio di Tobruk a inizio dicembre, a causa della mancanza di rifornimenti. Mussolini scrisse a Hitler in una lettera, facendo riferimento alla distruzione del convoglio “Duisburg”: "L’esito della battaglia fu compromesso sul mare, non sulla terra. Gravissima fu la perdita dell’intero convoglio di sette navi, che portavano reparti tedeschi di carri armati".
Il genero di Mussolini e ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, descrisse l’accaduto nel suo diario in termini estremamente caustici, come del resto era solito fare: «9 novembre. Dal 19 settembre non avevamo più tentato di far passare un convoglio per la Libia [questa affermazione non risponde a verità: tra il 19 settembre – data dell’affondamento dei grossi trasporti truppe Neptunia ed Oceania – ed il 9 novembre erano stati inviati in Libia oltre una dozzina di convogli]: ogni prova era stata pagata a caro prezzo e le perdite subite dal naviglio mercantile erano salite a proporzioni tali da dissuadere da ogni ulteriore esperimento [le perdite nei mesi di settembre e ottobre 1941 tra i rifornimenti inviati in Libia via mare erano salite al 23 %, rispetto al 9 % del mese di agosto. Come detto, comunque, ciò non arrestò l’invio di convogli, contrariamente a quanto affermato da Ciano, fino all’arrivo della Forza K il 21 ottobre]. Stanotte si è voluto nuovamente tentare: la Libia abbisogna di materiali, di armi, di carburanti ogni giorno di più. E il convoglio di sette piroscafi è partito, scortato da ben 10 cacciatorpediniere e due incrociatori da 10.000, perché si sapeva che Malta ospitava da qualche tempo due navi di superficie inglesi destinate a far da lupo nel gregge. Lo scontro è avvenuto, con risultati inesplicabili. Tutti, dico tutti i piroscafi affondati, uno, forse due o tre caccia perduti. Gli inglesi sono rientrati dopo aver fatto strage. Naturalmente, oggi, i nostri vari Stati Maggiori tirano fuori il solito immancabile e immaginario affondamento di un incrociatore inglese a mezzo di aerosiluro; nessuno ci crede. Mussolini stamani era depresso e indignato. La cosa avrà indubbiamente ripercussioni profonde in Italia, in Germania e soprattutto in Libia. In queste condizioni non abbiamo proprio alcun diritto di lamentarci se Hitler manda Kesselring a fare il Comandante del Sud. 10 Novembre. Le fotografie della ricognizione aerea danno le quattro navi inglesi ormeggiate nel porto di Malta. Ciò nonostante nel bollettino si è annunciato che uno degli incrociatori è stato colpito. Pricolo lo sostiene e porta come argomento il fatto che questa nave e andata ad ormeggiarsi vicino al bacino di ormeggio. Il che corrisponde a dichiarare che un uomo è probabilmente un po’ morto perché è andato ad abitare vicino al cimitero. Buffoni. Tragici buffoni che hanno condotto il paese alla necessità odierna di accettare, anzi d’invocare l’intervento straniero per averne protezione e difesa. Ormai, fino a quando non saranno venuti i tedeschi, l’aviazione inglese dominerà i nostri cieli al pari dei propri. Ho domandato a Cavallero che cosa sarà fatto all’ammiraglio responsabile. Intanto, fino a ier sera Cavallero ne ignorava persino il nome. Gli ho ricordato che l’Italia democratica di Ricasoli ebbe il coraggio di mettere sotto processo Persano quando dopo Lissa telegrafò di essere rimasto padrone delle acque. L’ho detto anche a Mussolini, che continua ad essere depresso e che giudica - a ragione - la giornata di ieri quale la più umiliante dal principio della guerra. “Sono ormai 18 mesi che attendo una buona notizia, che non giunge mai. Sarei fiero di mandare anche io un telegramma come quello che Churchill ha mandato al suo Ammiraglio, ma invano da troppo tempo ne ricerco l’occasione.” (…) 13 novembre. Alla Marina sono scandalizzati di quanto è accaduto in Mediterraneo, ma con un Comando come l’attuale è impossibile attendersi meglio. Bigliardi mi ha descritto le fasi dell’incontro. Tutto sarebbe inspiegabile se non si sapesse che l’Ammiraglio Brivonesi era stato giudicato, da Cavagnari, inidoneo al Comando».
La condotta dell’ammiraglio Brivonesi e del capitano di vascello Bisciani, ritenuta tardiva e poco decisa, venne duramente criticata dagli alti Comandi della Marina; entrambi vennero rimossi dal comando, e Brivonesi fu anche deferito alla corte marziale. Tanto l’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso Tirreno, quando il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, ed il comandante della Squadra Navale, ammiraglio Angelo Iachino, furono molto critici verso il comportamento dei cacciatorpediniere della scorta diretta. Contemporaneamente, i rappresentanti della Marina tedesca in Italia (e specialmente il contrammiraglio Werner Löwisch, addetto navale tedesco a Roma), stigmatizzarono le gravi deficienze della Marina italiana nel combattimento notturno – dall’inadeguatezza dell’addestramento all’arretratezza del materiale e degli strumenti ottici a disposizione per il tiro di notte – che avevano facilitato questo successo britannico, e che ponevano le navi italiane in così gravi condizioni di inferiorità rispetto a quelle britanniche ogni volta che calava il buio.
La distruzione del convoglio “Duisburg” creò un’atmosfera di nervosismo ed insicurezza presso Supermarina, e determinò una nuova interruzione del traffico convogliato verso Tripoli: per una decina di giorni vennero inviati in quel porto solo convogli veloci di unità militari in missione di trasporto e qualche convoglietto di piroscafi di modesto tonnellaggio (attorno alle 1000 tsl), mentre venne di converso intensificato l’invio di convogli a Bengasi, porto più vicino alla prima linea anche se in grado di ricevere meno navi, ma soprattutto raggiungibile seguendo una rotta – partenza da Taranto o Brindisi ed eventuale scalo intermedio a Navarino – meno esposta ad eventuali attacchi navali provenienti da Malta.
Questi provvedimenti però ebbero comunque l’effetto di determinare una riduzione della quantità complessiva di rifornimenti giunti in Libia: tra perdite in mare e mancati invii, proprio il 9 novembre Rommel scriveva al Comando Supremo della Wehrmacht che a fine ottobre erano giunte a Bengasi solo 8093 tonnellate di rifornimenti su 60.000 previste (dato che per la verità sembra esagerato, se si considera che nel mese di ottobre le perdite di materiale sulle rotte della Libia furono del 23 %, dunque il 77 % dei rifornimenti partiti era pur giunto in Libia; ma forse l’aumento delle perdite provocò una riduzione nel flusso dei convogli e quindi parte dei materiali non partì neanche), che un terzo dell’artiglieria e vari reparti comunicazioni da impiegare nel previsto attacco contro Tobruk non sarebbero arrivati prima del 20 novembre, e che su tre divisioni italiane chieste per l’offensiva di novembre ne era arrivata soltanto una, per giunta a ranghi incompleti. Il mese di novembre 1941 fu in effetti il più nero della “battaglia dei convogli”: le perdite tra i carichi inviati in Libia sfiorarono il 70 %, percentuale mai lontanamente raggiunta prima e mai più raggiunta in seguito (in generale, anche nei mesi peggiori di fine 1942 e inizio 1943 le perdite rimasero sempre molto al disotto del 50 %: in ventuno dei trentuno mesi della battaglia dei convogli per la Libia, le perdite di rifornimenti in mare rimasero al di sotto del 20 %); e per il rifornimento più importante, il carburante, questa percentuale raggiungeva un impressionante 92 %.
Il 13 novembre Rommel volò a Roma a discutere la situazione con il maresciallo Cavallero; quest’ultimo reiterò le richieste italiane di un invio di bombardieri della Luftwaffe per riprendere il martellamento aereo di Malta.
Il comandante della Forza K, capitano di vascello Agnew, per parte sua descrisse così le motivazioni del suo successo contro il convoglio “Duisburg”: «a) accuratissimo messaggio del Maryland nel pomeriggio dell’8 novembre in seguito al quale la Forza K salpò da Malta alle 17.30; b) eccezionale fortuna della divisione navale britannica nell’intercettare subito il suo obiettivo; c) addestramento specifico della stessa Forza K alla ricerca e alla distruzione dei convogli nemici in ore notturne; d) grossolana negligenza da parte della Marina italiana». Per questa vittoria, Agnew venne insignito dell’Ordine del Bagno; il 27 novembre 1941, dopo che la Forza K aveva distrutto un altro convoglio (il «Maritza»), Churchill gli inviò un messaggio di congratulazioni: “Molte congratulazioni l’eccellente lavoro che avete svolto fin dal vostro arrivo a Malta, dite a nome mio ai vostri uomini di ogni grado che le due imprese nelle quali sono stati impegnati, vale a dire la distruzione dei convogli nemici l’8 novembre (…) hanno giocato un ruolo decisivo nella grande battaglia che sta ora infuriando in Libia (…) Tutti coloro che hanno partecipato possono essere orgogliosi di essere stati di grande aiuto alla Gran Bretagna ed alla nostra causa”.
Il primo tentativo di inviare a Tripoli un altro convoglio di mercantili di medio-grandi dimensioni dopo il disastro del “Duisburg”, il 21 novembre 1941, fallì a causa degli attacchi aerei e subacquei britannici, che provocarono il danneggiamento di due incrociatori ed il rientro in porto dei mercantili; fu necessario proseguire con espedienti di emergenza (missioni di trasporto da parte di navi da guerra, invio di mercantili veloci isolati che avevano più probabilità di sfuggire all’avvistamento, incremento del traffico con Bengasi) fino a metà dicembre, quando una serie di eventi concomitanti determinarono un forte indebolimento delle forze aeronavali britanniche nel Mediterraneo, dando così inizio ad un periodo di rinnovata “tranquillità” per i convogli italiani.
La Forza K sarebbe rimasta una spina nel fianco delle linee di rifornimento via mare dell’Asse fino al 18 dicembre 1941, quando, a caccia di convogli al largo di Tripoli, andò a finire su un campo minato posato in quelle acque da unità italiane proprio per una simile evenienza.



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