lunedì 10 febbraio 2014

Pietro Calvi

Il battello a fine allestimento al Muggiano (g.c. Silvio Tasselli)

Sommergibile oceanico della classe Calvi (dislocamento di 1550 tonnellate in superficie e 2060 in immersione). Durante la guerra svolse otto missioni (sette delle quali in Atlantico) per complessive 46.170 miglia percorse in superficie e 1817 in immersione, affondando sei navi mercantili per complessive 34.193 tonnellate di stazza lorda.

Breve e parziale cronologia.

20 luglio 1932
Impostazione nei cantieri Odero-Terni-Orlando di La Spezia.
31 marzo 1935
Varo nei cantieri Odero-Terni-Orlando di La Spezia.
16 ottobre 1935
Entrata in servizio. Viene destinato alla II Squadriglia Sommergibili (facente parte della I Flottiglia Sommergibili), di base a La Spezia, insieme ai gemelli Giuseppe Finzi ed Enrico Tazzoli ed al più anziano sommergibile Ettore Fieramosca.

Il Calvi (a destra) insieme al Finzi (al centro) ed al Tazzoli (a sinistra) durante l’allestimento nel cantiere del Muggiano (g.c. www.xmasgrupsom.com)

1936
All’inizio dell’anno l’organizzazione dei sommergibili viene rivista, con la creazione dei Gruppi, e Calvi, Finzi e Tazzoli vanno a formare insieme a Glauco ed Otaria la I Squadriglia del IV Gruppo, di base a Taranto. Nonostante la dislocazione a Taranto, il Calvi si trova spesso ad avere effettivamente base altrove. Successivamente il Calvi compie una crociera dall’Italia a Tripoli.
Gennaio 1937
Prende segretamente parte alla guerra civile spagnola al comando del capitano di corvetta Alberto Beretta.
8 gennaio 1937
Nella notte dell’8 attacca con un siluro il piroscafo repubblicano spagnolo Villa de Madrid, al largo di Culera, e più tardi lancia un altro siluro contro il piroscafo Ciudad de Barcelona, anch’esso repubblicano, al largo di Capo San Antonio, ma le armi non vanno a segno.
12 gennaio 1937
Ricevuto ordine di bombardare il porto e l’area industriale di Valencia, il Calvi spara 71 proiettili dirompenti, con i sui due cannoni da 120 m, sui cantieri e sui depositi di petrolio, da una distanza di 10.000 metri.
Febbraio 1937
Sempre nell’ambito della guerra di Spagna, opera nelle acque di Tarragona al comando del capitano di corvetta Primo Longobardo, che consegue al suo comando una Medaglia d’argento al Valor Militare.
1938
Assegnato alla XV Squadriglia Sommergibili (I Gruppo Sommergibili, di base a La Spezia), composta dai più grandi sommergibili della Regia Marina (il Calvi ed i suoi due gemelli, le quattro unità della classe Balilla – Balilla, Millelire, Toti e Sciesa – ed il Fieramosca).

Il sommergibile fotografato verosimilmente durante la rivista navale “H” tenutasi nel golfo di Napoli, al cospetto di Adolf Hitler, il 5 maggio 1938 (g.c. www.grupsom.com)

1939
Assegnato alla XII Squadriglia Sommergibili (insieme a Finzi, Tazzoli e Fieramosca), del I Grupsom di La Spezia, a seguito della riorganizzazione delle squadriglie.
10 giugno 1940
All’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale il Calvi (capitano di corvetta Giuseppe Caridi, che ne è il comandante dal 1939) fa parte della XI Squadriglia Sommergibili (con Finzi, Tazzoli e Fieramosca, inquadrata nel I Grupsom), di base a La Spezia.
3 luglio 1940
Il Calvi (capitano di corvetta Giuseppe Caridi) salpa da La Spezia diretto in Atlantico. Il Calvi ed il Veniero, sommergibile che lo ha preceduto di un giorno, sono i primi battelli cui il comando ordina di abbandonare le norme del diritto internazionale per condurre guerra ad oltranza.
Luglio 1940
Attraversa lo stretto di Gibilterra in superficie nella notte tra l’8 ed il 9, poi costeggia in superficie il Nordafrica senza incontrare problemi e raggiunge la propria area d’agguato nelle acque di Madera, dove compie la sua prima missione di guerra. Entra nella rada di Funchal con scopo ricognitivo, trovandovi però solo 12 mercantili ed un cacciatorpediniere, tutti neutrali. Non incontra navi nemiche e successivamente inizia la navigazione di ritorno.
1-2 agosto 1940
Attraversa lo stretto di Gibilterra nella notte tra l’1 ed il 2, di nuovo in superficie, ma, avvistando una silurante che si ritiene essere nemica, deve immergersi per un breve tratto nei pressi di Punta Almina.
6 agosto 1940
Arriva a La Spezia, dove viene messo in bacino per lavori in previsione del suo impiego in Atlantico alle dipendenze della base di Betasom.
27 settembre 1940
Il Calvi (capitano di corvetta Giuseppe Caridi) parte da La Spezia diretto in Atlantico, dove sarà assegnato alla neocostituita base di Betasom, a Bordeaux. (Altra fonte data la partenza alle prime ore del 6 ottobre).
1° ottobre 1940
Attraversa in immersione lo stretto di Gibilterra (s’immerge poco prima di imboccare lo stretto, con mare leggero e brezza), rilevando i rumori prodotti dalle unità sottili nemiche con l’idrofono, ma, a causa delle avverse correnti che caratterizzano lo stretto (e che hanno già causato guai ad altri battelli) e che cagionano un improvviso appesantimento, sprofonda sino a 143 metri di profondità (ben oltre i 100 metri della quota di collaudo), riuscendo tuttavia ad uscirne senza danni.
Successivamente fa rotta per la zona d’operazioni prevista, al largo di Capo Finisterre, raggiungendola ed iniziando a cercarvi navi nemiche, mentre l’8 ottobre viene inviato a tutta forza alla ricerca di un grosso convoglio che il sommergibile Glauco ha localizzato e segnalato circa 200 miglia a nordovest di Capo Finisterre. Il Calvi pattuglierà zona indicata sino al 10 (per altra versione per 10 giorni), ma non vi troverà nulla, ed infine dirigerà per Bordeaux senza aver incontrato navi nemiche.
23 ottobre 1940
Arrivo a Betasom, dove viene sottoposto a lavori di manutenzione.

Il Calvi arriva per la prima volta a Bordeaux (g.c. STORIA militare).

3 dicembre 1940
Lascia Bordeaux diretto ad ovest dell’Irlanda, per fare parte di un gruppo di sommergibili che comprende Veniero, Emo, Bagnolini, Tazzoli e Nani, nell’ambito di un’operazione organizzata in concerto con il comando tedesco.
Rimane però a terra, a Bordeaux (forse perché malato, o per altre ragioni), il giovane marinaio Angelo Farina (nato ad Ozieri l'11 ottobre 1919). Nella notte tra l'8 ed il 9 dicembre, Bordeaux viene bombardata da 44 bombardieri della Royal Air Force (29 Wellington degli Squadrons 49, 115 e 149 e 15 Whitley del 4th Group), che hanno come obiettivo proprio la base dei sommergibili italiani. I danni materiali sono modesti, ma vi sono alcune vittime: Angelo Farina del Calvi è tra di loro. Lo sfortunato marinaio verrà sepolto tra nel cimitero tedesco di Talence (Ehrenfriedhof Bordeaux).

La tomba di Angelo Farina nel cimitero di Talence. Sovente Angelo Farina è elencato, per sbaglio, tra i caduti nell’affondamento del Calvi.

11 dicembre 1940
Raggiunge l’area assegnata per la missione dopo aver superato una burrasca estremamente forte, tanto da divellere parte dell’intercapedine prodiera, deformare parte della torretta e fare imbarcare tonnellate d’acqua attraverso il boccaporto della torretta (che provocano continui guasti agli impianti elettrici), che in alcuni momenti minaccia la stessa galleggiabilità del sommergibile. (Anche perché, secondo una fonte, l’assenza di prese d’aria per i motori diesel costringe a tenere i boccaporti aperti).
12 dicembre 1940
Avvista, per la prima volta, un piroscafo di nazionalità ignota che procede a zig zag a 7-8 nodi, e lo segue per gran parte del giorno, ma uno dei due motori diesel smette di funzionare, e nel pomeriggio il Calvi deve rinunciare all’inseguimento a seguito della perdita di parecchia nafta da un doppio fondo.
17 dicembre 1940
Nuovo avvistamento; di nuovo deve interrompere la caccia per un’avaria ai motori diesel.
18 dicembre 1940
Nella prima mattina (tra le 6 e le 7), con mare grosso ed in peggioramento e forti acquazzoni, il Calvi avvista un mercantile in navigazione verso ovest a luci spente (si tratta dell’incrociatore ausiliario britannico Worcestershire) ed alle 5.35, in posizione 54°14’ N e 19°34’ O, lancia due siluri contro di esso, mancandolo, e l’inseguimento non ha frutto perché il Worcestershire è più veloce (e per giunta accelera, aumentando le distanze, dopo il lanci dei siluri). Il Calvi – che lentamente rimane indietro, anche perché solo uno dei suoi due motori sta funzionando correttamente – apre il fuoco con il cannone di prua in un momento in cui il tempo migliora, ma il Worcestershire risponde al fuoco con proiettili illuminanti, ed il sommergibile, trovandosi ora in una posizione sfavorevole a causa della scarsa visibilità ed insufficiente velocità, deve cessare il fuoco e rompere il contatto dopo aver sparato dieci proiettili da 120 mm, che non vanno a segno.
Successivamente effettua altri attacchi in condizioni meteomarine avverse.

Giuseppe Caridi in una foto del dopoguerra, in divisa da ammiraglio (Uboat.net)

20 dicembre 1940
Alle dieci del mattino il Calvi avvista una nave oscurata a duemila metri di distanza: si tratta del piroscafo britannico Carlton da 5162 tsl (al comando del capitano William Learmount), un mercantile disperso del convoglio «OB 260d» in navigazione da Liverpool (da dove il convoglio, di 29 navi, è partito il 16 dicembre, per poi disperdersi il 19) al Nordamerica; il Carlton, tuttavia, è in navigazione da Newport a Buenos Aires con un carico di 6545 tonnellate di carbone. Alle 10.13, ridotta la distanza a seicento metri e rimanendo in superficie, il comandante Caridi ordina di lanciare un siluro dal tubo numero 2, ma per un malfunzionamento nella comunicazione interfonica vengono lanciati entrambi i siluri pronti nei tubi prodieri, uno da 450 mm e l'altro da 533 mm. Entrambi mancano il bersaglio e vengono notati da bordo del Carltonche apre il fuoco sul Calvi con una mitragliera Hotchkiss, che costituisce il suo unico armamento difensivo (per una versione, probabilmente erronea, il sommergibile avrebbe dapprima attaccato il piroscafo con i propri cannoni), lancia un SOS (nel quale però indica una posizione sbagliata di trenta miglia verso nord, secondo il comandante Caridi che lo ha intercettato) e cerca anche di speronarlo.
Il Calvi s'immerge (subito o dopo un lungo scontro, a seconda della versione) e manovra per rivolgere la poppa al bersaglio (che intanto procede a zig zag e continua a sparare con la mitragliera contro il periscopio), dopo di che alle 14.38 lancia un siluro da 450 mm dai tubi poppieri, da mille metri di distanza; l'arma manca il piroscafo passandogli a proravia. Miglior fortuna ha il successivo lancio, alle 14.45, sempre dai tubi di poppa ma da una distanza di 1300 metri (siluro da 533 mm): stavolta il Carlton viene colpito a centro nave, 62 secondi dopo il lancio, ed affonda in sei minuti in posizione 54°30' N e 18°30' O (oppure 55°18' N e 18°49' O, o 54°40' N e 18°53' O), circa 550 miglia ad ovest dell'Irlanda. 
L’intero equipaggio di 35 uomini abbandona la nave su due lance; il Calvi si avvicina per chiedere se necessitino di qualcosa, ed il comandante Learmount chiede delle sigarette. (Secondo il marinaio Amos Pearson del Carlton, invece, il comandante del sommergibile avrebbe chiesto ai naufraghi dove fosse il comandante britannico, e questi avrebbero risposto mandandolo al diavolo e dicendogli che era affondato con la nave). Poi il Calvi s'immerge e lascia la zona.
I naufraghi del Carlton andranno incontro ad un tragico destino: la scialuppa al comando del comandante Learmount, con diciotto uomini a bordo, scomparirà nell'oceano (per una fonte, si sarebbe capovolta provocando la morte di tutti gli occupanti), mentre l'altra, al comando del primo ufficiale, andrà alla deriva per 18 giorni: solo quattro dei 17 occupanti saranno ancora in vita quando verranno raccolti dal mercantile Antiope il 7 gennaio 1941, gli altri moriranno uno dopo l'altro di fame e di sete, o si getteranno in mare dopo essere impazziti.
26 dicembre 1940
Avvistato (alle 16.45) nel mare molto mosso, in posizione 54°50’ N e 18°57’ O (o 55° N e 19° O), un mercantile valutato in 10.000 tsl, il Calvi si avvicina e lo attacca lanciando un siluro ed avvertendo una forte detonazione, ritenendo di averlo affondato, ma non risulteranno navi affondate o danneggiate.
Altri avvistamenti sono infruttuosi.
27 dicembre 1940
Giunto al limite dell’autonomia, il sommergibile intraprende la navigazione di ritorno.
31 dicembre 1940
Arriva a Bordeaux in tempo per festeggiare l’ultimo dell’anno.
Seguono tre mesi di lavori di manutenzione e riparazione. (Secondo una fonte, proprio i danni subiti dal Calvi durante la missione a causa del maltempo inducono Betasom a disporre la riduzione delle dimensioni delle voluminose torrette dei sommergibili italiani, ed a dotarli di prese d’aria per i motori diesel).
31 marzo 1941
Parte per una nuova missione nell’Atlantico centrale in gruppo con i sommergibili Marconi, Finzi e Tazzoli; Calvi e Finzi, in particolare, vengono inviati tra le Canarie e le Azzorre.
22 aprile 1941
Lancia infruttuosamente due siluri contro una nave armata al largo di Freetown, poi tenta di inseguire la nave, ma la perde di vista nei forti piovaschi.
28 aprile 1941
Attacca infruttuosamente con il siluro, al largo delle isole Bissagos, il piroscafo britannico Caperby, poi lo perde di vista a causa della foschia.
5 maggio 1941
Durante la navigazione di ritorno avvista un grosso piroscafo passeggeri a tre fumaioli scortato da unità sottili, ma non riesce a raggiungere una posizione idonea a lanciare i siluri, a causa dell’alta velocità del mercantile.
13 maggio 1941
Torna a Le Verdon (Bordeaux).
Segue un periodo di lavori, durante il quale il comando passa dal capitano di corvetta Caridi (promosso capitano di fregata e capo di Stato Maggiore di Betasom) al parigrado Emilio Olivieri.

Il capitano di corvetta Emilio Olivieri (da Il Tirreno)

1° agosto 1941
Prende il mare per una nuova missione tra le Canarie e le Azzorre, operando dapprima ad ovest delle Canarie e, dopo il 21 agosto, al largo di Gibilterra cooperando con altri sommergibili italiani e tedeschi, ma non ottiene nessun risultato.
10 settembre 1941
Torna a Bordeaux.
In questo periodo il Calvi scampa anche ad un agguato teso dal Secret Intelligence Service britannico in base ad informazioni passate da Laura D’Oriano, spia italiana al servizio dei servizi segreti britannici, che da Bordeaux segnala le partenze dei sommergibili italiani.
7 dicembre 1941
Il Calvi (capitano di corvetta Emilio Olivieri) viene inviato, insieme ai gemelli Tazzoli e Finzi ed al sommergibile Luigi Torelli, a soccorrere i naufraghi della nave corsara tedesca Atlantis (affondata il 22 novembre dall’incrociatore pesante HMS Devonshire) e della rifornitrice tedesca Python (affondata il 1° dicembre dall’incrociatore pesante HMS Dorsetshire dopo aver recuperato i superstiti dell’Atlantis). I quattro grossi sommergibili italiani, richiesti appositamente da Karl Dönitz per l’operazione di soccorso in virtù della loro capienza, dirigono verso sud alla massima velocità, raggiungono al largo delle Isole di Capo Verde i sommergibili tedeschi U-A, U 68, U 124 ed U 129, che hanno recuperato i 414 sopravvissuti, e – tra il 13-14 ed il 17-18 dicembre - trasbordano 254 naufraghi, principalmente dell’Atlantis, usando per il trasbordo le piccole zattere di gomma degli U-Boote. Il Calvi, sul quale sono stati trasbordati 70 uomini dall’U 124, raggiunge Saint-Nazaire con i naufraghi il 29 dicembre (insieme all’U 129, il Calvi è l’ultimo dei sommergibili soccorritori a raggiungere Saint-Nazaire; per altra fonte, invece, Calvi ed U 129 raggiunsero Saint-Nazaire il 27).
Successivamente il battello viene sottoposto ad un periodo di lavori in bacino, al termine dei quali, ad inizio marzo 1942, si trova ad essere l’unico sommergibile in efficienza a disposizione di Betasom e si decide di inviarlo al largo della costa settentrionale brasiliana (stati di Cearà e Natal), tra Capo San Rocco (a nord di tale Capo) e Capo Orange (a nord dell’Equatore): è una zona dove è stata segnalata la presenza di molte navi, ma dove i battelli dell’Asse non si sono ancora avventurati, e si vuole sfruttare l’effetto sorpresa. Il comandante di Betasom, CV Romolo Polacchini, riesce infine a convincere l’ammiraglio Dönitz (che vorrebbe aspettare di avere più sommergibili da mandare in quelle acque, per un attacco di massa oltre che a sorpresa) ad acconsentire alla partenza del Calvi per quella zona, con l’obbligo di non attaccare navi nelle acque territoriali del neutrale Brasile, onde evitare ripercussioni sui rapporti politici con quella nazione.

Il Calvi durante la missione di soccorso ai naufraghi dell’Atlantis (g.c. STORIA militare via www.betasom.it)

7 marzo 1942
Il Calvi (capitano di corvetta Emilio Olivieri) lascia Le Verdon per una nuova missione al largo di Capo Orange.
Una volta raggiunta l’area assegnata, il sommergibile fermerà per prima cosa due mercantili con distintivi che ne indicano l’appartenenza a paesi neutrali, ma il maltempo impedisce di verificare che non stiano trasportando merci d’interesse bellico.
Successivamente (forse il 25 marzo) attacca infruttuosamente un piroscafo britannico tipo Huntingdon.
28 marzo 1942
Alle 15.20 il Calvi avvista su rilevamento 270°, in posizione 13°57' N e 44°16' O (a circa 700 miglia da Capo Orange, a settentrione della foce del Rio delle Amazzoni), alberi, fumaiolo e parte della plancia di un piroscafo, e subito dopo le parti superiori delle sagome di altre tre navi, due delle quali di grandi dimensioni. Il convoglio, distante 12 km, ha rotta stimata 160°. Il Calvi manovra per mostrare la poppa assumendo rotta 85°, ma mentre tale manovra è in corso viene visto alzarsi un aereo sulla quarta unità, che sembra avere lo scafo molto basso ma i cui contorni appaiono molto confusi. Il comandante Olivieri dà ordine d'immersione, e mentre il Calvi s'immerge nota che i mercantili avvistati accostano a un tempo di circa 90°, probabilmente in fuori, il che lo induce a ritenere di essere stato avvistato. Agli idrofoni vengono rilevati rumori di macchine alternative, sempre nella stessa direzione ma con intensità in aumento.
Alle 16.11 il Calvi accosta per 220° e si porta a quota periscopica, osservando a 8-9 km di distanza, su alfa 37° con beta 100°, una formazione composta da quattro unità disposte a rombo, composta da un grosso piroscafo in testa, un altro grosso piroscafo con molti picchi di carico ed un piccolo piroscafo al centro in linea di fronte, ed una portaerei in coda. La portaerei sembra simile all'USS Ranger (ha la sovrastruttura centrale molto piccola ed il ponte di volo leggermente più corto dello scafo), ma Olivieri non è certo della sua identificazione; non trovandosi in condizione di poter attaccare in immersione, rileva gli elementi di marcia del convoglio e poi scende a 40 metri. (La portaerei è la portaerei di scorta HMS Archer, ed il convoglio è scortato dall'incrociatore pesante HMS Devonshire e da tre cacciatorpediniere del 1° Gruppo d'appoggio. L'avvistamento da parte di un aereo decollato dall'Archer obbliga il Calvi all'immersione).
Alle 16.45 il Calvi torna a quota periscopica, e trova il convoglio ancora entro l'orizzonte; non potendo emergere troppo vicino al convoglio a causa degli aerei, Olivieri ne rileva nuovamente gli elementi di marcia e poi torna a 40 metri.
Emerso alle 17.25, quando il convoglio si è sufficientemente allontanato e sta per calare la sera, il Calvi si pone al suo inseguimento, basandosi sui fumi ancora visibili all'orizzonte; alle 19.48 avvista su rilevamento 130° un piroscafo che dalle alberature viene riconosciuto come il primo della formazione avvistata in precedenza. Il sommergibile gli si avvicina con l'intenzione di sopravanzarlo sul lato rivolto ad est, in modo da approfittare delle migliori condizioni di luce offerte dal tramonto; il comandante Olivieri regola la manovra e l'andatura in modo da trovarsi di prora al piroscafo alle sette del mattino del 29 marzo, avendo deciso di attaccarlo tra le 8.30 e le 10, nell'intervallo tra il tramonto della luna ed il sorgere del sole.
Olivieri ritiene inizialmente che il piroscafo sia l'ultima unità del convoglio avvistato alle 15, che nella notte avrebbe modificato la formazione passando in linea di fila, con la portaerei in testa.
29 marzo 1942
Il Calvi insegue il piroscafo durante la notte, mantenendosi al limite della visibilità (evitando di avvicinarsi troppo per non essere avvistato da eventuali aerei) e perdendolo di vista di tanto in tanto per poco tempo.
Alle quattro del mattino la distanza tra il Calvi ed il piroscafo è calata a 4-5 km, e nonostante la notte chiarissima consenta una visibilità di 7-8 km, non appaiono visibili altre navi, il che induce il comandante Olivieri a ritenere che dopo il suo avvistamento da parte dei velivoli della scorta aerea la portaerei e gli altri due piroscafi, più veloci, abbiano accelerato a 14-15 nodi, lasciando indietro il terzo piroscafo, capace solo di 11 nodi. Olivieri ritiene che quest'ultimo assomigli al piroscafo britannico Huntingdon, della Federal Steam Navigation Company di Londra.
La nave inseguita dal Calvi è il piroscafo britannico Tredinnick, da 4589 tsl, in navigazione da New York (da dov'è partito il 18 marzo) a Capetown (per altra fonte da New York a Bombay, via Table Bay) con un carico di rifornimenti del governo e merci varie, al comando del capitano Gordon George Barrett.
Alle 7.45 il Calvi è di prora al Tredinnick, che ha intanto accostato per 160°; alle 8.25 la luna tramonta, e tre minuti dopo il sommergibile accosta di 100° a sinistra, per poi mettere la prua sul piroscafo alle 8.31, assumendo rotta 250°. Alle 8.37, serrate le distanze a soli 500 metri, il Calvi lancia due siluri da 533 mm dai tubi di prua, con beta 90°, a cinque secondi d'intervallo l'uno dall'altro.
Entrambi i siluri vanno a segno 25-26 secondi dopo i lanci: il primo colpisce il Tredinnick all'altezza dell'albero di trinchetto, il secondo sotto la plancia. Mentre il Calvi accosta sulla poppa della sua vittima, questa sbanda subito sulla sinistra e poi affonda rapidamente con la poppa in alto in posizione 11°46' N e 43°18' O, circa mille miglia a sudest di Bermuda (capita di trovare la posizione 27°15' N e 49°15' O, ma questa è in realtà l’ultima posizione comunicata dal Tredinnick, prima di scomparire, il 25 marzo, quattro giorni prima dell’affondamento; altra fonte indica l'ora dell'affondamento come le 7.45, ma sembra probabile un errore). Alle 8.41 vengono avvertite distintamente tre forti esplosioni.
Il Tredinnick è affondato troppo rapidamente per poter calare le scialuppe, o lanciare un SOS (il Calvi, in ascolto sulle frequenze commerciali, non ne capta nessuno). In mare gli uomini del Calvi osservano nell'oscurità due luci, che il comandante Olivieri ritiene essere simili a quelle create dall'illuminazione a base chimica in dotazione alle zattere Carley. Non vi saranno superstiti tra i 46 uomini dell'equipaggio, 40 marittimi civili e sei cannonieri addetti all'armamento difensivo.
Dopo l'affondamento, ritenendo che il convoglio abbia velocità non inferiore a 14 nodi e non possedendo alcun dato preciso sulla sua rotta, il che renderebbe un tentativo d'inseguimento uno spreco di tempo e di carburante, Olivieri decide di ridurre la velocità a quella di andatura economica, ricaricando le batterie. Alle 16, non essendoci navi in vista, s'immerge per ricaricare i tubi lanciasiluri, per poi riemergere alle 20.57, procedendo con un motore su rotta 205°.



L'affondamento del Tredinnick nel giornale di bordo del Calvi (Ufficio Storico della Marina Militare, via Platon Alexiades)



31 marzo 1942
Alle 15 il Calvi avvista su rilevamento 120°, nel punto 06°29' N e 44°58' O (a circa 400 miglia da Capo Orange, dove si sta dirigendo), una petroliera in navigazione su rotta 340°, e si pone al suo inseguimento con l'intenzione di avvicinarsi dopo il tramonto per attaccarla.
La nave è la moderna motonave cisterna statunitense T. C. McCobb, da 7452 tsl; al comando del capitano Robert W. Overbeck, è in navigazione scarica da Buenos Aires a Caripito (o Caracas), da sola e senza armamento.
Alle 15.12 il sommergibile mette in moto l’altro motore diesel e manovra per avere un più favorevole angolo di lancio (intanto la nave zigzaga con rotte da 270° a 20°, con velocità 12 nodi, senza dar segno di aver avvistato l’unità italiana), aumentando i giri per ridurre le distanze (ma senza poterlo fare troppo, a causa di un danno ad un cilindro di un motore termico, che causa consistenti perdite di olio ad elevate velocità), e dopo due minuti s'immerge ed assume rotta 140°, riscontrando difficoltà a tenere il battello in quota a causa del mare forza 5. Alle 18.15 la McCobb viene nuovamente avvistata a 3000 metri, quindi il sommergibile accosta a sinistra e si porta in affioramento con la torretta e la prua emergenti, poi si porta a 20 metri con immersione rapida, rinunciando ad attaccare in immersione.
Alle 21.05 il Calvi emerge ed apre il fuoco contro la petroliera, che assume rotta 290° in un tentativo di fuga a tutta forza; il cannone di poppa del Calvi deve interrompere il tiro a causa del mare mosso, ed il tiro di quello di prua viene reso molto impreciso dal rollio. Alle 21.16 il tiro viene cessato del tutto, mentre i motori vengono portati al massimo, riuscendo però a ridurre le distanze solo di poco. Alle 22.52, non potendo aspettare ancora (il sole sta tramontando), il sommergibile apre nuovamente il fuoco, con il cannone di prua, da una distanza di 6800 metri, e poco dopo intercetta il segnale di soccorso partito dalla McCobb, che gli permette di identificarla; alle 23.15 la cisterna, colpita da dieci proiettili, ferma le macchine e continua ad avanzare a bassa velocità con rotta 350°, mettendo a mare quattro lance con pochi uomini a bordo (secondo l'apprezzamento del Calvi; in realtà sono state calate tre scialuppe, una delle quali, seriamente danneggiata e semiallagata, viene abbandonata alla deriva dopo che le altre due ne hanno preso a bordo gli occupanti), mentre il Calvi riduce l’intensità del tiro. In tutto il sommergibile spara una sessantina di colpi di cannone.
(Secondo i superstiti della McCobb, invece, il Calvi, apparso a poppa della nave in posizione 7°10’ N e 45°20’ O, aprì il fuoco già dalle 16.05 o 16.15 ora americana, inseguendo la McCobb in superficie a tutta forza, e la nave abbandonò la rotta a zig zag per tirare dritto alla massima velocità – dirigendo verso il sole per risultare un bersaglio più difficile – nella speranza di mantenere le distanze fino al calare del buio, ma fu raggiunta a causa della sua bassa velocità massima, 12,7 nodi contro i quasi 17 del sommergibile italiano. Dopo 18-20 colpi a vuoto il Calvi aveva cessato il fuoco per dedicarsi all’inseguimento, ma alle 17.40-17.45, avendo ridotto la distanza a non più di un miglio, ricominciò il tiro, e dopo pochi proiettili a vuoto iniziò a mettere a segno pressoché tutti i colpi; dopo una ventina di minuti fu dato l’ordine di issare una bandiera bianca ed abbandonare la nave, ed i superstiti si allontanarono su tre scialuppe, una delle quali, gravemente danneggiata, venne presto evacuata ed abbandonata. Il Calvi smise di sparare quando le lance furono messe a mare e si allontanarono. Subito dopo che il buio fu calato, i naufraghi della McCobb sulle lance n. 2 e n. 3 videro il sommergibile passare tra le due imbarcazioni e colpire la loro nave con quattro siluri, il primo dei quali, dopo essere stato lanciato con un angolo troppo obliquo rispetto al bersaglio, cambiò rotta con un angolo retto rispetto a quella precedente ed andò a segno a poppa sinistra; infine la petroliera, con vari piccoli incendi a bordo, impennò la prua, rimase in quella posizione per mezz’ora e s’inabissò completamente entro le 21.15. L'equipaggio della McCobb stimò che il sommergibile avesse sparato tra i 28 ed i 33 colpi colpi di cannone contro la loro nave).
Alle 23.33 il Calvi lancia un siluro da 533 mm con i tubi di prua, colpendo la nave sotto la plancia; alle 23.47 manovra per rivolgere la poppa al bersaglio e lancia un siluro da 450 mm dai tubi di poppa, colpendo la McCobb in corrispondenza del fumaiolo, per poi lanciarne un terzo da 533 mm alle 23.59, sempre dai tubi di poppa, che va a segno tra plancia e fumaiolo. Alle 00.07 del 1° aprile ne viene lanciato un quarto dai tubi di prua, da 450 mm: anch'esso colpisce tra plancia e fumaiolo, ma la McCobb, nonostante un marcato appoppamento (la poppa è quasi al livello del mare) ed il fianco totalmente squarciato, rimane ostinatamente a galla. Alle 00.16 il Calvi lancia dai tubi poppieri il quinto siluro, da 533 mm, che colpisce ancora una volta tra la plancia ed il fumaiolo, ed alle 00.28 lancia l'ultimo (da 450 mm) dai tubi di prua, ma l'arma colpisce senza esplodere; la cisterna continua però ad appopparsi sempre più. Infine, all'1.15 del 1° aprile, un quarto d'ora dopo che il sommergile ha assunto rotta 120° per allontanarsi, la McCobb impenna la prua ed affonda di poppa in posizione 07°19' N e 45°44' O (oppure 07°10' N e 45°20' E, o 06°59' N e 44°38' O; a circa 400 miglia dalla costa settentrionale del Brasile, a 400 miglia dalla Guyana francese ed a 600 miglia dalla Guyana britannica), divenendo la prima nave americana ad essere affondata da un'unità italiana.
Dei 39 membri dell’equipaggio della McCobb, uno è rimasto ucciso dal tiro del Calvi ed uno è annegato durante l'abbandono della nave; i 15 uomini saliti sulla scialuppa n. 3, al comando del secondo ufficiale William Sims, verranno salvati l'8 aprile dal piroscafo greco Santa Monica, mentre i 19 della scialuppa n. 2, al comando del capitano Overbeck, dopo aver sostato un giorno ed una notte in un'isoletta al largo della costa brasiliana, verranno recuperati dal piroscafo norvegese Marpesia e sbarcati il 10 aprile a Paramaribo. I tre restanti uomini della cisterna andranno invece alla deriva su una zattera per 46 giorni, e solo uno sopravvivrà sino ad essere tratto in salvo al largo della costa della Guyana britannica. Alcuni dei superstiti della lancia 2 verranno affondati altre due volte durante la navigazione di rimpatrio, ma sopravvivranno tutti.
Successivamente il Calvi si porta al largo di Capo San Rocco, dove s'incrociano le rotte che collegano l'America settentrionale e meridionale con l'Africa equatoriale e meridionale.
5 aprile 1942
Raggiunge la costa del Brasile. Nei giorni seguenti avvista due mercantili ma perde il contatto a causa del tempo avverso.
9-10 aprile 1942
Alle 21.10 del 9 il Calvi avvista del fumo al largo del Golfo di Patos, in posizione 02°35' S e 39°58' O; serrate rapidamente le distanze, l'origine del fumo si rivela essere una nave cisterna in navigazione a 9 nodi su rotta 300°. Si tratta del piroscafo cisterna statunitense Eugene V. R. Thayer da 7138 tsl, in navigazione isolata e scarica da Campana (Argentina) a Caripito (Venezuela) al comando del capitano B. S. Svendson. Inizia un lungo inseguimento.
Alle 23.57 il Calvi lancia due siluri da 533 mm dai tubi prodieri, da ottocento metri di distanza, ma entrambi mancano il bersaglio passandogli alcuni metri a proravia. Il sommergibile manovra allora per sopravanzare la petroliera ed attaccarla con i tubi poppieri, dai quali all'1.20 del 10 lancia due siluri da 450 mm; entrambe le armi, però, passano sotto lo scafo della Thayer senza esplodere. Il comandante Olivieri ordina allora di armare i cannoni, ed alle 2.30 viene aperto il fuoco da tremila metri di distanza. Nei successivi venti minuti, il Calvi spara in tutto 49 colpi di cannone, ritenendo di averne messi a  segno dodici e riducendo gradatamente la distanza a duemila metri; a questo punto Olivieri riesce ad identificare la nave leggendone il nome, ed ordina di cessare il fuoco in attesa di capire se l'equipaggio stia abbandonando la nave. 
Quando diviene evidente che l'equipaggio non sembra intenzionato ad abbandonare la petroliera, alle 3.10 viene ripreso il tiro con il cannone di prua, sparando altri 44 colpi, 28 dei quali messi a segno. Alle 3.48 il Calvi lancia un siluro da 450 mm da un tubo poppiero, ma manca il bersaglio nonostante la ridotta distanza (600 metri); alle 4.04 manovra allora per rivolgere la prua verso la nave nemica, contro cui lancia un siluro da 533 mm dai tubi prodieri, regolato per due metri di profondità, sempre da seicento metri di distanza. Stavolta il siluro colpisce, ma la Eugene V. R. Thayer non affonda.
Alle 4.10 il Calvi riapre il fuoco con il cannone di poppa, proseguendolo fino alle 5.05; spara altri trenta colpi, la maggior parte dei quali vanno a segno, e la nave cisterna finalmente affonda lentamente verso l'alba, avvolta dalle fiamme, nel punto 02°36' S e 39°43' O (o 02°37' N e 38°43' O, o 02°12' N e 39°55' O, o 02°24' S e 39°27' O). In tutto ci sono voluti sei siluri e più di 120 proiettili da 120 mm per affondarla. (Qualche sito afferma invece che la Thayer avrebbe continuato a bruciare fino al 13 aprile prima di affondare al largo di Parnaiba).
Undici dei 37 membri dell'equipaggio della Eugene V. R. Thayer sono rimasti uccisi nell'attacco; i 26 sopravvissuti hanno abbandonato la nave su due scialuppe. I tredici occupanti della prima verranno recuperati da due idrovolanti PBY Catalina della squadriglia VP-52 della Marina statunitense lo stesso 10 aprile, mentre la seconda, con gli altri tredici, raggiungerà la cosa brasiliana l'11 aprile, a nord di Aracati.
Il Calvi riceve poi ordine di posizionarsi tra capo San Rocco e Ferdinando da Noronha, e di raggiungere l’area tenendosi vicino alla costa brasiliana, dove risulta esserci notevole traffico nemico.
10-11 aprile 1942
Alle 22.55 del 10 il Calvi avvista una nave in navigazione a 12 nodi su rotta 130°: si tratta della moderna motonave norvegese Balkis da 2261 tsl, partita il 30 marzo da Halifax e diretta a Buenos Aires con un carico di 2500 tonnellate di carta e pasta cartaria, al comando del capitano Jens Tønder. Il sommergibile manovra per intercettarla, ed alle 00.24 dell'11 (ora di Berlino; le 19.30 per il fuso orario brasiliano) lancia contro di essa due siluri da 533 mm dai tubi prodieri, da una distanza di appena 350 metri: il  primo siluro manca il bersaglio, ma il secondo lo colpisce in corrispondenza della stiva n. 2 (nell’estremità poppiera di tale stiva, sul lato sinistro), immobilizzando la nave, sulla quale viene subito a mancare anche la luce. Il Calvi apre poi il fuoco con il cannone, colpendo la plancia, dove rimangono uccisi il comandante Tønder e due ufficiali di guardia (per altra fonte il Calvi avrebbe aperto il fuoco con le mitragliere "per spingere l'equipaggio ad abbandonare più in fretta la nave"); alcuni altri membri dell'equipaggio (tra cui l'unica donna, la cameriera Marget Halten) sono rimasti uccisi dall'esplosione del siluro o finiscono in mare ed annegano durante l'abbandono della nave. 
Intorno all'una di notte (altra fonte parla delle otto del mattino) la Balkis affonda in posizione 02°30' S e 38°00' O (o 02°25' S e 38°27' O), circa 60 miglia a nord di Fortaleza. I morti fra l’equipaggio sono sette, mentre i 24 superstiti, su due imbarcazioni, verranno raccolti l’indomani dalla motonave svedese Scania. L’affondamento della Balkis (così come altri attacchi da parte di sommergibili dell’Asse), in acque brasiliane, sarà tra gli episodi che porteranno il Brasile ad entrare in guerra contro l’Asse.
Il sommergibile non ha ormai che tre siluri, ma riceve ordine di restare nel settore assegnato sino al loro totale esaurimento.


I successi colti dal Calvi riportati dai giornali “Canberra Times” e “Courier Mail” del 15 aprile 1942 (g.c. National Library of Australia/Trove (http://trove.nla.gov.au/ndp/del/article/2573487 e http://trove.nla.gov.au/ndp/del/article/50137072)

12 aprile 1942
Alle 23.28 il Calvi lancia un siluro da 450 mm dai tubi di prua, da una distanza di ottocento metri, contro la motonave cisterna Ben Brush da 7691 tsl, battente bandiera panamense, in navigazione da Buenos Aires ad Aruba con un carico di greggio. Il siluro va a segno dopo 42 secondi, ma la nave non affonda, pertanto alle 23.37 il Calvi apre il fuoco con il cannone di prua, sempre da 800 metri, mettendo a segno una dozzina di colpi (su un totale di quindici sparati) nei successivi dodici minuti. Il sommergibile manovra poi in modo da rivolgere la poppa al bersaglio, ed a mezzanotte lancia altri due siluri (uno da 450 mm ed uno da 533 mm), gli ultimi rimasti, dai tubi poppieri, da soli seicento metri di distanza. Entrambi i siluri vanno a segno, ma ancora la Ben Brush si rifiuta di affondare. Alle 00.17 viene nuovamente aperto il fuoco con il cannone: vengono sparati altri 25 colpi, mettendone venti a segno, ma ancora la petroliera non accenna ad affondare. All'1.02 viene riaperto il fuoco con il cannone di prua: dopo altri 17 colpi, finalmente, la Ben Brush affonda  in posizione 04°21’ N e 35°35’ O (o 04°32’ S e 35°03’ N). (Altra fonte indica l'orario dell'affondamento come le 23.20).
Vi è una vittima tra l'equipaggio della motocisterna, mentre i superstiti sono 34.
Esauriti i siluri, il sommergibile lascia l’area di Capo San Rocco per tornare alla base.
28-29 aprile 1942
Il Calvi conclude la fruttuosa missione con il ritorno a Bordeaux. I notevoli risultati conseguiti (cinque mercantili affondati per 29.031 tsl durante 55 giorni di missione, durante la quale sono state percorse 9443 miglia) valgono al comandante Olivieri il conferimento della Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Il Calvi di ritorno da una missione nel 1942, con alcuni danni allo scafo leggero provocati dal mare (g.c. STORIA militare)
Il ritorno del Calvi dalla fruttuosa missione al largo dei Caraibi: al periscopio sventolano le cinque bandierine che simboleggiano le altrettante navi affondate. Sulla sinistra il comandante Olivieri (da “Operazione Westindien” di Francesco Mattesini, su www.academia.edu)

Il comandante Olivieri tra i colleghi Fecia di Cossato (del Tazzoli) e Salvatori (dell’Archimede) al ritorno dalla missione (da “Operazione Westindien” di Francesco Mattesini, su www.academia.edu)

L'ultima missione

Il 2 luglio 1942, dopo un altro turno di lavori di manutenzione, il Calvi lasciò Bordeaux al comando del capitano di fregata Primo Longobardo, diretto per la zona d’operativa nel mare dei Caraibi (Piccole Antille). Il comandante Longobardo, che aveva già comandato in Atlantico il Luigi Torelli affondando quattro mercantili (il Nemea, il Brask, l’Urla ed il Nikolaos Filinis) in una sola missione, era stato richiamato in patria e destinato ad un incarico a terra alle dirette dipendenze del comando in capo dei sommergibili a causa della sua età avanzata (41 anni, molti di più di quelli dei giovani ufficiali assegnati al comando della maggior parte dei sommergibili, anche per via dell’impegno fisico richiesto dalle missioni atlantiche): già nel 1941 era stato assegnato alla Scuola Sommergibili di Pola ma aveva chiesto l’imbarco su sommergibili atlantici, ricevendo il comando del Torelli. Adesso, di nuovo in Italia, aveva richiesto ancora l’assegnamento su sommergibili in Atlantico; in un momento di penuria di ufficiali, ed in seguito ad una malattia che aveva colpito il comandante Olivieri poco prima della partenza per la nuova missione, la sua richiesta era stata accettata e gli era stato dato il comando del Calvi. Il sommergibile aveva anche subito un rinnovo dell’equipaggio, con l’arrivo di molte giovani reclute al primo imbarco, della cui formazione si era occupato lo stesso Longobardo; quando l’unità era risultata pronta a prendere il mare, il comandante aveva radunato l’equipaggio ed offerto a chi non se la sentisse di partire di sbarcare, ma tutti avevano risposto che sarebbero partiti con lui.
Prima della partenza, mentre il comandante Longobardo parlava brevemente con il comandante di Betasom, contrammiraglio Romolo Polacchini, prima di salire sul battello (dove l’equipaggio lo attendeva schierato), si verificò un piccolo episodio cui l’indole superstiziosa dei marinai attribuì poi un significato di cattivo auspicio: un giovane guardiamarina mise sulla torretta del Calvi una magnolia bianca, forse per celebrare la nuova missione, ma venne subito redarguito dal direttore di macchina, che gli gridò “Buttala via, che porta disgrazia!”, “ordine” subito eseguito dal guardiamarina tra le risate degli altri ufficiali.
Poi Longobardo salì sul Calvi, vennero mollati gli ormeggi ed il battello lasciò Bordeaux. Sulla banchina, a salutarlo, rimase l’ammiraglio Polacchini.

Il comandante Longobardo, a sinistra, parla con il tenente di vascello Gustav Poel ed il capitano di corvetta Hans-Rudolf Rösing, ufficiali di collegamento tedeschi a Betasom, al ritorno da una missione atlantica (da www.grupsom.com)

Il 13 luglio il sommergibile ricevette l’ordine di cercare un piroscafo isolato del tipo “Andalusia Star”, ma non riuscì a rintracciarlo.
Nella notte tra il 13 ed il 14 luglio il battello ricevette l’ordine di cercare il convoglio «SL. 115», in navigazione dalla Sierra Leone (Freetown) al Regno Unito con la scorta degli sloops Lulworth, Londonderry, Bideford ed Hastings, la cui presenza era stata segnalata a sud delle Azzorre dal sommergibile tedesco U 130, e di attaccarlo solo se le condizioni fossero state favorevoli. Il Calvi, al pari di un secondo sommergibile tedesco, l’U 507, si mise quindi alla ricerca del convoglio, avvistandolo verso le 19.30 del 14 luglio, 575 miglia ad ovest di Tenerife, e venendosi a trovare accanto all’U 130. Già da due ore, però, il Calvi era stato rilevato dal radiogoniometro HF/DF (un apparato che intercettava i segnali radio ed individuava il rilevamento da cui provenivano) dell’HMS Lulworth, e questa unità, al comando del capitano di corvetta Clive Gwinner (che insieme ad un altro suo ufficiale venne poi insignito del Distinguished Service Order per l’azione, mentre un marinaio ricevette la Distinguished Service Cross, due sottufficiali e cinque marinai la Distinguished Service Medal e dodici uomini – tra cui il tenente di vascello F. W. North alla memoria – la menzione nei dispacci), era stata inviata a verificare cosa fossero i forti segnali HF/DF rilevati. Lo sloop britannico avvistò l’U 130 – che era entrato in contatto visivo con il Calvi – che subito effettuò l’immersione rapida, ed immediatamente dopo il Calvi, che dopo un quarto d’ora avvistò a sua volta il Lulworth. In quel momento gli uomini del battello italiano stavano osservando l’U 130, che stava passando ad oltre 900 metri da loro, ma non appena videro il Lulworth che dirigeva con la prua puntata verso il loro sommergibile il comandante Longobardo ordinò l’immersione rapida a 90 (per altra fonte a 75) metri di profondità (una fonte indica le 22.30 come orario dell’avvistamento del Lulworth da parte del Calvi, ma non è specificato il fuso orario). Raggiunta tale quota, il Calvi accostò ed assunse rotta opposta, navigando a 1-2 nodi. Il Lulworth impiegò un’ora e mezza a localizzare il sommergibile immerso, ma alle 20.30, in posizione 30°07’ N e 26°07’ O, iniziò il lancio di bombe di profondità, regolate per profondità di 15 e 42 metri. Il comandante Longobardo, in seguito al primo attacco (che non aveva causato danni), decise di scendere ancora più in profondità, ma il secondo attacco, con cariche di profondità regolate per 45 e 91 metri, colpì il sommergibile causando gravi danni, mandando in avaria il telemotore Calzoni – il che obbligò ad usare i comandi manuali di timoni di quota e sfoghi d’aria – ed i manometri. Ciononostante il comandante Longobardo decise di scendere ancora più in basso, e portò il Calvi a 115-120 metri di profondità. Misura inutile: la terza scarica di bombe di profondità del Lulworth fu regolata per quote comprese tra i 106 ed i 167 metri e scoppiò molto vicina, facendo sbandare fortemente a sinistra il sommergibile, che sprofondò ancora più in basso fino a circa 200 metri di profondità, appoppato, con allagamenti nei compartimenti di poppa (altra fonte parla di acqua imbarcata a prua, ma quando il sommergibile emerse era appoppato), rischiando seriamente la distruzione. (Per altra fonte già la seconda scarica di bombe di profondità causò infiltrazioni d’acqua, e la terza colpì il Calvi mentre già era impegnato nella manovra di emersione). Nonostante metà dell’equipaggio fosse formata da giovani reclute alla prima missione, imbarcate per fare esperienza, vi fu non poca confusione ma nessun panico; i veterani dell’equipaggio mantennero la calma, ed il cinquantenne capitano del Genio Navale Ernesto Maccotta, ufficiale extra tabella, rimase tranquillamente appoggiato ad una paratia, annotando sul suo diario il numero di cariche di profondità mentre queste esplodevano intorno al sommergibile.
Constatato che ormai non restava aria che a sufficienza per l’emersione, che il doppio fondo numero 3 si era allagato compromettendo la manovrabilità e che restare immersi ancora avrebbe significato la distruzione certa del sommergibile senza scampo per l’equipaggio, il comandante Longobardo dovette ordinare aria per tutto, nel tentativo di rispondere al fuoco con i cannoni ed allontanarsi: il Calvi emerse fortemente appoppato e sbandato a sinistra, e venne ordinato il posto di combattimento in superficie. Le mitragliere, lasciate frettolosamente sui supporti al momento dell’immersione, erano state danneggiate dagli scoppi delle bombe di profondità, ed i cannoni non erano più brandeggiabili. Uno dei cannoni, a causa dello sbandamento, era ruotato sino a trovarsi puntato contro la torretta, ed un membro dell’equipaggio, tentando di brandeggiarlo, si ruppe un braccio. Solo un motore funzionava ancora; il Calvi, avanzando a lento moto (tentando di allontanarsi a tutta forza con l’unico motore ancora funzionante, alla massima velocità che riusciva a raggiungere, ed aprendo intanto il fuoco con il cannone di poppa), venne illuminato da un proiettile illuminante sparato dal Lulworth e quindi avvistato; subito la nave britannica aprì il fuoco, illuminando con i proiettori il sommergibile. 

Grafico del combattimento tra il Calvi e il Lulworth, disegnato dal sottotenente di vascello Vittorio Villa del Calvi (g.c. Alberto Villa). La metà superiore del disegno illustra le fasi iniziali dello scontro (dalle ore 22.25 alle ore 23.24 del 14 luglio 1942), mentre le fasi conclusive sono rappresentate nella metà inferiore dello stesso grafico. Copia del grafico, realizzato nel dopoguerra su richiesta del Ministero della Difesa quanto Villa venne chiamato a testimoniare per il conferimento della Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria di Primo Longobardo e successivamente da lui prestato al primo comandante del sommergibile Primo Longobardo (S 501) della Marina Militare (entrato in servizio nel 1972), venne appesa in un locale del sommergibile.

Da meno di 500 metri di distanza, il Lulworth spazzò la coperta del sommergibile con il tiro delle mitragliere, uccidendo o ferendo tutti i serventi del cannone di poppa ed obbligando l’equipaggio a stendersi in coperta, ma il Calvi, nel tentativo di disimpegnarsi, lanciò due siluri dai tubi di poppa, costringendo l’unità britannica a contromanovrare prontamente per evitare le armi, ed ottenendo così un seppur momentaneo respiro. Per due volte il Lulworth accostò e tentò lo speronamento, ma per due volte il Calvi contromanovrò abilmente impedendo la collisione, continuando a rispondere al fuoco con cannoni e mitragliere. La terza volta, però, lo sloop britannico riuscì a speronare il battello italiano in corrispondenza dell’elica di dritta, distruggendola (per altra versione si trattava di quella sinistra, mentre per altra lo speronamento avvenne a centro nave) e causando il repentino arresto del Calvi (la collisione provocò dei danni anche al Lulworth, che richiese lavori di riparazione protrattisi per tutto il mese di agosto). Dei serventi del cannone di prua, solo il sottotenente di vascello Vittorio Villa ed il secondo capo Marchion erano ancora vivi, e quindi il tiro del pezzo era ormai estremamente lento; vedendo il suo battello immobilizzato ed in fiamme, con i cannoni che ormai non funzionavano quasi più, il comandante Longobardo ordinò di far salire in coperta l’equipaggio, abbandonare la nave ed avviarne l’autoaffondamento, ma subito dopo la prima salva da 76 mm del Lulworth colpì la torretta ferendo a morte lui e l’ufficiale di rotta, il sottotenente di vascello Guido Bozzi (per altra versione i due vennero uccisi da una raffica di mitragliatrice), e lasciando l’equipaggio, come venne detto nella relazione britannica pubblicata nell’agosto 1942, “come una famiglia senza il padre”. Il comandante in seconda, sottotenente di vascello Gennaro Maffettone, che stava incitando i suoi uomini e dirigendo il tiro del cannone poppiero, fu poco dopo colpito da una cannonata che gli asportò un braccio ed una spalla e scomparve trascinato in mare da un’onda. Sottocoperta il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Aristide Russo, assunto il comando, aprì valvole di presa degli sfoghi d’acqua per autoaffondare il battello. Gli uomini che erano ancora all’interno corsero quasi tutti in coperta per prepararsi a gettarsi in mare. Il Lulworth comunicò in italiano “Nessuno si muova, rimanete a galla se volete essere salvati”, poi mise in mare una lancia ed un picchetto britannico, comandato dal tenente di vascello Frederick William North, vi salì e fu inviato a bordo del sommergibile: dopo aver abbordato il Calvi ed essere saliti a bordo armi alla mano, gli inglesi trovarono la plancia piena di cadaveri e fuoco in torretta, ed ordinarono all’equipaggio superstite di radunarsi in coperta a poppa, poi due membri dell’equipaggio del Lulworth, tra cui North, scesero sottocoperta, trovando le luci di emergenza ancora in funzione. Tutto ciò che riuscirono a trovare furono una carta nautica ed una sommaria bozza di giornale di bordo. Erano appena entrati nella cabina del comandante quando fu gridato loro di risalire in coperta: i compartimenti poppieri, infatti, si stavano allagando rapidamente. Per un’altra versione, gli uomini di North, nonostante l’uso delle armi, non riuscirono a scendere all’interno del sommergibile, scontrandosi fisicamente con i superstiti guidati dal capitano Russo. Il capitano Maccotta fu visto per l’ultima volta in plancia, mentre si aggiustava gli occhiali per meglio vedere quanto accadeva; quando aveva visto il picchetto britannico salire a bordo, era tornato in camera di manovra per autoaffondare il Calvi. North si scontrò con i sopravvissuti guidati dal capitano Russo, che gli impedì di arrestare le manovre di autoaffondamento già avviate, ed il secondo capo silurista Pietro Bini, approfittando della confusione, aprì un tubo lanciasiluri, provocando un nuovo consistente afflusso d’acqua che segnò rapidamente la fine del sommergibile. Russo, quando North salì a bordo e chiese la resa, si avventò addosso all’ufficiale britannico e diede inizio ad una lotta a corpo a corpo, per impedire la cattura del sommergibile.
Intanto la tensione tra i superstiti saliva; molti di loro erano radunati in coperta a poppa, tenuti sotto controllo da alcuni uomini del picchetto, mentre altri due erano ancora all’interno del battello. Venne nuovamente dato l’ordine di abbandonare il battello, ed i membri dell’equipaggio in coperta si gettarono in acqua o comunque vi finirono quando il sommergibile affondò sotto i loro piedi; la motobarca del Lulworth, ormeggiata al parapetto sul lato sinistro, si disormeggiò appena in tempo. Alle 00.27 del 15 luglio il Calvi, di colpo, si rovesciò e s’inabissò nel punto 30°35' N e 25°58' O, 480 miglia a sud dell’isola di São Miguel (Azzorre) insieme a metà del suo equipaggio, tra cui il capitano Russo ed il suo nemico North, affondati con il battello mentre ancora lottavano.
Poco dopo si verificò una violenta esplosione subacquea, forse causata da qualche bomba di profondità rimasta incastrata, inesplosa, nello scafo del sommergibile, o forse dall'esplosione dell'idrogeno rilasciato dalle batterie. 

Frattanto il Lulworth (raggiunto nel mentre dal Bideford e dal Londonderry), prima di provvedere al salvataggio dei superstiti, era stato attaccato con un siluro dall'U 130 (in un vano tentativo di aiutare il sommergibile italiano), aveva evitato l’arma e preso contatto con l’U-Boot ed aveva iniziato a bombardare anch’esso con cariche di profondità, facendo crollare le speranze di quanti, tra l'equipaggio del Calvi ormai in mare, speravano in un aiuto da parte del battello tedesco (l'U 130 non fu danneggiato ma fu costretto ad allontanarsi), e che per giunta, vedendo lo sloop allontanarsi per dare la caccia al sommergibile tedesco, pensarono che sarebbero stati abbandonati in mare. (Una fonte attribuisce agli scoppi delle bombe di profondità del Lulworth la probabile morte di alcuni degli uomini del Calvi in mare ed anche l’affondamento stesso del battello italiano, che sarebbe affondato rapidamente poco dopo la detonazione delle bombe di profondità; in realtà, dal resoconto britannico, sembrerebbe che il Calvi fosse già affondato od in affondamento quando l'U 130 attaccò). Solo pochi dei naufraghi indossavano un salvagente; un marinaio che conosceva l’inglese iniziò a gridare “Help”, ed un giovane ufficiale, che aveva assistito all’affondamento di un sommergibile britannico, rammentando che era stato possibile individuare i naufraghi perché avevano gridato in coro, ordinò ai superstiti di gridare “Help” tutti insieme.
Solo dopo quattro ore il Bideford ed il Londonderry tornarono sul posto e recuperarono i 35 sopravvissuti (3 ufficiali e 32 sottufficiali e marinai), la maggior parte di quanti erano finiti in mare, ma meno di metà dell’equipaggio. Erano morti 42 uomini del Calvi, ed insieme a loro anche il tenente di vascello britannico North; il gran numero di vittime venne attribuito al micidiale fuoco delle mitragliere del Lulworth durante il combattimento. Il Londonderry, unità caposcorta, recuperò due ufficiali. (Secondo un’altra versione, questi superstiti vennero recuperati dal Lulworth dopo il contrattacco contro l’U 130 – lo sloop britannico sarebbe tornato sul luogo dell’affondamento del Calvi per recuperare i naufraghi ed anche la propria lancia, lasciata in acqua al momento dell’attacco dell’U-Boot –, e successivamente trasferiti sul Londonderry, ma in realtà sembra che il Lulworth non abbia mai raccolto nessun naufrago). Il suo comandante, capitano di fregata John Stanley Dalison, era stato amico di Primo Longobardo, quando, tredici anni prima, i due si trovavano in Cina assegnati a due unità stazionarie, Longobardo sulla cannoniera Sebastiano Caboto e Dalison sull’incrociatore pesante Berwick. Dalison e Longobardo si erano scambiati dei regali, e quando Dalison si trovò davanti ai due ufficiali superstiti del Calvi estrasse dalla tasca e mostrò loro il portasigarette d’argento regalatogli da Longobardo, con l’incisione “Con molta amicizia, Shanghai 26.12.1929 – TV Primo Longobardo”, chiedendo loro se per caso conoscessero quell’ufficiale. I due italiani, dopo aver guardato il portasigarette e letto quanto vi era inciso, impallidirono e risposero “Sì, lo conosciamo. Era il nostro comandante”. Dalison si voltò per non mostrare i suoi occhi lucidi.
Il comandante Longobardo (che come capitano di fregata risultò essere il sommergibilista italiano di grado più elevato caduto in guerra, dato che solitamente i sommergibili erano comandati da più giovani capitani di corvetta e tenenti di vascello) ed il comandante in seconda Maffettone vennero entrambi decorati con la Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria. La Medaglia d’argento al Valor Militare fu conferita alla memoria del capitano Russo, mentre analoga decorazione, a vivente, ricevette il secondo capo Bini. Nel dopoguerra la Marina Militare ha intitolato due sommergibili alla memoria del comandante Longobardo, ed un altro battello ha portato il nome del Pietro Calvi.

Il sottotenente di vascello Vittorio Villa (Varese, 1914-1995), uno dei tre ufficiali superstiti del Calvi, qui in una foto scattata nell’inverno del 1940-1941, quando era imbarcato come guardiamarina sul cacciatorpediniere Grecale. Rimasto ferito nello scontro del convoglio “Duisburg” del novembre 1941, dopo la guarigione fu trasferito a richiesta sui sommergibili, frequentando la Scuola Sommergibili di Pola nel primo semestre del 1942. Era inizialmente previsto che sarebbe stato destinato sui sommergibili tascabili CB attivi in Mar Nero, ma all’ultimo momento la sua destinazione venne cambiata e fu invece imbarcato sul Calvi nel giugno 1942, appena in tempo per l’ultima missione; sul sommergibile aveva la mansione di ufficiale di rotta e comandante del cannone di prua in caso di combattimento in superficie. Ricorda il figlio Alberto: “All’inizio del furioso combattimento ravvicinato con il Lulworth (che illuminava il sommergibile con il fascio di potenti riflettori) il cannone di prua al quale mio padre era addetto rimase parzialmente “coperto” dalla falsa torre del Calvi. Durante questo tempo il pezzo di prua venne in parte risparmiato dal tiro micidiale delle mitragliere del Lulworth (mi pare a quattro o più canne). Dopo aver potuto finalmente puntare il cannone contro il Lulworth ed avere sparato diversi colpi, l’arma si inceppò. Poco dopo gli inglesi cessarono il fuoco, e mio padre rimase illeso. Dal Lulworth giunse una scialuppa con a bordo un ufficiale ed un marinaio (o più di uno, non ricordo). Mio padre scese allora nel sommergibile (dove erano state già avviate le manovre di autoaffondamento) per recuperare la pesante cassetta zavorrata contente i codici segreti per le comunicazioni, e risalì faticosamente tenendola con tutte e due le mani ed appoggiando la schiena contro la parete liscia che si trovava dietro la scaletta (con i documenti chiusi in una pesante cassetta piombata attraversò il sommergibile dirigendosi verso la più vicina scaletta mentre l'acqua gli arrivava già alle caviglie). Giunse all’aperto quando il sommergibile oramai stava imbarcando acqua e gettò la cassetta in mare. Parecchi feriti erano stati raccolti attorno alla falsa torre, e morirono durante l’affondamento del Calvi. Credo che per mio padre questo sia stato il ricordo più doloroso di tutta la vicenda, un ricordo che gli rimase profondamente impresso. Quando l’acqua giunse alle caviglie, un marinaio del Calvi che non sapeva nuotare si aggrappò disperatamente all’ufficiale britannico ed entrambi scomparvero sott’acqua. I superstiti rimasero a mollo per un bel po' prima di essere salvati. La nave inglese si era allontanata all’improvviso e tornò più tardi. Si seppe dopo che era andata alla ricerca di un sommergibile tedesco che le aveva lanciato contro un paio di siluri mentre era ferma vicina al Calvi. Nel frattempo vi fu una violenta esplosione che scosse i naufraghi ancora in acqua, come un fortissimo pugno allo stomaco. Mio padre pensava che fosse stata causata dall’idrogeno sviluppato dalle batterie del Calvi oramai affondato a parecchie decine di metri di profondità”. Villa, sportivo e buon nuotatore, aveva partecipato a diverse gare di tuffi e di nuoto, e le sue qualità atletiche diedero vita ad un curioso equivoco: “Quando la nave inglese si avvicinò per recuperare i naufraghi, egli si mise a nuotare con vigorose bracciate verso la salvezza. Avanzava velocemente lasciando dietro di sé una scia luminosa (il plancton fosforescente) che dalla nave venne subito scambiata per quella di un siluro prossimo a colpire (erano tutti con i nervi a fior di pelle, visto il tentato siluramento di prima). Fu l’allarme generale, ma durò poco, e può bene immaginare con quanto sollievo gli inglesi accolsero a bordo mio padre al posto di un siluro tedesco!

La Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita a Vittorio Villa per la sua condotta a bordo del Calvi (g.c. Alberto Villa). La motivazione era la seguente: "Imbarcato su sommergibile oceanico, assolveva i propri incarichi con sereno coraggio ed alto senso del dovere durante violentissimo attacco subito dal battello, nel corso di una lunga missione di guerra, da parte di unità avversarie e nel successivo impari combattimento in superficie. Abbandonava l’unità solo all’ordine del comandante, dopo aver assicurato l’affondamento ed aver distrutto i documenti segreti di bordo, dimostrando fermezza d’animo ed elevato spirito di abnegazione". Villa aveva già ricevuto una prima Medaglia di Bronzo alcuni mesi prima, in seguito allo scontro del convoglio “Duisburg”, ma la perse nell’affondamento del Calvi.

Medaglia commemorativa della consegna della bandiera di combattimento al sommergibile Primo Longobardo, svoltasi a La Spezia l’8 luglio 1973 con la partecipazione di Vittorio Villa, invitato dal comandante del Dipartimento Militare Marittimo dell’Alto Tirreno (g.c. Alberto Villa)

I sopravvissuti del Calvi vennero portati in un campo di prigionia negli Stati Uniti, dove si ritrovarono insieme a cittadini italiani residenti negli USA che erano stati internati per precauzione. Le condizioni di vita nel campo erano buone, ed i prigionieri ricevevano la visita delle donne italiane. Successivamente alcuni degli uomini del Calvi, tra cui Domenico Savo (un membro dell’equipaggio del Finzi imbarcato sul Calvi solo per l’ultima missione, mentre il Finzi era ai lavori), vennero trasferiti nel Regno Unito. Savo ricordò che il treno che lo portava in Scozia subì un bombardamento tedesco, che causò altre vittime, riducendo il numero dei superstiti.
Il comandante Dalison continuò a portare con sé, per il resto della sua vita, il portasigarette regalatogli da Longobardo, cui era molto affezionato. Nell’ottobre 1949, durante una gara di pesca su un lago vicino a Renfrew, in Canada, Dalison perse il portasigarette, caduto in acqua per il rollio della barca su cui si trovava dopo essere stato appoggiato sul bordo della barca per accendersi una sigaretta. Turbatosi e lasciati i compagni di pesca, Dalison subito tornò a terra e si allontanò alla guida della sua auto per tornare ad Ottawa, ma dopo pochi minuti andò a schiantarsi contro un albero morendo sul colpo. L’amico che per ultimo lo aveva visto vivo, vedendone il volto da morto, disse che sembrava rassegnato e disteso. "Quasi avesse finalmente ritrovato qualcuno o qualcosa che aveva cercato per molto tempo."

Periti sul Calvi il 15 luglio 1942:

Andrea Bertoletti, capo nocchiere di seconda classe, da Cremona
Edoardo Boscolo, marinaio, da Chioggia
Guido Bozzi, sottotenente di vascello, da Milano
Gaetano Bruno, marinaio fuochista, da Palermo
Guerrino Cappellazzo, marinaio fuochista, da Treviso
Pasquale Caracciolo, sottocapo elettricista, da Reggio Calabria (MBVM)
Felice Cattaneo, marinaio silurista, da Castellanza
Francesco Cicerone, sottocapo fuochista, da Ronco Scrivia
Giulio Colosio, sottocapo motorista, da Toscolano Maderno
Lorenzo De Feo, sottocapo cannoniere, da Montecorice
Giuseppe Di Carlo, marinaio, da Castiglione di Sicilia
Armando D'Orazio, sottocapo puntatore mitragliere, da Castelli (MBVM)
Angelo Farina, marinaio fuochista, da Novate Milanese
Elio Fioretti, capo elettricista di seconda classe, da Civitanova Marche (MAVM)
Salvatore Galati, marinaio, da Carini
Alfredo Gandolfo, sottocapo elettricista, da Napoli
Cesare Geminiani, sottocapo silurista, da Milano
Agostino Isola, capo silurista di seconda classe, da Fascia
Primo Longobardo, capitano di fregata, da La Maddalena (comandante, MOVM)
Ernesto Maccotta, capitano del Genio Navale, nato in Tunisia
Gennaro Maffettone, tenente di vascello, da Napoli (comandante in seconda, MOVM)
Mario Mattaini, sergente motorista, da Legnano
Armando Menichelli, sottocapo cannoniere, nato in Francia
Giulio Moraglio, capo motorista di terza classe, da Dogliani
Normanno Mozzarelli, marinaio, da Poggio Rusco
Matteo Natola, sergente infermiere, da Margherita di Savoia
Sergio Novazhi, sottocapo elettricista, da Milano
Pietro Pappalardo, marinaio nocchiere, da Cetara
Francesco Pastore, marinaio nocchiere, da Tocco Caudio
Bruno Poli, sottocapo motorista, da Vicenza
Pietro Robazza, capo elettricista di terza classe, da Genova (MBVM)
Mario Rosanda, secondo capo radiotelegrafista, da Pola
Edolo Roversi, sergente cannoniere, da Bondeno
Aristide Russo, capitano del Genio Navale, da Napoli (direttore di macchina, MAVM)
Dante Saldicco, sottocapo segnalatore, da Rionero in Vulture
Gastone Seghesio, tenente del Genio Navale, da Taranto
Raimondo Serra, sottocapo elettricista, da Genova (MBVM)
Ciro Spica, sottocapo radiotelegrafista, da Avellino
Mario Tartaglia, sottocapo elettricista, da Vitulano
Giuseppe Tortora, capo meccanico di seconda classe, da Roccapiemonte
Francesco Zampella, sottocapo silurista, da Maddaloni
Giorgio Zanaboni, capo cannoniere di prima classe, da Milano
Armando Zappalà, marinaio motorista, da Siracusa

Condivise la loro sorte anche il tenente di vascello Frederick William North della Royal Navy, scomparso con il sommergibile lottando sino all’ultimo con il capitano G.N. Aristide Russo, deciso ad impedirgli di catturare il battello.


 La notizia dell’affondamento del Calvi sul “Palm Beach Post” del 28 settembre 1942 (tratta da http://news.google.com/newspapers?nid=mq6pegT_rlEC&dat=19420928&printsec=frontpage&hl=it).


L’affondamento del sommergibile riferito dal “The News and Courier” del 28 settembre 1942 (tratta da http://news.google.com/newspapers?nid=2506&dat=19420928&id=vM9QAAAAIBAJ&sjid=YwsNAAAAIBAJ&pg=6238,4635698)


La notizia sul “Reading Eagle” del 28 settembre 1942 (tratta da http://news.google.com/newspapers?nid=ZuSUVyMx-TgC&dat=19420928&printsec=frontpage&hl=it)
 

La sintetica nota sul “The Advertiser” del 28 settembre 1942 (g.c. National Library of Australia/Trove)

La notizia sul “Daily Mail” del 28 settembre 1942 (g.c. Alberto Villa)…


…sullo “Scottish Daily Express” dello stesso giorno, con la storia del “siluro umano” (g.c. Alberto Villa)…

…e sul “Times” sempre del 28 settembre 1942 (g.c. Alberto Villa)

Vittorio Villa (in basso a destra) durante la prigionia in Kentucky, nel 1945. Racconta il figlio Alberto: “Portato in Gran Bretagna (mi pare che venne sbarcato a Glasgow), vi rimase per quasi tutto il 1942. Venne trasferito dalla Scozia in una località nei pressi di Londra, dove subì un breve interrogatorio insieme ad altri ufficiali. Si limitò a declinare le sue generalità e gli inglesi non insistettero. Il cibo dei prigionieri era pessimo, ma mio padre constatò che si trattava delle stesse razioni che venivano date ai soldati di guardia (la cucina inglese non è mai stata molto famosa; figuriamoci cosa doveva essere durante la guerra). Venne quindi trasferito di nuovo in Scozia, nei dintorni di Edimburgo, dove trascorse gli ultimi mesi dell’anno in quello che sembrava essere un college trasformato in campo di prigionia per ufficiali (…) Durante questo periodo mio padre trovò sulla stampa locale (il 28 settembre ‘42) il racconto dell’affondamento del Calvi. Conservò alcuni ritagli di giornale (…) Lo Scottish Daily Express, il Times ed il Daily Mail esagerarono non poco (forse per giustificare meglio il falso allarme) dicendo che mio padre aveva partecipato come nuotatore ai Giochi Olimpici. Anche l’illustrazione dello speronamento fu un’esagerazione: il Calvi non venne affatto colpito in pieno come mostrato dal giornale. Verso la fine dell’anno gli inglesi trasferirono mio padre ed altri prigionieri negli Stati Uniti, a bordo del famoso piroscafo Queen Mary. Giunse ad Halifax (Nuova Scozia) il 2 dicembre 1942. Negli USA subì diversi altri trasferimenti (di cui tracciò l’itinerario su di una grande mappa del National Geographic, mappa regolarmente vistata dalle autorità del campo di concentramento: Albany, Syracuse, Buffalo, Cleveland, Columbus, Cincinnati, Nashville, Memphis, Little Rock, St. Louis), per finire nel campo di prigionia di Fort Knox, nello stato del Kentucky. Dopo l’8 settembre del ‘43 ai prigionieri venne chiesto se volevano proseguire la guerra a fianco degli alleati, ma se non ricordo male la maggior parte decise di rimanere nel campo. Col passare del tempo i prigionieri poterono godere di sempre maggiore libertà di movimento. Ad un certo punto mio padre poté andare a lavorare fuori dal campo, dapprima in una officina di riparazione di camion e jeep, e poi presso un impianto di depurazione delle acque dove mise a frutto i suoi studi di ingegneria chimica eseguendo le analisi delle acque trattate. In questo periodo mio padre conobbe alcuni alti ufficiali italiani, e se non ricordo male non apprezzò molto il loro comportamento. Mio padre mi parlava anche delle feste calorose organizzate dagli italoamericani per i prigionieri “quasi” connazionali: la domenica giungevano al campo portando con sé enormi pentoloni colmi di spaghetti al pomodoro. Il vitto era comunque abbondante: le enormi bistecche facevano acquistare parecchio peso ai prigionieri. Era una situazione di abbondanza che contrastava enormemente con quanto stava succedendo in Europa in quegli stessi anni. Una gran bella sorpresa fu l’incontro con un suo amico di Varese, anch’egli sommergibilista, e finito per caso nello stesso campo di prigionia. Si trattava del S.T.V. Luigi Montalbetti (mio ex professore di matematica e fisica al liceo, oggi [1995, ndr] in pensione e sempre in gamba). Il Montalbetti era a bordo dell’Axum durante la famosa missione dell’agosto 1942 in cui vennero affondate tre navi con un solo lancio di quattro siluri (…), e ancora oggi ricorda con intensa emozione il comandante del sommergibile, persona che ammirava moltissimo ed in cui aveva una assoluta fiducia. Montalbetti venne trasferito a Bordeaux, dove il sommergibile Torelli era rimasto senza ufficiale di rotta. Il Torelli salpò alla volta di Singapore per una missione di trasporto merci (se non ricordo male). Nel settembre del ‘43 il Torelli era a Singapore, ed i Giapponesi catturarono l’intero equipaggio. Finirono in un campo di prigionia infernale (ci raccontò che vennero rinchiusi in basse baracche con tetti di lamiera arroventati dal sole, e che una notte gli capitò di svegliarsi all’improvviso con un grosso ragno che andava a spasso sul suo petto). Lui e molti altri accettarono di aderire alla Repubblica Sociale. Purtroppo non ricordo più in quale circostanza egli venne catturato dagli alleati [imbarcato sul violatore di blocco tedesco Burgenland diretto in Europa, venne catturato quando questa nave fu intercettata e affondata da navi statunitensi il 5 gennaio 1944], ma ricordo però che il Montalbetti, insofferente della prigionia, tentò più volte di fuggire. Le sue vicende sono state narrate parecchi anni fa in un libro ormai introvabile (purtroppo non sono nemmeno riuscito a reperirlo tra le carte di mio padre). L’ultimo tentativo fu quasi un successo: si era nascosto arrotolandosi in un materasso dopo la sveglia, ed il prigioniero addetto al conteggio delle persone che uscivano dalla baracca per recarsi al lavoro riuscì a far risultare che tutta la squadra era fuori dal campo al completo. Senza essere notato, Montalbetti andò da un settore all’altro del campo fino a poterne uscire, non ricordo se di nascosto o se insieme ad un altro gruppo di persone che godevano di maggiore libertà. Vagò nella vasta campagna americana cercando di evitare il più possibile i contatti con la gente del luogo, e dirigendosi verso la frontiera messicana. Giunto nel Texas attraversò un piccolo paese in prossimità del Messico dove la presenza straniera non passò inosservata. Mentre guardava la vetrina di un negozio, vide due persone che si stavano avvicinando. Uno dei due gli batté la mano sulla spalla: era lo sceriffo. L’altro era il suo vice. Il Prof. Montalbetti è una miniera di ricordi di quei tempi, e credo che sia in possesso anche di una certa documentazione che le potrebbe interessare. (…) Finita la guerra, mio padre venne riportato in Italia, a Napoli, a bordo della portaerei U.S.S. Langley che salpò dal porto di Norfolk l’otto dicembre del 1945. Nel 1946 si sposò con Anna Rota, ed il suo testimone alle nozze fu proprio l’amico sommergibilista Luigi Montalbetti. Lo scrivente nacque alcuni anni dopo, il primo aprile del 1951, a Marina di Carrara”.

La mappa su cui Vittorio Villa tracciò (a penna) i suoi spostamenti durante la prigionia (g.c. Alberto Villa)

Un’altra immagine di Vittorio Villa (a destra) durante la prigionia in Kentucky nel 1945 (g.c. Alberto Villa)


La motivazione della Medaglia d'Oro al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di fregata Primo Longobardo, nato a La Maddalena il 19 ottobre 1901 (e già decorato con due MAVM):

"Ufficiale Superiore animato di purissima fede e ardente passione patriottica, sollecitava più volte ed otteneva infine di riprendere il comando di sommergibile oceanico che aveva dovuto lasciare per altro incarico direttivo a terra. Raggiunta la nuova base di guerra, assumeva volontariamente il comando di unità pronta per importante missione offensiva, nel corso della quale mentre manovrava per attaccare un convoglio fortemente scortato, scoperto da corvetta, con somma perizia cercava di sottrarsi alla violentissima caccia. Colpita l'unità in modo irreparabile, ordinava la emersione ed affrontava con impavida serenità le unità avversarie accettando l'impari combattimento in superficie. Lanciava una salva di siluri, reagiva al violento tiro di artiglieria con tutte le armi di bordo.
Col sommergibile crivellato di colpi e già menomato nella sua efficienza, visti uccisi e feriti i propri dipendenti destinati alle armi, ordinava l'abbandono della nave e ne preparava l'autoaffondamento quando, mortalmente colpito al posto di comando, immolava la propria esistenza alla Patria, dopo aver compiuto il proprio dovere oltre ogni umana possibilità.
Oceano Atlantico, 14 luglio 1942"

Il capitano di fregata Primo Longobardo (da Miles Forum)

La motivazione della Medaglia d'Oro al Valor Militare conferita alla memoria del sottotenente di vascello Gennaro Maffettone, nato a Napoli il 26 aprile 1918 (e già decorato con una MBVM ed una Croce di Guerra al Valor Militare):

"Giovane ufficiale imbarcato a domanda sin dall'inizio delle ostilità su sommergibile oceanico, si distingueva per slancio, capacità e sereno coraggio durante numerose e lunghe missioni di guerra spesso coronate da successo. Compiva sempre a bordo della stessa unità, prima in qualità di Ufficiale di Rotta e quindi come Ufficiale in seconda, circa ottomila ore di moto, con un totale di naviglio avversario affondato di 62.680 tonnellate. Nel corso di attacco a convoglio fortemente scortato, l'unità veniva avvistata e sottoposta a dura caccia da parte di forze preponderanti. Costretta ad emergere per i gravi danni subiti, impegnava impari ed aspro combattimento in superficie contro l'unità attaccante reagendo con il fuoco di tutte le sue armi e con i siluri.
Caduto il Comandante e falcidiata la maggior parte degli uomini in coperta, mentre l'unità più volte colpita era in preda ad incendio, con mirabile spirito aggressivo seguitava a dirigere il tiro del pezzo di poppa incitando l'equipaggio alla resistenza estrema, fino a che mortalmente colpito dal ravvicinato e nutrito fuoco avversario, scompariva in mare dopo aver dato tutto se stesso per la grandezza della Patria.
Oceano Atlantico, 16 giugno 1940 - 14 luglio 1942"

Il tenente di vascello Gennaro Maffettone (da www.movm.it)

La motivazione della Medaglia d'Argento al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del Genio Navale Aristide Russo:

"Direttore di macchina su sommergibile oceanico in lunga missione di guerra, fronteggiava con perizia i danni ingenti subiti dal battello in seguito a violentissimo attacco subito da unità avversarie.  
Costretto, infine, il sommergibile ad emergere per le notevoli avarie ed impegnato in impari ed aspro combattimento in superficie, apportava concorso essenziale a superare la difficoltà per le avarie subite.
Scompariva in mare offrendo la propria vita alla Patria trascinando con sé un ufficiale avversario, impedendogli così di salire a bordo dell’unità che poco dopo affondava.
Atlantico, 14 luglio 1942"

La motivazione della Medaglia d'Argento al Valor Militare conferita alla memoria del capo elettricista di seconda classe Elio Fioretti (già decorato con una prima MAVM durante la missione del marzo-aprile 1942):

"Imbarcato su sommergibile oceanico, assolveva i propri incarichi con sereno coraggio ed alto senso del dovere, durante violentissimo attacco subito dal battello, nel corso di lunga missione di guerra, da parte di unità avversarie e nel successivo impari combattimento in superficie.
Rimaneva al proprio impianto sotto nutrito e ravvicinato fuoco avversario; mortalmente colpito sacrificava la propria vita nell'adempimento della consegna ricevuta e del proprio dovere.
Oceano Atlantico 14 luglio 1942"


La motivazione della Medaglia di Bronzo al Valore Militare conferita alla memoria del capo elettricista di terza classe Pietro Robazza, nato a Rivarolo Ligure (Genova) il 6 maggio 1913:

"Imbarcato su sommergibile oceanico, assolveva i propri incarichi con sereno coraggio ed alto senso del dovere, durante violentissimo attacco subito dal battello, nel corso di lunga missione di guerra, da parte di unità avversarie e nel successivo impari combattimento in superficie.
Rimaneva al proprio impianto sotto nutrito e ravvicinato fuoco avversario, mortalmente colpito sacrificava la propria vita nell'adempimento della consegna ricevuta e del proprio dovere.
Oceano Atlantico, 14 luglio 1942"


La motivazione delle Medaglie di Bronzo al Valore Militare conferite alla memoria del sottocapo elettricista Raimondo Serra, ligure, del sottocapo cannoniere P. M. Armando D’Orazio e del sottocapo elettricista Pasquale Caracciolo, nato a Reggio Calabria il 9 aprile 1919:

"Imbarcato su sommergibile oceanico, assolveva i propri incarichi con sereno coraggio ed alto senso del dovere, durante violentissimo attacco subito dal battello, nel corso di lunga missione di guerra, da parte di unità avversarie e nel successivo impari combattimento in superficie.
Scompariva in mare con l'unità nell'adempimento del proprio dovere."
Oceano Atlantico, 14 luglio 1942



Sopra, il Calvi passa sotto il ponte girevole di Taranto; sotto, il distintivo del sommergibile. Entrambe le foto sono per g.c. di Giorgio Micoli.



L’affondamento del Calvi nel ricordo di Philip E. Marshall, giovane membro dell’equipaggio del Londonderry (estratto da ‘WW2 People's War’, archivio online di memorie di guerra raccolto dalla BBC, all’indirizzo  bbc.co.uk/ww2peopleswar'):

"We found the convoy, and settled into escort positions, bound for West Africa. (…) When, on one trip, we were attacked, south of the Azores, it was by two Italian submarines; no doubt they were manned by gallant seamen, but they lacked the training, experience, and ruthlessness of the U-boat crews.
I have here to supplement my memories with facts gleaned from reference books, because junior ratings often knew surprisingly little of what was happening. "Theirs not to reason why," as the poet said. Occasionally the Captain would broadcast an official announcement. The rest of the news came in snippets from signalmen, or those on duty near the bridge. I remember that we were summoned to Action Stations on a pitch-black night. The books tell me, that our group leader, H.M.S. Lulworth [in realtà il caposcorta era il Londonderry stesso, mentre è vero che fu il Lulworth ad individuare ed affondare il Calvi], located and sank the Pietro Calvi. This was July 14th, 1942. My station was now with the depth charges on the quarter-deck. We were proceeding very slowly, and I believe we were looking for survivors, when there was sudden acceleration, and a sharp turn to starboard. A surge of water swept the low lying quarter-deck , causing two of us in its path to cling to the depth-charge rails to avoid being swept overboard to join the enemy. On the mess-deck there were two stories; one said the Lulworth, using a searchlight to illuminate survivors, had shone its light further and spotted a second submarine; the other, less credible, claimed that one of the survivors had been in the Italian Olympic swimming team, and when he set off towards Lulworth, at a fast crawl, he was mistaken for an approaching torpedo. Whichever story is true, or neither, the ships abandoned men in the water, and prepared to fend off another attacker. We picked up no-one at the time, but some had been rescued, and next day they were transferred to the Londonderry to ease the pressure elsewhere.
Presumably because I was of "higher" education, though certainly not Italian-speaking, I was posted as armed guard at the open cabin door, dressed up in great-coat and gaiters, with a belt and revolver strapped to my waist. No one told me how to use the weapon, and I feel sure it was not loaded. In any case the precaution was unnecessary. The prisoners were very subdued and quiet, until one asked me politely, in perfect English, if they could have something to read. The only tense moment came when our ship started dropping depth charges; I was unhappy myself at the sound of great hammer blows on our hull, and the Italians, who had recently been blown out of the water, looked ready to bolt up on deck. I managed to appear nonchalant and smile reassuringly, not betraying my own desire to escape from the steel trap. The next day the guard was withdrawn; no doubt our Captain accepted their word that, as Officers and Gentlemen, they would cause no trouble. I must say here that, just as I saw no sectarian "spite" on board Londonderry, I saw no hatred of submarine crews. It was generally considered that we would not care to change places with the "poor devils" suffering our depth-charges. You stalk us, we stalk you."

Un’altra immagine del Calvi (da “O.T.O. 1939” via Giorgio Parodi)


12 commenti:

  1. Complimenti,non conoscevo la storia del Pietro Calvi,mio padre (William Pratesi)era imbarcato ed era un sopravvissuto, mi sono commosso,grazie!

    RispondiElimina
  2. Sono il nipote dell'ammiraglio Romolo Polacchini.
    Complimenti per questa bellissima ricostruzione!

    RispondiElimina
  3. Complimenti per la storia del Calvi. Mio padre Domenico Di Fazio era sopravissuto all'ultima battaglia del Calvi e tante volte raccontava della guerra.

    RispondiElimina
  4. Storia .. storia che conosco piuttosto bene, purtroppo. Sono il pronipote di Pittei Renzo, imbarcato sul Pietro Calvi e uno dei sopravvissuti al mitragliamento in mare mentre il Calvi stava affondando. Storia raccontata più volte da mia prozia, sorella di Pittei, la quale mi ha consegnato l’attestato e la Croce di Guerra rilasciati dal Ministero della Difesa ... in ricordo di un uomo dedito alla sua Patria.

    RispondiElimina
  5. Buona giornata!
    Tutti i membri dell'equipaggio morti che non erano stati ancora premiati ricevettero una medaglia di bronzo nel 1948. Tutti tranne Mario Rossanda. La motivazione non è stata trovata. Hai qualche informazione su questo marinaio?
    Grazie

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Purtroppo no... è piuttosto strano.

      Elimina
    2. Ho controllato tutti i nomi dalla lista su Nastro Azzurro. Con alcune differenze nei nomi, c'è di tutto e manca il capo di secondo capo ... Molto probabilmente un errore. Dal momento che tutti sono stati premiati, anche a lui dovrebbe essere assegnata una motivazione simile.

      Elimina
  6. Qualche settimana fa ho letto il racconto di un sommergibilista salvato dall'intervento di San Giuseppe. Lì per lì la questione non non mi era interessata più di tanto. Ieri ne ho parlato ad un amico seminarista che sarebbe interessato ad approfondire la storia, a memoria mi pareva si trattasse di un sopravvissuto del Calvi, ma non riesco a ritrovare il pezzo. Sapete aiutarmi?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi è capitato di incontrare qualche racconto del genere, però questo specifico episodio non lo conosco..

      Elimina
  7. Sono la nipote del Sergente Edolo Roversi. Fu dato per disperso, non arrivò mai la comunicazione del decesso, ringraziandola per l'articolo che mi ha commosso, le chiedo se per caso ha qualche informazione in più su mio zio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Buonasera,
      purtroppo non ho informazioni specifiche su di lui...

      Elimina