La Marin Sanudo (dal sito del Museo della Cantieristica di Monfalcone) |
Motonave
da carico di 5081 tsl, 3139 tsn e 7975 tpl, lunga 121,92 metri, larga 16,95 e
pescante 7,7, con velocità di 10,5 nodi (per altra fonte, 12 nodi).
Appartenente alla Società Anonima di Navigazione Lloyd Triestino, con sede a
Trieste, ed iscritta con matricola 204 al Compartimento Marittimo di Venezia.
Era
propulsa da un motore diesel B&W a 6 cilindri da 2500 HP, prodotto dallo
Stabilimento Tecnico Triestino, ed aveva tredici argani per il carico (cinque
dei quali in grado di sollevare pesi fino a cinque tonnellate, ed otto in grado
di sollevare pesi fino a tre tonnellate), azionati elettricamente (in sala
macchine si trovavano tre generatori elettrici diesel da 100 HP).
Breve e parziale cronologia.
6 giugno 1925
Impostata nel
Cantiere Navale Triestino di Monfalcone (numero di costruzione 158).
11 settembre 1926
Varata nel Cantiere
Navale Triestino di Monfalcone.
9 dicembre 1926
Completata per la
Società Veneziana di Navigazione a Vapore, con sede a Venezia. La stazza lorda e
netta originarie sono di 5890 o 5958 tsl e 3757 tsn.
Insieme alla quasi
gemella Mauly, la Marin Sanudo è la prima motonave ad
essere costruita per la Società Veneziana di Navigazione a Vapore, già
proprietaria di undici piroscafi. Fanno parte di un gruppo di motonavi di
dimensioni e caratteristiche simili, ma con differenze nell’aspetto (ad
esempio, la forma dei fumaioli), costruite dai cantieri navali di Monfalcone
per varie compagnie di navigazione: oltre a Marin
Sanudo e Mauly, anche Monte Piana, Col di Lana (costruite per la società Gerolimich) e Tergestea (costruita per la società di
navigazione Premuda).
Posta in servizio
sulla linea internazionale mensile sovvenzionata Genova-Calcutta, con scali a Venezia,
Trieste, nei porti della Dalmazia, dell’Egitto, del Mar Rosso e dell’Africa
Orientale Italiana (specie Massaua) ed a Calcutta.
1931
Noleggiata dalla
Società Veneziana di Navigazione a Vapore al Lloyd Triestino, che la pone in
servizio merci tra l’Italia e l’Oceano Indiano con scalo a Venezia, Trieste,
Brindisi, Port Said, Suez, Massaua, Aden, Karachi, Bombay, Colombo e Penang.
1937
In seguito alla
liquidazione della Società Veneziana di Navigazione a Vapore, duramente colpita
dalla crisi iniziata nel 1929 e mai ripresasi, la Marin Sanudo, insieme a quasi tutta la flotta della compagnia
(eccetto due navi), viene trasferita al Lloyd Triestino.
7-9 aprile 1939
La Marin Sanudo, carica di 54 carri armati
ed altro materiale militare, partecipa all’occupazione di Santi Quaranta
durante le operazioni per l’invasione dell’Albania (Operazione "Oltre Mare
Tirana", OMT).
La motonave fa parte
del IV Gruppo Navale, al comando dell’ammiraglio di divisione Oscar Di
Giamberardino, che comprende anche le torpediniere Airone, Alcione, Ariel ed Aretusa, gli incrociatori leggeri Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi (aventi a bordo 600 uomini del Regio
Esercito), i cacciatorpediniere Freccia
e Baleno (che hanno a bordo 160
uomini del Reggimento "San Marco"), le navi cisterna e da
sbarco Scrivia e Sesia, la nave cisterna e da
sbarco Garda ed il trasporto
militare Asmara (con a
bordo 800 uomini del Regio Esercito). La colonna che deve sbarcare a Santi
Quaranta, al comando del colonnello Mario Carasi, è composta dal XX Battaglione
Bersaglieri (3° Reggimento Bersaglieri), dal XXIII Battaglione Bersaglieri (12°
Reggimento Bersaglieri), dal III Gruppo Squadroni Carri Veloci L3/35 "San
Giorgio" e da due compagnie del Reggimento "San Marco".
Lo sbarco a Santi
Quaranta ha inizio alle 6.30 circa; non vi è alcuna sorpresa, tanto che la
popolazione locale lascia la cittadina prima ancora che lo sbarco abbia inizio.
I marinai italiani vengono accolti da "nutrito" fuoco di fucileria,
soprattutto da parte di reparti della gendarmeria, ma con l’aiuto determinante
del tiro di supporto delle navi da guerra, le truppe da sbarco superano in
breve questa resistenza. Freccia e Baleno sbarcano gli uomini del "San
Marco" sotto la protezione degli incrociatori; i fanti di Marina, che
prendono terra con la prima ondata, hanno un ruolo centrale nel travolgere la
(debole) resistenza albanese (alcune stime da parte italiana ritengono che in
tutto Santi Quaranta sia difesa da circa 200 armati). Alcuni civili armati
aprono il fuoco verso le truppe italiane, ma rientrano nelle loro case dopo che
uno degli incrociatori ha sparato qualche cannonata nella loro direzione.
Dopo alcune
scaramucce con gli uomini del "San Marco", le poche truppe albanesi
si ritirano, e Santi Quaranta passa in mano italiana. Alle 7.30, un’ora dopo
l’inizio dello sbarco, ogni resistenza è cessata. Da qui la colonna del
colonnello Carasi punterà poi su Delvino e Argirocastro.
12 agosto 1940
La Marin Sanudo, il piroscafo Rapido e la motonave Barletta salpano da Tripoli per Palermo
alle 11.45, venendo scortate durante la rotta da varie unità che si alternano
nella loro scorta.
14 agosto 1940
Il convoglio giunge a
Palermo alle 17.15.
16 ottobre 1940
Requisita a Trieste dalla
Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del naviglio ausiliario dello
Stato.
2 novembre 1940
La Marin Sanudo salpa da Brindisi alle
00.50, facendo parte di un grosso convoglio composto dai trasporti truppe Italia, Città di Savona, Città
di Bastia, Città di Agrigento e Città di Trapani, dal piroscafo da
carico Capo Vado e dalle
cisterne/navi da sbarco Tirso e Sesia. Il convoglio, scortato dalle
vecchie torpediniere Generale
Antonio Cantore e Giacomo
Medici, trasporta in tutto 4670 militari della 47a Divisione
Fanteria "Bari", 240 quadrupedi, 100 automezzi, 48 motocicli, quattro
autocarri, tre carri armati, sedici carri armati leggeri, undici “carrette”,
quattro forni, nove autocannoni, due autobarche, 326,5 tonnellate di munizioni,
431 tonnellate di carburante e 325 tonnellate di materiali.
Queste truppe e
questi materiali erano in origine destinati al previsto sbarco a Corfù, che
avrebbe dovuto essere compiuto a fine ottobre in concomitanza con l’inizio
dell’invasione della Grecia: il piano prevedeva che il convoglio da sbarco (più
precisamente, tre convogli: due partiti da Taranto ed un terzo da Brindisi, più
un gruppo di motovelieri anch’esso da Brindisi), scortato dalla Forza Navale
Speciale dell’ammiraglio Vittorio Tur (incrociatori leggeri Bari e Taranto, cacciatorpediniere Mirabello
e Riboty, torpediniere Antares, Altair, Andromeda, Aretusa, Bassini, Fabrizi e Medici, una squadriglia di MAS ed il
posamine Azio) sbarcasse all’alba del
giorno previsto, in quattro punti dell’isola, la Divisione "Bari" ed
un battaglione del Reggimento "San Marco" della Marina. Oltre alla
scorta diretta della F.N.S., la IV e VII Divisione Navale, con 7 incrociatori
leggeri e 7 cacciatorpediniere, dovevano fornire protezione a distanza.
Gli ordini
d’operazione erano stati diramati il 22 (Supermarina, ordine generale di
operazione) e 26 ottobre (Forza Navale Speciale, ordine più particolareggiato),
ed in quest’ultimo giorno era stata disposta la sospensione di tutte le
partenze dai porti nel Basso Adriatico a sud di Manfredonia, tranne che per le
navi dipendenti da Maritrafalba; negli ultimi giorni di ottobre, erano stati
concentrati a Brindisi la XII Squadriglia Torpediniere (da Augusta), la IX
Squadriglia MAS (da Crotone) e gli incrociatori Bari e Taranto (da
Taranto), mentre Tirso e Sesia venivano trasferite da Brindisi a
Valona. Erano stati emanati anche gli ordini per l’impiego della 1a
e 2a Squadra Navale per la protezione indiretta dell’operazione (il
29 si era ordinato all’incrociatore pesante Pola, nave ammiraglia della 2a
Squadra, ed alla I e VII Divisione Navale di tenersi pronti a muovere in due
ore).
Lo sbarco era
inizialmente pianificato per il 28 ottobre, in contemporanea con l’inizio delle
operazioni terrestri contro la Grecia, ma il maltempo (mare in tempesta) ha
costretto a rimandare l’operazione dapprima al 30 e poi al 31 ottobre (anche
perché i comandi militari, ritenendo che l’occupazione della Grecia dovrebbe
avvenire in tempi rapidi, consideravano di scarsa utilità un’invasione di Corfù
dal mare). Il 31 Supermarina ha dirato l’ordine esecutivo per lo sbarco, da
effettuarsi il 2 novembre, ma nel frattempo la situazione evidenziata dai primi
giorni di combattimento in Grecia, con operazioni che vanno molto più a rilento
del previsto e si rivelano molto più difficili a causa del maltempo, delle
interruzioni nella rete stradale e dell’accanita resistenza greca, ha indotto
Mussolini ad annullare l’operazione contro Corfù, inviando invece la Divisione
"Bari" in Albania come rinforzo. Di conseguenza, la Marin Sanudo e gli altri mercantili con
le truppe ed i materiali destinati alla conquista dell’isola, anziché partire
per Corfù, sono salpati alla volta di Valona.
Le navi giungono a
Valona alle nove del mattino.
9 novembre 1940
La Marin Sanudo, scarica, lascia Valona
alle due di notte insieme ai piroscafi Aventino, Milano e Galilea, con la scorta della torpediniera Solferino e del piccolo incrociatore ausiliario Lago Zuai, per rientrare a Brindisi,
dove il convoglio arriva alle 12.35.
17 novembre 1940
La Marin Sanudo ed il piroscafo Casaregis, aventi a bordo 200 veicoli,
salpano da Bari alle tre di notte e raggiungono Durazzo alle 16.50. Li scorta
la torpediniera Monzambano.
4 dicembre 1940
La Marin Sanudo ed i piroscafi Monrosa e Monstella salpano da Bari alle 17.15 diretti a Durazzo, scortati
dalla torpediniera Andromeda,
trasportando 187 militari, 1884 quadrupedi, 128 veicoli e 720,5 tonnellate di
materiali.
5 dicembre 1940
Il convoglio giunge a
Durazzo alle nove.
9 dicembre 1940
Alle 00.45 la Marin Sanudo ed i piroscafi Aventino e Monstella, tutti scarichi, lasciano Durazzo con la scorta della
torpediniera Solferino e
dell’incrociatore ausiliario Arborea,
per tornare a Bari. Qui il convoglio arriva alle 17.20.
23 dicembre 1940
La Marin Sanudo, mentre cambia posto
d’ormeggio nel porto di Bari, sperona accidentalmente la torpediniera Francesco Stocco, distruggendo parte
della sua prua. Non ci sono vittime. La Marin
Sanudo non riporta danni di rilievo, mentre la Stocco necessiterà di alcuni mesi di riparazioni.
24 dicembre 1940
Salpa da Bari alle
00.30 unitamente al piroscafo Quirinale ed
alle motonavi Donizetti e Città di Savona, con la scorta della
torpediniera Castelfidardo e
dell’incrociatore ausiliario Capitano
A. Cecchi. Il convoglio, che trasporta il primo scaglione della 11a Divisione
Fanteria "Brennero" (2663 tra ufficiali e soldati, 186 automezzi e
558,5 tonnellate di materiali), giunge a Durazzo alle 15.15.
27 dicembre 1940
La Marin Sanudo ed il piroscafo Galilea lasciano scarichi Durazzo alle
20, scortate dalla Monzambano.
28 dicembre 1940
Le navi arrivano a
Bari alle 10.35.
29 dicembre 1940
La Marin Sanudo lascia Bari alle 10,
scarica, e raggiunge Brindisi alle 15.35, sempre scortata dalla Monzambano.
6 gennaio 1941
La Marin Sanudo e la motonave Piero Foscari (quest’ultima in servizio
postale), cariche di 641 soldati, 155 automezzi e 513 tonnellate di materiali,
salpano da Brindisi alle 5.45 e raggiungono Durazzo alle 13.20, scortate dal
cacciatorpediniere Carlo Mirabello.
11 gennaio 1941
La Marin Sanudo ed il piroscafo Campidoglio, scarichi, lasciano Durazzo
alle 13.30 scortati dal Mirabello,
per rientrare a Brindisi.
12 gennaio 1941
Il convoglietto
raggiunge Brindisi alle 7.40.
24 gennaio 1941
La Marin Sanudo ed i piroscafi Monstella e Carlo Zeno, aventi a bordo 183 militari, 1286 quadrupedi, 192
automezzi e 78 tonnellate di materiali, lasciano Bari alle 20 con la scorta
della torpediniera Giacomo Medici.
25 gennaio 1941
Il convoglio giunge a
Durazzo alle 10.30.
31 gennaio 1941
La Marin Sanudo, scarica, ed il piroscafo
postale Merano lasciano Durazzo alle
9.30 con la scorta del Mirabello,
raggiungendo Brindisi alle 17.30.
12 febbraio 1941
La Marin Sanudo salpa da Brindisi nelle
prime ore del mattino diretta a Durazzo, insieme alla motonave Verdi ed all’incrociatore
ausiliario Egeo; nel punto
convenzionale "X", al largo della città, le tre navi si uniscono ad
un convoglio proveniente da Bari (da dov’è partito alle 3.30) e formato dai
piroscafi Aventino e Milano e dalla torpediniera Castelfidardo.
Il convoglio così
formato, che trasporta complessivamente 3086 uomini, 203 quadrupedi, 101
veicoli e 648 tonnellate di materiali, arriva a Durazzo alle 14.30.
28 febbraio 1941
La Marin Sanudo, insieme alle
motonavi Narenta e Città di Bastia ed al piroscafo Casaregis, lascia scarica Durazzo alle
23.50. Il convoglio è scortato dalla torpediniera Generale Marcello Prestinari.
1° marzo 1941
Il convoglio giunge a
Bari alle 14.30.
2 marzo 1941
La Marin Sanudo, scarica e senza scorta, si
trasferisce da Bari a Trieste.
14 aprile 1941
Alle 23 la Marin Sanudo, la motonave Marco Foscarini ed i piroscafi Campidoglio (in servizio postale) e Monstella salpano da Bari per
trasportare a Durazzo 104 soldati, 547 quadrupedi ed un carico di munizioni. Il
convoglio è scortato dalla torpediniera Solferino.
15 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Durazzo alle 15.30.
19 aprile 1941
La Marin Sanudo ed i piroscafi Acilia e Campidoglio (quest’ultimo in servizio postale) lasciano Durazzo
alle 6 con la scorta del Mirabello e
raggiungono Brindisi alle 14.15. La Marin
Sanudo prosegue poi per Bari.
21 maggio 1941
La Marin Sanudo trasporta autoveicoli,
rimorchi e materiali vari da Bari a Durazzo, scortata dalla torpediniera Nicola Fabrizi.
29 maggio 1941
La Marin Sanudo, le motonavi Città di Alessandria e Città di Marsala ed il piroscafo Milano lasciano Durazzo alle 20 dirette
in Puglia, con a bordo 830 prigionieri ed un carico di materiali. La scorta è
costituita dall’incrociatore ausiliario Brindisi
e dalla torpediniera Prestinari.
30 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Brindisi, dove la Marin Sanudo si
ferma, mentre le altre navi proseguono per Bari.
10 giugno 1941
La Marin Sanudo ed i piroscafi Istria e Caterina trasportano truppe e materiali da Bari a Durazzo,
scortati dalla torpediniera Giacomo
Medici.
13 giugno 1941
Marin Sanudo, Istria e Caterina ritornano da Durazzo a
Bari, scortati dalla torpediniera Prestinari,
trasportando truppe e materiali.
19 giugno 1941
La Marin Sanudo, la motonave Città di Marsala ed il piroscafo Città di Tripoli trasportano materiale
militare da Bari a Durazzo, con la scorta
dell’incrociatore ausiliario Brioni.
21 giugno 1941
La Marin Sanudo rientra da Durazzo a Bari,
da sola e senza scorta.
29 giugno 1941
Compie un viaggio da
Durazzo a Brindisi.
8 luglio 1941
Altro viaggio da
Durazzo a Bari, ancora in navigazione isolata.
13 luglio 1941
Trasporta materiali
vari da Bari a Durazzo, di nuovo navigando da sola e senza scorta.
20 luglio 1941
Trasporta truppe e
materiali da Cattaro a Durazzo, con la scorta della torpediniera Francesco Stocco.
28 luglio 1941
Rientra da Durazzo a
Bari, da sola e priva di scorta.
16 agosto 1941
Alle 00.30 la Marin Sanudo, insieme alla
motonave Giulia, alla nave
cisterna Minatitlan ed ai
piroscafi Caffaro, Nicolò Odero e Maddalena Odero (il convoglio rappresenta il 40. Seetransport
Staffel), salpa da Napoli per Tripoli con la scorta dei cacciatorpediniere Freccia (caposcorta, capitano di
fregata Giorgio Ghè), Euro e Dardo e delle torpediniere Procione e Pegaso. Il mare è leggermente mosso.
Alle 10.13 il
sommergibile olandese O 23 (tenente
di vascello Gerardus Bernardus Michael Van Erkel), preavvisato già alle nove
dall’avvistamento di due bombardieri bimotori a cinque miglia per 100°, avvista
il convoglio, che procede con rotta 212° a dieci nodi di velocità, a dieci
miglia di distanza, su rilevamento 057°. Il comandante olandese stima la
composizione del convoglio in almeno sei mercantili e quattro
cacciatorpediniere, e vede due aerei sul suo cielo; manovra per attaccare il
convoglio ed alle 11.03, nel punto 39°35’ N e 13°18’ E (a 74 miglia per 211°,
cioè a sudovest, di Capri), lancia due siluri da cinque miglia di distanza, per
poi scendere subito a 40 metri. Nessuna delle armi colpisce, e le scie vengono
avvistate da un idrovolante CANT Z. 501 della 182a Squadriglia di
scorta al convoglio, che lancia due bombe di profondità sul punto in cui
presumibilmente si trova il sommergibile; alle 11.15 il Freccia lancia l’allarme.
Secondo il rapporto
dell’O 23, undici minuti dopo il
lancio dei siluri alcune unità della scorta si portano al contrattacco e
lanciano, fino alle 13.30, un centinaio di bombe di profondità. L’O 23 evita danni scendendo a 95
metri; terminata la caccia, alcune unità continuano a lanciare una carica di
profondità ogni venti minuti sino alle 19.30.
Nel tardo
pomeriggio/sera si aggrega alla scorta anche la torpediniera Giuseppe Sirtori, partita da Palermo
alle 16.
17 agosto 1941
Nel tardo pomeriggio
il convoglio, mentre procede a 9 nodi a sud di Pantelleria, viene avvistato da
ricognitori nemici.
Alle 20.45 (o 20.47),
17 minuti dopo che la scorta aerea ha lasciato le navi per rientrare alle basi,
il convoglio viene attaccato a sudest di Malta da aerosiluranti britannici: due
sezioni di due aerei ciascuna (Fairey Swordfish dell’830th Squadron
della Fleet Air Arm), provenienti dai fianchi, appaiono ai lati del convoglio,
defilando lungo i mercantili e sganciando i loro siluri da poca distanza. Le
navi della scorta reagiscono con opportune manovre, l’apertura del fuoco (sia
con le artiglierie che con le mitragliere) e l’emissione di cortine nebbiogene
per coprire i piroscafi.
Tre dei quattro
siluri sganciati mancano il bersaglio, grazie anche all’azione della scorta (e
soprattutto all’emissione di cortine fumogene, che disorientano gli ultimi
aerei ad attaccare), ma uno colpisce il Maddalena Odero, immobilizzandolo. Il piroscafo danneggiato
dev’essere preso a rimorchio della Pegaso,
assistito dalla Sirtori; viene
portato fino in un’insenatura sulla costa di Lampedusa, ma qui il piroscafo,
colpito ancora da bombe d’aereo, esplode e trascina nella sua fine anche la
cannoniera Maggiore Macchi della
Guardia di Finanza, inviata a prestargli assistenza.
Il resto del
convoglio prosegue per Tripoli.
Sulla base
dell’esperienza di questo attacco aereo il caposcorta scriverà nel suo
rapporto, a proposito del comportamento dei mercantili: «Alcuni dei piroscafi si sono troppo allontanati dalla direttrice di
marcia. Questo inconveniente, oltre a rendere più difficile il riordinamento
della formazion dopo l’attacco, diminuisce molto la possibilità di protezione
da parte delle unità di scorta (…) Ritengo
sia assolutamente necessario dotare ciascun piroscafo di un radiosegnalatore
per eventuali segnali di emergenza durante allarmi o per eventuali notturni
intesi ad ordinare manovre per le quali non convenga impiegare la radio
principale (…) e la segnalazione
luminosa diventa troppo lunga e troppo pericolosa per avvistamenti».
19 agosto 1941
Verso le 15.30 il
sommergibile britannico P 32 (tenente
di vascello David Anthony Bail Abdy), in agguato a quota periscopica fuori
Tripoli, avvista il convoglio di cui fa parte la Marin Sanudo. Il P 32
scende a 15 metri e si avvicina ad elevata velocità, preparandosi ad attaccare,
ma verso le 15.40, mentre sta tornando a quota periscopica, il sommergibile
viene scosso da un’esplosione ed affonda, adagiandosi sul fondale a 60 metri di
profondità.
L’esplosione viene vista
anche dalle navi del convoglio italiano, ormai in arrivo a Tripoli; un MAS
inviato sul posto dalla base libica recupera due sopravvissuti (gli unici
superstiti su 34 membri dell’equipaggio), che sono fuoriusciti dal relitto del
sommergibile: uno dei due è il comandante Abdy.
Sul momento si
ritiene che il P 32 sia
saltato sulle mine dei campi minati posti a difesa del porto, mentre un
successivo esame del relitto mostrerà che probabilmente il battello è rimasto
vittima dell’esplosione accidentale di uno dei suoi stessi siluri.
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 17.30.
29 agosto 1941
Alle 18.30 la Marin Sanudo lascia Tripoli per
rientrare in Italia insieme alla motonave Giulia,
ai piroscafi Caffaro e Nicolò Odero, alla nave cisterna Minatitlan ed al dragamine
ausiliario DM 6 Eritrea, con la
scorta dei cacciatorpediniere Alfredo
Oriani (caposcorta) ed Euro e delle torpediniere Orsa, Calliope e Pegaso.
31 agosto 1941
Marin Sanudo ed Orsa, separatesi
dal convoglio, raggiungono Trapani alle 11.45. Le altre navi raggiungeranno
Napoli il giorno seguente.
17 settembre 1941
La Marin Sanudo lascia Napoli alle cinque
del mattino, diretta a Tripoli, in convoglio con il piroscafo Caterina, la motonave Col di Lana e la nave cisterna Minatitlan. Il convoglio (terzo
convoglio di navi da carico del mese), denominato «Caterina», è scortato dai
cacciatorpediniere Freccia
(caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè), Folgore, Dardo ed Euro, ed imbocca la rotta di ponente.
I mercantili del
convoglio «Caterina» sono i primi bastimenti da carico, nella guerra dei
convogli libici, ad essere muniti di radiosegnalatori per le comunicazioni
radio con le altre unità della formazione; un significativo progresso
nell’organizzazione dei convogli (nel corso della navigazione, infatti, le
comunicazioni tra mercantili e navi scorta si svolgeranno regolarmente e con
facilità, come riferito dal caposcorta nel suo rapporto).
18 settembre 1941
Alle quattro del
mattino il convoglio, mentre naviga sulle rotte interne di Favignana, viene
attaccato da aerosiluranti britannici a tre miglia da Marsala. Le navi della
scorta, come al solito, cercano di nascondere i mercantili con cortine
nebbiogene ed aprono il fuoco con l’armamento contraereo (anche i piroscafi lo
fanno, ma il caposcorta Ghè lamenterà nel suo rapporto che, mentre il tiro
contraereo delle navi scorta è efficace, «i
piroscafi di solito hanno eseguito un disordinato tiro di sbarramento che molte
volte era diretto verso le unità di scorta»); data la vicinanza della
costa, anche le batterie di terra sparano contro gli aerei. Uno degli
attaccanti viene abbattuto, ma un siluro colpisce la Col di Lana, che viene rimorchiata a Trapani dai
rimorchiatori Liguria e Montecristo, scortati dal Dardo.
In serata, il convoglio
viene nuovamente attaccato da aerosiluranti, decollati a Malta dopo il
tramonto; questa volta, però, le abbondanti cortine nebbiogene emesse dalle
navi scorta riescono a frustrare l’attacco.
19 settembre 1941
In mattinata si
unisce alla scorta il cacciatorpediniere Vincenzo
Gioberti, proveniente da Tripoli. Qui il convoglio giunge alle 12.30 (o
17.30).
30 settembre 1941
Marin Sanudo, Caterina e Minatitlan lasciano Tripoli alle 16 per
tornare in Italia, scortati dai cacciatorpediniere Alpino (caposcorta), Oriani,
Fulmine e Strale. Il convoglio è denominato "H".
2 ottobre 1941
All’1.19, in
posizione 37°53’ N e 12°05’ E (al largo di Marettimo), il sommergibile
britannico Utmost (capitano di
corvetta Richard Douglas Cayley) avvista il convoglio di cui fa parte la Marin Sanudo a 6 miglia di distanza, su
rilevamento 130°, con rotta stimata 330°. Pur giudicando le condizioni molto
sfavorevoli per un attacco, Cayley tenta ugualmente e lancia un singolo siluro;
sarebbe in realtà sua intenzione lanciarne tre, ma dopo il lancio del primo l’Utmost viene localizzato dall’Oriani, che lancia un razzo Very verde
nella sua direzione. Il sommergibile, pertanto, interrompe l’attacco e
s’immerge immediatamente, venendo poi sottoposto dall’Oriani, precipitatosi contro di esso, a caccia col lancio di 22
bombe di profondità (nessuna delle quali esplode vicino all’Utmost, che così non subisce danni). Il
siluro lanciato non colpisce nulla.
3 ottobre 1941
Il convoglio arriva a
Napoli alle due.
16 ottobre 1941
Alle 11 (per altra
versione 13.30) la Marin Sanudo,
carica di 487 tonnellate di munizioni, 3696 tonnellate di materiali vari e 73
tra automezzi e rimorchi, parte da Napoli per Tripoli in convoglio con i
piroscafi Beppe, Paolina e Caterina e con
la motonave Probitas, sotto la scorta
dei cacciatorpediniere Folgore
(caposcorta, capitano di fregata Ernesto Giuriati), Fulmine, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti ed Antoniotto Usodimare e della torpediniera Cigno.
Il convoglio,
denominato «Beppe», deve seguire la rotta che passa ad ovest di Malta, che pur
essendo sotto qualche aspetto più rischiosa di quella di est, è giudicata la
più idonea per il transito di convogli lenti (velocità non superiore ai 9 nodi,
come appunto il «Beppe», che è considerato un convoglio lentissimo) in quanto
più breve. I vantaggi di questa rotta consistono nella minor durata del viaggio
e nella possibilità di garantire alle navi la scorta aerea – per lo meno di
giorno – per tutta la traversata, con aerei decollati da Pantelleria e
Lampedusa; gli svantaggi, nella minor distanza della rotta da Malta, nel non
dare ai mercantili vie di scampo verso ovest, e nell’avere un percorso
racchiuso entro un corridoio ampio poche miglia, delimitato da un lato dai
campi minati posati nel Canale di Sicilia e dall’altro dalla costa della
Tunisia e dalle secche di Kerkennah. Seguire la rotta di levante comporterebbe,
per un convoglio lento, di trattenersi molto più a lungo entro il raggio
dell’offesa britannica, così vanificando il vantaggio della maggior distanza
dalla base avversaria (peraltro ulteriormente ridotto, nell’ottobre 1941,
dall’arrivo a Malta degli aerosiluranti Vickers Wellington, aventi un raggio
d’azione maggiore degli Swordfish e degli Albacore, così che nemmeno la rotta
di levante passa più al di fuori del raggio operativo degli aerosiluranti).
Alcune ore dopo la
partenza, tre giovani soldati – Archimede Mingo, Enrico Damiani e Cesare
Pagliarulo – si presentano inaspettatamente al commissario di bordo della Marin Sanudo: spiegano di essersi
imbarcati clandestinamente a Napoli con l’intento di andare a combattere in
Africa Settentrionale, essendosi stancati di restare in Italia a far niente
mentre altrove si combatteva. (Scriverà Archimede Mingo, molti anni dopo, nelle
sue memorie: "Io ero nel fiore della
gioventù e non vedevo l’ora di poter menare le mani in qualche angolo del mondo
per “la causa dei popoli giovani per un posto al sole” (…) poiché si prospettavano tempi lunghi per
menare le mani (non sapevo ancora cosa fosse veramente una guerra, ma l’avrei
presto imparato a mie spese) insieme con altri due infatuati come me (…) decidemmo di imbarcarci clandestinamente per
raggiungere l’Africa Settentrionale (…) [mi ero] lasciato trascinare dalla propaganda, dalle apparenze, dalla grandezza
presunta dei compiti affidati alla gioventù, che con la violenza, la
sopraffazione e l’odio, avrebbe dovuto sancire la supremazia di un popolo o di
una razza"). Saliti a bordo mentre la nave era ormeggiata al Molo
Granili, intenta a caricare carri armati e cannoni tedeschi, senza che
l’equipaggio vi prestasse molta attenzione date le loro divise coloniali, i tre
insoliti “clandestini” si sono nascosti in un deposito di cordami, giubbotti
salvagente ed altro materiale situato a poppa, in attesa della partenza della
nave che, dai marinai, avevano saputo essere prevista per l’indomani. Una volta
sicuri di essere in mare aperto, si sono presentati al commissario di bordo per
rivelare le loro intenzioni; l’ufficiale, tuttavia, non prende la notizia molto
bene, ponendo immediatamente i tre soldati in stato di arresto, ed ordinando
loro di consegnargli subito armi, cinture e lacci delle scarpe, oltre ad
ingiungere loro di indossare i giubbotti salvagente e di non toglierli mai
durante tutta la traversata. Ad ogni modo, all’arrivo a Tripoli, il loro
desiderio verrà soddisfatto: saranno mandati al fronte in Marmarica.
Alle 16.50, poco più
di tre ore dopo la partenza, la Probitas viene
colta da un’avaria e deve rientrare a Napoli scortata dal Fulmine, mentre la minuscola
motonave Amba Aradam (requisita
come unità ausiliaria con sigla F 138) si
unisce al convoglio provenendo da Trapani, dove invece si dirige la Cigno lasciando il convoglio.
Il primo giorno di
navigazione trascorre tranquillo. Due delfini seguono la Marin Sanudo per ore ed ore, guizzando di tanto in tanto fuori
dall’acqua; gabbiani la sorvolano e si allontanano; anche un pescecane si
avvicina alla nave, ma viene messo in fuga dal tiro di una delle mitragliere di
bordo.
17 ottobre 1941
"ULTRA", la
celebre organizzazione britannica dedicata alla decrittazione dei messaggi in
codice dell’Asse, intercetta e decifra un messaggio relativo al convoglio «Beppe»
(da esso chiamato «Caterina»), dal quale apprende che: «Convoglio Caterina comprendente sei navi italiane scortate da 4 Ct
doveva lasciare Napoli alle 11.00 del giorno 16 per Tripoli, arrivando alle ore
18.00 del giorno 19, rotta ad ovest di Malta, 9 nodi».
Da Malta vengono
dunque fatti decollare dei ricognitori, che rintracciano le navi italiane a
mezzogiorno e poi ancora alle 16.40, al largo di Marettimo.
Poco prima, verso le
quattro, la Marin Sanudo avvista una
mina, che viene distrutta a raffiche di mitragliera da uno dei
cacciatorpediniere. Scrive il “clandestino” Archimede Mingo nelle sue memorie:
“I marinai dicono che stanotte le mitragliere
di bordo canteranno”.
18 ottobre 1941
Nella notte tra il 17
ed il 18 il convoglio, che procede a velocità molto bassa e si trova a sud di
Pantelleria, viene informato via radio da Supermarina di essere stato avvistato
da un ricognitore britannico. Un’ora dopo si verificano i primi attacchi, da
parte di almeno tre aerosiluranti: questi attaccano dopo aver lanciato dei
razzi illuminanti, ma l’attacco può essere eluso grazie a manovre difensive ed
alla pronta stesura di cortine nebbiogene, attorno ai mercantili, da parte
della scorta (grazie anche alla rotta seguita, 188°, ed al leggero vento di
poppa, che ha facilitato la copertura dei piroscafi con le cortine fumogene). Tutte
le navi del convoglio, compresa la Marin
Sanudo, reagiscono rabbiosamente col tiro delle mitragliere contraeree. Vengono
avvertite le esplosioni di tre siluri, evidentemente giunti a fine corsa dopo
il lancio. Una delle armi passa a poppavia della Marin Sanudo, mancandola di pochi metri.
Il convoglio scampa
indenne a questi primi attacchi, ma nella mattinata del 18, a sud di Lampedusa
(nel punto 35°25’ N e 11°39’ E) ed a 140 miglia da Tripoli (per altra
fonte, 45 miglia ad ovest di Lampedusa e 85 miglia ad
ovest-nord-ovest di Tripoli), le navi incappano nel sommergibile britannico Ursula (tenente di vascello Arthur
Richard Hezlet): questi, salpato da Malta per una missione nella zona dello
stretto di Messina, è stato poi dirottato nelle acque di Lampedusa a seguito
delle segnalazioni di “ULTRA”. Alle 8.06 l’Ursula
avvista il fumo prodotto dalle navi del convoglio nel punto 35°27’N e 11°45’E
(su rilevamento 306°), ed alle 9.02, in posizione 35°25’N e 11°39’E, lancia
quattro siluri da distanze di 5500 e 6400 metri contro due dei mercantili
italiani, stimati in 6000 tsl, probabilmente Beppe e Caterina.
Alle 9.10 il Beppe avvista due siluri: riesce ad
evitarne uno, ma l’altro lo colpisce a prua, lasciandolo immobilizzato,
fortemente appruato, sbandato ed abbandonato da una parte dell’equipaggio.
Un’unità della scorta contrattacca con nove bombe di profondità tra le 9.25 e
le 10, senza riuscire a danneggiare l’attaccante; il caposcorta distacca
per l’assistenza l’Oriani ed
il Gioberti, ma poco dopo
richiama l’Oriani, a seguito della
notizia che (per sua stessa richiesta) altri due cacciatorpediniere, il Nicoloso Da Recco ed il Sebenico, sono salpati da Tripoli a quel
preciso scopo.
Mentre il Gioberti si appresta a prendere a
rimorchio il Beppe (che riuscirà poi
a raggiungere Tripoli, assistito dai cacciatorpediniere e dai rimorchiatori Ciclope e Max Berendt, dopo tre giorni di travagliata navigazione in
condizioni precarie), il resto del convoglio prosegue per la propria rotta.
Alle 21.50, ad una
sessantina di miglia da Tripoli, vengono avvistati quattro aerei che si
avvicinano per attaccare; in realtà sono cinque, aerosiluranti Fairey Swordfish
dell’830th Squadron della Fleet Air Arm, decollati Malta alle 19.40
al comando del tenente di vascello Aidan F. Wigram (altra fonte parla invece
del tenente di vascello Robert Edgar Bibby; gli altri quattro Swordfish sono
pilotati dal tenente di vascello George Myles Thomas Osborn e dai sottotenenti
di vascello Robert Arthur Lawson, Raymond Warren Taylor e Stewart William
Lennox Campbell). Li hanno guidati sul posto le segnalazioni di un ricognitore
Vickers Wellington del 211st Squadron della Royal Air Force, munito
di radar ASV (Air to Surface Vessel, per la localizzazione di navi da parte di
aerei), che ha localizzato e pedinato il convoglio (da esso apprezzato come
composto da quattro mercantili di 3000-6000 tsl scortati da quattro
cacciatorpediniere).
La scorta inizia ad
emettere cortine fumogene, ma la copertura del convoglio risulta meno efficace
rispetto alla sera precedente: manca infatti un cacciatorpediniere (il Gioberti, rimasto col Beppe). Il caposcorta ha tenuto un
cacciatorpediniere a poppavia del convoglio con l’intento di farlo passare sul
lato dove più dovesse essere richiesta la sua presenza sulla base della
probabile direzione da cui arriverebbero gli aerei nemici; dato che i razzi
illuminanti (li ha lanciati il Wellington del 211st Squadron per
illuminare le navi e facilitare il compito degli attaccanti) sono stati
lanciati sulla sinistra del convoglio (il che fa presumere che l’attacco giungerà
dal lato opposto, in modo che gli attaccanti possano distinguere le sagome
delle navi che si stagliavano contro la luce dei bengala), Giuriati fa passare
il cacciatorpediniere sulla dritta, inevitabilmente accettando di lasciare
sguarnito il lato sinistro del convoglio. Alle 22.30, quando l’attacco è in
corso da circa tre quarti d’ora, il caposcorta Giuriati ritiene che la nebbia
artificiale si sia diffusa abbastanza da coprire un’accostata; pertanto ordina
per radiosegnalatore ai mercantili di accostare di 45° a dritta (portandosi su
rotta 135°) in modo da allontanarsi dalla zona illuminata dai bengala. Proprio
in quel momento, però (altra versione indica le 23.45), il Caterina viene colpito da un siluro
in sala macchine. Vengono anche sentiti gli scoppi di altri tre siluri, giunti
a fine corsa; l’attacco aereo termina alle 23.01, ed alle 23.30 il convoglio
compie una nuova accostata di 45° a dritta (assumendo rotta 180°) per evitare
di essere individuato. L’Oriani
(capitano di fregata Vittorio Chinigò) viene distaccato dal caposcorta per prestare
assistenza al piroscafo sinistrato. Nonostante i tentativi di rimorchio e
l’invio da Tripoli di varie unità di soccorso (tra cui il Sebenico, l’anziana torpediniera Generale Antonino Cascino ed il rimorchiatore tedesco Max Berendt), il Caterina affonderà alle 17.30 del 19 ottobre, a 62 miglia per 350°
dal faro di Tripoli (cioè a nord della città libica) e 80 miglia a sudest di
Lampedusa.
19 ottobre 1941
Marin Sanudo, Paolina, Amba Aradam, Folgore ed Usodimare
raggiungono Tripoli alle 11.30.
Due giorni dopo, il
21 ottobre, giunge a Malta la Forza K britannica, un reparto leggero – lo
compongono due incrociatori leggeri (Aurora
e Penelope) e due cacciatorpediniere
(Lance e Lively) – specificamente creato per il compito di attaccare i
convogli che trasportano rifornimenti tra l’Italia e la Libia. Supermarina
viene a sapere dell’arrivo a Malta di navi di superficie il giorno stesso (la
notizia verrà poi confermata, l’indomani, dalla ricognizione aerea) e, a scopo
prudenziale, decide di sospendere momentaneamente tutto il traffico marittimo da
e per l’Africa Settentrionale. Tale misura comprende anche la sospensione delle
partenze da Tripoli dei mercantili che, avendo sbarcato il loro carico,
dovrebbero tornare in Italia: tra di essi la Marin Sanudo. Il susseguirsi di eventi negativi (distruzione del
convoglio "Duisburg" da parte della Forza K, il 9 novembre;
fallimento, a causa di attacchi aerei subacquei, di un’operazione complessa di
rifornimento verso la Libia, il 21 novembre) nelle settimane successive, che
costituiranno il più disastroso periodo dell’intera guerra dei convogli, farà
sì che la sosta forzata a Tripoli della Marin
Sanudo e di altri mercantili scarichi si prolungherà per più di un mese.
24 novembre 1941
La Marin Sanudo lascia finalmente Tripoli in
serata per rientrare in Italia, scortata dal cacciatorpediniere Antoniotto Usodimare. Le due navi giungeranno indenni in Italia tra il 27 ed
il 28 novembre. Contemporaneamente, rientrano in Italia anche altre navi
mercantili bloccate a Tripoli da settimane (piroscafo Paolina, motonave Giulia,
nave cisterna Proserpina), tutte
navigando separatamente, con la scorta di un singolo cacciatorpediniere
ciascuna. Si ritiene infatti, dopo i disastri delle settimane precedenti, che
tale modalità dia maggior sicurezza che non la navigazione in un unico grande
convoglio.
(g.c. Pietro Berti via www.naviearmatori.net) |
L'affondamento
Alle 19.50 (per altra
fonte, 19.40) del 4 marzo 1942 la Marin
Sanudo salpò da Trapani – dov'era giunta in precedenza, provenendo da
Napoli – alla volta di Tripoli, scortata dalle torpediniere Cigno (capitano di corvetta Massimo
Franti) e Procione (caposcorta,
capitano di corvetta Marco Sacchi).
Le due torpediniere
avevano preceduto la motonave di 50 minuti, uscendo dal porto alle sette di
sera per poi incrociare nell’avamporto in attesa dell’uscita della Marin Sanudo. Quando anche questa fu
partita, il piccolo convoglio diresse verso sud ed iniziò la navigazione verso
Tripoli, seguendo le rotte stabilite dall’ordine di operazione n. 127 di Marina
Trapani, consegnato qualche ora prima al comandante della Procione; secondo le disposizioni ricevute il convoglio avrebbe
dovuto seguire la rotta che passava a ponente di Malta.
La Marin Sanudo aveva a bordo 220 uomini,
tra equipaggio e truppe dirette in Libia, ed un carico di rifornimenti destinato
alle forze tedesche operanti in Africa Settentrionale: pezzi di ricambio e motori
d'aereo, mezzi corazzati (tra cui tre Panzer II e due Panzer III del Nachschubstab 683), autocarri, cannoni
anticarro e navali, motocicli, scarpe, elmetti e, secondo alcune fonti, anche due
mesi di paghe per 44.000 uomini dell'Afrika Korps. Comandava la motonave il capitano di lungo corso Giovanni Becker, 54 anni, da Lussingrande.
La navigazione si
svolse regolarmente per tutta la sera, la notte e la mattina seguente; alle
13.25 del 5 marzo le tre navi stavano navigando a 9 nodi su rotta vera 169°,
con la scorta aerea di un velivolo della Luftwaffe. Cigno e Procione
zigzagavano, tenendosi in posizione di scorta laterale ravvicinata, la Cigno al traverso a dritta e la Procione al traverso a sinistra; la
distanza tra ciascuna torpediniera e la motonave oscillava tra i 400 e i 1000
metri.
Quella stessa mattina
il sommergibile britannico P 31 (poi Uproar, al comando del tenente di
vascello John Bertram de Betham Kershaw) della 10th Submarine
Flotilla di Malta, salpato da La Valletta il 26 febbraio per effettuare la sua
ottava missione di guerra (la quinta in Mediterraneo) nelle acque a levante
della Tunisia, si trovava in agguato al largo di Lampione, e precisamente, in
posizione 35°27' N e 12°12' E, in un mare piatto come una tavola. Alle 12.45
l'apparizione di un aereo, apparentemente impegnato a perlustrare le acque
nelle quali tra poco sarebbe passato un convoglio in cerca di sommergibili, lo costrinse
ad immergersi in profondità; alle 13.05, avvertendo all'idrofono rumori
prodotti da motori di navi su rilevamento 340°, Kershaw risalì a quota
periscopica per vedere di cosa si trattasse. Un minuto più tardi, il comandante
britannico avvistò una motonave mercantile diretta verso sud, scortata da due
unità che identificò come cacciatorpediniere classe Folgore, che zigzagavano ad
alta velocità. Si trattava proprio di Marin
Sanudo, Cigno e Procione, che per la rotta che stavano
seguendo stavano venendo proprio nella sua direzione. I due
“cacciatorpediniere” erano in realtà Cigno
e Procione; la convinzione di Kershaw
di trovarsi davanti a due unità della classe Folgore giunse al punto di fargli leggere erroneamente le lettere
identificative visibili sullo scafo di una delle torpediniere (quella a lui più
vicina), scambiando il "CG" di Cigno
o il "PR" di Procione per "FL", sigla
che identificava il cacciatorpediniere Fulmine
(appartenente, appunto, alla classe Folgore), in realtà già affondato da mesi.
Secondo una fonte britannica, il P 31
intercettò la Marin Sanudo sulla base
di “informazioni d’intelligence” che aveva ricevuto, ma questa circostanza non
è confermata dal libro "Il vero traditore" di Alberto Santoni, ed
anche la descrizione dell’avvistamento presente nel giornale di bordo del P 31 sembra piuttosto quella di un
incontro casuale anziché di un’intercettazione predisposta sulla scorta di
informazioni già pervenute.
Le due torpediniere
erano posizionate a proravia della motonave, una sulla sua dritta e l'altra
sulla sua sinistra; la distanza del sommergibile dal convoglio era di 6580
metri. Alle 13.10 il P 31 iniziò
un'accostata per portarsi in una posizione più favorevole per il lancio dei
siluri. Kershaw stimò che la Marin Sanudo
stazzasse circa 7000 tsl e fosse a pieno carico; aggiunse nel suo rapporto che,
essendo “una grossa nave, a pieno carico
e con forte scorta”, dovesse essere “una
nave di grande valore per il nemico”. La motonave stava procedendo su una
rotta rettilinea, mentre i “cacciatorpediniere” zigzagavano indipendentemente.
Alle 13.20 il
comandante britannico decise di attaccare con una salva di quattro siluri, ed
un minuto più tardi il P 31 scese a 12
metri di profondità: con il mare così piatto, infatti, il periscopio sarebbe
stato facilmente avvistato. Kershaw decise pertanto di lanciare regolandosi
esclusivamente sul sonar, confidando nel fatto che la rotta e velocità costanti
mantenute dal suo bersaglio avrebbero permesso un lancio ugualmente accurato.
Alle 13.23 (secondo l'orario britannico, evidentemente scartato di qualche
minuto rispetto a quello italiano) il P
31 lanciò una salva di quattro siluri dalla distanza di 713 metri.
Alle 13.30 la Marin Sanudo fu colpita in rapida
successione da tre siluri sul lato sinistro, poco a poppavia del centro; in un
minuto o poco più la motonave si abbatté sul fianco sinistro e colò a picco nel
punto 35°24' N e 12°11',3 E (secondo fonti italiane; secondo quelle
britanniche, invece, 35°27' N e 12°12' E, o 35°18' N e 12°35' E, ma
quest’ultima posizione sembra erronea), a 10,5 miglia per 215° (cioè a
sudovest) da Lampione ed una decina di miglia ad ovest-sud-ovest di Lampedusa (per
altre fonti, 14 miglia ad ovest di Lampione, e 18 miglia ad ovest di Lampedusa).
Così la fine della motonave fu descritta dal comandante della Procione nel suo rapporto: «si odono, provenienti dalla M/n tre
detonazioni quasi contemporanee seguite da due colonne d’acqua. La M/n colpita
sul lato sinistro, 10 o 20 metri a poppavia del centro, da due o tre siluri
sbanda rapidamente di 90° sulla sinistra e affonda in poco più di un minuto nel
punto a mg. 10,5 per 215° dall’Isola di Lampione in fondale di circa 60 metri». Secondo un altro documento dell'epoca, la nave affondò in circa quattro minuti; in ogni caso, l'affondamento fu tanto repentino da impedire di mettere a mare le lance, truppe ed equipaggio dovettero buttarsi in acqua e molti non ebbero neanche il tempo di guadagnare la coperta.
I siluri erano stati
lanciati da poppavia sinistra rispetto al convoglio, ed il mare già increspato
di suo non aveva permesso alle navi di avvistarne le scie (qui si rileva una
notevole discrepanza: da parte italiana si parla di mare increspato, al punto
da rendere difficile l’avvistamento di scie di siluri; da parte britannica di
mare piatto come una tavola, tale da far temere l’avvistamento del periscopio).
La Procione accelerò immediatamente al
massimo ed accostò per invertire la rotta, dirigendosi verso il punto in cui si
presumeva essere il sommergibile attaccante. La Cigno – che al momento del siluramento si trovava a 700 metri dalla
motonave, con beta 100° e rotta 120° – fece lo stesso, mettendo le macchine
avanti tutta, accostando di 40° a sinistra e passando così a poppavia del punto
in cui galleggiavano i rottami e i naufraghi della Marin Sanudo. L'equipaggio venne mandato ai posti di combattimento,
e vennero approntate le bombe di profondità, già regolate per esplodere alla
quota di 50 metri.
Le due torpediniere
diedero la caccia al sommergibile per venti minuti, fino alle 13.50, eseguendo
ripetuti lanci di bombe di profondità.
La Cigno, in particolare, avvistò alle
13.31 la bolla d'aria che rivelava il punto di lancio dei siluri, e l'origine
delle loro scie, verso prora. Alle 13.31.40, portatasi a circa 250 metri dalla
bolla, la torpediniera lanciò la prima bomba di profondità, seguita da altre
sette; dato il fondale relativamente poco profondo (circa 60 metri), gli scoppi
delle bombe sollevavano sabbia, producendo esplosioni di colore bianco. Tutte
tranne la terza, che invece produsse un'esplosione di colore nero; nel punto in
cui era scoppiata quella bomba, inoltre, un vasto tratto di mare assunse una
colorazione scura. Ritenendo pertanto di aver danneggiato il sommergibile, la Cigno invertì la rotta per tornare su
quel punto, e durante l'accostata vennero avvistate quelle che sembrarono la
prua e la torretta di un sommergibile (con tanto di mitragliere) che affiorarono
per circa mezzo metro sopra la superficie. Il direttore del tiro della Cigno portò i cannoni in punteria verso
il bersaglio, ma all'apertura del fuoco il battello avversario scomparve di
nuovo, leggermente appoppato. La torpediniera proseguì l'accostata, passando
sulla verticale del punto in cui era apparso e poi scomparso il sommergibile;
al centro della zona scura, che venne identificata («con certezza», secondo il
rapporto del comandante Franti) come una chiazza di nafta, furono viste delle
bolle d'aria. La Cigno lanciò su quel
punto altre sette bombe di profondità, poi invertì la rotta e ne lanciò altre
cinque. La chiazza di nafta continuò ad allargarsi, raggiungendo in breve
un'estensione di 300 metri per 200, in continuo aumento; appariva nettamente
distinta dalla chiazza di nafta che andava allargandosi nel punto in cui era
affondata la Marin Sanudo, a circa
300 metri di distanza.
In tutto, durante la
caccia la Procione lanciò 12 bombe di
profondità da 50 kg, regolate per una profondità di 50 metri, e la Cigno ne lanciò 13 da 50 kg e 9 da 100
kg, regolate anch’esse per 50 metri.
Sulla base di quanto
osservato, il comandante della Cigno
ritenne di aver affondato l'unità nemica, e lo comunicò alla Procione. Aveva torto: dopo aver sentito
gli scoppi dei siluri che andavano a segno (Kershaw ritenne che tutti e quattro
avessero fatto centro) ed aver rilevato la scomparsa del rumore prodotto dai
motori della Marin Sanudo, il P 31 aveva accelerato alla massima
velocità, ritirandosi verso nord; alle 13.27 (ora britannica) aveva ridotto la
velocità al minimo, e due minuti dopo aveva sentito gli scoppi delle prime
cinque bombe di profondità, piuttosto vicine, seguite dopo altri due minuti da
altre quattro bombe, molto vicine.
A questo punto il
comandante dell'Uproar aveva deciso
di adagiarsi sul fondo, che secondo le carte nautiche (basate sulle ultime
campagne idrografiche condotte proprio dalla Marina italiana) doveva essere in
quel punto non superiore ai 55 metri; scendendo alla minima velocità, per produrre
il minor rumore possibile, il sommergibile aveva in realtà toccato il fondo a 73
metri. Stando in questa posizione, adagiato immobile sul fondale, l’equipaggio
dell'Uproar aveva rilevato i
movimenti di Cigno e Procione, che si fermavano e poi
rimettevano in moto sulla sua verticale, ed entro le 13.45 aveva sentito l’esplosione
di trenta di bombe di profondità, estremamente vicine, ma non abbastanza da
arrecare all’unità britannica nulla di più di danni leggeri. L’ultimo scoppio,
ritenuto di bomba di profondità, fu sentito alle 16, ma doveva trattarsi di
qualcos’altro, dato che le torpediniere avevano terminato la caccia già prima
delle 14. L'Uproar sarebbe rimasto
sul fondale fino alle 17 – un’ora dopo aver sentito le torpediniere
allontanarsi verso nord – prima di tornare a quota periscopica e poi lasciare
la zona, senza aver subito danni. Secondo una fonte, al momento dell'emersione
il sommergibile britannico si sarebbe trovato in un mare “cosparso di corpi e
di arance”, evidenti relitti dell’affondamento della Marin Sanudo; tuttavia, nel suo giornale di bordo Kershaw annotò
semplicemente: “Nulla in vista”.
Risulta dunque evidente
che la Cigno non poté aver avvistato
un sommergibile in affioramento, dato che il P 31 era rimasto posato sul fondo durante tutto l'attacco; forse la
torpediniera avvistò dei rottami della Marin
Sanudo che, nell'eccitazione del momento e nella convinzione e speranza di
aver colpito l'unità avversaria, vennero scambiati per la prua e la torretta di
un sommergibile che affioravano dall'acqua. Non si tratterebbe, d'altronde,
dell'unico caso del genere registrato. La chiazza di nafta avvistata,
evidentemente, proveniva anch'essa dalla motonave affondata, proprio come
l'altra.
Alle 13.50, conclusa
la caccia, Cigno e Procione misero a mare le loro
imbarcazioni per recuperare i naufraghi della Marin Sanudo. La Cigno si
portò sottovento rispetto al punto in cui era affondata la motonave, al fine di
recuperare i naufraghi che scadevano per effetto del vento; alle 14 fermò le
macchine e mise a mare la lancia a remi ed il battellino. Frattanto, la chiazza
di nafta generata dal presunto affondamento del sommergibile, continuando ad
estendersi, aveva finito col congiungersi con quella della Marin Sanudo. Verso le 15 un rottame, forse un paglietto, ostruì
parzialmente la presa a mare della motrice poppiera della Cigno, rendendola temporaneamente inutilizzabile e costringendo la
torpediniera a manovrare con una macchina sola. Alle 16, non vedendo più uomini
in mare, la Cigno riprese a bordo le sue
imbarcazioni.
In tutto, la Procione recuperò 120 superstiti della Marin Sanudo, due dei quali morirono a
bordo poco dopo il salvataggio; la Cigno
ne salvò 45. Le operazioni di salvataggio si protrassero per oltre due ore,
fino alle 16, quando le due torpediniere ebbero issato a bordo ogni uomo che
fosse visibile. Per maggior sicurezza, comunque, le due unità incrociarono in
mezzo ai rottami fino alle 16.30, onde accertare al di là di ogni dubbio che
non vi fossero altri naufraghi in mare. Poi, diressero verso Trapani a 18 nodi.
Alle 17.45, mentre la
Procione si apprestava a riferire per
radio l’accaduto, Supermarina ordinò alle due torpediniere di proseguire verso
Tripoli. Cigno e Procione invertirono subito la rotta; alle 3.30 del 6 marzo le
torpediniere “atterrarono” a Zuara, da dove poi proseguirono per Tripoli,
arrivandovi alle nove di quel mattino come ordinato frattanto da Marilibia.
Entrate in porto alle 8.30, mezz'ora più tardi Cigno e Procione si
ormeggiarono al Molo Sottoflutto, dove sbarcarono immediatamente i
sopravvissuti della Marin Sanudo.
Secondo alcune fonti,
su 220 uomini imbarcati sulla Marin
Sanudo al momento dell'affondamento in 155 furono salvati dalle unità di
scorta, il che significherebbe che le vittime furono 65. Dai rapporti di Cigno e Procione risulta tuttavia che i superstiti raccolti dalle due
torpediniere (eccetto due che morirono subito dopo il salvataggio) furono 163
(118 dalla Procione, 45 dalla Cigno); in tal caso, il numero delle
vittime della Marin Sanudo dovrebbe
essere stato di 57, a meno che altri naufraghi non siano deceduti in un secondo
momento.
Dei 44 uomini che componevano l'equipaggio civile, 14 risultarono dispersi ed uno, il marinaio Simeone Mikol, morì a bordo della Procione dopo il salvataggio.
Alcune delle vittime:
Francesco Battaglia, marittimo civile, da Santa Flavia
Salvatore Bella, marittimo civile, da Torre del Greco
Giorgio Binelli, marittimo civile, da Napoli
Giovanni Celotto, marittimo civile, da Venezia
Giovanni Battista De Barbieri, marittimo civile, da Genova Voltri
Michele Lauro, marittimo civile, da Meta di Sorrento
Ciro Mennella, marittimo civile, da Torre del Greco
Giuseppe Marotti, ufficiale di macchina, da
Castua
Luigi Michelotto, soldato, 29 anni, da Rubano
Giuseppe Mikol, marittimo civile, da Trieste
Simeone Mikol, marinaio (equipaggio civile), da Trieste
Ramiro Milazzi, macchinista (equipaggio civile), 54 anni, da
Trieste
Antonio Parisi, marittimo civile, da Trapani
Giorgio Petronio, ufficiale di coperta, da
Trieste
Alberto Ralomba, marittimo civile, da Torre del Greco
Alberto Russo, marittimo civile, da Piano di Sorrento
Francesco Siciliano, soldato dell'824a
Batteria da 20 mm, 21 anni, da Oppido Mamertina
Luigi Sutera, marittimo civile, da Trapani
Giuseppe Volo, marittimo civile, da Venezia
Atto di scomparizione in mare relativo alle vittime tra l’equipaggio
civile della Marin Sanudo (g.c.
Michele Strazzeri)
L'affondamento della Marin Sanudo nel giornale di bordo del P 31 (da Uboat.net):
"1245 hours - In
position 35°27'N, 12°12'E sighted an aircraft carrying out an A/S sweep. Went
deep.
1305 hours - Heard
H.E., bearing 340° and came to periscope depth.
1306 hours - Sighted
a motor vessel [la Marin Sanudo]
escorted by two Folgore-class
destroyers [in realtà, Cigno e Procione], one on either bow. Range was
7200 yards. The nearest destroyer had FL on her bow [FL era la sigla
identificativa del cacciatorpediniere Fulmine,
affondato cinque mesi prima: evidentemente Kershaw vide male le lettere.]
1310 hours -
Commenced a retiring turn. The target was on a steady course with the
destroyers zigging independently. The target was a vessel of about 7000 tons
and fully laden.
1320 hours - Decided
to attack with a salvo of four torpedoes. It was a large vessel, fully laden
with a heavy escort. It must be a very valuable ship for the enemy.
1321 hours - Went to
40 feet as the sea was flat calm and the periscope would otherwise be sighted.
Decided to attack using Asdic.
1323 hours - Fired
four torpedoes from 780 yards. All hit. H.E. of the target ceased. P 31 increased to full speed and retired
to the North.
1327 hours - Went to
slow speed.
1329 hours - 5 Depth
charges were dropped, fairly close.
1331 hours - 4 Depth
charges exploded, very close.
1333 hours - Settled
on the bottom at 240 feet. By 1345 hours a total of 30 depth charges had been
dropped and minor damage was received. The destroyers were overhead, stopping
and starting their engines. Decided to remain on the bottom. It was some
comfort that the chart 'from the latest Italian Government Surveys' gave the
greatest depth as 180 feet.
1600 hours - The
final depth charges were dropped and the destroyers were heard proceeding to
the North.
1700 hours - Returned
to periscope depth. Nothing in sight. Went deep again to reload."
Il relitto della Marin Sanudo è stato localizzato nel
marzo 2002 da una squadra di subacquei britannici e maltesi, guidati dal
subacqueo e documentarista maltese Emi Farrugia. Il 15 settembre 2002 un fanale
di testa d'albero – realizzato dalla compagnia britannica North Shields –
proveniente dal relitto della motonave (rinvenuto in un magazzino all'interno
del relitto dai subacquei John e Paul Womach) è stato donato da Farrugia al
National War Museum di La Valletta, Malta, dove si trova oggi esposto.
Una prima spedizione
italiana sulla Marin Sanudo ("Mizar
2005") è stata effettuata nel 2005, ad opera dei subacquei Andrea Ghisotti
e Pietro Faggioli, che ne hanno esplorato e fotografato il relitto. Così
Ghisotti descrisse l'immersione sulla motonave: “La prima cosa che vidi della grande nave fu il maestoso albero di prua,
che s’innalzava verso la superficie, drappeggiato di lenze e spugne gialle.
Alla sua base, spostato verso la murata destra, un piccolo carro armato tedesco
era quasi irriconoscibile a causa delle concrezioni che il mare vi aveva
intessuto sopra negli anni. Penetrai nella stiva di prua e fu come trovarmi a
sorvolare un arsenale militare: cannoni da campo di ogni calibro, carrelli
portamunizioni, camion, rimorchi, casse e casse di munizioni, elmetti! Bastava
però sfiorare quell’infinito museo per far sollevare in sospensione il
micidiale limo che negli anni aveva ricoperto ogni cosa. Riguadagnai presto
l’acqua libera, prima che la visibilità si riducesse a zero, facendomi perdere
la via d’uscita”.
Con ordinanza n. 26
del 20 dicembre 2007 dell'Assessorato Beni Culturali-Soprintendenza del Mare
della Regione Sicilia, il relitto della Marin
Sanudo è stato inserito tra i siti regolamentati e soggetti a tutela in
quanto relitto di interesse storico. Il relitto è stato esplorato in due
riprese, nel settembre 2014 e nel giugno 2015, da quattro subacquei (Filippo
Mallamaci, Francesco Mazza, Domenico Majolino e Marco Giuliano) dei centri
immersioni “Ecosfera Diving” di Messina e “Blue Dolphins” di Lampedusa,
nell'ambito di un'iniziativa concordata con la Soprintendenza del Mare della
Regione Sicilia e dell'Arsenale Militare Marittimo di Messina, al fine di
documentare lo stato dei relitti storici nel Canale di Sicilia nonché di
ricostruire, con indagini archivistiche, la loro storia.
La nave giace
sbandata sul lato sinistro nel punto 35°24,658' N e 12°12,586' E (una decina di
miglia a sudovest di Lampedusa, o 18 miglia a sud dell'isola, a seconda delle
fonti), a profondità compresa tra i 73 ed i 78 metri; il relitto ha un aspetto
“imponente”, la prora appare “dritta e imperante”, con le ancore ancora all’interno
delle cubie. Il ponte di coperta è in gran parte ricoperto (“come carta da
parati”) da una grossa rete, ed abitato da svariate forme di vita sottomarine,
tra cui spugne gialle, axinelle, ricciole, dotti, cernie, saraghi e corvine. Nelle
stive, agevolmente accessibili, sono visibili decine di carrelli rovesciati o
capovolti, il cui contenuto è sparpagliato tutt'attorno: contenitori,
proiettili, componenti meccanici e motori stellari d’aereo; in un angolo si
trova un'autovettura, il muso rivolto verso l'alto, parzialmente schiacciata da
un cannone. Sono presenti anche elmetti tedeschi e piatti di porcellana
decorati nella parte posteriore con un’aquila che stringe una svastica negli
artigli, il che ne permette la facile attribuzione alla Wehrmacht; altri piatti
e posate, evidentemente provenienti dalla mensa di bordo, sono invece decorati
con le iniziali LT (Lloyd Triestino). La zona poppiera, dove colpirono i tre
siluri, è ridotta in pessime condizioni, consistendo in un ammasso aggrovigliato
di lamiere impenetrabili, dando quasi l’impressione di essere implosa. Anche la
plancia appare completamente distrutta dall'esplosione dei siluri.
Nel 2017 il relitto
della Marin Sanudo è stato oggetto di
uno studio volto ad accertare la presenza e le caratteristiche della vita
marina su di esso, e l'impatto dell'inquinamento causato proprio dalla presenza
del relitto. Su tre relitti oggetti dello studio, quello della Marin Sanudo è risultato di gran lunga
il più ricco di vita sottomarina, con l'osservazione di ben 58 specie diverse
di pesci, alcune delle quali protette (corvine) o minacciate.
La Soprintendenza del
Mare della Regione Sicilia ha proposto l'inserimento della Marin Sanudo nel programma Europeo “Horizon 2020” per un progetto
di telecontrollo e musealizzazione in situ del relitto.
Una serie
di immagini del relitto della Marin
Sanudo (g.c. Domenico Majolino/Ecosfera Diving Center Messina):
Il carico ancora nelle stive: bottiglie… |
... e pezzi
d’artiglieria.
Alcune reti sono impigliate nelle strutture del relitto. |
La prua. |
Buongiorno,
RispondiEliminaVorrei chiederle gentilmente quali sono le fonti da cui ha ricavato la lista di alcune delle vittime.
Tra i nomi figura quello del mio bisnonno che risulta come macchinista quando invece era un vice capitano (capitano di macchina per l’esattezza).
Vorrei risalire all’errore e correggerlo per rispetto alla memoria del mio povero avo.
Grazie
Buongiorno,
Eliminal'avevo tratto da un sito, oggi non più esistente, sulle vittime militari e civili della Venezia Giulia nella seconda guerra mondiale ed immediato dopoguerra.
Non si tratta di un errore: macchinista ed ufficiale di macchina sono termini intercambiabili, un "capitano di macchina" ("vice capitano" non credo che esista come grado nella Marina Mercantile) era un ufficiale di macchina (macchinista).
Non riesco a commentare questo articolo!
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