Il Rina Corrado (Arch. Giorgio Spazzapan, via www.promotorimuseimare.org) |
Piroscafo da carico
di 5179,67 tsl e 3124,63 tsn, lungo 125,93 metri, largo 15,94 e pescante 8,67,
con velocità di 11-11,5 nodi. Appartenente alla Società di Navigazione Corrado
di Genova, iscritto con matricola 1689 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo
di chiamata internazionale ICEM.
Breve e parziale cronologia.
1918?
Impostato sullo scalo
n. 1 dei cantieri Harland & Wolff Ltd. di Queen’s Island, Belfast.
22 agosto 1918
Varato come War Snake nei cantieri Harland &
Wolff Ltd. di Queen’s Island, Belfast (numero di costruzione 538).
28 agosto 1918
Dopo che
l’installazione di macchine e caldaie (ed anche il completamento di cabine e
sistemazioni interne) nello scafo appena varato è stata compiuta nel tempo di
record di soli sei giorni, il War Snake
può dare inizio alle prove di macchina.
29 agosto 1918
Completato come War Snake per lo Shipping Controller di
Londra.
Stazza lorda
originaria 5159 tsl; si tratta di un piroscafo da carico standardizzato tipo
"B", uno dei numerosi tipo di navi da carico standardizzate messi in
costruzione dal Regno Unito durante la prima guerra mondiale per rimpiazzare il
naviglio mercantile distrutto dagli U-Boote tedeschi. La decisione di mettere
in costruzione centinaia di nuove navi mercantili è stata presa dalle autorità
britanniche nel 1916, dopo un 1914 ed un 1915 che avevano visto il Regno Unito
perdere 1.600.000 tonnellate di naviglio mercantile; alla fine del 1916 è stato
creato a Londra lo Shipping Controller, autorità governativa incaricata
dell’organizzazione e gestione del naviglio mercantile requisito per le
esigenze belliche, che nel dicembre 1917 ha dato il via all’Emergency
Shipbuilding Programme, un piano per la costruzione di 3.100.000 tonnellate di
naviglio mercantile (in aggiunta alle navi messe in costruzione già nel 1916).
Piano tanto vasto da impegnare la totalità dei cantieri navali britannici e da
richiedere anche la realizzazione di nuovi cantieri “ad hoc” nel Canale di
Bristol, ed a far costruire una parte delle nuove navi in Canada (135 navi),
negli Stati Uniti (160 navi per circa 700.000 tsl) ed in Giappone. Le navi
costruite nel quadro dell’Emergency Shipbuilding Programme sono collettivamente
chiamate “navi tipo War” (pur non appartenendo ad un unico tipo): tutti i loro
nomi, infatti, sono composti da una parola preceduta dal prefisso “War”, come
nel caso del War Snake. Il piano
prevede nove diversi tipi di navi mercantili standardizzate, denominati A (con
la variante “AO”, nave cisterna), B (e la variante “BO”, cisterna), C, D, E, F,
G, H e N. Tutti sono accomunati da un progetto semplificato e dalla ricerca
della massima portata lorda al minimo costo, dalla massimizzazione
dell’efficienza e dalla riduzione delle esigenze di manutenzione. Il tipo “B”
(il più numeroso tra quelli costruiti, insieme al tipo “A”), di cui fa parte il
War Snake, è un piroscafo da carico
di aspetto piuttosto tradizionale, a due ponti e tre casseri, con un unico
albero a proravia del fumaiolo, di poco più di 5000 tsl, circa 8000 tpl, 122
metri di lunghezza per 16 di larghezza, propulso da una macchina a vapore a
triplice espansione con una singola elica per una velocità di undici nodi. Per
ridurre il rischio di avvistamento da parte degli U-Boote, l’albero è
telescopico ed i picchi di carico sono abbattibili, ed il progetto della nave è
caratterizzato da un profilo basso.
Registrato a Londra,
il War Snake viene affidato in
gestione a G. Heyn & Sons.
(Secondo un articolo
di giornale del 1923, il piroscafo sarebbe stato originariamente ordinato ai
cantieri Harland & Wolff dalla Cunard Line di Liverpool, col nome di Venusia, per la sua linea per Boston,
venendo tuttavia trasferito al governo britannico prima del completamento per
essere impiegato in guerra, e venendo ribattezzato War Snake. Il Venusia ed
il gemello Verentia sarebbero state
le prime navi da carico ordinate dalla Cunard nei cantieri Harland &
Wolff).
1918
Compie diversi viaggi
verso i porti del Mediterraneo, trasportando rifornimenti bellici.
In questo periodo fa
parte dell’equipaggio del War Snake
il fuochista Thomas Patrick Dillon, sopravvissuto sei anni prima
all’affondamento del transatlantico Titanic: Dillon era stato uno dei
pochissimi naufraghi ad essere recuperati dal mare – dopo essere rimasti a
bordo fino all’inabissamento della nave – da una delle due sole scialuppe
tornate indietro a cercare superstiti (la numero 4, al comando del timoniere
Walter Perkis).
25 febbraio 1919
Il marinaio William
S. Russell, di 43 anni, muore a bordo del War
Snake, ancora in regime di requisizione da parte del governo britannico,
mentre la nave si trova a Le Havre.
1919
Acquistato dalla
Cunard Steamship Company Ltd. di Liverpool (meglio nota come Cunard Line) e
ribattezzato Venusia (al contempo la
Cunard acquista anche il gemello War
Lemur, che ribattezza Verentia).
Stazza lorda e netta
risultano essere rispettivamente 5222 tsl e 3178 tsn.
Il Venusia ad Avonmouth, in una foto datata 27 settembre 1919 (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net) |
1921
Il Venusia entra in collisione in porto con
il piroscafo Nottingham della
Anglo-American Oil Company. L’incidente causerà una vertenza legale tra le due
compagnie.
21 aprile 1921
Partito da Londra il
9 aprile al comando del capitano Michael Doyle, il Venusia è la prima nave ad arrivare a Montreal dall’Europa al
termine della stagione invernale, intorno alle nove di sera. Com’è tradizione a
Montreal, pertanto, il comandante Doyle riceve dalla commissione di porto un
bastone con pomo dorato, quale simbolico trofeo.
Secondo diversi
giornali dell’epoca (che addirittura pubblicano nei loro articoli degli
aggiornamenti sulla rispettiva posizione dei due piroscafi), il Venusia avrebbe gareggiato con un altro
piroscafo in arrivo dall’Europa, il Cabotia della Donaldson Line (ex War Viper, piroscafo standardizzato tipo
B: un gemello del Venusia ex War Snake, anch’esso costruito dai
cantieri Harland & Wolff), per arrivare per primo a Montreal. Il Cabotia, partito da Glasgow lo stesso
giorno in cui il Venusia è salpato da
Londra, ed inizialmente “favorito”, ha accumulato un ritardo di un paio di
giorni a causa di una distesa di iceberg nella quale si è imbattuto, che lo ha
costretto a ridurre la velocità (anche il Venusia,
una ventina di miglia da Cape Ray, s’imbatte in una distesa di iceberg, nella
quale naviga per una quindicina di miglia prima di raggiungere acque libere).
Al suo arrivo a
Montreal il 24 aprile, tuttavia, il comandante del Cabotia, capitano W. E. Mitchell, dichiarerà alla stampa che non è
mai esistita nessuna gara tra i due piroscafi, e di aver anzi ricevuto ordine
di procedere a mezza velocità, essendo partito da Glasgow prima del previsto a
causa di un imminente sciopero dei portuali.
Il 28 aprile si terrà
invece nel porto di Montreal una regata tra una barca armata da ufficiali del Venusia ed una con ufficiali del Cabotia: le due barche, partite da una
boa vicino a Windmill Point, designano come traguardo una immaginaria linea che
parte all’altezza della plancia del Venusia.
La regata viene vinta dalla barca del Venusia.
Lo stesso giorno, nel pomeriggio, il presidente della commissione di porto di
Montreal, W. G. Ross (accompagnato dai colleghi M. Farquhar Robertson e A. E.
Labelle, nonché dal segretario della commissione di porto, P. Fennell, dal
comandante del porto, Toussaint Bourassa, dall’agente della Cunard Line a
Montreal Robert Reford e da vari funzionari locali), consegna al comandante
Doyle il bastone con pomo dorato a bordo del Venusia.
3 dicembre 1921
Il Venusia inaugura una nuova linea merci
della Cunard tra Londra e Boston.
La nuova linea è
servita da tre piroscafi – Venusia, Verbania e Makaha – con partenza bisettimanale nei mesi invernali, fino a
quando l’arrivo della primavera permette la riapertura del porto di Montreal in
Canada; all’andata i piroscafi vanno da Londra a Boston senza scali intermedi,
mentre al ritorno – se non sono stati completamente caricati a Boston – fanno
sosta a Portland per completare il carico.
Giugno-Luglio 1923
Il Venusia, in servizio sulla linea
Londra-Boston, rimane bloccato per due mesi a Londra a causa dello sciopero di
massa dei lavoratori portuali britannici.
Agosto 1923
Acquistato dalla
American Levant Line Ltd./S. & J. Thompson di Londra e ribattezzato River Delaware.
Giugno 1924
Sottoposto in bacino ad
alcune riparazioni di minore entità a Chester, in Pennsylvania.
23 dicembre 1927
Durante le operazioni
di caricamento del River Delaware nel
porto di New York, lo scaricatore di porto John McGrath, di sessant’anni,
precipita nella stiva, rimanendo ucciso.
1931
Acquistato dalla
Società Anonima di Navigazione Corrado, con sede a Genova, e ribattezzato Rina Corrado. Nominativo di chiamata
internazionale PEML.
1933
Il nominativo di
chiamata radio cambia da PEML ad ICEM.
9 ottobre 1935
Sei giorni dopo
l’inizio della guerra d’Etiopia, un gruppo di lavoratori portuali gallesi
prende d’assalto il Rina Corrado al
suo arrivo nel porto di Cardiff, tappezzandone dapprima la murata con grandi
manifesti recanti la scritta "Hands off Ethiopia" (“giù le mani
dall’Etiopia”), per poi sciamare a bordo lungo la passerella ed applicare altri
manifesti sui boccaporti, mentre a terra una folla di diverse centinaia di
persone li acclama. Gli ufficiali del Rina
Corrado protestano per l’ostile accoglienza ricevuta. I manifestanti si
disperdono poi prima dell’arrivo della polizia.
5 febbraio 1941
Il Rina Corrado, il piroscafo Enrico Costa e la pirocisterna Alberto Fassio partono da Bari alle 16
diretti a Tripoli, in convoglio privo di scorta.
9 febbraio 1941
Dopo una sosta a
Palermo, il convoglio raggiunge indenne Tripoli alle 10.
Il Rina Corrado sbarca un reparto di
cavalleria a Patrasso, nel maggio 1941 (Archivio Centrale dello Stato)
13 maggio 1941
Il Rina Corrado, insieme ai piroscafi Casaregis e Laura C., salpa da Brindisi a mezzogiorno con la scorta della
torpediniera Castelfidardo. I
tre piroscafi trasportano viveri e materiali per la costruzione di un oleodotto
lungo il Canale di Corinto: il progetto è stato voluto dalla Regia Marina
perché le petroliere italiane, che trasportano in Italia nafta romena dal Mar
Nero, sono troppo grandi per poter attraversare il canale a pieno carico; per
questo, si prevede che debbano scaricare parte della nafta all’imbocco del
canale, per poi reimbarcarla all’altra estremità, dove essa verrà pompata attraverso
l’oleodotto. Inoltre, l’oleodotto sarebbe ancor più utile qualora il transito
nel Canale di Corinto dovesse essere interrotto per bombardamento aereo.
14 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Patrasso alle 13.10. I lavori di costruzione dell’oleodotto, grazie al
personale e materiale trasportati dal Rina
Corrado e dalle altre navi, avranno inizio il 19 maggio.
2 agosto 1941
Il Rina Corrado compie un viaggio da
Patrasso a Catania, con la scorta della torpediniera Altair.
7 ottobre 1941
Requisito a Messina
dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario
dello Stato.
29 ottobre 1941
Nella notte tra il 28
ed il 29 ottobre il Rina Corrado e la
pirocisterna Conte di Misurata, sotto
carico nel porto di Palermo, vengono infruttuosamente attaccati da bombardieri
britannici in più ondate. Durante l’ultima ondata, intorno alle tre di notte,
la nebbia artificiale emessa per occultare le navi ormeggiate nel porto si
dirada, il che permette agli aerei attaccanti – complice la notte serena e
luminosa, con eccellente visibilità notturna – di meglio localizzare Rina Corrado e Conte di Misurata, prendendoli particolarmente di mira; grazie
anche alla reazione contraerea (che dissuade i bombardieri dall’avvicinarsi
troppo prima di sganciare), tuttavia, nessuna delle bombe va a segno.
(Archivio Centrale dello Stato) |
Convoglio “Duisburg”
Alle 3.30 dell’8
novembre 1941 il Rina Corrado, al
comando del capitano di lungo corso Guglielmo Schettini, salpò da Messina alla
volta di Tripoli, con un carico di 4167 tonnellate di materiali vari per le
forze armate italiane e l’amministrazione civile della Libia, 621 tonnellate di
munizioni e materiale d’artiglieria, 807 tonnellate di carburante in fusti (benzina
per aerei, secondo una fonte) e tre automezzi del peso complessivo di tre
tonnellate. Erano inoltre a bordo, oltre all’equipaggio, cinque militari del
Regio Esercito diretti in Libia. Ricopriva il ruolo di regio commissario l’anziano
1° capitano del Genio Navale Direzione Macchine Benedetto Trucco.
Insieme al Rina Corrado uscirono da Messina la
pirocisterna Conte di Misurata
(capitano di lungo corso Mario Penco) e la loro scorta, i
cacciatorpediniere Grecale (capitano
di fregata Giovanni Di Gropello), Libeccio (capitano
di fregata Corrado Tagliamonte) ed Alfredo
Oriani (capitano di fregata Vittorio Chinigò). Queste cinque navi
formavano il secondo gruppo di un grande convoglio, denominato «Beta», in
partenza per la Libia con un ingente quantitativo di rifornimenti per le truppe
italo-tedesche operanti in Nordafrica: in tutto costituivano tale convoglio
sette navi mercantili e sei cacciatorpediniere di scorta.
Il primo e più
numeroso gruppo del convoglio, salpato da Napoli il giorno precedente, era
formato dalla motonave Maria (capitano
di lungo corso Angelo Pogliani), dal piroscafo italiano Sagitta (capitano di lungo corso Domenico Ingegneri), dalla
motonave cisterna Minatitlan
(capitano di lungo corso Guido Incagliati) e dai piroscafi tedeschi Duisburg (capitano di lungo
corso Arno Ostermeier, capoconvoglio) e San Marco (capitano di lungo corso Paul Ossemberg), scortati
dai cacciatorpediniere Maestrale (caposcorta,
capitano di vascello Ugo Bisciani), Euro (capitano
di corvetta Giuseppe Cigala Fulgosi) e Fulmine (capitano
di corvetta Mario Milano). La riunione dei due gruppi era prevista per il mattino
dell’8 novembre, nello stretto di Messina.
Il convoglio «Beta», noto
anche come "Duisburg" (51. Seetransportstaffel per i comandi
tedeschi), era in assoluto uno dei più grandi convogli dell’Asse mai partiti
per l’Africa Settentrionale: normalmente, infatti, i convogli italo-tedeschi
per la Libia non contavano più di tre o quattro mercantili. La formazione di un
convoglio tanto numeroso, in vista di una pianificata offensiva italo-tedesca
contro Tobruk e l’Egitto (con inizio previsto per il 21 novembre, per la quale
era necessario costituire considerevoli riserve di carburante ed altri
rifornimenti), era stata autorizzata dal Comando Supremo il 29 ottobre, a
dispetto della perplessità della Marina. A fine ottobre il traffico con il
Nordafrica era stato temporaneamente interrotto a seguito della notizia
dell’arrivo a Malta, il 21 ottobre (136° anniversario di Trafalgar, data scelta
non a caso), di una formazione navale britannica: la Forza K, composta dagli
incrociatori leggeri Aurora e Penelope e dai
cacciatorpediniere Lance e Lively. Questa formazione aveva la
precisa finalità di insidiare le linee di rifornimento italo-tedesche
dell’Africa Settentrionale, compiendo scorrerie notturne – profittando della
superiorità della Royal Navy rispetto alla Regia Marina nel combattimento
notturno, dovuta sia al possesso del radar che ad un migliore addestramento
alle azioni di notte – a danno dei convogli dell’Asse diretti in Libia. Aurora e Penelope erano stati inviati direttamente dal Regno Unito
(provenivano da Scapa Flow), Lance e Lively erano invece stati
distaccati dalla Forza H di Gibilterra.
L’invio a Malta della
Forza K scaturiva da una richiesta originatasi direttamente dal primo ministro
britannico Winston Churchill, il 22 agosto 1941, per mezzo di una lettera
spedita all’Ammiragliato britannico: intervenendo in una diatriba in corso fin
da inizio luglio tra l’Ammiragliato ed il Comitato dei Capi di Stato Maggiore,
nella quale si lamentava l’insufficienza dei mezzi a disposizione della
Mediterranean Fleet per assolvere il suo compito di contrasto all’invio di
rifornimenti dall’Italia alla Libia, Churchill proponeva di dislocare a Malta
una forza leggera composta da uno o due incrociatori ed unità sottili. La
risposta fu la costituzione della Forza K.
Tra il 21 ottobre e
l’8 novembre la nuova forza britannica di base a Malta aveva già compiuto due
tentativi di scorreria notturna, ma senza successo: nelle notti del 25-26
ottobre e dell’1-2 novembre, infatti, le navi della Forza K erano uscite in
mare per intercettare rispettivamente un convoglio italiano ed una formazione
di cacciatorpediniere in missione di trasporto, ma non erano riuscite a trovare
né l’uno né l’altra ed erano rientrate a mani vuote.
La sospensione dei
traffici da parte italiana, ordinata il 22 ottobre (dopo che l’arrivo a Malta
delle navi britanniche, segnalato dallo spionaggio italiano nell’isola, era
stato confermato anche dalla ricognizione aerea) dal capo di Stato Maggiore
della Regia Marina, ammiraglio Arturo Riccardi (che aveva altresì sollecitato
un’intensificazione dei bombardamenti su Malta da parte dell’Aeronautica,
invitando al contempo il Comando Supremo a fare pressione sull’alleato tedesco
affinché i reparti aerei della Luftwaffe, ritirati dal Mediterraneo qualche
mese prima, venissero riportati in Italia), era durata pochi giorni: poi era
dovuta inevitabilmente riprendere, data la necessità di far avere nuovi
rifornimenti alle forze di Rommel, a maggior ragione in vista della già citata
nuova offensiva prevista per il 21 novembre, la cui preparazione richiedeva
rifornimenti urgenti di considerevoli quantitativi di munizioni, carburanti ed
automezzi. Per prima cosa si era ripreso ad inviare mercantili isolati o a
coppie a Bengasi; poi si era deciso l’invio del convoglio «Beta», che però
sarebbe stato mandato a Tripoli, porto molto più lontano dalla prima linea,
invece che a Bengasi: quest’ultimo porto, infatti, non era in grado di ricevere
e scaricare un convoglio tanto grande. Non era possibile inviare rapidamente in
Libia i rifornimenti previsti per la nuova offensiva utilizzando soltanto
Bengasi; c’erano per la verità anche altri porti della Cirenaica (Bardia,
Derna, Ain-el-Gazala) che per la loro posizione avrebbero potuto essere
raggiunti senza grande rischio di essere attaccati da Malta, ma le loro
capacità ricettive erano ancora più ridotte di quelle di Bengasi, ed inoltre
tali approdi erano troppo esposti agli attacchi aerei provenienti dalle basi
dell’Egitto. In tutta la Libia, soltanto Tripoli era in grado di ricevere e
scaricare i quantitativi di rifornimenti necessari per la preparazione
dell’offensiva, od anche solo per la normale “sopravvivenza” dell’armata
italo-tedesca. Pertanto, fin da inizio novembre l’ammiraglio Arturo Riccardi,
capo di Stato Maggiore della Regia Marina, si era ritrovato insistentemente
“pressato” affinché si riprendesse il prima possibile il traffico con Tripoli,
a partire dall’invio dei numerosi mercantili, tra cui due navi cisterna, già
carichi ed in attesa dell’ordine di partenza nei porti del Sud Italia. Il 3
novembre Supermarina aveva risposto che il convoglio richiesto sarebbe potuto
essere preparato subito, a patto che gli fosse stata fornita una scorta aerea
sia diurna che notturna; ma la scorta aerea notturna era al di fuori delle possibilità
della Regia Aeronautica e della Luftwaffe, per cui si era dovuto organizzare il
convoglio «Beta» accontentandosi della sola scorta diurna.
In origine
Supermarina aveva stabilito che Rina
Corrado e Conte di Misurata
sarebbero dovuti partire da Palermo, invece che da Messina, e con la scorta dei
soli Grecale e Libeccio (l’Oriani non
avrebbe fatto parte della scorta del convoglio, mentre nella scorta del gruppo
proveniente da Napoli ci sarebbe dovuto essere un cacciatorpediniere in più, l’Antoniotto Usodimare, che poi non
partecipò all’operazione); questo gruppo si sarebbe dovuto unire a quello
proveniente da Napoli 20 miglia a nord di Pantelleria. Era inoltre previsto che
il convoglio dovesse salpare tra il 4 ed il 5 novembre, raggiungendo Tripoli la
sera del 6 novembre. Di ciò Supermarina aveva informato Superaereo il mattino
del 3 novembre; il Comando Superiore dell’Aeronautica aveva impartito le
disposizioni per la scorta del convoglio con aerei da caccia, voli di vigilanza
e ricognizione, il bombardamento dei porti ed aeroporti di Malta e
l’approntamento su allarme dei reparti aerei, ma poco dopo Supermarina aveva
fatto sapere che la partenza del convoglio era rimandata per via delle avverse
condizioni meteomarine. Per la verità, più che un miglioramento del tempo i
vertici della Marina aspettavano di poter chiarire quali scorte aeree e navali
sarebbero state disponibili, ed erano ancora incerti sulla rotta da seguire
(inizialmente si era pensato di far passare il convoglio ad ovest di Malta,
seguendo la rotta del Canale di Sicilia, ma alla fine si decise invece per la
rotta ad est di Malta, tracciando un percorso molto allargato che passasse
vicino alla costa occidentale greca per tenersi lontano dal raggio d’azione
degli aerosiluranti maltesi). Si sarebbe voluto aspettare almeno una settimana,
confidando nel previsto arrivo in Sicilia dei 30 bombardieri tedeschi Ju 88 del
Kampfgruppe 606 della Luftwaffe, che il sottocapo di Stato Maggiore della
Marina, ammiraglio Luigi Sansonetti, giudicava «particolarmente adatti alla lotta su Malta». Ma non c’era tanto
tempo a disposizione: il Comando Supremo premeva perché quegli urgenti
rifornimenti venissero inviati a Tripoli al più presto, accettando «il rischio e il prezzo» che si sarebbe
dovuto pagare, come riferì per telefono l’ammiraglio Sansonetti all’ammiraglio
Angelo Iachino, comandante in capo della Squadra Navale.
Il 5 novembre il capo
di Stato Maggiore generale, Ugo Cavallero, aveva ordinato personalmente al
generale Giuseppe Santoro, sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, di
garantire al convoglio una adeguata scorta aerea. Per parte sua Supermarina, al
fine di scongiurare eventuali attacchi da parte delle navi di superficie
britanniche che si sapeva ora avere base a Malta, assegnò al convoglio, oltre
ai soliti cacciatorpediniere della scorta diretta, anche una scorta indiretta
formata da due incrociatori pesanti, aventi armamento nettamente superiore a
quello degli incrociatori britannici di Malta: la III Divisione Navale
dell’ammiraglio Bruno Brivonesi, con Trento e Trieste. In un primo momento si era
optato per l’VIII Divisione Navale, di base a Palermo e composta dai due grossi
incrociatori leggeri Luigi di Savoia
Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi (i più moderni e potenti incrociatori del tipo presenti nei
ranghi della Regia Marina, nettamente superiori ad Aurora e Penelope),
ma poi si era ritenuto meglio utilizzare degli incrociatori pesanti.
L’ammiraglio
Brivonesi, che aveva già compiuto altre missioni di scorta convogli, fin dal
maggio 1941 aveva avanzato dei dubbi sulla realizzabilità e opportunità di una
scorta ravvicinata ad un convoglio da parte di grossi incrociatori: in caso di
allarme, infatti, con le improvvise accostate e dispersioni di unità che
conseguivano spesso a tali situazioni, aumentava il rischio di collisioni o di
incidenti di fuoco amico; per quanto riguardava la posizione da far assumere
gli incrociatori, Brivonesi riteneva che l’unica abbastanza soddisfacente fosse
una posizione a poppavia del convoglio, che oltre a proteggere il lato poppiero
avrebbe consentito di intervenire rapidamente in caso di attacco sia sul lato
dritto che su quello sinistro, e di manovrare tempestivamente in armonia col
convoglio. Tenere gli incrociatori a proravia del convoglio, infatti, risultava
difficile sul piano pratico e non consentiva di proteggerne né i fianchi né il
lato poppiero; tenerli su un lato sarebbe stato più semplice, avrebbe
consentito di proteggere adeguatamente soltanto quel lato, lasciando scoperto
l’altro.
Il 6 novembre,
Supermarina aveva comunicato a Superareo i particolari dell’operazione con
l’Avviso n. 7401: i mercantili Duisburg, San Marco, Maria, Minatitlan e Sagitta sarebbero dovuti partire da
Napoli alle cinque del 7 novembre, scortati da sette cacciatorpediniere della
Squadriglia «Maestrale» (quest’ultima essendo la nave caposcorta), ed avrebbero
fatto rotta sud verso lo stretto di Messina, ove si sarebbero uniti al
convoglio Rina Corrado e Conte di Misurata, provenienti da
Palermo con la scorta di altri tre cacciatorpediniere. I quattro
cacciatorpediniere della XIII Squadriglia (capitano di vascello Ferrante
Capponi: Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino,
partiti da Napoli insieme al primo gruppo del convoglio, che avevano seguito a
distanza) si sarebbero poi uniti alla III Divisione Navale, mentre il convoglio
così formato sarebbe entrato in Mar Ionio con la scorta degli altri sei caccia;
la formazione avrebbe fatto rotta su Tripoli e la III Divisione, partita da
Messina, avrebbe fornito protezione al convoglio con speciale attenzione a
minacce provenienti da Malta. Alle 19 del 10 novembre il convoglio si sarebbe
ormai trovato prossimo a Tripoli, dunque il gruppo «Trieste» avrebbe invertito
la rotta per tornare alla base, mentre i mercantili e la scorta diretta
avrebbero raggiunto Tripoli alle 17.30 dell’11 novembre. Per precauzione nel
caso di intercettazioni, il messaggio non indicava i nomi dei porti,
sostituendoli con nominativi convenzionali: ad esempio, "punto Base"
per Messina, "punto Lunghezza" per Tripoli. Per quanto riguardava la
copertura aerea, gli idrovolanti della Ricognizione Marittima di base a Messina
avrebbero fornito scorta aerea antisommergibili sia al convoglio che alla III
Divisione fino al tramonto dell’8 novembre, per un raggio di 100 miglia dalle
coste della Sicilia. Il 9 ed il 10 novembre, invece (durante l’avvicinamento e
l’arrivo a Tripoli del convoglio), se ne sarebbero occupati gli idrovolanti
della Ricognizione Marittima di base a Tripoli. Gli idrovolanti di Messina
avrebbero poi riassunto la protezione della III Divisione, di ritorno alla
base, quando questa fosse giunta a 100 miglia dalla costa siciliana, nella
giornata dell’11 novembre.
Il convoglio avrebbe
seguito la rotta che passava ad est di Malta; complessivamente, i sette mercantili
avrebbero trasportato in Nordafrica 34.473 tonnellate di materiali (di cui
17.281 tonnellate di carburante e 1579 di munizioni), 389 autoveicoli (172
italiani e 217 tedeschi) e 243 uomini (145 militari italiani, 77 militari
tedeschi e 21 civili diretti in Libia).
Rispetto ai piani
originari era stato inserito uno scalo intermedio per Rina Corrado e Conte di
Misurata, che non sarebbero più partiti direttamente da Palermo per unirsi
al gruppo di Napoli a nord di Pantelleria, bensì avrebbero fatto scalo a
Messina e si sarebbero uniti al primo gruppo nello stretto. I due bastimenti
avevano infatti imbarcato il loro carico a Palermo, come previsto, e poi
avevano lasciato quel porto poco prima della mezzanotte del 6 novembre,
scortati da Libeccio, Grecale ed Oriani, ed avevano raggiunto Messina intorno alle due del
pomeriggio del 7 novembre, sostandovi fino alle prime ore dell’8, quando ne
erano ripartiti per congiungersi col gruppo proveniente da Napoli.
Insieme a Rina Corrado, Conte di Misurata, Libeccio,
Grecale ed Oriani uscirono da Messina anche Maestrale, Fulmine ed Euro, che erano entrati in quel porto
nel pomeriggio del 7 novembre per fare rifornimento, affidando temporaneamente
la scorta dei mercantili di Napoli alle quattro unità della XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere.
Dopo aver lasciato
Messina il Rina Corrado, la Conte di Misurata e la scorta diressero
per uscire dallo Stretto assumendo rotta verso sud a bassa velocità, in modo da
lasciarsi raggiungere dal gruppo proveniente da Napoli. La riunione tra i due
gruppi del convoglio – dei quali il primo, quello proveniente da Napoli, aveva
già superato lo stretto – avvenne alle 4.30 dell’8 novembre, a sud dello
stretto di Messina; si formò un unico convoglio di sette mercantili scortati da Maestrale, Libeccio, Grecale, Oriani, Fulmine ed Euro,
mentre i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, dopo essersi
riforniti a loro volta a Messina (cosa che fecero dopo la riunione delle altre
navi), si unirono alla III Divisione (incrociatori pesanti Trento e Trieste, nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Bruno
Brivonesi), salpata da Messina alle 12.35 per fornire scorta indiretta al
convoglio.
Durante la mattina
vennero avvistati da diverse navi alcuni aerei nemici diretti verso ovest: andavano
ad attaccare un altro convoglio diretto in Libia, il convoglio
"Pegaso".
Alle 16.45, con
l’arrivo della III Divisione (che raggiunse il convoglio in posizione 37°40’ N
e 15°57’ E, a 19 miglia per 155° da Capo dell’Armi, e si posizionò a poppavia
dello stesso) la formazione poteva dirsi completa.
Il convoglio
procedeva su tre colonne: il Rina Corrado
formava la colonna centrale insieme a Duisburg
e Sagitta, mentre San Marco e Conte di Misurata formavano la colonna di dritta e Minatitlan e Maria quella di sinistra. Il Fulmine era posizionato a dritta della terza colonna, il Libeccio a sinistra della prima
colonna; il Maestrale e l’Euro precedevano rispettivamente la
colonna di dritta e quella di sinistra, mentre Oriani e Grecale le
seguivano. Le navi procedevano ad otto nodi di velocità.
Vi era anche, fin
dalla partenza da Napoli e Messina – ma solo di giorno –, una scorta aerea per
la quale erano stati mobilitati in tutto 64 aerei (58 dell’Armata Aerea e 6
idrovolanti antisommergibili), mantenendo sempre otto velivoli costantemente in
volo sul cielo del convoglio. Sul Maestrale,
per coordinare l’attività di tale scorta aerea, era stato imbarcato il tenente
pilota Paolo Manfredi della Regia Aeronautica.
Dalle 7.30 fino alle
17.30, sul cielo del convoglio e della III Divisione si alternarono dieci
idrovolanti CANT Z. 506 della Ricognizione Marittima, due bombardieri Savoia
Marchetti SM. 79 "Sparviero" e ben 66 caccia (34 Macchi MC 200 del
54° Stormo della Regia Aeronautica, due FIAT CR. 42 del medesimo stormo, 22 CR.
42 del 23° Gruppo e otto Messerschmitt Bf 110 della 9a Squadriglia
del 3° Gruppo del 26° Stormo da Caccia della Luftwaffe). I caccia si
alternavano sul convoglio in numero di quattro per volta: una coppia ad alta
quota per contrastare eventuali attacchi di bombardieri, e una coppia a 1000
metri di quota per contrastare attacchi a volo radente e di aerosiluranti.
Tre coppie di SM. 79
decollarono dalla Sicilia ed effettuarono ricognizione marittima verso sudest;
altri aerei dell’Aeronautica della Sicilia erano incaricati di effettuare
missioni di ricognizione e bombardamento sul porto della Valletta.
Ad ulteriore
protezione del convoglio, Supermarina aveva inviato nelle acque di Malta i
sommergibili Delfino, Corallo e Luigi Settembrini, con compiti esplorativi ed offensivi nei
confronti di unità britanniche in partenza dall’isola.
L’incrociatore
pesante Gorizia (anch’esso
appartenente alla III Divisione) ed i cacciatorpediniere Carabiniere e Corazziere della XII Squadriglia
erano a Messina, pronti a muovere in due ore qualora se ne fosse manifestata la
necessità.
Una volta in franchia
dello stretto di Messina (la riunione avvenne subito dopo il suo superamento da
parte del primo gruppo di navi), il convoglio mise la prua verso est (rotta
90°), per imboccare la rotta che passava ad est di Malta, al largo della costa
occidentale greca – rotta più lunga ma anche più sicura, perché avrebbe
consentito di restare fuori dal raggio d’azione degli aerosiluranti di Malta,
stimato in 190 miglia –, nonché per ingannare i britannici circa la
destinazione del convoglio, facendo credere che questa fosse un porto della
Grecia oppure Bengasi. (La formazione compì le accostate prestabilite con un
anticipo di circa un’ora e mezza rispetto a quanto disposto da Supermarina, ma
ciò ebbe l’effetto positivo di far passare il convoglio a distanza da Malta
ancora superiore rispetto a quanto stabilito).
Durante la
navigazione verso est, inoltre, le unità effettuarono diverse accostate verso
ovest per confondere le idee ad eventuali ricognitori circa la loro rotte; ciò
non bastò tuttavia ad impedire che, nel pomeriggio dell’8 novembre – alle
16.45, poco prima del tramonto, secondo il resoconto italiano; già alle 13.55,
secondo quello britannico – il convoglio (ma non la III Divisione) venisse
comunque localizzato, in posizione 37°38’ N e 17°16’ E (o 37°53’ N e 16°56’ E;
40 o 45 miglia ad est di Capo Spartivento Calabro, parecchio ad est di Malta),
da un ricognitore Martin Maryland del 69th Reconnaissance
Squadron della Royal Air Force, decollato da Luqa (Malta) e pilotato
personalmente dal tenente colonnello John Noel Dowland, comandante del 69th Reconnaissance
Squadron. L’idrovolante stava rientrando a Malta quando avvistò il convoglio.
In quel momento,
aerei italiani e tedeschi si trovavano ancora sul cielo del convoglio; le navi
della scorta – e più precisamente l’Euro,
che lo segnalò subito al Maestrale con
il messaggio ad ultracorte «Aerei in
vista Rb 200 – quota superiore quota 3.000», e poi anche a tutte le altre
navi ed a Supermarina con un segnale di scoperta via radio lanciato all’aria –
avvistarono il ricognitore da 5000 metri di distanza e fecero segnali luminosi
alla scorta aerea – con cui non fu possibile comunicare via radio – per
richiedere che attaccasse il velivolo nemico; al contempo il Duisburg, mercantile capoconvoglio, alzò
a riva i palloni di avvistamento aereo, ma gli aerei della scorta non fecero
nulla (per altra fonte, invece, le segnalazioni previste per avvisare gli aerei
della presenza del ricognitore non vennero effettuate, “per grave disservizio”).
Il Maryland si
trattenne in vista del convoglio solo il tempo strettamente necessario a
rilevarne gli elementi del moto, che comunicò prontamente a Malta alle ore 14
(«Un convoglio di 6 navi mercantili e 4
cacciatorpediniere diretto verso levante, nel punto 40 miglia per 95° da Capo
Spartivento», anche se la velocità, nella realtà 9 nodi, era sovrastimata
in 10-12 nodi). Il messaggio inviato a Malta dal Maryland venne intercettato
anche a Roma, ma fu decifrato soltanto in seguito. Oltre a sovrastimare la
velocità, il ricognitore aveva leggermente sottostimato il numero di navi nel
convoglio (specie di cacciatorpediniere) e non aveva minimamente notato la III
Divisione, che seguiva a distanza, mentre aveva apprezzato con estrema
accuratezza la rotta e posizione del convoglio.
Contrariamente a
molte altre occasioni, e nonostante quanto riferito da diverse fonti
secondarie, il servizio di intercettazione e decrittazione britannico “ULTRA”
non ebbe alcun ruolo nelle vicende del convoglio «Beta»: vennero infatti
intercettati soltanto tre messaggi molto vaghi, dei quali il primo – risalente
alle 13.10 del 7 novembre – poté essere decifrato solo alle 20.49 dell’8
novembre, risultando essere un radiocifrato in cui il Ministero della Marina
chiedeva al Comando Marina di Salonicco di inoltrare al X Corpo Aereo Tedesco
la richiesta di compiere alcuni voli di ricognizione nel Mediterraneo orientale
a protezione del convoglio «Beta». Il secondo messaggio intercettato, sempre
dal Ministero della Marina a Salonicco, era delle 20 dell’8 novembre e
recitava: "A protezione di attacchi
provenienti da Alessandria contro l’importante convoglio diretto a Tripoli, si
richiede al X Fliegerkorps tedesco di tenere pronte tutte le disponibili unità
per i giorni 9 e 10". Il terzo ed ultimo, in cui ancora una volta si
parlava di grosso convoglio diretto a Tripoli che sarebbe stato in mare il 9-10
novembre, per il quale si chiedeva la copertura del X Fliegerkorps, fu
decrittato dalla Special Liaison Unit di “ULTRA” al Cairo alle 00.34 del 9
novembre, cioè pochi minuti prima che la Forza K aprisse il fuoco contro il
convoglio. Tutti e tre i messaggi erano troppo vaghi per poter organizzare
un’intercettazione, non contenendo alcuna informazione su porti e orari di
partenza o di arrivo, rotta e velocità del convoglio; ma soprattutto, il primo
ad essere decrittato lo fu soltanto quando già da tre ore la Forza K era
partita per intercettare il convoglio “Duisburg”, basandosi sulle sole
informazioni dei ricognitori.
L’orientamento verso
est della rotta del convoglio (che virò verso sud solo più tardi) non ingannò i
comandi britannici: un convoglio tanto grande non poteva essere diretto né in
Grecia né a Bengasi, porto dalle capacità ricettive insufficienti ad accogliere
sette mercantili. L’unica destinazione plausibile era Tripoli, e le navi
italiane avrebbero cercato di raggiungerla tenendosi al di fuori del raggio
della portata degli aerosiluranti: il che permise ai britannici di intuire che
il convoglio sarebbe dovuto passare circa 200 miglia ad est di Malta, per poi
puntare verso sud dopo il tramonto per raggiungere un porto della Libia, sempre
seguendo una rotta che lo tenesse al di fuori del raggio degli aerosiluranti di
Malta.
Alle 17.30, di
conseguenza, salpò da Malta la Forza K britannica, formata dagli incrociatori
leggeri Aurora (capitano di
vascello William Gladstone Agnew, comandante della Forza K) e Penelope (capitano di vascello
Angus Dacres Nicholl) e dai cacciatorpediniere Lance (capitano di corvetta Ralph William Frank Northcott)
e Lively (capitano di
corvetta William Frederick Eyre Hussey), con il compito di intercettare il
convoglio segnalato. La partenza della Forza K fu tanto fulminea che il
comandante del Penelope,
capitano di vascello Nicholl, dovette raggiungere la sua nave con
un’imbarcazione, in quanto l’incrociatore stava già manovrando per uscire dal
porto. Lasciatesi Malta alle spalle, le navi britanniche assunsero rotta 064°
(verso est-nord-est) e velocità 28 nodi, in modo da intercettare il convoglio
alle due della notte seguente. La ricerca delle navi dell’Asse sarebbe avvenuta
lungo la presumibile rotta che il convoglio avrebbe seguito per tenersi al di
fuori della portata degli aerosiluranti di Malta.
La ricognizione aerea
italiana (due CANT Z. 1007 dell’Aeronautica dell’Egeo) e tedesca (due Junkers
Ju 88 del X Fliegerkorps) non avvistò le navi britanniche.
Anche un bombardiere
Wellington munito di radar (del 211st Squadron della RAF) ed
otto aerosiluranti Fairey Swordfish (dell’830th Squadron della
Fleet Air Arm, di base a Hal Far) decollarono da Malta per rintracciare il
convoglio nel tardo pomeriggio (il primo per seguirlo e mantenere il contatto
con esso, guidando sul posto la Forza K; i secondi per attaccarlo), ma non
riuscirono a trovarlo: il Wellington per malfunzionamento della radio e del
radar, gli Swordfish perché il convoglio seguiva appunto una rotta che lo
teneva al di fuori del loro raggio d’azione.
Niente di tutto ciò
era a conoscenza delle navi del convoglio «Beta», che proseguirono regolarmente
per la loro rotta. Il tempo era buono: mare calmo, nubi leggere e vento debole,
forza 3. La scorta aerea venne ritirata al tramonto.
Tra le 18 e le 18.30,
mentre la III Divisione Navale e la XIII Squadriglia Cacciatorpediniere
zigzagavano sulla sinistra del convoglio, quest’ultimo manovrò per passare
dalla formazione su tre colonne a quella su due colonne, distanziate di
1000-1500 metri. La nuova formazione era così composta: a dritta,
nell’ordine, Minatitlan, Maria e Sagitta; a sinistra, nell’ordine, Duisburg, San Marco e Conte di Misurata, mentre il Rina Corrado procedeva in coda alla
formazione, a poppavia degli altri sei mercantili, in posizione centrale
rispetto alle due colonne. Tutt’intorno la scorta diretta: Maestrale in testa al
convoglio, Grecale in coda
(dietro al Rina Corrado), Libeccio seguito dall’Oriani sul lato sinistro, ed Euro seguito dal Fulmine sul lato
destro.
Fino alle 19.30 il
convoglio seguì rotta 090°, poi accostò per 122°, ed alle 19.55 per 161°, sempre
per tenersi al di fuori del raggio d’azione degli aerosiluranti.
Alle 20.45 la III
Divisione si portò a poppa del convoglio, e tra le 22 e le 24 le navi di
Brivonesi risalirono il convoglio sino a portarsi a 30° di prora a dritta
del Maestrale (distante da
loro 4 km); poi, a mezzanotte, invertirono la rotta a un tempo per defilare di
controbordo al convoglio. L’ammiraglio italiano aveva pianificato i movimenti
della sua Divisione e la velocità da tenere in modo da tenersi in contatto col
convoglio, mantenendo al tempo stesso una sufficiente libertà di manovra, lungo
le spezzate da percorrere, per ridurre il pericolo di attacchi di sommergibili
avversari contro i suoi incrociatori. La velocità che la III Divisione avrebbe
dovuto tenere, secondo gli ordini di Supermarina, sarebbe stata di 16 nodi; ma
con una tale velocità gli incrociatori, per mantenersi in vista del convoglio
che procedeva a soli 9 nodi, avrebbero dovuto compiere accostate esageratamente
ampie, oppure allontanarsi troppo dal convoglio in ogni accostata. D’altra
parte, una velocità di 9 nodi non avrebbe consentito a Trento e Trieste di mantenere un’adeguata manovrabilità; pertanto
Brivonesi era giunto ad una soluzione di compromesso, facendo assumere alla III
Divisione una velocità di 12 nodi e tenendosi nella scia del convoglio,
manovrando periodicamente per risalire il convoglio sul lato di dritta (quello
rivolto verso Malta e dunque ritenuto più esposto) fino all’unità capofila,
indi accostare di controbordo e tornare in scia al convoglio, per poi replicare
tale manovra di pendolamento. In tal modo, le navi di Brivonesi si sarebbero
interposte tra i trasporti e la probabile direzione di provenienza di un
attacco navale britannico.
Intanto, la Forza K
navigava verso la sua ignara preda: avendo inizialmente assunto rotta verso
est, la formazione britannica virò verso sudest subito dopo il tramonto, ed
attraversò, senza essere avvistata, la zona d’agguato del Settembrini. Le unità britanniche erano
disposte in linea di fila, con l’Aurora in
testa seguito nell’ordine da Lance, Penelope e Lively, distanziati tra loro di 750
metri.
Agnew aveva già da
tempo preparato e discusso con i comandanti dipendenti un piano d’azione in
caso di attacco ad un convoglio: le navi britanniche sarebbero rimaste in linea
di fila, per evitare problemi di riconoscimento e per poter lanciare
liberamente siluri; prima di attaccare dei mercantili, la Forza K avrebbe
neutralizzato le navi di scorta presenti sul lato attaccato; nel caso altre
unità di scorta fossero apparse durante l’attacco ai mercantili, esse sarebbero
immediatamente divenute bersaglio prioritario; l’Aurora (capofila) avrebbe mantenuto ogni nave di scorta bene
di prora fino ad averla posta fuori uso. Così facendo, le navi britanniche
avrebbero potuto sfruttare al massimo la loro potenza di fuoco contro il
convoglio, e minimizzare il rischio di un attacco silurante. Agnew sottolineò
l’importanza di colpire subito i bersagli, fin dalle prime salve, e distribuire
il tiro in modo da non lasciar scampo a nessuna delle unità avversarie.
Alle 00.39 del 9
novembre le vedette sulla plancia dell’Aurora avvistarono
un gruppo di navi oscurate aventi rotta approssimata 170° (verso sud), a nove
miglia di distanza, su rilevamento 30°: era il convoglio “Duisburg”. Il radar non
ebbe alcun ruolo di rilievo nell’individuazione del convoglio: le navi italiane
vennero avvistate otticamente dalla Forza K, col solo uso di binocoli, perché
illuminate dalla luce lunare, mentre il radar fu poi impiegato nel puntamento
dei cannoni durante il combattimento. Secondo il rapporto britannico, in quel
momento le navi italiane si trovavano in posizione 36°55’ N e 17°58’ E (135
miglia a sud di Siracusa, 100 miglia ad est-sud-est di Capo Spartivento e 180
miglia ad est di Malta), a cinque miglia per 30° dalla Forza K (per altra
fonte, a 7 miglia per 30° dall’Aurora,
autore dell’avvistamento); la documentazione italiana indica invece il punto
dell’attacco come 37°00’ N e 18°10’ E, a circa 120 miglia dalle coste della
Calabria ("Navi mercantili perdute" indica la posizione come 37°08’ N
e 18°09’ E, circa 120 miglia a sudest di Punta Stilo o 130 miglia a sudovest
della Calabria). Secondo Agnew, la visibilità notturna era ottimale per
un’intercettazione, la luna splendente e luminosa (su rilevamento 100°, con
un’elevazione di 45°), e le condizioni perfette per un’intercettazione (vento
forza 3 da nord-nord-ovest, nubi leggere e calma di mare); nel suo rapporto, il
caposcorta Bisciani registrò brezza moderata verso sud-est, nuvolaglia leggera
e luna scoperta, con «orizzonte ottimo nel secondo quadrante, buono nel terzo,
fosco nel quarto». Secondo Brivonesi, la visibilità era buona quando la luna
era libera, e scarsa quando le nubi la coprivano.
(Secondo
"Struggle for the Middle Sea" di Vince O’Hara, poco ci era mancato
che le navi dell’Asse scampassero, anche questa volta, all’intercettazione: le
unità della Forza K erano infatti giunte quasi al punto in cui avrebbero dovuto
interrompere le ricerche e tornare indietro per raggiunti limiti di autonomia, e
Agnew scrisse in seguito che aveva quasi abbandonato le speranze di trovare il
convoglio segnalato dal Maryland, quando all’improvviso apparvero nell’oscurità
le sagome delle navi nemiche. Questo sembra però in contrasto con quanto
riferito da altre fonti, tra cui la storia ufficiale dell’USMM, secondo cui
invece l’incontro con il convoglio italiano avvenne un’ora prima del previsto,
dato che Agnew si aspettava di incontrarlo intorno alle due di notte: invece,
le navi dell’Asse avevano seguito una rotta più ad ovest di quella stimata dai
britannici, e la Forza K riuscì a trovarle senza neanche bisogno di dispiegarsi
in catena di ricerca. Questo era, peraltro, il modus operandi generalmente
seguito dalle unità britanniche: mentre nella nella Marina italiana la ricerca
di formazioni nemiche si compiva distendendo le proprie navi “a rastrello” in
linea di fronte o di rilevamento, i britannici compivano andavano in cerca di
convogli mantenendo le proprie formazioni compatte, in linea di fila).
Il convoglio italo-tedesco
avanzava su rotta 161° alla velocità di 9 nodi, nella formazione su due colonne
assunta alle 18.30; la III Divisione, quale scorta indiretta, seguiva il
convoglio a quattro chilometri a poppavia dritta (ossia verso ovest, ritenuta
la più probabile direzione di provenienza di un attacco: Malta, infatti, era a
dritta rispetto al convoglio), zigzagando alla velocità di dodici nodi.
Mezz’ora prima, le navi di Brivonesi avevano raggiunto il punto più
settentrionale nel loro pendolamento, ultimando l’accostata per defilare di
controbordo al convoglio; ora avevano accostato per assumere rotta parallela al
convoglio e ripetere il pendolamento, verso sud.
Qualcuna delle unità
della scorta diretta, grazie alla luna piena, avvistò anche la Forza K, 3-5 km
a poppavia, ma ritenne trattarsi della III Divisione. Il Bersagliere, che avvistò le navi
britanniche meno di un minuto prima che aprissero il fuoco, fu l’unico a capire
che si trattava di navi nemiche, ed a lanciare immediatamente il segnale di
scoperta, ma era già troppo tardi; il segnale fu ricevuto da Maestrale e Trieste proprio mentre la Forza K
iniziava a sparare.
Anziché attaccare
subito il convoglio, il comandante Agnew manovrò flemmaticamente per portarsi
nella posizione più favorevole all’attacco, di poppa al convoglio (dove in
genere la sorveglianza risultava più debole) e con la luna di fronte,
approfittando del fatto che nessuna nave italiana sembrasse accorgersi della
sua presenza.
La Forza K ridusse la
velocità da 28 a 20 nodi ed accostò a sinistra per 350°, quindi aggirò il
convoglio con una manovra che richiese 17 minuti, attraversandone la scia e
portandosi a poppavia dritta rispetto ad esso, di modo che i bersagli si
stagliassero contro la chiara luce lunare. Alle 00.50 l’Aurora, trovandosi quasi al traverso di un cacciatorpediniere
italiano che procedeva in coda al convoglio (probabilmente il Grecale), puntò dritto su di esso,
accostando a dritta su rotta est/nordest; Agnew apprezzò la composizione del
convoglio in otto grossi mercantili e quattro cacciatorpediniere. Aveva ormai
deciso cosa fare: avrebbe attaccato il convoglio da poppa e poi ne avrebbe
“risalito” la formazione, distruggendo sistematicamente i mercantili dopo aver
neutralizzato la scorta sul lato attaccato. I bersagli vennero identificati e
scelti dai puntatori, i cannoni puntati e preparati ad aprire il fuoco a colpo
sicuro. L’Aurora puntò
l’armamento principale, asservito al radar di scoperta navale tipo 284, sui
cacciatorpediniere della scorta, ed i cannoni da 100 mm di sinistra, asserviti
al radar tipo 290 ed alla centrale di tiro poppiera, sui mercantili.
Alle 00.52 la Forza K
avvistò su rilevamento 330° (verso sinistra) la III Divisione, della cui
presenza nessuno, da parte britannica, aveva fino a quel momento avuto sentore;
ma ciò non modificò le intenzioni di Agnew, il quale poco dopo concluse che le
due “navi maggiori” (che erano, in effetti, il Trento ed il Trieste,
che in quel momento si trovavano un poco di prua rispetto al traverso sinistro
dell’Aurora: il Trieste distava tre miglia e mezzo,
il Bersagliere meno di tre)
ed i cacciatorpediniere che le accompagnavano, oscurate e distanti sei miglia,
dovessero essere degli altri mercantili con la loro scorta (tanto che a cose
fatte, i britannici ritennero erroneamente di aver affondato dieci mercantili
invece che sette, credendo di aver attaccato "otto mercantili e quattro cacciatorpediniere nemici, seguiti da un
secondo convoglio di due cacciatorpediniere e due mercantili"). Alle
00.56 il Lively stimò che
il convoglio avesse rotta 150° e velocità 8 nodi; in base ai dati del suo
radar, il Maestrale (che al
momento dell’attacco si trovava al traverso a poppavia della Forza K, a sud
della stessa) distava 10.060 metri, i mercantili che lo seguivano 8230 metri.
Alle 00.57, infine, Aurora e Penelope, giunti circa 5 km a sudest del convoglio, aprirono il
fuoco sulle ignare navi italiane da una distanza di 5200 metri.
Il tiro britannico si
abbatté per primo sui cacciatorpediniere che proteggevano il lato più vicino
alla Forza K: Fulmine, Euro e Grecale. Il primo e l’ultimo vennero ripetutamente centrati prima
di poter avere il tempo per imbastire una reazione efficace: il Fulmine affondò dopo pochi minuti,
il Grecale rimase alla
deriva con danni gravissimi e decine di morti e di feriti gravi, completamente
fuori combattimento. L’Euro scampò
invece alla strage iniziale (venne anch’esso colpito, ma i danni non
risultarono gravi), e tentò di coprire i mercantili con una cortina fumogena,
imitato da Maestrale e Libeccio.
La Forza K defilò lungo
il fianco dei mercantili, orientando il tiro con l’ausilio dei radar tipo 284;
sempre per agevolare il tiro, inoltre, le navi britanniche lanciarono dei
bengala illuminanti a quote comprese tra i 600 ed i 1000 metri. Subito dopo l’Aurora, il cui primo bersaglio era stato
il Grecale (che venne
immobilizzato e incendiato dalle prime tre salve, dopo di che l’Aurora spostò il tiro sul Maestrale, contro il quale stava già
sparando il Penelope),
anche Lance e Penelope aprono il fuoco:
quest’ultimo tirò prima su un piroscafo, colpendolo, e poi sul Maestrale, che accostò per 80° (verso
sinistra, aggirando la testa del convoglio: Bisciani ritenne che l’unica
possibilità di attacco consistesse nel portarsi in posizione prodiera rispetto
alle navi nemiche, accostando a sinistra), accelerò a 20 nodi ed emise cortine
fumogene, seguito dal convoglio. Euro e Libeccio manovrarono anch’essi
aumentando la velocità, per tentare di occultare le navi di testa del convoglio
con cortine fumogene.
Per ordine del Maestrale, che aveva ordinato alle unità
della scorta di radunarsi intorno a lui, i superstiti cacciatorpediniere della
scorta diretta emisero cortine fumogene per nascondere i mercantili, poi
assunsero rotta verso est ed incrementano la velocità. Nella generale confusione,
il caposcorta Bisciani ritenne erroneamente che l’attacco provenisse dal lato
sinistro del convoglio (in realtà ad essere sotto attacco era il lato destro),
e che le navi sul lato destro fossero quelle della III Divisione (mentre era la
Forza K). Poco dopo, il Maestrale stesso
fu colpito dal tiro britannico, subendo danni leggeri ma anche l’abbattimento
dell’aereo della radio, il che gli impedì di comunicare con il resto della
scorta e del convoglio.
I cacciatorpediniere
della scorta diretta che si trovavano sul lato orientale del convoglio (Libeccio ed Oriani) si ritrovarono così disorientati
e senza ordini; per la loro posizione, non avevano neanche compreso – per lo
meno nei primi minuti, quelli decisivi – quale fosse il tipo di attacco
lanciato contro il convoglio. Si limitarono ad emettere fumo. Alcuni ritennero
che le navi fossero sotto attacco aereo, invece che da parte di altre navi di
superficie (come attestato nel suo rapporto anche dal tenente Manfredi
dell’Aeronautica, imbarcato sul Maestrale):
questa fu anche l’impressione che ebbero sulle prime i comandanti di diversi
mercantili, anche a causa dei molti bengala lanciati dalle navi della Forza K
per agevolare il tiro. Tale convinzione si spinse a tal punto che alcuni dei
mercantili aprirono un fitto e disordinato fuoco con le mitragliere in tutte le
direzioni, sparando praticamente a caso contro aerei che non esistevano. Come
se non bastasse, alcune delle mitragliere dei mercantili, credendo di trovarsi
sotto attacco da parte di aerosiluranti (che conducevano i loro attacchi
volando a bassa quota), tiravano basso, e finirono col colpire col loro tiro
l’agonizzante Fulmine,
provocando ulteriori perdite tra il già decimato equipaggio del
cacciatorpediniere.
Altro effetto
pernicioso della convinzione di trovarsi sotto attacco aereo, anziché navale,
fu che i mercantili non tentarono di disperdersi e fuggire (o anche solo di
dare la poppa alle navi britanniche), come si faceva solitamente in caso di
attacco da parte di navi di superficie: così avrebbero quanto meno reso più
difficile alla Forza K il compito di rintracciarlo e distruggerli. Disperdere
il convoglio sotto un attacco aereo, infatti, avrebbe reso i mercantili più
vulnerabili, privandoli della protezione delle armi contraeree dei cacciatorpediniere
ed impedendo il tiro concentrato delle armi contraeree di tutte le navi; mentre
in un attacco da parte di navi di superficie, mantenere intatta la formazione
serviva solo a facilitare il compito degli aggressori.
Intanto, all’1.18, l’Euro andò al contrattacco
silurante, unica unità della scorta ad abbozzare un effettivo tentativo di
reazione; il suo comandante, tuttavia, ebbe il dubbio di stare attaccando le
navi della III Divisione (anche per via degli ordini impartiti dal caposcorta),
così rinunciò a lanciare i siluri ed abbandonò il contrattacco, accostando a
sinistra per riunirsi a Maestrale, Libeccio ed Oriani, che dirigevano verso est
inquadrati dal tiro delle artiglierie della Forza K.
I mercantili, nel
vano tentativo di sfuggire alla Forza K (proveniente da ovest, cioè da dritta),
misero la prua verso est (verso sinistra); molti comandanti continuavano a non
rendersi conto di cosa esattamente stesse accadendo, alcuni virarono verso est
perché si erano resi conto che l’attacco proveniva da ovest, altri
semplicemente per imitazione di manovra dei primi, altri ancora perché così
facendo potevano rifugiarsi nelle cortine fumogene stese dai
cacciatorpediniere. Ma non servì a niente. Anche il Maestrale, per motivo difficilmente spiegabile (il relativo volume
dell’U.S.M.M. così giudica tale manovra del caposcorta: "Forse d’istinto più che in base ad un
ragionamento"), dopo aver trasmesso l’ordine di coprire i mercantili
con cortine nebbiogene (l’ultimo impartito prima dell’abbattimento dell’aereo
radio) mise la prua in tale direzione, inquadrato dalle salve nemiche. Oriani e Libeccio, in mancanza di ordini, seguirono loro caposcorta per
imitazione di manovra, continuando ad avvolgere i mercantili in inutili cortine
nebbiogene (più tardi, alzata un’antenna radio di fortuna, fu il Maestrale stesso ad ordinare ai
cacciatorpediniere superstiti di seguirlo verso est). L’Euro, unico altro cacciatorpediniere rimasto in efficienza, fece
come loro. Il comandante Bisciani avrebbe poi scritto così nel suo rapporto: «Ritengo [all’1.17 circa] che nulla sia più possibile per la salvezza
del convoglio, e penso che, occultandoli, potrò riunire i Ct, dei quali due
sono in vista con rotta presso a poco parallela alla mia, per una successiva
azione» che però non si materializzò mai.
In tal modo, eccetto
che per l’abortito tentativo iniziale dell’Euro,
nessuna unità della scorta tentò di contrattaccare attivamente le navi nemiche,
a differenza di quanto accadde di solito in simili circostanze; la successiva
azione della Forza K contro i mercantili incontrò così ben poco contrasto.
L’operato della scorta diretta del convoglio "Duisburg" e del
caposcorta Bisciani sarebbe stato poi giudicato sfavorevolmente dall’ammiraglio
Wladimiro Pini, comandante del Dipartimento Militare Marittimo del Basso
Tirreno, e dagli alti comandi della Regia Marina.
Neutralizzata la
parte della scorta diretta sul lato attaccato, mentre il resto di quest’ultima
brancolava nel buio, alle 00.59 l’Aurora accostò
a dritta (verso sud, assumendo rotta parallela a quella del convoglio), seguito
dalle altre tre navi, e guidò la Forza K in una manovra avvolgente attorno al
convoglio, una sorta di volta tonda nella quale aggirò i mercantili da ovest
verso est, risalendo il lato destro del convoglio e facendo sistematicamente
fuoco su ognuno dei mercantili con tutte le armi di bordo, da circa 1800 metri
di distanza, finché questo s’incendiava od esplodeva. Il tiro preciso, celere e
ravvicinato delle unità britanniche – l’ammiraglio Brivonesi stimò che
sparassero con ritmo inferiore ai dieci secondi: in ogni caso tirarono con una
tale intensità da surriscaldarsi fino a provocare lo scioglimento ed il
distacco della vernice – demolì, una dopo l’altra, tutte le navi del convoglio:
siccome tutte avevano carburante e/o munizioni tra il loro carico, ognuna di
esse prendeva fuoco od era scossa da esplosioni non appena veniva colpita. Come
riferito nei loro rapporti dai comandanti di Euro e Grecale,
i più vicini al lato attaccato, già pochi minuti dopo l’una i mercantili più
poppieri del convoglio erano trasformati in roghi; entro l’1.10 tutti e sette
erano immobilizzati ed in preda alle fiamme, scossi dalle esplosioni dei
carichi di munizioni.
Oltre che con i pezzi
da 152 degli incrociatori (che “fornirono eccellenti prestazioni”, come annotò
Agnew nel suo rapporto), con i pezzi secondari da 102 mm degli stessi e quelli
principali da 120 dei cacciatorpediniere, le navi della Forza K spararono sui
loro bersagli anche con le micidiali mitragliere quadrinate da 40 mm, note come
“pom-pom”. Il tiro venne eseguito da distanze comprese tra i 2000 ed i 4000
metri. Venne anche lanciato qualche siluro, tre dall’Aurora ed almeno uno dal Lance.
Primi ad essere
colpiti furono Maria e Sagitta, i più vicini alla zona di
provenienza della Forza K; poi anche gli altri, uno dopo l’altro. Nessun
trasporto fu in grado di sfuggire, data la bassa velocità massima sviluppabile;
le cortine fumogene non servirono a nulla, né servì il violento e confuso fuoco
di mitragliere che molti dei mercantili – alcuni dei quali credevano ancora di
avere a che fare con un attacco di aerosiluranti – aprirono disordinatamente.
Molte delle navi, continuando a non capire se fossero sotto attacco navale od
aereo, non tentarono nemmeno di diradarsi e fuggire: Agnew scrisse poi che “sembrava che le navi mercantili stessero
aspettando il loro turno per essere distrutte”.
Il Lance colpì ripetutamente Maria e Sagitta (oltre al Fulmine),
mentre il Lively, che aprì il
fuoco per ultimo (all’una di notte), colpì il Duisburg con sei salve, incendiandolo.
Fu l’Aurora, dopo aver messo fuori
combattimento il Grecale, ad
aprire il fuoco sul Rina Corrado, che
fu bersaglio di quattro salve da 152 mm: tanto bastò per ridurre lo sventurato
piroscafo ad un relitto in fiamme ed in procinto di affondare. All’equipaggio
non restò altro da fare che mettere a mare le imbarcazioni ancora intatte ed
abbandonare la nave.
Il comandante
Schettini fu tra le vittime; il regio commissario Trucco provvide a distruggere
i documenti segreti, dopo di che si gettò in mare portando con sé il denaro che
gli era stato affidato. Fu successivamente issato a bordo di una scialuppa.
Non è chiaro quando
esattamente sia affondato il Rina Corrado:
né le pubblicazioni ufficiali dell’USMM, né i saggi ed articoli scritti in
seguito dagli storici forniscono alcun dettaglio sugli orari di affondamento di
ciascuno dei mercantili del convoglio, limitandosi a dire che alcuni
affondarono subito, mentre altri bruciarono per ore prima d’inabissarsi. Il
mattino del 9 novembre, alle 9.10, il guardiamarina Alfonso Di Nitto, imbarcato
come osservatore su un idrovolante CANT Z. 506 inviato sul luogo del disastro,
scriveva nel suo diario che due mercantili erano ancora a galla: la nave
cisterna Minatitlan ed un piroscafo,
la cui identità non è però precisata.
Dopo aver incendiato
il Rina Corrado, l’Aurora rivolse le sue mitragliere
pesanti sul malridotto Fulmine, che
fu poi finito dal Penelope; aprì
quindi il fuoco sul Conte di
Misurata, che stava cercando di allontanarsi, e lo incendiò, dopo di che
riservò lo stesso trattamento alla Minatitlan.
All’1.04 il Lance lanciò un
siluro contro quest’ultima, ritenendo di averla colpita, ed anche l’Aurora lanciò tre siluri contro
altrettanti mercantili, giudicando di averne colpiti due.
All’1.25 l’Aurora accostò a sinistra, di prora
al convoglio (aggirandone la testa), per tagliargli la rotta ed assicurarsi che
nessun mercantile potese sfuggire, indi “ridiscese” il convoglio lungo il suo
lato sinistro ed all’1.45 diresse verso ovest per girargli intorno: tutti i
mercantili erano ormai avvolti dalle fiamme. Alle 2.06, completata la propria
opera di distruzione ed essendo ormai a corto di munizioni (il Penelope, ad esempio, aveva sparato 259
colpi da 152 mm e 111 da 120 mm nel giro di un’ora; l’Aurora, 279 colpi da 152 e 73 da 120; il Lance, 434 colpi da 120, mentre mancano dati sul Lively), la Forza K passò a poppavia di
ciò che restava del convoglio, accelerò a 25 nodi e diresse verso ovest per
rientrare a Malta, dove giunse alle 13.05 di quello stesso giorno, senza aver
subito alcun danno (eccetto uno lievissimo, un foro da scheggia, al fumaiolo
del Lively), eludendo anche un
attacco da parte di quattro aerosiluranti italiani.
Deludente la reazione
della III Divisione: avvistate, all’1.01, le vampe dei cannoni della Forza K
che aprivano il fuoco sul convoglio, le navi di Brivonesi accostarono a dritta,
su rotta 240°, poi a sinistra; il Trieste aprì
il fuoco all’1.03 ed il Trento due
minuti dopo, da grandissima distanza (8 km). Mentre manovravano per impegnare
le navi della Forza K, i due incrociatori italiani dovettero assistere alla
mattanza del convoglio che avrebbero dovuto proteggere: Brivonesi scrisse poi
che “Il tiro del nemico aveva un ritmo
celere, e salve ben raggruppate che si potevano osservare seguendo le codette
luminose dei proiettili. Se non alla prima, alla seconda salva un piroscafo era
già in fiamme ed illuminava vividamente gli altri piroscafi contigui. Gli
incendi degli altri piroscafi si sono seguiti con una rapidità inimmaginabile,
tanto che alle 01.07, ossia sette minuti dopo dell’inizio dell’azione, tutti i
piroscafi erano in fiamme. (…) quando il TRIESTE ha fatto partire la sua prima salva (alle ore 01.03)
non meno di due piroscafi erano già stati colpiti ed incendiati e quando anche
il TRENTO ha potuto iniziare il tiro (alle ore 01.05) quasi tutti i piroscafi
erano già in fiamme; essi bruciavano tutti alle ore 01.07”. Brivonesi
giudicò che tale risultato dipendesse dall’«ausilio
prezioso fornito dagli strumenti radiotelegrafici di cui esso dispone, del
munizionamento perfettamente adatto e dei congegni di tiro che esso impiega
certamente nelle azioni notturne, ed anche dalla estrema infiammabilità del
carico di tutti i piroscafi che costituivano il convoglio DUISBURG».
All’1.08 la III
Divisione assunse rotta 180°; pur potendo raggiungere velocità superiori ai 30
nodi, Brivonesi mantenne inspiegabilmente la velocità delle sue navi a 15-16
nodi (la Forza K procedeva a 20 nodi), aumentandoli a 18 solo all’1.12, ed a 24
all’1.18. Intanto la Forza K aggirava il convoglio e ne completava la
distruzione, coprendosi proprio con le cortine fumogene stese in precedenza
dagli stessi cacciatorpediniere italiani per nascondere i mercantili.
Per via delle
rispettive manovre, la III Divisione e la Forza K si ritrovarono a girare
intorno al convoglio, scambiandosi inconsapevolmente di posizione (la III
Divisione a sudovest del convoglio, la Forza K a nordest); il risultato fu che
la Forza K, girando attorno ai mercantili, mantenne sempre il convoglio tra sé
e gli incrociatori di Brivonesi (senza neanche volerlo, dato che Agnew non si
era minimamente accorto della presenza di incrociatori italiani), il che
intralciò non poco il tiro di questi ultimi: tra i cannonieri di Brivonesi ed i
loro bersagli s’interponevano i mercantili incendiati ed il fumo generato da
questi incendi.
Per quel che
riguardava i quattro cacciatorpediniere della XIII Squadriglia, il Bersagliere, prima unità in assoluto ad
avvistare il nemico, si era avvicinato alla Forza K facendo fuoco coi propri
pezzi da 120, ma aveva ripiegato verso est dopo essere stato bersagliato dal
tiro del Penelope; il Granatiere non sparò per la
difficoltà di individuare i bersagli, troppo lontani, e per non farsi
localizzare dal nemico, indi virò a dritta allontanandosi dalla III Divisione e
finendo col passare in mezzo ai mercantili incendiati; Fuciliere ed Alpino, in seguito all’accostata, erano
rimasti a poppavia degli incrociatori di Brivonesi e non riuscirono neanche ad
avvistare le unità della Forza K.
All’1.25, essendo la
distanza divenuta ormai eccessiva (alzo 17 km), la III Divisione cessò il
fuoco: a quell’ora il convoglio "Duisburg" non esisteva ormai più.
All’1.26 le navi della Forza K risultavano completamente nascoste dal fumo dei
mercantili in fiamme. Gli incrociatori di Brivonesi avevano sparato 207 colpi
da 203 mm e 82 da 100 mm, senza metterne uno solo a segno. All’1.29
l’ammiraglio fece assumere alle sue navi rotta nord e velocità 24 nodi per
intercettare le unità britanniche che, aggirando verso nord i resti del
convoglio, dirigevano verso Malta, ma l’incontro non avvenne in quanto
Brivonesi, informato da Supermarina del possibile pericolo di un attacco di
aerosiluranti, credette di trovarsi nel raggio d’azione di una portaerei
britannica: pertanto, all’1.35 – siccome le sagome dei suoi incrociatori,
profilandosi contro gli incendi dei mercantili, sarebbero state particolarmente
vistose per gli aerei ed anche eventuali sommergibili nemici – assunse rotta
nordovest, allontanandosi dal luogo dello scontro e dalla Forza K.
All’1.41 Maestrale, Libeccio, Euro ed Oriani assunsero rotta 90° (verso
est), che seguirono per un po’ a 30 nodi di velocità, mentre il caposcorta
Bisciani attendeva che giungesse qualche ordine o notizia sugli accadimenti in
corso.
(Secondo una fonte, i
quattro cacciatorpediniere si ritirarono una decina di miglia ad est del
convoglio per riorganizzarsi, poi andarono al contrattacco, guidati dal Maestrale, aprendo il fuoco con le
proprie artiglierie, ma astenendosi dal lanciare siluri per evitare di colpire
i mercantili, che si trovavano al di là della Forza K. Le quattro unità di
Bisciani seguitarono poi a fare fumo ed ad impegnare le navi britanniche ogni
volta che queste divenivano visibili, senza però riuscire a concludere nulla.
Niente di tutto ciò, però, risulta dall’approfondita ricostruzione dello
scontro fatta dallo storico Francesco Mattesini).
All’1.44 l’ammiraglio
Brivonesi ordinò a Bisciani di tornare presso i mercantili per recuperarne i
naufraghi; alle due di notte i cacciatorpediniere, tutti spostatisi verso est
seguendo il caposcorta (ormai distavano ben 17 miglia da quel che restava del
convoglio), invertirono finalmente la rotta per riavvicinarsi al convoglio,
procedendo a 18 nodi. Raggiunsero i relitti in fiamme alle tre di notte. Non vi
era a galla un solo piroscafo che risultasse salvabile; alcuni erano già
affondati, altri lo fecero più tardi.
Poco dopo le tre di
notte, i quattro cacciatorpediniere iniziarono a recuperare centinaia di
naufraghi dal mare cosparso di nafta e rottami; l’operazione di soccorso, cui
molto più tardi si unirono anche Fuciliere, Bersagliere ed Alpino della XIII Squadriglia,
proseguì per tutta la mattinata del 9 novembre. Intanto, il malconcio Grecale arrancava verso nord; alle
quattro del mattino rimase definitivamente immobilizzato, per cui l’Oriani venne inviato a prenderlo a
rimorchio per portarlo a Crotone.
Dalle 7.30 iniziarono
a sopraggiungere anche gli aerei: nel corso della giornata, si alternarono sui
cieli delle navi superstiti numerosi caccia Messerschmitt Bf 110 del 26° Stormo
da Caccia della Luftwaffe, dieci SM. 79 del 10° Stormo Bombardieri della Regia
Aeronautica e 22 caccia italiani tra CR. 42 e Reggiane Re 2000 del 23° Gruppo
Autonomo e Macchi Mc 200 del 7° Gruppo del 54° Stormo. Tali velivoli
esercitavano vigilanza sia antiaerea sia antisommergibili.
La III Divisione
Navale, invertita la rotta, tornò anch’essa sul luogo dove il convoglio era
stato distrutto, giungendovi alle 9.20 ed unendosi ai superstiti cacciatorpediniere
della scorta diretta in posizione 37°02’ N e 18°03’ E.
L’ultimo, amarissimo
boccone di quella tremenda giornata la Marina italiana lo dovette inghiottire
alle 6.40, quando il sommergibile britannico Upholder (capitano di corvetta Malcolm David Wanklyn),
attirato sul posto dagli stessi ricognitori che avevano guidato la Forza K –
durante la notte era stato visto navigare in superficie, tra le navi
incendiate, dai naufraghi di alcuni dei mercantili –, silurò il Libeccio che stava rimettendo in
moto dopo aver recuperato un gruppo di 150 naufraghi, in gran parte
appartenenti al Fulmine. Privato
della poppa, il Libeccio colò
a picco alle 11.18, dopo un breve quanto penoso tentativo di rimorchio da parte
dell’Euro; la maggior parte
dell’equipaggio poté essere salvato, ma molti naufraghi erano stati uccisi
dallo scoppio del siluro, che aveva colpito proprio i locali in cui erano stati
portati per i primi soccorsi.
Ai cacciatorpediniere
della scorta diretta si unirono, per il soccorso ai naufraghi, anche i
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Antoniotto Usodimare e Vincenzo Gioberti, usciti da Trapani, e
le navi ospedale Virgilio, fatta
appositamente uscire da Augusta ed arrivata alle 16.30, ed Arno, dirottata sul posto durante la
navigazione da Bengasi all’Italia e giunta sul posto poco dopo le undici del
mattino (proprio a quell’ora, venne avvistata da bordo la grande nube di fumo
nero dell’incendio della Minatitlan).
Rientrate in porto tutte le altre unità, le due navi ospedale continuarono ad
ispezionare la zona del disastro fino all’alba del 10 novembre, quando
Supermarina, ritenendo inverosimile che potessero esservi ancora dei naufraghi
da salvare, ordinò loro di tornare in porto. Ma gli alti comandi si
sbagliavano.
In ventiquattr’ore di
ricerche erano stati tratti in salvo 764 naufraghi delle nove navi affondate:
401 dal Maestrale, 189 dall’Euro, 48 dall’Oriani, 35 dall’Alpino,
34 dalla Virgilio, 21 dall’Arno, 20 dal Fuciliere, undici dal Bersagliere
(che inoltre recuperò i cinque uomini dell’equipaggio di un idrovolante CANT Z.
506 della 612a Squadriglia Soccorso, incidentato durante un
tentativo di ammaraggio).
Tra i naufraghi
tratti in salvo ve ne erano 26 del Rina
Corrado. Altri 25 uomini del piroscafo, tra cui il regio commissario
Benedetto Trucco, risultavano dispersi: termine che in questi casi significava
quasi invariabilmente morti e mai più ritrovati, affondati con la nave o
dispersi dalle correnti. Ma non era così per una parte dei “dispersi” del Rina Corrado.
Il 13 novembre 1941
le stazioni di vedetta della Regia Marina di Capo Linguetta, davanti alla baia
di Valona (Albania), ebbero la sorpresa di avvistare una scialuppa in lento
avvicinamento dal mare aperto: era la lancia del Rina Corrado al comando del regio commissario Trucco, inopinatamente
“sfuggita” alle operazioni di ricerca condotte da ben dodici navi in
cooperazione con numerosi aerei. In quattro giorni di difficile navigazione, quel
fragile guscio di noce aveva percorso le 240 miglia che separavano il luogo
dell’affondamento dal porto albanese, riuscendo infine a raggiungere la
terraferma presso Capo Linguetta. A bordo erano tredici naufraghi, sfiniti ma
vivi.
Il regio commissario
Benedetto Trucco ricevette in seguito la Medaglia di Bronzo al Valor Militare,
con la seguente motivazione: “R.
Commissario di un piroscafo, navigante in convoglio, colpito ed incendiato
durante un attacco di unità di superficie nemiche, dopo aver distrutto i
documenti segreti, si lanciava in mare portando in salvo il denaro affidatogli.
Raccolto da una lancia di salvataggio, condivideva fieramente per cinque lunghi
giorni, malgrado la sua età avanzata, le fatiche e gli stenti di una
navigazione di fortuna, offrendo mirabile esempio di sereno coraggio e spirito
di sacrificio”.
Dei 51 uomini
imbarcati sul Rina Corrado, in dodici
persero la vita: sette membri dell’equipaggio civile, tra cui il comandante
Schettini, e cinque militari della Regia Marina. I superstiti, tra quelli
recuperati dalle unità soccorritrici e quelli che raggiunsero Capo Linguetta
sulla scialuppa, furono 39.
Le vittime:
Baldassarre Asaro, marinaio cannoniere (Regia
Marina), disperso
Ciro Borrelli, marinaio (Regia Marina),
disperso
Antonio Califati, marinaio cannoniere (Regia
Marina), disperso
Giuseppe Carletti, ufficiale di coperta (Marina
Mercantile)
Amerigo Ceffoli, secondo capo segnalatore
(Regia Marina), disperso
Giuseppe Massa (o Mazza), marinaio (Marina
Mercantile)
Arnaldo Navari, marinaio (Marina Mercantile)
Tommaso Pagliaro, fuochista (Marina
Mercantile)
Graziano Petrucci, marinaio (Marina
Mercantile)
Giuseppe Poccia, marinaio segnalatore (Regia
Marina), disperso
Raniero Pucci, marinaio (Marina Mercantile)
Guglielmo Schettini, comandante (Marina
Mercantile)
La distruzione del
convoglio “Duisburg” ebbe un effetto particolarmente deleterio sulla situazione
delle forze italo-tedesche in Africa Settentrionale, che si ritrovarono
indebolite e a corto di rifornimenti dinanzi all’offensiva britannica
"Crusader", iniziata il 18 novembre e conclusasi a fine dicembre,
dopo alterne vicende, con la conquista britannica dell’intera Cirenaica, per la
seconda volta dall’inizio della guerra. Le forze dell’Asse avevano dovuto
abbandonare l’assedio di Tobruk a inizio dicembre, a causa della mancanza di
rifornimenti. Mussolini scrisse a Hitler in una lettera, facendo riferimento
alla distruzione del convoglio “Duisburg”:
"L’esito della battaglia fu
compromesso sul mare, non sulla terra. Gravissima fu la perdita dell’intero
convoglio di sette navi, che portavano reparti tedeschi di carri armati".
Il genero di
Mussolini e ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, descrisse l’accaduto nel suo
diario in termini estremamente caustici, come del resto era solito fare: «9
novembre. Dal 19 settembre non
avevamo più tentato di far passare un convoglio per la Libia [questa
affermazione non risponde a verità: tra il 19 settembre – data
dell’affondamento dei grossi trasporti truppe Neptunia ed Oceania –
ed il 9 novembre erano stati inviati in Libia oltre una dozzina di convogli]: ogni prova era stata pagata a caro prezzo e
le perdite subite dal naviglio mercantile erano salite a proporzioni tali da
dissuadere da ogni ulteriore esperimento [le perdite nei mesi di
settembre e ottobre 1941 tra i rifornimenti inviati in Libia via mare erano
salite al 23 %, rispetto al 9 % del mese di agosto. Come detto, comunque, ciò
non arrestò l’invio di convogli, contrariamente a quanto affermato da Ciano,
fino all’arrivo della Forza K il 21 ottobre]. Stanotte si è voluto nuovamente tentare: la Libia abbisogna di
materiali, di armi, di carburanti ogni giorno di più. E il convoglio di sette
piroscafi è partito, scortato da ben 10 cacciatorpediniere e due incrociatori
da 10.000, perché si sapeva che Malta ospitava da qualche tempo due navi di
superficie inglesi destinate a far da lupo nel gregge. Lo scontro è avvenuto,
con risultati inesplicabili. Tutti, dico tutti i piroscafi affondati, uno,
forse due o tre caccia perduti. Gli inglesi sono rientrati dopo aver fatto
strage. Naturalmente, oggi, i nostri vari Stati Maggiori tirano fuori il solito
immancabile e immaginario affondamento di un incrociatore inglese a mezzo di
aerosiluro; nessuno ci crede. Mussolini stamani era depresso e indignato. La
cosa avrà indubbiamente ripercussioni profonde in Italia, in Germania e
soprattutto in Libia. In queste condizioni non abbiamo proprio alcun diritto di
lamentarci se Hitler manda Kesselring a fare il Comandante del Sud. 10 Novembre. Le fotografie della
ricognizione aerea danno le quattro navi inglesi ormeggiate nel porto di Malta.
Ciò nonostante nel bollettino si è annunciato che uno degli incrociatori è
stato colpito. Pricolo lo sostiene e porta come argomento il fatto che questa
nave e andata ad ormeggiarsi vicino al bacino di ormeggio. Il che corrisponde a
dichiarare che un uomo è probabilmente un po’ morto perché è andato ad abitare
vicino al cimitero. Buffoni. Tragici buffoni che hanno condotto il paese
alla necessità odierna di accettare, anzi d’invocare l’intervento straniero per
averne protezione e difesa. Ormai, fino a quando non saranno venuti i tedeschi,
l’aviazione inglese dominerà i nostri cieli al pari dei propri. Ho domandato a
Cavallero che cosa sarà fatto all’ammiraglio responsabile. Intanto, fino a ier
sera Cavallero ne ignorava persino il nome. Gli ho ricordato che l’Italia
democratica di Ricasoli ebbe il coraggio di mettere sotto processo Persano
quando dopo Lissa telegrafò di essere rimasto padrone delle acque. L’ho detto
anche a Mussolini, che continua ad essere depresso e che giudica - a ragione -
la giornata di ieri quale la più umiliante dal principio della guerra. “Sono
ormai 18 mesi che attendo una buona notizia, che non giunge mai. Sarei fiero di
mandare anche io un telegramma come quello che Churchill ha mandato al suo
Ammiraglio, ma invano da troppo tempo ne ricerco l’occasione.” (…) 13
novembre. Alla Marina sono
scandalizzati di quanto è accaduto in Mediterraneo, ma con un Comando come
l’attuale è impossibile attendersi meglio. Bigliardi mi ha descritto le fasi
dell’incontro. Tutto sarebbe inspiegabile se non si sapesse che l’Ammiraglio
Brivonesi era stato giudicato, da Cavagnari, inidoneo al Comando».
La condotta
dell’ammiraglio Brivonesi e del capitano di vascello Bisciani, ritenuta tardiva
e poco decisa, venne duramente criticata dagli alti Comandi della Marina;
entrambi vennero rimossi dal comando, e Brivonesi fu anche deferito alla corte
marziale. Tanto l’ammiraglio Wladimiro Pini, comandante del Dipartimento
Militare Marittimo del Basso Tirreno, quando il capo di Stato Maggiore della
Marina, ammiraglio Arturo Riccardi, ed il comandante della Squadra Navale,
ammiraglio Angelo Iachino, furono molto critici verso il comportamento dei
cacciatorpediniere della scorta diretta. Contemporaneamente, i rappresentanti
della Marina tedesca in Italia (e specialmente il contrammiraglio Werner
Löwisch, addetto navale tedesco a Roma), stigmatizzarono le gravi deficienze
della Marina italiana nel combattimento notturno – dall’inadeguatezza
dell’addestramento all’arretratezza del materiale e degli strumenti ottici a
disposizione per il tiro di notte – che avevano facilitato questo successo
britannico, e che ponevano le navi italiane in così gravi condizioni di
inferiorità rispetto a quelle britanniche ogni volta che calava il buio.
La distruzione del
convoglio “Duisburg” creò un’atmosfera di nervosismo ed insicurezza presso
Supermarina, e determinò una nuova interruzione del traffico convogliato verso
Tripoli: per una decina di giorni vennero inviati in quel porto solo convogli
veloci di unità militari in missione di trasporto e qualche convoglietto di
piroscafi di modesto tonnellaggio (attorno alle 1000 tsl), mentre venne di
converso intensificato l’invio di convogli a Bengasi, porto più vicino alla
prima linea anche se in grado di ricevere meno navi, ma soprattutto
raggiungibile seguendo una rotta – partenza da Taranto o Brindisi ed eventuale
scalo intermedio a Navarino – meno esposta ad eventuali attacchi navali
provenienti da Malta.
Questi provvedimenti
però ebbero comunque l’effetto di determinare una riduzione della quantità
complessiva di rifornimenti giunti in Libia: tra perdite in mare e mancati
invii, proprio il 9 novembre Rommel scriveva al Comando Supremo della Wehrmacht
che a fine ottobre erano giunte a Bengasi solo 8093 tonnellate di rifornimenti
su 60.000 previste (dato che per la verità sembra esagerato, se si considera
che nel mese di ottobre le perdite di materiale sulle rotte della Libia furono
del 23 %, dunque il 77 % dei rifornimenti partiti era pur giunto in Libia; ma
forse l’aumento delle perdite provocò una riduzione nel flusso dei convogli e
quindi parte dei materiali non partì neanche), che un terzo dell’artiglieria e
vari reparti comunicazioni da impiegare nel previsto attacco contro Tobruk non
sarebbero arrivati prima del 20 novembre, e che su tre divisioni italiane chieste
per l’offensiva di novembre ne era arrivata soltanto una, per giunta a ranghi
incompleti. Il mese di novembre 1941 fu in effetti il più nero della “battaglia
dei convogli”: le perdite tra i carichi inviati in Libia sfiorarono il 70 %,
percentuale mai lontanamente raggiunta prima e mai più raggiunta in seguito (in
generale, anche nei mesi peggiori di fine 1942 e inizio 1943 le perdite
rimasero sempre molto al disotto del 50 %: in ventuno dei trentuno mesi della
battaglia dei convogli per la Libia, le perdite di rifornimenti in mare
rimasero al di sotto del 20 %); e per il rifornimento più importante, il
carburante, questa percentuale raggiungeva un impressionante 92 %.
Il 13 novembre Rommel
volò a Roma a discutere la situazione con il maresciallo Cavallero;
quest’ultimo reiterò le richieste italiane di un invio di bombardieri della
Luftwaffe per riprendere il martellamento aereo di Malta.
Il comandante della
Forza K, capitano di vascello Agnew, per parte sua descrisse così le
motivazioni del suo successo contro il convoglio “Duisburg”: «a) accuratissimo messaggio del Maryland nel
pomeriggio dell’8 novembre in seguito al quale la Forza K salpò da Malta alle
17.30; b) eccezionale fortuna della divisione navale britannica
nell’intercettare subito il suo obiettivo; c) addestramento specifico della
stessa Forza K alla ricerca e alla distruzione dei convogli nemici in ore
notturne; d) grossolana negligenza da parte della Marina italiana». Per
questa vittoria, Agnew venne insignito dell’Ordine del Bagno; il 27 novembre
1941, dopo che la Forza K aveva distrutto un altro convoglio (il «Maritza»),
Churchill gli inviò un messaggio di congratulazioni: “Molte congratulazioni l’eccellente lavoro che avete svolto fin dal
vostro arrivo a Malta, dite a nome mio ai vostri uomini di ogni grado che le
due imprese nelle quali sono stati impegnati, vale a dire la distruzione dei
convogli nemici l’8 novembre (…) hanno
giocato un ruolo decisivo nella grande battaglia che sta ora infuriando in
Libia (…) Tutti coloro che hanno
partecipato possono essere orgogliosi di essere stati di grande aiuto alla Gran
Bretagna ed alla nostra causa”.
Il primo tentativo di
inviare a Tripoli un altro convoglio di mercantili di medio-grandi dimensioni
dopo il disastro del “Duisburg”, il 21 novembre 1941, fallì a causa degli
attacchi aerei e subacquei britannici, che provocarono il danneggiamento di due
incrociatori ed il rientro in porto dei mercantili; fu necessario proseguire
con espedienti di emergenza (missioni di trasporto da parte di navi da guerra,
invio di mercantili veloci isolati che avevano più probabilità di sfuggire
all’avvistamento, incremento del traffico con Bengasi) fino a metà dicembre,
quando una serie di eventi concomitanti determinarono un forte indebolimento
delle forze aeronavali britanniche nel Mediterraneo, dando così inizio ad un
periodo di rinnovata “tranquillità” per i convogli italiani.
La Forza K sarebbe
rimasta una spina nel fianco delle linee di rifornimento via mare dell’Asse
fino al 18 dicembre 1941, quando, a caccia di convogli al largo di Tripoli,
andò a finire su un campo minato posato in quelle acque da unità italiane
proprio per una simile evenienza.
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