sabato 20 maggio 2023

VAS 231

La VAS 231 (Gruppo di Cultura Navale)
 
Cacciasommergibili (Vedetta Anti Sommergibili, VAS) classe Baglietto 68 t, seconda serie. 
Il progetto delle VAS era derivato da quello delle motosiluranti tipo "CRDA da 60 tonnellate", a sua volta derivato da quello delle motosiluranti jugoslave della classe Orjen (catturate dalle truppe italiane nell’aprile 1941 in seguito all’invasione della Jugoslavia), costruite in Germania nel 1936-1939 e basate sul progetto della classe S 2, la prima classe di Schnellboote. Le forme di carena delle S-Boot (scafo composito tondeggiante, ponte continuo con un piccolo alloggiamento per la plancia), e delle loro “copie” jugoslave, consentivano di mantenere velocità elevate anche in condizioni di mare non ottimali, risolvendo così un problema che da anni affliggeva i progettisti della Regia Marina, i cui MAS, in grado di raggiungere velocità elevatissime, manifestavano però seri problemi di tenuta del mare quando questo era mosso od agitato. Rilevati i piani di costruzione delle Orjen, la Regia Marina incaricò i CRDA di Monfalcone di sviluppare una classe di motosiluranti di caratteristiche analoghe, ed i cantieri Baglietto di Varazze di realizzare sullo stesso scafo un’unità per il pattugliamento antisommergibili e la scorta costiera. Rispetto alle motosiluranti, le VAS avevano minor velocità (non necessaria, del resto, per il loro compito), ma un miglior armamento antisommergibili.
Erano note anche come "VAS Baglietto", dal nome del cantiere – già tra i principali costruttori di MAS – che le progettò e che realizzò le prime unità di ciascuna serie.
 
Le VAS furono costruite in tre serie: una prima serie di trenta unità, una seconda di diciotto ed una terza di dodici. Le prime due serie differivano tra loro solo per l’apparato motore, mente la terza era sensibilmente più grande, con un dislocamento a pieno carico di 90 tonnellate.
La VAS 231 era l’unità caposerie della seconda serie, sostanzialmente identica alla prima se non per i motori, che erano un motore principale Isotta Fraschini da 1150 HP (che azionava l’asse centrale) e due motori ausiliari Carrato da 300 HP ciascuno (che azionavano i due assi laterali e dotati di riduttori invertitori ad ingranaggi, impiegati anche per la marcia indietro), tutti a benzina (sulle unità della prima serie c’erano invece due motori principali FIAT da 750 CV ciascuno, che azionavano le due eliche laterali, ed un motore centrale Carraro da 300 CV, impiegato per l’avvicinamento silenzioso e provvisto di riduttore invertitore ad ingranaggi, usato anche per la marcia indietro). Il motore Isotta Fraschini da solo raggiungeva una velocità massima di 16 nodi, mentre i due Carraro, insieme, permettevano una velocità massima di 14 nodi; la velocità massima utilizzando tutti e tre i motori è variamente indicata da 19 a 21,5 nodi. Con una riserva di 11,5 tonnellate di benzina, l’autonomia era di 1100 miglia nautiche a dodici nodi e 440 a venti nodi. Questa sistemazione dell’apparato motore diede risultati più soddisfacenti rispetto a quella della prima serie, e più in generale le VAS della seconda serie vennero giudicate più riuscite di quelle della prima.
 
Lunghe 28 metri fuori tutto (leggermente di più rispetto alle unità della prima serie), larghe 4,3-4,7 e pescanti 1,33 metri, le VAS della seconda serie avevano un dislocamento di 68,5-69,1 tonnellate a pieno carico ed erano armate con due mitragliere singole Breda 1940 da 20/65 mm (altra fonte parla di una mitragliera binata dello stesso calibro), due mitragliatrici binate da 8/80 mm (sistemate a prua ed a centro nave; altra fonte parla di due armi singole da 6,5 mm), due lanciasiluri ad impulso laterale con altrettanti siluri da 450 mm (da lanciare contro il sommergibile qualora fosse emerso; erano ubicati in coperta a prua), due tramogge antisom con trenta bombe di profondità ed una torpedine da rimorchio con relativa gruetta installata a poppa estrema; erano dotate di idrofono ed avevano un equipaggio di 26 uomini, tra cui un ufficiale.
Le diciotto VAS della seconda serie furono costruite in cinque cantieri diversi: le VAS da 231 a 236 nei cantieri Baglietto di Varazze, le VAS 237 e 238 dai cantieri Costaguta di Voltri (altra fonte parla dei cantieri Picchiotti di Limite sull’Arno), le VAS da 239 a 242 dalla Navalmeccanica di Castellammare di Stabia, le VAS da 243 a 245 dai cantieri Soriente di Salerno, e le VAS da 246 a 248 dai cantieri Celli di Venezia.
 
Breve e parziale cronologia.
 
1942
Costruita dai cantieri Baglietto di Varazze.
Inizio 1943
Insieme alle cinque gemelle costruite a Varazze (VAS da 232 a 236), la VAS 231 viene modificata per l’impiego come dragamine veloce costiero: vengono sbarcate le bombe di profondità, l’idrofono ed i siluri, al cui posto viene imbarcata l’attrezzatura per il dragaggio meccanico.
12 marzo 1943
Nel pomeriggio la VAS 231 e la gemella VAS 232 si uniscono alla scorta del convoglio «D», in navigazione da Napoli a Tunisi (Biserta per la Sterope) e formato dai piroscafi tedeschi Esterel e Caraibe e dalla cisterna militare italiana Sterope, scortati dalle torpediniere Sirio (capitano di corvetta Antonio Cuzzaniti; a bordo anche il caposcorta, capitano di vascello Corrado Tagliamonte), Orione (capitano di corvetta Luigi Colavolpe), Pegaso (capitano di corvetta Mario De Petris), Cigno (capitano di corvetta Carlo Maccaferri), Libra (capitano di corvetta Gustavo Lovatelli) e Generale Antonino Cascino (tenente di vascello di complemento Gustavo Galliano) e dalle corvette Persefone (capitano di corvetta Oreste Tazzari) e Cicogna (tenente di vascello Augusto Migliorini).
Già dal 10 marzo, tuttavia, i comandi britannici – attraverso le decrittazioni di “ULTRA” – sanno che la nave cisterna Sterope e la motonave Nicolò Tommaseo devono arrivare a Messina alle 20 del 9, provenienti da Brindisi, per poi unirsi ad Esterel e Caraibe e Manzoni, provenienti da Napoli e diretti a Messina o Trapani, e fare rotta insieme verso Tunisi e Biserta, dove giungere nel pomeriggio dell’11. Il 12 marzo “ULTRA” ha poi appreso del rinvio di 48 ore di tale programma, con l’arrivo a Messina di Sterope e Tommaseo alle 14 dell’11 anziché la sera del 9; i comandi britannici deducono correttamente che la prevista riunione in mare avverrà nella giornata del 12, e pertanto inviano numerosi aerei a cercare il convoglio.
Lo trovano alle 20.40: tra quell’ora e le 21.20 il convoglio viene continuamente sorvolato da aerosiluranti, bersagliati più volte dal tiro di tutte le navi. (Per altra fonte, il convoglio sarebbe stato individuato alle 20 da un ricognitore che l’avrebbe illuminato con il proiettore di ricerca «Leigh Light»). Uno di essi, un Bristol Beaufort del 39th Squadron pilotato dal tenente Arnold M. Feast, verrà abbattuto da Orione e Persefone alle 22.15, dopo aver a lungo sorvolato il convoglio; la Persefone recupererà tre superstiti.
Alle 21.25 (o 21.35), dodici miglia ad ovest di Capo Gallo, la Sterope viene colpita a prora sinistra da un siluro, sganciato da un altro Beaufort del 39th Squadron R.A.F. (pilotato dal capitano Stanley Muller-Rowland). Per ordine del caposcorta Tagliamonte, Pegaso e Cascino sono distaccate per assistere la petroliera danneggiata, mentre il resto del convoglio prosegue.
Altri quattro Beaufort attaccano le navi italiane, senza ottenere ulteriori centri; due di essi sono colpiti, uno dei quali (sergente William A. Blackmore) viene abbattuto senza superstiti e l’altro (sergente J. T. Garland) viene gravemente danneggiato ma riesce a tornare a Luqa (Malta).
Alle 22.19 (o 22.10) il convoglio viene nuovamente attaccato, stavolta dal sommergibile britannico Thunderbolt (capitano di corvetta Cecil Bernard Crouch), che silura e danneggia l’Esterel sei miglia ad est di Capo San Vito siculo (Sicilia nordoccidentale; per altra fonte, due miglia a nord di tale Capo).
Il Thunderbolt è partito da Malta il precedente 9 marzo per la sua quindicesima missione di guerra, la sesta in Mediterraneo, con l’ordine di pattugliare le acque ad ovest di Marettimo e la costa nordoccidentale della Sicilia e poi raggiungere Algeri al termine della missione; non si è mai avuta una formale conferma che sia stato questo battello a silurare l’Esterel, non essendo il Thunderbolt mai rientrato dalla sua missione (come si vedrà più sotto), ma non avendo alcun altro sommergibile britannico rivendicato un attacco in circostanze compatibili con questo siluramento, è pressoché certo che sia stata proprio opera del Thunderbolt.
Dopo l’attacco, VAS 231 e VAS 232 danno assistenza all’Esterel per qualche minuto, per poi allontanarsi. (Per altra fonte, le due VAS avrebbero raggiunto il convoglio solo dopo il siluramento dell’Esterel, essendosi forse dirette sul luogo dopo aver avvistato l’esplosione del siluro, e separandosene di nuovo dopo pochi minuti). Su ordine della Sirio, la Persefone e l’Orione danno assistenza all’Esterel; il piroscafo danneggiato viene anch’esso preso a rimorchio (prima dall’Orione e successivamente da due rimorchiatori inviati da Trapani, mentre la Persefone assicura la scorta) e portato a Trapani, dove giungerà l’indomani alle 14.20 (ma non sarà mai riparato). Inoltre, la Sirio distacca la Libra per dare la caccia al sommergibile, ed essa riesce a localizzare il battello nemico con l’ecogoniometro alle 23.42, in posizione 38°17' N e 12°57' E (una dozzina di miglia a nordest di Capo San Vito siculo; il sommergibile si sta muovendo a tre nodi), mantenendo poi un buon contatto per due ore – agevolata dalla scia fosforescente che il sommergibile si lascia alle spalle – e bombardandolo con sette scariche di bombe di profondità tra le 23.47 e l’1.38 del 15. Dopo l’ultima scarica, l’equipaggio della Libra vede emergere una colonna d’acqua e fumo nero e sente un forte odore di nafta (per altra fonte, sarebbe stato avvistato nell’oscurità qualcosa che galleggiava in superficie, oppure dei rottami), il che induce il suo comandante a ritenere di avere affondato il sommergibile.
Nel frattempo, il convoglio viene infruttuosamente attaccato da aerei, uno dei quali viene abbattuto; l’equipaggio è recuperato dalla Persefone. Alle 22.55 anche la Cicogna e viene distaccata per dare la caccia a quello che si ritiene essere un altro sommergibile da essa localizzato: in realtà è sempre il Thunderbolt, che è stato danneggiato dalla Libra e verrà affondato proprio dalla Cicogna il giorno seguente.
In seguito dell’avvistamento, da parte di un ricognitore della Luftwaffe alle 20.18 del 12, di quattro cacciatorpediniere britannici al largo di Bona, con rotta nordest ed elevata velocità, il convoglio – ormai ridotto ai soli CaraibeSirio e Cigno – riceve ordine di interrompere la traversata e riparare a Trapani.
13 marzo 1943
All’una di notte Sirio, Cigno e Caraibe entrano a Trapani, dove nelle ore successive confluiscono anche Libra, Cascino e Pegaso, una volta completati i rispettivi compiti.
Alle 22.45 Caraibe e scorta, ora costituita da Sirio (caposcorta), CignoLibraOrioneCascinoPegaso, VAS 231 e VAS 232, ripartono da Trapani per unirsi, 70 miglia a sudovest della città e dieci miglia ad est del banco di Skerki, ad un altro convoglio formato dalle motonavi Manzoni e Mario Roselli, provenienti da Olbia e dirette a Biserta.
Le due VAS precedono il convoglio per effettuare dragaggio nei fondali di profondità inferiore ai 300 metri.
14 marzo 1943
A partire dall’1.34 aerei avversari iniziano a sorvolare il convoglio, e tra le 2.42 e le 2.44 questi lanciano tre siluri: la Pegaso abbatte un aerosilurante, ma alle 2.44 il Caraibe viene colpito da un siluro, il terzo lanciato. Subito incendiato, il piroscafo – carico di munizioni – viene scosso da una serie di esplosioni ed affonda alle 4.35; le unità della scorta subiscono insistenti attacchi di bombardieri ed aerosiluranti fino alle quattro del mattino, ma non subiscono danni. Cascino e Pegaso recuperano 63 sopravvissuti del Caraibe (su un centinaio di uomini presenti a bordo) e dirigono per Trapani.
Le altre torpediniere ed i due VAS (sempre con funzione di dragaggio) raggiungono alle 8.15, una settantina di miglia a sudovest di Trapani, il convoglio formato da Manzoni e Roselli scortate da Sagittario (capitano di corvetta Vittorio Barich) e Clio (capitano di corvetta Carlo Brambilla), col quale giungono a Biserta tra le 16.40 e le 17, precedute nell’ultimo tratto della navigazione da tre dragamine usciti da Biserta per dragare la rotta del convoglio (per altra versione, anche la Pegaso si sarebbe riunita alla scorta delle due motonavi nell’ultimo tratto di navigazione); Libra ed Orione, prima di entrare a Biserta, ricevono ordine di recarsi a Tunisi.
21 marzo 1943
VAS 231 e VAS 232, insieme alle corvette Antilope e Cicogna, partono da Trapani alle sette del mattino per scortare a Susa il piroscafo Foggia.
A causa del mare burrascoso, tuttavia, nel pomeriggio il convoglietto deve interrompere la traversata e rifugiarsi a Pantelleria, dove arriva alle 18.45.
22 marzo 1943
Alle cinque del mattino il convoglietto riparte alla volta di Susa, dove giunge alle quattro del pomeriggio.
 
Profilo della VAS 231 (Associazione Navimodellisti Bolognesi)

Epilogo in Tunisia
 
La breve vita della VAS 231, comandata dal sottotenente di vascello Biordo Biondi, terminò la sera del 7 maggio 1943, mentre l’estrema resistenza delle truppe italo-tedesche in Africa andava spegnendosi.
Alla fonda nell’ancoraggio di Sidi Bou Said, nel Golfo di Tunisi, insieme alla motosilurante MS 22 (tenente di vascello Franco Mezzadra), il piccolo cacciasommergibili venne attaccato da aerei angloamericani, ormai padroni incontrastati dei cieli tunisini; sia la VAS che la motosilurante si difesero accanitamente con le mitragliere, abbattendo due degli attaccanti, ma sotto il pesante mitragliamento dei velivoli avversari le due minuscole unità furono entrambe incendiate e dovettero essere portate sui bassifondali, dove i loro due relitti crivellati vennero abbandonati. Quasi tutti i componenti degli equipaggi rimasero uccisi, compresi entrambi i comandanti; i pochi superstiti raggiunsero la riva a nuoto.
 
Morti sulla VAS 231:
 
Giacomo Ansaldo, marinaio motorista, da Triora
Pietro Asaro, marinaio nocchiere, da Mazara del Vallo
Filippo Bellanca, secondo capo furiere, da Porto Empedocle
Biordo Biondi, sottotenente di vascello, da Ancona
Giuseppe Bonino, sottocapo radiotelegrafista, da Villanova d’Asti
Renzo Bracci, marinaio, da Pisa
Anselmo Bugnoli, marinaio, da Mesola
Enrico Casati, secondo capo militarizzato, da Milano
Domenico Cau, sergente torpediniere, da Bonorva
Enrico Cerasa, marinaio, da Monterotondo
Matteo D’Altilia, sottocapo nocchiere, da Rodi Garganico
Roberto Di Gregorio, marinaio motorista, da Palermo
Salvatore Gianni, sottocapo cannoniere, da Pozzallo
Michele Lisco, marinaio, da Bari
Luigi Manoni, marinaio, da Serra de’ Conti
Luigi Pelucco, sottocapo meccanico, da Bovolone
Antonino Romano, marinaio cannoniere, da Vittoria
Ascanio Rossi, marinaio, da Firenze
Agostino Sandolo, sergente nocchiere, da Ponza
Nereo Soranzo, sottocapo motorista, da San Giorgio delle Pertiche
Walter Vangoni, tenente del Genio Navale, da Sansepolcro
Luigi Viotti, capo meccanico di terza classe, da Carezzano
 
Quello stesso giorno cadevano Tunisi e Biserta, due giorni dopo si arrendeva la 5a Armata Corazzata tedesca, e dopo altri quattro giorni la resa della 1a Armata italiana segnava la definitiva conclusione delle ostilità in terra africana.
 
 

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