L’Ariosto a Porto Baross, vicino a Fiume, nel 1905, quando ancora
portava il nome di Báró Fejérváry
(g.c. www.hajoregiszter.hu)
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Piroscafo da carico
da 4115 tsl e 3659 tsn, lungo 111,34 metri, largo 14,69 metri e con un
pescaggio di 5,34 metri; velocità 14 nodi. Appartenente alla Società Anonima di
Navigazione Tirrenia, con sede a Napoli, ed iscritto con matricola 15 al
Compartimento Marittimo di Fiume.
Breve e parziale cronologia
9 maggio 1902
Varato nel cantiere
Neptune di Low Walker della società Wigham Richardson & Co. di
Newcastle-upon-Tyne (numero di costruzione 390).
31 giugno 1902
Completato come
piroscafo da carico Báró Fejérváry,
da 3889 tsl, 2460 tsn e 5980 tpl, per la Reale Compagnia Ungherese di
Navigazione “Adria” di Fiume, allora parte dell’Impero Austroungarico.
Caratteristiche
originarie: 111,52 metri di lunghezza, 13,83 m di larghezza, 6,77 m di
pescaggio, 3925 tsl, 5900 tpl, 11 nodi di velocità.
5 agosto 1914
Lo scoppio della
prima guerra mondiale sorprende il Báró
Fejérváry nel porto di Nikolayev, in Russia: dato lo stato di guerra
esistente tra Impero Russo ed Impero Austroungarico, la nave viene confiscata
dalle autorità russe e consegnata alla Marina Imperiale Russa, venendo da
questa incorporata, ribattezzata Bulganak
ed impiegata come trasporto N 8.
1918
Nell’autunno 1918,
con l’occupazione tedesca di Novorossiysk a seguito del trattato di
Brest-Litovsk, il Bulganak viene
ricatturato dalle unità austroungariche dello Squadrone del Danubio, inviate in
Mar Nero al comando del capitano di vascello Olaf Wulff, e restituito alla
compagnia proprietaria, riassumendo il nome di Báró Fejérváry. Successivamente (nel corso dello stesso anno) la
nave lascia la Russia e raggiunge l’Italia, issando bandiera italiana (l’Impero
Austroungarico ha cessato di esistere) nella torbida situazione del primo
dopoguerra, che vede grande incertezza tanto in Russia, dilaniata dalla guerra
civile, quanto nei territori del disciolto Impero Austroungarico, con Fiume
assegnata alla neonata Jugoslavia ma reclamata dall’Italia.
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Il Bulganak ormeggiato davanti ad una nave da guerra russa, per evitare attacchi siluranti (g.c. Hórváth József)
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1920
La compagnia di navigazione
cambia nome in Adria Società Anonima di Navigazione Marittima, Fiume (e per
alcune fonti sia la compagnia che la nave diventano italiane, sebbene sia da
rilevare che Fiume fu effettivamente annessa all’Italia solo nel 1924).
1922
Ribattezzato Ariosto (dal 1924 Fiume diverrà a tutti
gli effetti italiana).
1937
Passato alla Società
Anonima di Navigazione Tirrenia.
31 ottobre 1941
Requisito dalla Regia
Marina a Catania, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello
Stato.
L’affondamento
Alle cinque del
pomeriggio del 13 febbraio 1942 l’Ariosto
lasciò Tripoli diretto a Palermo con a bordo in totale 410 persone: oltre
all’equipaggio, la nave trasportava 82 militari italiani e tedeschi che
rimpatriavano e 294 prigionieri di guerra britannici. Il piroscafo era scortato
dal cacciatorpediniere Premuda; una
volta in mare, le due navi si unirono al piroscafo tedesco Atlas (avente a bordo 150 prigionieri) ed alla torpediniera Polluce, partiti anch’essi da Tripoli
un’ora prima, formando così un unico convoglio.
I comandi britannici,
tuttavia, come sempre più spesso accadeva, erano già al corrente del previsto
viaggio del convoglio italiano: già dal 7 febbraio, infatti, il servizio di
decrittazione britannico “ULTRA” aveva iniziato ad intercettare e decifrare
messaggi sulla programmata partenza dell’Ariosto.
“ULTRA” intercettò e decifrò i primi messaggi, che genericamente annunciavano
che la nave era pronta a tornare in Italia, il 7 e l’8 febbraio; il 10 febbraio
decrittò un messaggio che riferiva che l’Ariosto
e l’Atlas sarebbero dovuti partire da
Tripoli per Palermo già alle 17.30 del 9, ma che la partenza era stata
rinviata; il 12 che le due navi erano pronte a partire; il 14 ed il 15
febbraio, infine, “ULTRA” poté riferire ai comandi britannici che Ariosto ed Atlas erano partiti il pomeriggio del 13 con la scorta di Premuda e Polluce, che viaggiavano a 9 nodi e che l’arrivo a Palermo era
previsto per l’una del 16 febbraio. Nel messaggio del 14 febbraio “ULTRA”
decifrò anche che Ariosto ed Atlas trasportavano rispettivamente 300
e 150 prigionieri britannici, ma questo, come in altri casi prima e dopo, non
arrestò minimamente la pianificazione degli attacchi: i comandi britannici,
infatti, ritenevano che se le navi che trasportavano prigionieri non fossero
state attaccate, a differenza delle altre, i comandi italiani si sarebbero
potuti insospettire ed avrebbero potuto cambiare i propri codici, vanificando
così il lavoro di “ULTRA”.
La macchina bellica
si mise così in moto: per tutta la giornata del 14 febbraio il convoglio, in
navigazione a 9 lungo la costa della Tunisia, subì ripetuti attacchi aerei. Alle
3.47 di notte del 14, in particolare, si verificò un attacco da parte di
aerosiluranti britannici provenienti da Malta: l’Ariosto, che aprì il fuoco con le sue mitragliere contraeree, fu
fatto oggetto del lancio di due siluri, ma venne mancato, e nessuna nave fu
colpita. I piloti degli aerei ritennero, durante questo attacco, di aver
colpito una nave, che videro sbandata e danneggiata, ma si trattava, come
spesso accadeva negli attacchi aerei a danno di navi, di un’impressione errata.
Alle 22.03 del 14
febbraio, tuttavia, l’Ariosto venne
colpito da uno o due siluri lanciati dal sommergibile britannico P 38. La nave rimase a galla per circa
un’ora dopo il siluramento, poi si spezzò in due ed il troncone prodiero,
separatosi dalla poppa, affondò, mentre quello poppiero continuò a galleggiare
per un altro po’. Per altra versione la nave si spezzò in due subito dopo il
siluramento, e la prua affondò in breve, mentre il troncone poppiero, di
maggiori dimensioni, galleggiò ancora per qualche ora; oppure i due tronconi
galleggiarono entrambi per circa quattro ore, poi la prua affondò per prima, e
la poppa s’inabissò più tardi. Il troncone di poppa affondò anch’esso all’1.31
del 15 febbraio, a dodici miglia per 63° da Capo Africa (al largo di Mahdia,
Tunisia). Morirono nell’affondamento 138 prigionieri (molti dei quali uccisi
dallo scoppio del siluro nella stiva prodiera) e 20 italiani. I 252 superstiti,
alcuni dei quali rimasero in acqua per ore, vennero recuperati da Polluce e Premuda. La Polluce e l’Atlas proseguirono poi per Palermo, dove
arrivarono alle tre del pomeriggio del 16 febbraio. I corpi di alcune delle
vittime vennero portati dalle onde sulle spiagge tunisine anche a settimane di
distanza e furono sepolti in Tunisia, molti in tombe senza nome. Questo triste
successo fu l’unico colto dal P 38,
da poco entrato in servizio, il cui comandante, tenente di vascello Rowland
Hemingway, non ebbe mai modo di venire a sapere del tragico risultato della sua
azione: pochi giorni dopo, infatti, il P
38 venne affondato con tutto l’equipaggio dalla torpediniera Circe, durante un attacco ad un altro
convoglio.
Tra i venti membri
dell’equipaggio italiano periti sull’Ariosto
vi erano diversi marittimi istriani, dalmati e giuliani, tutti della marina
mercantile:
Liberato Bercarich (o Bertarich, da Valdarsa,
figlio di Antonio Bercarich), fuochista, deceduto nell’affondamento
Carlo Cucich (da Orsera, figlio di Domenico
Cucici), deceduto nell’affondamento
Giacomo Demetilla (da Arsia, figlio di Giacomo
Demetilla), deceduto nell’affondamento
Livio De Simoni (nato a Pola il 30 settembre
1920, figlio di Giovanni De Simoni), secondo ufficiale, gravemente ferito nel
siluramento e deceduto a Trapani il 16 febbraio 1942
Giovanni Franchetti (da Fiume, figlio di
Giovanni Franchetti), deceduto nell’affondamento
Giuseppe Iurman (da Valdarsa), deceduto
nell’affondamento
Ruggero Situlin (da Pola, figlio di Antonio
Situlin), deceduto nell’affondamento
Antonio Zandel (da Albona, figlio di Carlo
Zandel), deceduto nell’affondamento
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Un’altra immagine del Báró Fejérváry, probabilmente scattata nella stessa occasione di quella all’inizio della pagina (g.c. Hórváth József).
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Il relitto che si
presume appartenere all’Ariosto
(originariamente noto localmente come “Sola” dal nome dell’unico pescatore che
ne conosceva la posizione) giace a 9,5 miglia dal porto tunisino di Mahdia,
spezzato in due, ad una profondità di 53 metri (con le strutture superiori che
arrivano a 38 metri).
Nel 1998, sulla sua
verticale, è stata celebrata una breve cerimonia in memoria dei prigionieri
scomparsi, con il lancio di una corona di fiori sul punto dell’affondamento.
Grazie. È la prima volta che leggo una versione così completa dell'affondamento della Ludovico Ariosto nel quale morì mio nonno Antonio Zandel, padre di mio padre Carlo, che porta il nome in onore del suo nonno, e di.mio figlio che porta il nome in onore di mio padre e del suo bisnonno. Grazie ancora. Sono commosso.
RispondiEliminaC'era anche mio nonno. Una tra quelli rimasti in mare x ore. Ciao nonno.
RispondiEliminaAnche mio nonno è morto con l'affondamento dell'ariosto... sarà in una di quelle tombe senza nome in Libia, perché quella col suo nome che visito da 40 anni è vuota. Si chiamava Giuseppe. Ha lasciato 4 figli tra cui mio padre. Grazie davvero e se avete altre informazioni, per favore ...... condividetele.
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