mercoledì 1 ottobre 2025

Genoano

La Genoano (Coll. Guido Alfano, via g.c. Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)

Piroscafo cisterna di 6066,69 tsl, 3663,70 tsn e 10.460 tpl, lunga 127,85-132,15 metri, larga 16,60-16,66 e pescante 9,87-9,97, con velocità di 9,8-11 nodi. Di proprietà dell'armatore G. M. Barbagelata di Genova, iscritta con matricola 2136 al Compartimento Marittimo di Genova, nominativo di chiamata IBGP.

Le sue cisterne, per combustibili liquidi aventi un punto d'infiammabilità inferiore a 65 °C, avevano una capacità complessiva di 70.000 barili/10.845 metri cubi.


Breve e parziale cronologia.


1913

Impostata nei cantieri R. & W. Hawthorn, Leslie & Company Ltd. di Hebburn-on-Tyne (Newcastle-on-Tyne).

23 o 27 dicembre 1913

Varata nei cantieri R. & W. Hawthorn, Leslie & Company Ltd. di Hebburn-on-Tyne come Barneson (numero di costruzione 462).

29 gennaio 1914

Completata come Barneson per la Bank Line Ltd. di Glasgow, in gestione ad Andrew Weir & Co. Ltd. di Glasgow. Porto di registrazione Glasgow, nominativo di chiamata radio JDVG. Stazza lorda 6051 tsl, netta 3791 tsn, portata lorda 9350 tpl, capacità 65.000 barili. Fa parte di un quartetto di petroliere costruite per l'impiego sulle rotte del Pacifico per conto della General Petroleum Company.

Poco dopo la consegna agli armatori la Barneson parte per il viaggio inaugurale da Newcastle-upon-Tyne a San Francisco (dove arriverà il 20 aprile), al comando del capitano Shott. Per via di vari scali intermedi, il viaggio inaugurale, con attraversamento dello stretto di Magellano il 16-17 marzo, richiederà 65 giorni, pur non verificandosi alcun inconveniente.

1915

Ribattezzata Oyleric, senza cambiare proprietà (per altra fonte sarebbe passato direttamente sotto la proprietà di Andew Weir & Co. di Glasgow, ma dai registri dei Lloyd's degli anni successivi risulta che la nave fosse sempre di proprietà della Bank Line, con Andrew Weir & Co. come gestore).


La nave sotto il nome di Oyleric (da www.benjidog.co.uk)

19 febbraio 1916

In navigazione in zavorra verso Newport News, la Oyleric viene fermata ed ispezionata in posizione 59°20' N e 08°36' O dall'incrociatore ausiliario britannico Hilary. Viene poi lasciata proseguire.

2 luglio 1917

L'Oyleric lascia Hampton Roads diretta in Inghilterra, in convoglio con i mercantili Trojan, Oopack, Seville, Islanda, Roumanian Prince, Caldy, Thermidor, Crosby Hall, Crown of Seville, Aureole, Conway, Bayleaf, Oriflamme, Mandalay, Branholme, Chulmleigh, Sargasso, San Melito, St. Michael, Walli, Derbent, Caravelle e Welbeck Hall.

19 luglio 1917

Il convoglio arriva a Plymouth.

1918

È comandante dell'Oyleric il capitano J. McLean.

30 settembre 1918

L'Oyleric salpa da Plymouth con il convoglio OD. 128, diretto a Newport News.

1° ottobre 1918

Alle 18.08 il sommergibile tedesco U 55 (tenente di vascello Alexander Weiss) attacca il convoglio e silura il piroscafo Montfort in posizione 48°02' N e 10°04' O, circa 170 miglia ad ovest-sud-ovest di Bishop Rocks, nelle isole Scilly; i cacciatorpediniere della scorta contrattaccano con 39 bombe di profondità, ed il convoglio accosta a sinistra, per poi tornare sulla rotta originaria alle 18.14. Il Montfort affonderà il giorno seguente.

2 ottobre 1918

Alle 13.19 il convoglio accosta a sinistra in seguito all'avvistamento di un oggetto sospetto a dritta, per poi tornare in rotta alle 13.40.

Alle 18.45 la nave scorta ausiliaria Naneric avvista un periscopio al traverso a sinistra ed apre il fuoco contro di esso; subito dopo vengono avvistati due siluri, uno dei quali passa sotto lo scafo del piroscafo Berinnes e l'altro che manca l'Oyleric passandole a poppa a soli 4-5 metri di distanza. Sia l'Oyleric che il Berinnes aprono il fuoco con il loro armamento.

3 ottobre 1918

Alle 10.42 il piroscafo Wyandotte segnala un sommergibile contro il quale apre il fuoco, ma alle 10.55 viene dato il cessato allarme.

5 ottobre 1918

Alle otto di sera il convoglio si disperde nel punto 45°56' N e 24°43' O, ed i mercantili che lo compongono proseguono ognuno verso la propria destinazione.


Un'altra immagine dell'Oyleric (Coll. Brent Chambers, via www.tynebuiltships.co.uk)


5 novembre 1926

Alle sette di sera l'Oyleric, durante un viaggio da Dublino a Beaumont (Texas) via Brixham al comando del capitano Livingstone, trae in salvo l'equipaggio della goletta statunitense Valkyrie, disalberata da una violenta tempesta a 900 miglia da Bermuda.

L'Oyleric recupera il comandante della Valkyrie, capitano Henry Rose (al comando della goletta da quattro anni), altri undici uomini e due bambine di tre e quattro anni, figlie di uno di essi; ai loro soccorritori i naufraghi raccontano la loro odissea. La vecchia goletta, costruita 37 anni prima, era partita il 23 ottobre da Providence (Rhode Island) diretta a Brava (Isole di Capo Verde) in servizio di linea con dodici uomini di equipaggio, quattro passeggeri (comprese le due bambine) ed un carico di legname e merci varie (la nave era carica a metà). Una prima tempesta l'ha costretta a gettare l'ancora nella baia di Narraganset, e solo il 26 ottobre la Valkyrie è potuta uscire nell'Atlantico per affrontare il viaggio di 3600 miglia verso le Isole di Capo Verde; poco dopo essersi lasciata alle spalle Block Island, la nave è incappata in un'altra tempesta che per cinque giorni ha tormentato la sua navigazione – condotta con un fiocco, una randa di cappa ed una tormentina – nella Corrente del Golfo, fino ad essere disalberata verso le due di notte del 4 novembre. Dapprima il vento ed il mare hanno asportato il bompresso e rotto l'albero di trinchetto, che tuttavia è rimasto inizialmente in piedi; il capitano Rose si è arrampicato su un pennone per fissare il sartiame, ma poco dopo l'albero maestro si è spezzato ed è caduto in mare, trascinando con sé anche l'albero di trinchetto. Due membri dell'equipaggio – un marinaio ed un mozzo – sono scomparsi in mare dopo che la furia delle onde ha travolto la piccola imbarcazione, l'unico mezzo di salvataggio della Valkyrie, in cui si erano calati nel tentativo di rattoppare la murata della goletta, che aveva iniziato ad imbarcare acqua.

Gettati in mare i rimasugli dell'alberatura per alleggerire la nave, l'equipaggio ha faticosamente tenuto la Valkyrie a galla con le pompe per 35 ore (le mani del capitano Rose sono coperte di vesciche per il continuo pompare) fino all'arrivo dell'Oyleric; durante la giornata del 4 novembre un piroscafo era già passato nella zona senza notare il relitto galleggiante della goletta, mentre in seguito all'avvistamento dell'Oyleric l'equipaggio della Valkyrie ha acceso dei fumogeni da segnalazione, riuscendo così ad attirarne l'attenzione. A bordo della petroliera i naufraghi ricevono immediatamente ogni attenzione; sono tutti in buone condizioni e le due bambine non si sono nemmeno rese conto del pericolo che hanno corso, tanto che un'ora prima dell'arrivo dell'Oyleric la più grande delle due ha detto al padre di portare in coperta i bagagli “perché presto prenderemo il treno” (portato in coperta per accontentarla, anche il bagaglio viene trasbordato sulla nave soccorritrice: unico oggetto salvato dal naufragio, oltre al sestante ed al cronometro del capitano Rose).

L'Oyleric sbarca i naufraghi a Five Fathom Hole il mattino del 9 novembre, dopo di che riparte subito per completare il viaggio. Il console statunitense a St. George, Fred Robertson, organizza il rimpatrio dei naufraghi, trasferiti lo stesso 9 novembre dal piroscafo Daisy (che ha precedentemente portato sull'Oyleric, ancorata al lago dell'East End di Five Fathom Hole, i funzionari doganali P. W. G. Shelley, F. J. Robertson e C. Randolph Hayward, che hanno sbrigato le pratiche doganali necessarie allo sbarco dei naufraghi) sulla nave passeggeri Fort St. George, diretta a New York; il capitano Rose esprimerà a nome proprio e dell'equipaggio la sua gratitudine per la gentilezza e cortesia mostrate dall'equipaggio dell'Oyleric dopo il salvataggio.

1934

Il nominativo di chiamata radio diventa GRFB.

1937

Acquistata dalla Ditta G. M. Barbagelata di Genova e ribattezzata Genoano. Registrata presso il Compartimento Marittimo di Genova, nominativo di chiamata IBGP.


La Genoano (Coll. Adan Balcazar Cervantes, via www.histarmar.com)

Il Messico in guerra


Al pari di più di duecento altre navi mercantili italiane, il 10 giugno 1940 la Genoano, al comando del capitano di lungo corso spezzino Anselmo Macera, si ritrovò bloccata al di fuori del Mediterraneo, a migliaia di chilometri dalla madrepatria che lo scoppio della guerra aveva reso irraggiungibile: più precisamente a Tampico, importante porto petrolifero del Messico situato sul fiume Panuco, ad una decina di miglia dalla foce. In quel medesimo porto si trovavano o dove si rifugiarono dopo la dichiarazione di guerra altre sette petroliere italiane: l'Americano (appartenente anch'essa alla flotta Barbagelata), la Fede, l'Atlas, la Marina Odero, la Tuscania, la Stelvio, la Lucifero e la Vigor; un'altra, la Giorgio Fassio, era a Veracruz. Per tutte, la sorte fu la stessa: l'internamento in acque messicane, ossia proprio a Tampico, per la durata delle ostilità.

Insieme alle otto navi italiane erano presenti a Tampico, ed egualmente internati fin dal settembre 1939, anche quattro bastimenti tedeschi: l'Orinoco, il Phrygia, il Rhein e l'Idarwald.

Gli equipaggi delle navi internate a Tampico vivevano confinati a bordo dei loro bastimenti: potevano scendere a terra e visitare la popolazione locale solo dietro autorizzazione del comandante, e solo in gruppi. Nonostante questo e la vigilanza delle “Oficinas de Población”, in meno di un anno non pochi marittimi italiani riuscirono a metter su famiglia con donne del posto.


Nondimeno, non tutti erano rassegnati a passare la guerra in Messico. Nella notte del 16 novembre 1940 le quattro navi tedesche tentarono di salpare da Tampico per raggiungere la Germania, violando il blocco britannico; la partenza avrebbe dovuto essere furtiva, ma in realtà migliaia di abitanti del posto, e probabilmente anche qualche membro del locale consolato britannico, vi assisterono. Mantenere il segreto era del resto impresa ardua, le navi avevano già ottenuto i documenti per la partenza (la destinazione dichiarata erano “porti della Spagna”) e due cannoniere della Marina messicana avevano l'ordine di accompagnarle fino ai limiti delle acque territoriali messicane. Già nel pomeriggio precedente i bastimenti tedeschi avevano acceso le caldaie, ed era ben presto circolata voce che si sarebbero recati al largo per rifornire di provviste e di carburante gli U-Boote e le “navi corsare” tedesche operanti in Atlantico.

Questo tentativo finì male: non appena giunse al largo, il Phrygia s'imbatté in un cacciatorpediniere statunitense della “pattuglia di neutralità” che lo illuminò con i proiettori; scambiandolo per una nave britannica, l'equipaggio del Phrygia incendiò la sua nave ed aprì le prese a mare per evitare la cattura. Le altre tre navi fecero dietrofront e tornarono precipitosamente in porto.

Una decina di giorni più tardi, le navi italiane e tedesche internate a Tampico rinnovarono i preparativi per un'apparente prossima partenza, mentre tre cacciatorpediniere statunitensi della “pattuglia di neutralità” incrociavano nelle acque antistanti il porto messicano. Le navi si rifornirono di carburante ed accesero le caldaie poco dopo la mezzanotte del 25 novembre, ma prima dell'alba le caldaie vennero spente – come indicato dal fumo che aveva smesso di uscire dai fumaioli – ed i rimorchiatori che prima erano in attesa accanto ai bastimenti dell'Asse come se fosse stato richiesto il loro intervento per la partenza se ne andarono, anche se le navi italiane e tedesche avevano tenuto tutte le luci accese. I giornalisti dell'«Associated Press» aggiunsero che negli uffici della capitaneria di porto era stato riferito che le navi dell'Asse avevano già preparato i documenti per l'autorizzazione a partire, ma che non era possibile fornire informazioni su quando dovessero salpare. Inoltre, circolava notizia che personale dei consolati italiano e tedesco a Città del Messico fosse al lavoro già alle due di notte, apparentemente in contatto con Tampico. Entrambi i consolati, interpellati, risposero che erano stati fatti dei preparativi a bordo delle navi, ma che non avevano informazioni su quando sarebbero partite.

Il secondo tentativo di fuga da parte delle navi tedesche ebbe infine luogo il 3 dicembre, quando il Rhein e l'Idarwald (l'Orinoco rimase in porto) tentarono nuovamente la sorte; ma finì ancor peggio della prima volta. Entrambi i bastimenti tedeschi furono pedinati da cacciatorpediniere statunitensi della “pattuglia di neutralità”, che non li attaccarono né ne ostacolarono attivamente la navigazione, ma che segnalarono in chiaro la loro posizione alla radio, così permettendone l'intercettazione da parte di navi da guerra Alleate. L'8 dicembre l'Idarwald, intercettato dall'incrociatore britannico Diomede, fu autoaffondato dal proprio equipaggio; tre giorni dopo toccò la stessa sorte al Rhein, intercettato dalla cannoniera olandese Van Kinsbergen.

Questo secondo fallimento pose fine ad ogni altra velleità di fuga dal Messico. La Genoano, le altre petroliere italiane e l'Orinoco se ne rimasero a Tampico.


Questa situazione perdurò fino alla primavera del 1941. Il 30 marzo di quell'anno gli Stati Uniti, pur essendo neutrali, procedettero alla confisca di tutti i bastimenti mercantili dell'Asse presenti nei propri porti; diversi paesi dell'America latina, spesso su pressione angloamericana, si prepararono a fare lo stesso, e gli equipaggi di numerosi mercantili italiani internati in questi stati, in base agli ordini ricevuti dalle autorità italiane, sabotarono od autoaffondarono le loro navi prima che potessero essere catturate.

Il Messico colse l'occasione, disponendo anch'esso la confisca delle dodici navi dell'Asse presenti a Tampico e Veracruz, per incrementare la propria modesta flotta petroliera: con la cattura delle dieci cisterne italiane che si trovavano nei suoi porti, infatti, il tonnellaggio complessivo delle navi cisterna sotto bandiera messicana sarebbe quadruplicato, passando da 29.445 tsl a 117.591 tsl, con una capacità complessiva di 1.162.000 barili di greggio.

Il Messico aveva nazionalizzato le proprie riserve petrolifere pochi anni prima, espropriandole alle compagnie straniere e creando una propria compagnia petrolifera controllata dallo Stato, la Petróleos Mexicanos S. A. (Pemex), ma risentiva di una carenza di navi cisterna adeguate a trasportare il petrolio per poter adeguatamente sviluppare tale industria, che venne così “risolta”.

La nazionalizzazione delle risorse petrolifere messicane, decisa il 18 marzo 1938 dal presidente Lázaro Cárdenas del Río, aveva destato profondi malumori nel Regno Unito, negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi, le cui compagnie petrolifere avevano fino a quel momento sfruttato i giacimenti messicani: nonostante Cárdenas si fosse offerto di indennizzare pienamente le compagnie colpite, queste avevano reagito organizzando un vero e proprio embargo contro i prodotti petroliferi messicani, le cui esportazioni si erano dimezzate. I governi britannico ed olandese avevano appoggiato il boicottaggio del petrolio messicano organizzato dalle rispettive compagnie petrolifere, portando ad un deterioramento delle relazioni diplomatiche con il Messico, mentre quello statunitense era stato relativamente meno acceso nell'appoggio alle sue, in quanto il presidente Franklin Delano Roosevelt intendeva perseguire nei confronti del Messico una politica di “buon vicinato” per averlo dalla sua parte in un conflitto che intuiva essere ormai imminente. Nondimeno, l'“embargo” aveva colpito duramente la Pemex, portando ad una situazione paradossale: il Messico, Paese all'epoca tra i più antifascisti al mondo (insieme all'Unione Sovietica era stato l'unico Paese ad inviare aiuti militari alla Repubblica spagnola nella guerra civile contro i nazionalisti, mentre Francia e Regno Unito erano rimasti a guardare mentre Italia e Germania inviavano ai franchisti ingenti e decisivi rinforzi di truppe e materiale militare: caduta poi la Repubblica, era stato il Messico ad accoglierne ed ospitarne il governo in esilio, insieme a decine di migliaia di profughi), si era ritrovato ad avere come principali acquirenti del suo petrolio proprio l'Italia fascista e la Germania nazista, tra i pochi Paesi a non aver aderito all'“embargo” petrolifero contro il Messico deciso dal blocco anglo-olandese-statunitense, di cui erano avversari.

Proprio alla cantieristica italiana si era inizialmente rivolta la Pemex per risolvere il problema della mancanza di petroliere (anch'esso legato alla nazionalizzazione dei giacimenti ed alle sue conseguenze: prima della nazionalizzazione il petrolio messicano era solitamente trasportato da navi straniere, ma dopo di essa quasi nessun armatore era stato più disposto a noleggiare le sue petroliere alla Pemex per non incorrere nell'ira dei colossi petroliferi anglo-olandesi-statunitensi): nel 1939 aveva ordinato all'Ansaldo di Genova tre grandi e moderne motonavi cisterna battezzate MinatitlanPanuco e Poza Rica, ma lo scoppio della guerra ne aveva rallentato la costruzione, e nel 1941 le tre petroliere furono confiscate dal governo italiano per essere impiegate nel trasporto di carburante in Africa Settentrionale. Secondo qualche fonte secondaria messicana, anzi, fu proprio la confisca delle tre petroliere in costruzione in Italia a spingere il governo messicano a confiscare le navi italiane presenti nelle sue acque; ma ciò sembra poco probabile, la maggior parte delle fonti messicane non indicano in ciò la causa di tale decisione.

All'atto della nazionalizzazione del 1938 la flotta petrolifera messicana era composta da una sola nave cisterna, la San Ricardo (ribattezzata nel 1939 18 de Marzo), cui nel 1940 se ne erano aggiunte altre tre con l'acquisto delle norvegesi Binta e Bisca e della tedesca Tina Asmussen, ribattezzate Cerro Azul, Tampico e Juan Casiano: flotta sempre troppo sparuta e che la guerra mondiale aveva reso difficile incrementare, sia con l'acquisto di navi esistenti che con nuove costruzioni, in quanto tutto era assorbito dalle esigenze del conflitto.


Su disposizione del presidente messicano Manuel Ávila Camacho per tramite della Segreteria della Marina (Secretaría de Marina), il contrammiraglio Luis Hurtado de Mendoza fu inviato dal Ministro della Guerra Lázaro Cárdenas del Rio a confiscare le navi dell'Asse presenti nei porti del Messico, alla testa di reparti del 31° Battaglione Fanteria (31° Batallón de Infantería).

Il 1° aprile 1941, pertanto (altra fonte parla del 2 aprile, ma si tratta probabilmente di un errore), drappelli della Marina messicana abbordarono e catturarono la Genoano e le altre navi cisterna italiane presenti nel porto di Tampico, con l'eccezione dell'Atlas, che venne autoaffondata dal suo equipaggio. L'autoaffondamento dell'Atlas fu anzi citato da parte messicana – come già fatto negli Stati Uniti, dove quasi tutte le navi italiane erano state sabotate dai loro equipaggi – come ragione del provvedimento di sequestro delle navi: si disse che la decisione era stata presa dal governo messicano per ragioni di sicurezza nazionale, dopo aver appreso la notizia di quanto accaduto sull'Atlas. Su ciascuna nave fu posto un distaccamento di fanteria di Marina con compiti di vigilanza. Il generale messicano Francisco Luis Urquizo, che all'epoca aveva il suo comando a Tampico, avrebbe ricordato nelle sue memorie come il contrammiraglio Hurtado de Mendoza “…ottimo conversatore, portava invariabilmente il discorso sul modo rapido ed energico con cui aveva effettuato il simultaneo sequestro di tutte le navi con truppe del 31° Battaglione, che più tardi furono rilevate dalla Fanteria di Marina”.

Fu questo uno dei primi atti compiuti da parte del Governo messicano in relazione alla seconda guerra mondiale.


Questa mossa fu giustificata ed ufficializzata dal presidente messicano Manuel Ávila Camacho con un decreto di requisizione firmato pochi giorni più tardi, l'8 aprile 1941 (e pubblicato il 10 aprile sul Diario Oficial de la Federación, l'equivalente messicano della Gazzetta Ufficiale), facendo richiamo al “diritto d'angheria”, in base al quale una nazione in guerra – ma il Messico era neutrale – poteva requisire forzosamente per le proprie necessità il naviglio mercantile appartenente a nazioni straniere che si trovasse nelle proprie acque territoriali, a patto di indennizzarne adeguatamente i proprietari.

Il decreto di requisizione era formato da quattro articoli: «Art. 1 La Segreteria delle Relazioni Estere notificherà ai rappresentanti diplomatici degli Stati belligeranti, la cui bandiera inalberano le navi che sono immobilizzate nei porti nazionali, che il Governo degli Stati Uniti del Messico sequestra quelle navi per usarle nello scambio commerciale e marittimo d'altura e di cabotaggio; Art. 2 La Segreteria della Marina procederà ad immatricolare e munire della bandiera nazionale le navi sequestrate, e ovviamente formulerà un dettagliato inventario delle stesse; Art. 3 La Segreteria di Governo emetterà la documentazione necessaria affinché gli ufficiali e gli equipaggi delle navi sequestrate permangano nel Paese per la durata del presente stato di emergenza o troverà un mezzo sicuro per riportarli nei loro Paesi di origine. Gli ufficiali e gli equipaggi sbarcati riceveranno l'attenzione che si conviene; Art. 4 La Segreteria della Finanza e del Credito Pubblico determinerà l'indennizzo corrispondente per ciascuno dei bastimenti sequestrati, dando ai loro proprietari l'intervento appropriato secondo le nostre leggi. Gli indennizzi verranno pagati alla fine della guerra, con un interesse aggiuntivo per il tempo che sarà intercorso tra la data del decreto e quella del pagamento».

Come motivi per l'applicazione del diritto d'angheria pur essendo il Messico neutrale, Ávila Camacho indicò i gravi disturbi causati dalla guerra al commercio marittimo del Messico, il modo in cui era condotto il conflitto, ignorando i diritti delle nazioni neutrali, ed il quasi completo annientamento del commercio marittimo messicano per mancanza di mezzi di trasporto: secondo il presidente messicano, l'applicazione, da parte di uno Stato neutrale, del diritto d'angheria rappresentava solo una piccola compensazione per il trattamento che in quella guerra aveva subito lo stato stesso di neutralità (queste motivazioni furono fatte proprie dal Comitato consultivo economico-finanziario interamericano, che con la sua risoluzione del 26 aprile 1941 riconobbe implicitamente il diritto dei governi americani di applicare il diritto d'angheria). Un'altra giustificazione che fu addotta era che le autorità messicane volessero evitare che si verificassero anche in Messico atti di sabotaggio come quelli compiuti nei giorni precedenti dagli equipaggi dei bastimenti dell'Asse che si trovavano immobilizzati nelle acque di altri Paesi americani.

L'ambasciatore messicano presso gli Stati Uniti, Francisco Castillo Nájera, affermò in una lettera scritta il 4 aprile al segretario di Stato statunitense Cordell Hull che le navi erano state sequestrate perché i loro equipaggi stavano “pianificando attività di sabotaggio contro i porti messicani”; nello stesso testo del decreto dell'8 aprile si indicava tra le motivazioni “i numerosi atti di sabotaggio effettuati nei primi mesi dell'anno in corso in vari Paesi del continente americano, da parte di equipaggi di navi belligeranti”. Anche il libro "Historia General de la Secretaría de la Marina-Armada de México" afferma che il sequestro fu compiuto “per prevenire atti di sabotaggio che avrebbero potuto danneggiare sia i porti nazionali che le navi stesse”. Il generale Francisco Luis Urquizo, all'epoca comandante dell'8a Zona Militare con quartier generale proprio a Tampico, scrisse nel suo libro di memorie "Tres de Diana" che “…una tale misura [la confisca delle navi] era giusta, perché solo a Tampico c'erano undici navi italiane e tedesche con un totale di novecento uomini di equipaggio tra tutte. Questo costituiva un pericolo, e sarebbe stata necessaria una rigida e costosa vigilanza militare per le navi ed i loro equipaggi, vigilanza che non sarebbe stata ricompensata dalla nostra stessa neutralità”. Qualche fonte messicana accenna anche a sabotaggi o danneggiamenti che sarebbero stati compiuti dagli equipaggi su alcune navi, senza però aggiungere nulla di specifico (salvo che per l'Atlas).

Altra motivazione addotta era che le navi italiane e tedesche fossero in una “situazione illegale” essendo rimaste in porti messicani per un periodo maggiore rispetto a quello concesso dal diritto internazionale.

Sempre allo scopo di legittimare la confisca delle navi, qualche giorno prima di emettere il decreto di sequestro la Segreteria per le Relazioni Estere (equivalente al Ministero degli Esteri) del Messico aveva inviato un avvertimento ai Ministeri degli Esteri di Italia e Germania, informandoli che le autorità di quel Paese avrebbero sequestrato le navi straniere immobilizzate nei loro porti per impiegarle nel commercio e nel traffico marittimo d'altura e di cabotaggio, ed intimando loro, se intendevano evitarlo, di far lasciare alle loro navi le acque messicane. Se vi fossero rimaste, una volta decorso il tempo stabilito queste sarebbero state confiscate; tale disposizione non era attuabile, visto che se le navi dell'Asse avessero lasciato il Messico sarebbero state certamente intercettate e catturate od affondate da navi alleate. Decorso dunque il limite di tempo concesso senza che le navi fossero partite, fu emesso il decreto sequestro; il presidente Ávila Camacho ordinò al generale Heriberto Jara, segretario della Marina, di prendere possesso delle navi italiane e tedesche.

Il sequestro delle navi rappresentò anche un gesto di avvicinamento del governo messicano a quello statunitense: già il 31 marzo, dando la notizia della confisca delle navi italiane e tedesche negli Stati Uniti ed in altri Paesi americani, alcuni giornali statunitensi avevano riferito che il Messico pianificava di prendere in custodia le navi italiane e tedesche presenti nei suoi porti, in un atto “di difesa continentale e di solidarietà con gli Stati Uniti”. L'azione, da parte di distaccamenti armati della Marina messicana, era correttamente annunciata per la notte successiva.

Il governo messicano si impegnò ad utilizzare le navi sequestrate in base ai diritti ad esso conferito dalle leggi internazionali come Paese neutrale, ed a corrispondere agli armatori italiani, a guerra finita, un congruo indennizzo per l'utilizzo delle loro navi da parte del Messico; gli armatori protestarono ugualmente per la confisca e presentarono una richiesta di protezione, che venne sospesa dal Dipartimento Legale del Ministero della Marina messicana.


Il numero dei marittimi italiani (in maggioranza) e tedeschi a bordo delle navi confiscate in Messico è variamente indicato da fonti differenti in 306 (i soli italiani), o 352, o 555 (italiani e tedeschi), oppure poco meno di 600 tra italiani e tedeschi (quasi 500 sulle navi sequestrate a Tampico, quasi 100 su quelle sequestrate a Veracruz), oppure “oltre novecento” tra italiani e tedeschi nella sola Tampico (ma questa è probabilmente un'esagerazione).

Sbarcati dalle navi, rimasero inizialmente in libertà a Tampico, considerati dalla legge messicana «migranti temporanei» e sottoposti alla vigilanza e responsabilità dei rispettivi consolati, che avevano trattato con le autorità locali affinché i marittimi rimanessero in libertà e che provvidero ad alloggiarli in alberghi del luogo; nell'ottobre 1941 le autorità messicane emisero un decreto con istruzioni per la permanenza in Messico degli equipaggi delle navi confiscate. Tra le altre cose si affermava che, essendo gli equipaggi composti da marittimi civili, dovessero essere soggetti alla legislazione messicana sul lavoro; con il cambio di nazionalità delle loro navi, il contratto di lavoro dei componenti degli equipaggi aveva legalmente termine, e la nazione ricevente (cioè il Messico) aveva l'obbligo di rimpatriarli presso il porto di registrazione di ciascuna nave e di pagare loro un indennizzo di importo equivalente a tre mesi di salario. La Segretaria del Governo (equivalente messicano del Ministero dell'Interno) emise i documenti necessari affinché gli ufficiali e gli equipaggi delle navi italiane e tedesche rimanessero in Messico in stato di libertà fino alla fine della guerra, o finché non fosse stato possibile reperire un mezzo sicuro per il loro rimpatrio.

I marittimi italiani rimasero a Tampico per quasi un anno, dopo di che il governo messicano decise di trasferirli via treno nella capitale ed in altre città dell'interno. Furono inviati a Guadalajara, dove continuarono a godere di libertà di movimento all'interno della città, e ad essere mantenuti dalle rispettive ambasciate. Il già citato generale Francisco Luis Urquizo così rievoca quei tempi nel suo libro "Tres de Diana": “I novecento marinai italiani e tedeschi sbarcarono [dopo la confisca delle navi], sciamando per le vie del porto senza alcuna occupazione; la maggior parte erano giovani e forti, si mescolavano con i nostri connazionali. E con abilità suscitarono grande simpatia nella popolazione. Erano in numero maggiore rispetto ai soldati che sorvegliavano la piazza: un pericolo nascente su cui bisognava vigilare. Dopo lunghe negoziazioni, ottenemmo che gli equipaggi delle navi italiane e tedesche confiscate si trasferissero a Guadalajara. Dar loro l'addio alla stazione ferroviaria rappresentò un momento commovente. Erano riusciti a fare amicizia con molta gente. Si sentivano lontani dalle loro navi, dai loro nuovi amici, forse dai loro amori. Vedevano la guerra avvicinarsi e presagivano, forse, una lunga prigionia”.

Secondo una fonte, il trasferimento da Tampico a Guadalajara venne deciso in risposta ai timori dell'ambasciata italiana, preoccupata dalla possibilità che i marittimi italiani, se fossero rimasti a Tampico (zona all'epoca paludosa), avrebbero potuto essere contagiati dalla malaria, che vi era endemica. A Guadalajara gli internati furono alloggiati in una scuola provvisoriamente adattata per riceverli, situata all'incrocio tra le vie Mexicaltzingo e Niños Héroes; dall'ambasciata italiana ricevevano giornalmente 5 pesos e 60 centavos (centesimi) al giorno – una somma notevole, per il Messico dell'epoca – per provvedere al proprio sostentamento. Anche qui non ebbero difficoltà a stringere rapporti cordiali con la popolazione locale.

Su proposta del presidente di una squadra locale, il Club Deportivo Atlas de Guadalajara, i marinai italiani formarono anche una squadra di calcio; i suoi componenti divennero soci del Club Atlas, dal cui presidente ricevevano due-tre pesos al mese, e conobbero Eduardo “Che” Valdatti, uno dei più famosi calciatori messicani dell'epoca.

Anche la permanenza degli internati a Guadalajara giunse però al termine: con il rafforzamento delle relazioni tra Messico e Stati Uniti ed il peggioramento di quelle tra Messico ed Asse, ed in vista delle celebrazioni del quarto centenario della fondazione di Guadalajara (che avrebbero visto affluire in città una massa di visitatori che avrebbe reso più difficile tenere sotto controllo i marittimi stranieri), si decise di trasferire gli equipaggi della Genoano e delle altre navi in un luogo dove potessero essere meglio sorvegliati. Come pretesto per il trasferimento fu addotto il cattivo comportamento di alcuni dei marittimi; un rapporto del Departamento de Investigación Política y Social (DIPS), un'agenzia di polizia/sicurezza e di intelligence, lamentava che i marittimi italiani e tedeschi fossero “pericolosi”, che passassero il loro tempo nelle osterie e nei biliardi e che nessuno desiderasse lavorare, dato che non mancavano loro i soldi (“…fu loro proposto un piano per il trasferimento in una zona di Jalisco, affinché lavorassero la terra (…) dissero che non potevano accettare la proposta perché le compagnie proprietarie delle navi continuavano a coprire i loro salari”). Altre preoccupazioni riguardavano la sicurezza politica e l'ordine sociale; gli ispettori Federali Francisco Martinez e Francisco Urrutia avevano riferito al Segretario dell'Interno Miguel Alemán Valdés che scoppiavano spesso risse fra i marinai, e che questi contribuivano alla “trasgressione della morale pubblica” frequentando le prostitute e stringendo relazioni con le cameriere delle osterie e le ragazze dei quartieri poveri. Martinez ed Urrutia segnalavano il fastidio delle autorità locali per la quasi totale mancanza di vigilanza sui marittimi stranieri; le misure di controllo consistevano esclusivamente in un controllo giornaliero, del tutto insufficiente secondo Julio Serrano Castro, capo del Servizio d'Ispezione della Segreteria del Lavoro, dato che ciò non era servito ad evitare fughe. Serrano Castro aggiungeva che la permissività dei funzionari del servizio immigrazione aveva permesso il nascere di una serie di attività illecite, più precisamente di spionaggio e di propaganda; era noto, diceva il funzionario messicano in un rapporto, che gli ufficiali riferivano quotidianamente ai loro consolati le informazioni che raccoglievano. Questi ultimi erano tenuti in grande considerazione presso tutti i cittadini italiani, tedeschi e giapponesi residenti in città. In generale si rilevò un crescendo, nelle segnalazioni degli ispettori e dei servizi di informazione, nei toni allarmistici; il fatto, ad esempio, che i marittimi tedeschi leggessero un giornale tedesco stampato in Messico fu ritenuto prova sufficiente del loro coinvolgimento in “attività di propaganda”. Le segnalazioni sulla “pericolosità” dei marittimi si alternavano alle lamentele sul loro disinteresse nei confronti del lavoro. Alla fine si concluse che la permanenza dei marittimi dell'Asse a Guadalajara od in una qualsiasi altra grande città del Messico rappresentasse un problema per la pubblica sicurezza, e che fosse desiderabile evitare il contatto tra i marittimi e la popolazione messicana.


Nel febbraio del 1942 venne pertanto presa la decisione di internare i marittimi italiani e tedeschi nell'ex fortezza San Carlos di Perote, nello stato di Veracruz, dov'era stata allestita una “stazione migratoria” – ossia una sorta di centro accoglienza per immigrati, anche se ovviamente gli equipaggi delle navi confiscate non erano propriamente “immigrati” – in quanto la loro “situazione migratoria” risultava incerta (erano stati considerati dapprima “migranti temporanei” e poi “immigrati condizionali”). In sostanza, quello di Perote era un campo d'internamento (anche se la legge messicana faceva una netta distinzione tra i campi d'internamento, considerati luoghi di reclusione forzata, e le “stazioni migratorie”, considerati luoghi di “residenza temporanea” per stranieri che dovevano essere espulsi perché sprovvisti dei requisiti legali per la permanenza in Messico); i marittimi dell'Asse passarono sotto la responsabilità del DIPS. Il trasferimento da Guadalajara alla fortezza San Carlos avvenne nella notte dell'8 febbraio 1942, sotto la scorta di forze Federali e di agenti della DIPS; giunsero così a Perote 520 internati, di cui 277 erano italiani e 243 erano tedeschi, tutti appartenenti agli equipaggi delle navi. L'età media dei marittimi italiani qui internati era di 35 anni; il più giovane ne aveva 16, il più anziano 60.

Il primo articolo del regolamento interno di Perote affermava che “si destina il forte di San Carlos nella città di Perote, Veracruz, come luogo di residenza degli stranieri che per causa di forza maggiore non possono essere espulsi in base all'articolo 185 della Legge Generale di Popolazione in vigore”. La fortezza era considerata ufficialmente come un luogo di detenzione temporanea per i marittimi, in attesa di poterli rimpatriare. Le negoziazioni per il rimpatrio avevano dato scarsi risultati, ed era ormai previsto che “temporanea” avrebbe significato “fino alla fine della guerra”. Per ospitare gli internati (era prevista una “capienza” di 200 famiglie), la fortezza di San Carlos aveva subito lavori di miglioramento dei pavimenti, degli impianti elettrici e dei servizi igienici, anche se queste modifiche si rivelarono poi comunque insufficienti. Le autorità messicane fornivano agli internati il necessario per vivere; ciascuno riceveva una paga giornaliera di 1,50 pesos, ed un rapporto della Croce Rossa del 16 agosto 1942, in seguito ad un'ispezione della fortezza, riferiva che “il cibo è eccellente. Gli acquisti vengono fatti nel mercato locale da un internato ed [il cibo] viene cucinato dagli internati stessi. I pasti sono serviti in grandi mense”.

Il governatore di Jalisco, Silvano Barba Gonzalez, chiese agli internati di trovare un lavoro in quanto il governo messicano faticava a pagare le spese per il loro mantenimento, e successivamente le autorità messicane decisero che gli internati avrebbero lavorato durante il periodo di internamento nella fortezza: le attività inizialmente proposte erano la carpenteria, la produzione di salsicce, di pasta e di conserve di frutta e di legumi, e la fabbricazione di cordami. Nell'individuare tali attività si era tenuto conto delle capacità dei marittimi internati; avrebbero provveduto alla produzione di cibo i membri del personale di cucina delle navi, mentre marinai e macchinisti avrebbero potuto dedicarsi ai cordami ed alla carpenteria. Qualcuno dei marinai, d'altronde, aveva già messo in piedi per suo conto qualche piccola attività del genere. Il progetto proposto dalle autorità messicane, tuttavia, fu respinto dagli internati all'unanimità: in parte perché non era stato specificato quanto sarebbero stati pagati per tale lavoro, anzi, non era nemmeno stato precisato se sarebbero stati pagati; in parte perché, come riferirono i rappresentanti dei marinai, i marittimi non erano disposti a lavorare fino a quando non fossero stati rimessi in libertà. Essendo internati civili e non prigionieri di guerra, potevano rifiutarsi di lavorare: la Convenzione di Ginevra, infatti, prevedeva che soltanto i prigionieri di guerra potessero essere obbligati a lavorare, mentre era responsabilità dello Stato ospite il mantenimento degli internati civili. Naufragò così il progetto per l'impiego dei marittimi internati in attività produttive.

I marittimi si diedero autonomamente una loro organizzazione interna, al di là delle direttive governative; potevano lasciare Perote per motivi personali (matrimoni) o per ricoveri ospedalieri (a seconda della gravità, erano inviati nell'ospedale di Jalapas, capitale dello stato di Veracruz, oppure direttamente a Città del Messico), previo rilascio di un permesso speciale. I marittimi che sposavano donne messicane o che avevano figli da loro potevano fare richiesta per essere rimessi in libertà e per avviare le pratiche per la naturalizzazione: molti di costoro sarebbero rimasti in Messico anche dopo la fine della guerra, stabilendovisi definitivamente.


Con la dichiarazione di guerra del Messico ai Paesi dell'Asse, il 22 maggio 1942 (decisa proprio, come si vedrà in seguito, in conseguenza del siluramento di alcune petroliere ex italiane, ed ora messicane, da parte degli U-Boote tedeschi), i marittimi italiani e tedeschi divennero, da cittadini di Paesi belligeranti in un Paese neutrale, cittadini di Paesi nemici; nella sostanza, però, la loro situazione non cambiò di molto.

A partire dal giugno 1942, ai marittimi delle navi confiscate andò ad aggiungersi, nel forte di Perote, una nuova categoria di internati: cittadini di Paesi dell'Asse – in maggioranza tedeschi – arrestati per reati di spionaggio, sabotaggio, disobbedienza agli ordini di internamento ed altri reati “politici”; rimasero comunque una minoranza (su 605 internati che in tutto furono “ospitati” nella fortezza, solo 85 appartenevano a questa categoria).

La fortezza di San Carlos era presidiata da una guarnigione estremamente ridotta: il perimetro della fortezza era vigilato da un numero di soldati dell'Esercito che variava tra 15 e 25, mentre le entrate e le uscite erano sorvegliate da quattro o più agenti della DIPS. Il giornalista messicano Jorge Sandoval Piñó, che visitò Perote alla fine del 1942, rimase stupito da un corpo di guardia tanto ridotto per una popolazione di internati tanto grande; scrisse in un suo articolo: “…ciò che più sorprenderà è che 586 internati sono sorvegliati da niente più che il colonnello Tello, due aiutanti, tre ispettori del Governo ed un picchetto di truppe Federali. C'è qualcosa di ancor più sorprendente: il colonnello Tello non usa la pistola”. In generale, la carenza della vigilanza rimase un problema costante della “stazione migratoria” di Perote, mostrando il lassismo delle autorità verso la presunta “pericolosità” degli internati. Un autoproclamato Comitato Antifascista di Perote denunciò alle autorità che “…nella fortezza di San Carlos (…) si sta commettendo un gran numero di irregolarità, le anomalie che vi si riscontrano, sono queste, si gioca a carte su vasta scala, ci si ubriaca, di notte i tedeschi e gli italiani escono con il permesso del comandante della fortezza e tornano prima dell'alba in stato di ubriachezza”. Gli internati riuscivano senza molti problemi ad entrare ed uscire a dispetto di quella che sarebbe dovuta essere una ferrea vigilanza; il generalizzato lassismo delle autorità responsabili della “stazione migratoria” di Perote andò poi gradualmente calando a fronte delle proteste della stampa e dei “comitati antifascisti” locali. Il contrabbando di alcol nella fortezza a quanto pare costituì un problema non da poco per le autorità locali, che lo combatterono con divieti e restrizioni sia verso gli internati che verso la popolazione del luogo, nonché modificando i turni di guardia per fare in modo che ci fossero sempre degli agenti del DIPS (ritenuti più affidabili dei soldati) tra coloro che vigilavano sugli internati, ad ogni ora.

Il già citato giornalista Jorge Sandoval Piñó, nella sua visita, osservò la vita quotidiana degli internati a San Carlos: si pranzava a mezzogiorno; dopo pranzo, si giocava a calcio; alle 16.30 o 17.30, a seconda del giorno, si faceva l'appello. Gli italiani avevano mantenuto la numerazione degli equipaggi delle navi, mentre i tedeschi avevano inventato una nuova numerazione per i loro uomini. La cena era alle 18, dopo di che gli internati commentavano le notizie riportate su giornali; era questo “il secondo evento più importante” della giornata. Alle 21 veniva suonato il silenzio e si andava a dormire.

Le autorità avevano autorizzato gli internati ad “autogestire” la loro vita e l'organizzazione interna della stazione, scrisse Piñó, perché esse non disponevano delle risorse e dell'organizzazione per provvedere alle esigenze di base degli internati, quindi preferivano che fossero loro a provvedere da sé con il denaro che veniva loro fornito per il sostentamento. Gli internati versavano il loro sussidio giornaliero in un fondo comune, che veniva utilizzato per acquistare le provviste, così dividendo le spese per il cibo; le provviste erano fornite da don Darío, un ricco commerciante di Perote. Il sistema funzionava bene, i pasti erano abbondanti; Sandoval Piñó scrissò in proposito che “i tedeschi mangiavano patate a tonnellate, e gli italiani non potevano vivere senza gli spaghetti”.

Gli internati bevevano caffè e fumavano, “anche troppo”; a mezzogiorno il pranzo di ciascuno consisteva in “quattro o cinque costolette, una montagna di patate al vapore ed un'altra di legumi cotti”. Per quanto riguardava la sistemazione degli internati, la parte anteriore dell'edificio principale del complesso fortificato era la più abbandonata, mancando persino di tetti e di pavimenti in alcuni punti; gli alloggi degli internati occupavano gli altri tre lati dell'edificio, mentre l'ufficio e l'appartamento del colonnello Tello erano sistemati nella parte alta. L'ala sinistra era occupata dagli internati italiani e giapponesi, quella destra dai tedeschi. Sandoval Piñó osservò anche che “tra i marinai italiani c'erano solidarietà e coesione – normalmente vivevano in gruppi di 2 o 3 – ma non tra i tedeschi, una parte di essi erano stati isolati dal resto, erano gli autoproclamati antifascisti”.


Nel marzo 1943 i marittimi italiani vennero trasferiti dalla fortezza di Perote all'ex azienda agricola (hacienda) San Antonio ad Irapuato, nello stato di Guanajuato, lasciando a Perote i soli tedeschi e così dimezzando la popolazione complessiva della fortezza. Sulla vita degli internati all'ex hacienda rimangono pochi documenti; uno di essi, un rapporto della DIPS, menzionava che i marittimi si recavano spesso nel villaggio a giocare a carte, scommettere, ed ubriacarsi.

In seguito, le autorità messicane assegnarono ai marittimi italiani dei posti di lavoro affinché potessero guadagnare il denaro necessario a sostentarsi finché non fosse stato possibile il loro rimpatrio; contemporaneamente, essendo in tal modo i marittimi divenuti economicamente autosufficienti, le medesime autorità interruppero l'erogazione dei sussidi loro concessi dalla data di confisca delle navi. L'indennizzo per i marittimi fu calcolato dalla Segreteria del Lavoro (equivalente messicano del Ministero del Lavoro) e pagato dalla Tesoreria e Credito Pubblico alla fine della guerra, scontandone l'ammontare già anticipato prima del pagamento e con l'aggiunta degli interessi.

Anselmo Macera, ultimo comandante della Genoano, non fece mai più ritorno in Italia: morì in Messico durante l'internamento, l'8 novembre 1941.


Dopo il sequestro il possesso della Genoano, al pari di quello delle altre navi, passò inizialmente alla Segreteria della Marina messicana, che inviò a bordo dei bastimenti sequestrati, al posto degli equipaggi italiani frattanto sbarcati, i propri uomini: per ordine del contrammiraglio Hurtado de Mendoza, che aveva preso in consegna le navi per ordine superiore, queste ultime vennero subito “presidiate” da uomini della Fanteria di Marina e da ufficiali del "Cuerpo General" (cioè ufficiali di vascello) e di macchina; inoltre, il Dipartimento delle Comunicazioni Navali (Departamento de Comunicaciones Navales) assegnò dei propri radiotelegrafisti alle stazioni radio di ciascuna nave. Tali misure “erano state rese necessarie dallo stato in cui alcune delle navi erano state trovate”. In seguito il personale della Marina Militare sarebbe stato sostituito da marittimi della Marina Mercantile, salvo che per gli ufficiali, che rimasero militari.

Il Segretario agli Affari Esteri (Ministro degli Esteri) del Messico, Ezequiel Padilla Peñaloza, formò una commissione mista integrata da funzionari della Tesoreria, delle Segreterie della Marina e delle Relazioni Estere e della società Petróleos Mexicanos, con il compito di redigere l'“inventario” delle navi confiscate, nonché di ricevere i reclami degli armatori che chiedevano un indennizzo per la confisca della proprietà. Sul pagamento degli indennizzi, che sarebbe avvenuto a fine guerra, fu stipulato un accordo l'11 giugno 1941, senza però specificarne l'ammontare. Il 18 luglio, con un altro accordo con le Segreterie delle Finanze e del Governo, fu deciso che le spese per il mantenimento in Messico degli equipaggi fino a fine guerra sarebbero state dedotte dall'indennizzo delle navi confiscate.

L'8 dicembre 1941, all'indomani dell'entrata in guerra degli Stati Uniti, la Genoano venne formalmente confiscata dal Governo messicano e successivamente trasferita alla Petróleos Mexicanos S.A. (Pemex), con sede a Tampico, città che divenne anche il suo porto di registrazione. Fu ribattezzata Faja de Oro, dal nome di una zona del Messico particolarmente ricca di giacimenti petroliferi.

Lo stesso accadde alle altre petroliere dell'Asse catturate dal Messico; la Fede divenne Poza Rica, l'Americano divenne Tuxpam, la Vigor fu ribattezzata Amatlán, la Tuscania prese il nome di Minatitlán, la Marina Odero divenne Tabasco, la Lucifero prese il nome di Potrero del Llano, la Stelvio divenne Ébano, l'Atlas fu ribattezzata Las Choapas e la Giorgio Fassio ricevette il nome di Pánuco. Le due navi tedesche, Hammel ed Orinoco, divennero Oaxaca e Puebla. Il cambio dei nomi risale al 2 giugno 1941, come attesta un documento a firma del generale di brigata J. Salvador S. Sánchez, capo di Stato Maggiore dell'esercito messicano, per quanto alcune fonti affermino invece che i nomi sarebbero stati cambiati soltanto l'8 dicembre 1941, in seguito all'attacco giapponese a Pearl Harbour ed alla conseguente rottura delle relazioni diplomatiche tra il Messico ed i Paesi dell'Asse.

Prese in consegna dall'ispettore generale della Pemex, Juan de Dios Bonilla, il loro comando fu affidato ad ufficiali della Marina messicana, ed i loro nuovi equipaggi – interamente messicani – furono formati in parte da personale della fanteria di Marina nonché da ufficiali di coperta, di macchina e radiotelegrafisti appartenenti anch'essi alla Armada de México. In particolare, per ordine della Segreteria della Marina i ruoli di comandante, primo e secondo ufficiale di coperta, direttore di macchina, primo e secondo ufficiale di macchina e radiotelegrafista furono ricoperti da ufficiali dell'Armada. Il comando della Faja de Oro fu assunto dal tenente di vascello Pablo Escobio Ruiz, in seguito sostituito dal parigrado Ramón Sánchez Mena.



La Faja de Oro in una fotografia datata 2 giugno 1941 (da www.mexicana.cultura.gob.mx)

Una volta entrate in servizio sotto bandiera messicana (secondo una fonte il cambio di bandiera sarebbe avvenuto il 9 aprile 1941), la Faja de Oro e le altre cisterne vennero impiegate nel trasporto verso gli Stati Uniti del petrolio che, estratto dai pozzi della regione di Tampico, andava ad alimentare lo sforzo bellico Alleato: l'“embargo” contro il petrolio messicano era giunto al termine, c'erano adesso in gioco questioni più importanti degli interessi delle compagnie petrolifere statunitensi.

Nell'aprile 1942 la Faja de Oro urtò contro un oggetto sommerso mentre era in navigazione nel Golfo del Messico: pur essendo scossa violentemente dall'impatto, non riportò alcun danno. Il terzo ufficiale di macchina Carrascoso, che si trovava in coperta al momento dell'impatto, dichiarò sotto giuramento dinanzi alle autorità di Tampico, il 24 aprile, di aver visto un periscopio seminascosto dalla schiuma subito dopo l'impatto, mentre altri membri dell'equipaggio concordarono sul fatto che la nave aveva urtato un oggetto sommerso, ma non furono in grado di precisare la sua natura. Sapendo però, sulla base di quanto comunicato da altre navi, che un sommergibile dell'Asse si trovava in zona, conclusero che era proprio quello l'“oggetto” che la loro nave aveva speronato, e probabilmente affondato. Avevano torto: nessun sommergibile italiano o tedesco andò perduto nella zona in quel periodo. Probabilmente la nave urtò un rottame sommerso, e l'“avvistamento” del periscopio da parte di Carrascoso non fu che un abbaglio, frutto della paranoia da U-Boote che attanagliava gli equipaggi delle navi che navigavano lungo le coste del Nordamerica in quella sanguinosa primavera del 1942, in cui ogni giorno i sommergibili dell'Asse mietevano nuove vittime lungo le coste americane.


Sopra, notizia sul “Manchester Evening Herald” del 24 aprile 1942 (da www.manchesterhistory.org); sotto, la Faja de Oro con i contrassegni di neutralità dipinti sullo scafo (da www.centrolombardo.edu.mx)


Paranoia ben motivata, del resto. A pochi mesi dalla sua confisca, l'ex Genoano doveva ritrovarsi suo malgrado protagonista della storia del Messico, ed a “regalarle” questo posto nella Storia sarebbe stato proprio un sommergibile tedesco: l'U 106, del tenente di vascello Hermann Rasch.

Il 15 aprile 1942 l'U 106 salpò dalla base di Lorient, sulla costa atlantica della Francia, per la sua terza missione di guerra al comando di Rasch, la sesta dall'inizio della guerra, da svolgere nell'Atlantico occidentale. Il 2 maggio, durante la navigazione verso il Golfo del Messico, il sommergibile venne attaccato dal cacciatorpediniere statunitense Broome, ma non subì danni; tre giorni dopo colse il primo successo della missione, affondando il piroscafo passeggeri canadese Lady Drake una novantina di miglia a nord di Bermuda. Nei giorni successivi, tuttavia, l'U 106 incrociò inutilmente nelle acque al largo di Capo Hatteras (Florida) in cerca di bersagli che non c'erano, rilevando al contempo intensa vigilanza aerea fino a 50 miglia dalla costa: pochi mesi prima quelle acque erano state ricche di prede poco o punto difese che avevano regalato numerosi facili successi agli squali di Dönitz, ma adesso gli statunitensi erano corsi ai ripari, raggruppando il traffico in un sistema di convogli scortati tra Norfolk e Key West. Il traffico isolato che aveva consentito quello che i comandanti degli U-Boote avevano battezzato “secondo periodo felice” era ormai scomparso.

Diversa era la situazione più a sud, nel Golfo del Messico: qui non era ancora stato adottato il sistema dei convogli, ed i sommergibili tedeschi mietevano ancora numerose vittime: ciò spinse Dönitz a decidere il trasferimento in quella zona dei sommergibili che da giorni setacciavano le acque della Florida senza avvistare niente, cioè l'U 106, l'U 107 e l'U 103.

Da qualche tempo le regole d'ingaggio dei sommergibili tedeschi erano diventate particolarmente “elastiche”: era stato ordinato di attaccare senza preavviso tutte le navi mercantili armate appartenenti a Paesi sudamericani, con l'eccezione di Argentina e Cile, nonostante il loro status neutrale; e di attaccare tutti i mercantili che navigassero nelle acque territoriali degli Stati Uniti indipendentemente dalla loro nazionalità, perché era da presumersi che viaggiassero al servizio degli Alleati. Una scelta che avrebbe avuto conseguenze disastrose per la Germania, spingendo un crescente numero di Paesi latinoamericani ad unirsi alla coalizione Alleata in seguito all'affondamento di loro navi ad opera dei sommergibili di Dönitz.


Un’altra immagine della Faja de Oro (Universidad Maritima y Portuaria de Mexico)

Dopo aver attraversato lo stretto della Florida scendendo da Jacksonville verso Key West ed essere entrato nel Golfo del Messico, la rotta dell'U 106 s'incrociò con quella della Faja de Oro. Alle 14.50 del 20 maggio, poche ore dopo aver raggiunto la nuova zona d'agguato a nord del Canale dello Yucatan, il sommergibile di Rasch avvistò una colonna di fumo che usciva dal fumaiolo di una nave cisterna: era la Faja de Oro, in navigazione in zavorra da Marcus Hook (Pennsylvania) a Tampico. Il sommergibile iniziò a pedinarla, con l'intenzione di attaccarla nottetempo col favore del buio. Con una certa sovrastima, il comandante tedesco giudicò di avere a che fare con una nave cisterna di 9000 tsl, lunga 140 metri e del pescaggio di 7-8; ritenne correttamente che fosse vuota od in zavorra.

Al comando del capitano di corvetta Ramón Sánchez Mena, la Faja de Oro aveva scaricato 56.000 barili di greggio a Filadelfia, New York ed altri porti della costa atlantica degli Stati Uniti (Marcus Hook era stato l'ultimo); durante il viaggio di andata da Tampico a Baltimora aveva già eluso un primo attacco subacqueo, aveva assistito all'incendio di un'altra petroliera ad una decina di miglia da Cape Lookout ed alle 8.30 del 9 aprile aveva tratto in salvo da alcune lance i 28 naufraghi di una nave affondata dagli U-Boote, il piroscafo statunitense Malchace, silurato alle 3.45 di quella notte dall'U 160 in posizione 34°28' N e 75°56' O a circa 25 miglia da Capo Lookout e 50 miglia da Capo Hatteras con un'unica vittima tra l'equipaggio. Doppiato Capo Hatteras alle 14 dello stesso 9 aprile, la Faja de Oro aveva sbarcato i superstiti del Malchace a Baltimora (per altra fonte li aveva trasbordati su un'unità della vigilanza costiera al largo di Capo Henry) e poi era proseguita in convoglio fino alla baia di Chesapeake; da lì in poi aveva navigato da sola e senza scorta, eludendo un altro attacco di sommergibile, questa volta ritenuto essere italiano dall'equipaggio.


Il recupero dei naufraghi della Malchace da parte della Faja de Oro (foto Amílcar Carrascosa, via www.centrolombardo.edu.mx)

Dopo aver finito di scaricare il carico a Marcus Hook, la Faja de Oro era ripartita il 13 maggio per tornare in Messico, navigando nella baia del Delaware fino a Capo Henry, per tenersi lontana dal pericolo degli U-Boote.

L'ufficiale di macchina Amílcar Carrascosa avrebbe in seguito raccontato ad un giornalista: “Ed è qui che le cose hanno iniziato a mettersi male. Era stato ricevuto l'ordine di partire "in convoglio" e tutti ci chiedevamo perché dovevamo navigare scortati dalla Marina militare statunitense, se il Messico non era in guerra. Beh, hanno dato l'ordine di partire; il pilota americano è salito a bordo e poi abbiamo scoperto come stavano le cose. Avevano affondato il Potrero del Llano [si veda più oltre] e il nostro governo aveva chiesto spiegazioni. In qualsiasi momento avremmo potuto entrare in guerra”. Era giunto l'ordine di navigare a luci spente e dipingere di nero ogni apertura attraverso la quale la luce avrebbe potuto filtrare all'esterno, alla stregua di una nave appartenente ad una nazione belligerante (quelle neutrali dovevano viaggiare completamente illuminate, come aveva fatto la Faja de Oro fino a quel momento): il che avrebbe reso impossibile per gli U-Boote vedere le grandi bandiere messicane dipinte sui fianchi per agevolarne il riconoscimento come nave neutrale. La Faja de Oro era dunque partita insieme ad un convoglio scortato da cacciatorpediniere statunitensi, ma nel corso della prima notte era rimasta progressivamente indietro rispetto alle altre navi, ed entro l'alba si era ritrovata sola: il comandante Sánchez Mena aveva allora deciso di proseguire per conto proprio, seguendo una rotta poco frequentata.

Tra il 20 ed il 21 maggio la nave venne avvistata quasi contemporaneamente da ben due sommergibili tedeschi: il già citato U 106 e l'U 753 del capitano di corvetta Alfred Manhardt von Mannstein, che il giorno precedente aveva colto il primo successo della sua carriera affondando la nave Liberty statunitense George Calvert.

Fu l'U 106 ad attaccare per primo, mentre l'U 753, avvistato il “collega”, abbandonò l'inseguimento che aveva già iniziato. Secondo alcune fonti, l'U 106 non riconobbe la nazionalità della Faja de Oro a causa dell'oscurità, ma il comandante Sánchez Mena avrebbe in seguito dichiarato alla stampa che la nave recava quattro grosse bandiere messicane dipinte sulle murate e ben illuminate, che a poppa aveva un'altra bandiera messicana di un metro e mezzo per 2,7 e che la nave era regolarmente illuminata come tutti i bastimenti neutrali.

Alle 4.21 del 21 maggio (ora tedesca), dopo un inseguimento protrattosi per tutta la notte, il sommergibile di Rasch lanciò dai tubi 3 e 4 due siluri tipo G7e contro la Faja de Oro: entrambi con rotta 165°, il primo regolato per colpire a tre metri di profondità un bersaglio che procedeva a 12 nodi, il secondo per colpirne a quattro metri di profondità uno che navigava a 12,5 nodi, nel dubbio sull'esatta stima della velocità della nave. Dopo una breve corsa, la seconda da delle armi colpì a prua la pirocisterna messicana in posizione 23°30' N e 84°28' O (o 84°24' O, o 84°25' O; per altre fonti 23°18' N e 84°14' O, o 23°29'59.99" N e 84°23'59.99" O, o 23.499998' N e 84.3999984' O), tra Key West e Cuba; nel quadrante DM 4157 secondo la suddivisione dell'Atlantico da parte dei comandi tedeschi. Il siluro colpì a dritta, distruggendo parte della prua e del castello di prua, dove si trovavano gli alloggi dell'equipaggio; la detonazione del siluro fu subito seguita dall'esplosione di una delle cisterne, e subito si levò un'enorme fiammata (alta oltre cento metri, secondo quanto scritto da Rasch nel suo rapporto) e divampò un furioso incendio, alimentato dal vento, che spingeva le fiamme verso la plancia. Mentre la nave si appruava e sbandava a sinistra, l'equipaggio si precipitò alle lance, ma gli ufficiali riuscirono a ristabilire un minimo d'ordine.

Il secondo siluro, secondo l'apprezzamento di Rasch, colpì la Faja de Oro più a poppa ma non esplose perché l'acciarino era difettoso.


Il rapporto di attacco alla Faja de Oro dell'U 106 (Historisches Marinearchiv)


Sulla nave il secondo ufficiale di macchina Raymundo Casas, smontato dalla guardia, aveva chiacchierato per un po' con il radiotelegrafista Manuel Chaboya Saavedra e poi aveva tirato fuori la sua amaca che aveva appeso a poppa, per riposarsi al fresco (era sera). Alle 20.15 (del 20 maggio: ora messicana, con forte differenza rispetto a quella dell'U-Boot per via dei diversi fusi orari) fu svegliato di soprassalto dall'esplosione del siluro, cadendo dall'amaca; messe subito le scarpe, corse in cabina per recuperare portafogli, camicia, giubbotto salvagente, berretto ed impermeabile.

Anche Amílcar Carrascosa, il cui turno di guardia iniziava a mezzanotte, si era disteso nella sua cuccetta da meno di una ventina di minuti, dietro suggerimento del direttore di macchina, quando si era verificato il siluramento. Svegliato da una duplice esplosione, cadde a testa in giù sul pagliolato, mentre tutt'intorno ogni oggetto che non era fissato cadeva anch'esso a terra. Sentì odore di bruciato, si sporse dalla porta e vide la prua in fiamme; vestitosi rapidamente (solo più tardi si rese conto di aver indossato i pantaloni al contrario) ed afferrata la valigetta che teneva pronta proprio per un'evenienza del genere, si precipitò in coperta, tra il crepitio delle fiamme ed il fischio lacerante della sirena, azionata dal sartiame dell'albero prodiero, crollato in coperta dopo lo scoppio del siluro.

Il radiotelegrafista Chaboya trasmise una richiesta di soccorso, mentre il direttore di macchina José González Granes scendeva sottocoperta per fermare le macchine; assistito dal macchinista Reynaldo Rojas Garciadiego, ebbe cura di raffreddare le caldaie per evitare che esplodessero a contatto con l'acqua del mare.

Alle 4.33 l'U 106 lanciò un terzo siluro, con rotta 236°, dal tubo 2 da tre miglia di distanza per finire la Faja de Oro, ma l'arma mancò il bersaglio per errato apprezzamento della sua rotta da parte di Rasch; venti minuti più tardi ne lanciò allora un quarto (regolato per correre a quattro metri, come anche quello precedente) dal tubo 5, con rotta 90°, che raggiunse la petroliera a centro nave, sollevando una colonna di acqua e fumo grigio-biancastra ed incendiando la nave.

Sotto la direzione del primo ufficiale Gustavo Martínez Trejo, del terzo ufficiale Carlos Calcáneo Campos e del pilota Lauro Villagrán, l'equipaggio prendeva rapidamente posto nelle imbarcazioni di salvataggio; il comandante Sánchez Mena fu l'ultimo ad abbandonare la nave insieme al radiotelegrafista Chaboya, che era rimasto al suo posto continuando a trasmettere il segnale di soccorso fino all'ultimo.

Amílcar Carrascosa non poté raggiungere la scialuppa assegnata dal piano di abbandono della nave, perché situata a prua; s'imbarcò su un'altra a poppa a dritta (lo sbandamento era tale da ostacolare la messa in mare delle imbarcazioni sul lato opposto) insieme ad altri membri dell'equipaggio, tra cui diversi ustionati ed un marittimo che aveva una larga ferita sopra un sopracciglio. Carrascosa ne assunse il comando, ma la scialuppa si bloccò a metà discesa. Il secondo cameriere Andrés Limón Peña tentò intanto di calare una zattera lì vicino, ma rimase incastrato con la mano in un paranco: con la mano maciullata ed il terrore di essere trascinato a fondo con la nave, iniziò a gridare di tagliargli la mano, o di ucciderlo subito. L'ingrassatore José Garrido suggerì di mozzargli la mano con un'ascia per liberarlo (non c'era tempo per metodi meno sbrigativi: tutti ricordavano i racconti dei naufraghi del Malchace raccolti qualche settimana prima, secondo i quali dopo il primo siluramento sarebbero passati forse venti minuti prima del colpo di grazia che avrebbe definitivamente mandato a fondo la nave colpita insieme a coloro che non fossero riusciti ad abbandonarla), ma nessuno dei presenti aveva asce o coltelli; Carrascosa ordinò ad alcuni marinai che si trovavano ancora a bordo di andare a prendere dei coltelli, dopo di che tentò di liberare la scialuppa lasciando scorrere il tirante di prua e tagliando quello di poppa. Da ultimo la lancia scese in acqua, ma sbandando così fortemente da far cadere in acqua alcuni degli occupanti; altri uomini, rimasti a bordo della nave, si calarono nella lancia lungo i tiranti, dopo di che tutti iniziarono a remare per allontanarsi dalla nave agonizzate. Un marinaio, cereo dalla paura, si rifiutò di remare, e Carrascosa dovette minacciarlo per convincerlo; lentamente la scialuppa si allontanò dalla Faja de Oro, mentre il comandante Sánchez Mena e gli altri ufficiali abbandonavano la nave su un'altra imbarcazione sul lato opposto. Secondo Carrascosa, mentre la sua scialuppa si allontanava il sommergibile tedesco aprì il fuoco con il cannone contro la petroliera in affondamento, e diversi colpi caddero in mare vicino alla lancia, che rimase comunque indenne (siti autorevoli come Uboat.net ed U-Boot Archiv non fanno tuttavia menzione dell'uso del cannone da parte dell'U 106, del quale non c'è traccia neanche nel rapporto riassuntivo dell'attacco dell'U 106).

Il macchinista Raymundo Casas Rocha avrebbe poi ricordato: “nel momento in cui (…) cominciammo ad allontanarci dalla nave, il sommergibile sparò un colpo di cannone circa cinque metri davanti a noi, colpì la cisterna numero 7, sentii un suono rauco e poi diverse detonazioni mentre la cisterna esplodeva; istantaneamente mi gettai sul fondo della lancia, aspettando che pezzi di lamiera e rottami ci cadessero addosso”.

Avendo avvertito delle grida di aiuto provenienti dalla direzione della nave in fiamme, Carrascosa tornò indietro con la sua scialuppa, ignorando le proteste isteriche del solito marinaio terrorizzato che gridava adesso che così facendo sarebbero morti tutti; giunto sul posto, recuperò dal mare l'ingrassatore Victoriano Mendoza Rangel, gravemente ustionato ma ancora vivo. Andrés Limón Peña, che nell'impossibilità di liberarlo era stato gettato in mare insieme alla zattera su ordine del direttore di macchina González Granes, era invece già affondato. La scialuppa tornò ad allontanarsi, mentre l'incendio divampava con crescente violenza e la nave era scossa da nuove esplosioni, che proiettavano rottami in aria; infine la sirena tacque.

Alle 5.45 (per altra fonte, poco dopo le 4.30), lentamente, la Faja de Oro si capovolse ed affondò a ponente di Capo Sant'Antonio (estremità occidentale di Cuba), 130 miglia ad ovest/nordovest dell'Avana ed al largo di Key West. In superficie rimase solo una chiazza di carburante in fiamme; le scialuppe iniziarono la navigazione verso Cuba.

Carrascosa aveva perso nell'affondamento anche il suo gatto, Perico, rimasto sulla nave: ma all'arrivo in ospedale a Miami avrebbe scoperto di aver vinto alla lotteria, della quale era riuscito a conservare il biglietto.



Due fotografie scattate da Amílcar Carrascosa a bordo della lancia (da www.centrolombardo.edu.mx)

Dei 37 uomini che componevano l'equipaggio della Faja de Oro (cinque ufficiali della Marina Militare messicana e 32 marittimi della Marina Mercantile, dipendenti della Pemex), le vittime furono in tutto dieci, tutte della Marina Mercantile: otto uomini – un carpentiere, un timoniere, un cameriere, uno sguattero, due fuochisti e due marinai – furono uccisi dagli scoppi dei siluri; il cameriere Andrés Limón Peña non fu più ritrovato dopo essere stato gettato in mare; l'ingrassatore Victoriano Mendoza Rangel morì per le gravi ustioni riportate su tutto il corpo alcune ore dopo il salvataggio, a bordo del cutter Nemesis della Guardia Costiera statunitense, che aveva recuperato i naufraghi, sei dei quali – oltre a Mendoza – erano feriti.

Il Nemesis era salpato da Key West alle 00.55 del 21 maggio (ora statunitense) con a bordo il tenente medico MacDonald della United States Naval Reserve e due sottufficiali farmacisti per andare in soccorso dei naufraghi della Faja de Oro; la nave in affondamento e le due scialuppe con i naufraghi vennero sorvolate verso l'alba da due aerei statunitensi, che indirizzarono il Nemesis sul posto ed avvertirono i superstiti che una nave statunitense stava per arrivare in loro soccorso.

Il Nemesis raggiunse le due scialuppe alle 17.34, in posizione 23°23' N e 84°18' O, e ne recuperò i 28 occupanti; mentre il tenente MacDonald ed i suoi assistenti prestavano soccorso ai feriti, il cutter setacciò attentamente la zona ed ispezionò ogni rottame galleggiante, senza trovare traccia dei dispersi, dopo di che lasciò l'area alle 18.20, diretto a Key West.

Mendoza fu dichiarato morto alle 22, per ustioni di primo grado, concussione ed arti spezzati; il suo corpo fu sbarcato a Key West insieme ai superstiti alle 6.14 del 22 maggio (per altra fonte, il 23 maggio) e da qui fu trasferito a Miami, sempre insieme ai naufraghi, per l'assistenza dei quali il locale consolato messicano aveva ricevuto dalla Pemex 15.000 dollari. Il 28 maggio i sopravvissuti della Faja de Oro arrivarono a Houston, mentre la salma di Mendoza fu trasferita a New Orleans e, dopo aver attraversato il confine, a Laredo; il 30 maggio il feretro arrivò a Tampico, accolto da una folla di 25.000 persone: tra di esse funzionari della Pemex, il governatore ad interim dello stato del Tamaulipas, rappresentanti della Marina e delle organizzazioni sindacali; l'indomani fu sepolto tra orazioni funebri, striscioni e l'intonazione dell'inno nazionale. Una grande cerimonia pubblica in memoria di tutti i morti della Faja de Oro era stata tenuta già il 25 maggio in Piazza della Costituzione a Città del Messico.

Un sopravvissuto della Faja de Oro sarebbe scampato, due anni dopo, all'affondamento di un'altra petroliera messicana, la Juan Casiano, naufragata il 19 ottobre 1944 con la morte di 21 membri dell'equipaggio.


Sopra, il Nemesis si avvicina ai naufraghi della Faja de Oro; sotto, i naufraghi della Faja de Oro a Miami (foto Amílcar Carrascosa, via www.centrolombardo.edu.mx)


Una settimana prima dell'affondamento della Faja de Oro, un altro U-Boot aveva già affondato un'altra petroliera messicana, la Potrero del Llano, anch'essa ex italiana (era la vecchia Lucifero). Dopo quell'affondamento il presidente messicano Ávila Camacho ed il segretario agli Esteri Padilla Peñaloza avevano convocato il 14 maggio l'incaricato d'affari svedese Rolf Arfwedsen, che rappresentava in Messico gli interessi della Germania in seguito alla chiusura di tutte le rappresentanze diplomatiche italiane, tedesche e giapponesi avvenuta pochi mesi prima (parimenti, le autorità diplomatiche svedesi rappresentavano gli interessi messicani nei tre Paesi dell'Asse in seguito alla chiusura delle rappresentanze diplomatiche messicane nei loro territori), e gli avevano consegnato una “formale ed energica” nota di protesta da inviare a Berlino: in essa si dava alle autorità tedesche una settimana di tempo a partire dal 14 maggio per fornire spiegazioni e compensare pienamente il Messico per l'affondamento della petroliera, minacciando in caso contrario di adottare le misure necessarie richieste dalla dignità nazionale: «Di fronte a un attacco così inqualificabile che evidenzia, ancora una volta, i metodi che le potenze dell'Asse non hanno esitato ad adottare per condurre le ostilità nell'attuale conflitto, il Governo messicano eleva immediatamente la sua più energica e formale protesta. Nel caso in questione, non si tratta solo di un attacco contrario ai più elementari principi umanitari, ma anche di un fatto che costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale e delle regole relative all'azione dei sommergibili nei confronti delle navi mercantili in tempo di guerra, in base al trattato firmato a Londra il 6 novembre 1936, il Governo Messicano chiede il risarcimento dei danni causati alla Nazione, parimenti incarica il Governo Svedese di consegnare il testo della presente ai rispettivi Governi di Germania, Italia e Giappone, se entro giovedì prossimo, 21 del corrente mese, il Messico non avrà ricevuto dal Paese responsabile dell'aggressione una completa soddisfazione, nonché garanzie che il risarcimento dei danni e delle perdite subite sarà debitamente coperto, il Governo della Repubblica adotterà senza indugio i provvedimenti richiesti dall'onore nazionale; il Segretario per le relazioni estere depositerà questa stessa nota nei rispettivi ministeri degli esteri delle altre repubbliche americane».

Ed invece non solo le autorità tedesche si erano rifiutate di ricevere la nota di protesta (quelle italiane e giapponesi l'avevano ricevuta, ma non avevano risposto; per altra versione sia l'Italia che la Germania ignorarono la nota diplomatica messicana, mentre il Giappone negò ogni coinvolgimento pur scusandosi per l'accaduto, mentre per altra ancora la Germania si rifiutò di riceverla, l'Italia la ignorò ed il Giappone porse le sue scuse ma affermò che non fosse stato un sommergibile nipponico), ma proprio il giorno della scadenza dell'"ultimatum" di Ávila Camacho, il 21 maggio, era avuto un secondo siluramento, quello della Faja de Oro. La notizia era giunta in Messico da Washington (essendo i superstiti sbarcati negli Stati Uniti, dopo essere stati salvati dalla Nemesis) il 22 giugno; il pomeriggio successivo la Pemex annunciò ufficialmente la notizia dell'affondamento della nave, insieme a quella errata che 28 dei 37 membri dell'equipaggio fossero morti.

All'inizio del conflitto il Messico aveva tentato di mantenersi equidistante dai due schieramenti, mantenendo buoni rapporti sia con il vicino statunitense che con i Paesi dell'Asse (con la Germania, soprattutto, esistevano importanti relazioni economiche), ma nel corso del 1941, pur rimanendo ufficialmente neutrale, il governo di Ávila Camacho aveva dato segnali di un progressivo avvicinamento agli Stati Uniti ed alla causa Alleata. Il primo era stato costituito dai provvedimenti censori intrapresi nel marzo 1941 contro alcuni giornali filotedeschi, che avevano accusato il segretario agli Affari Esteri Ezequiel Padilla Peñaloza, favorevole ad un miglioramento dei rapporti tra Messico e Stati Uniti, di vendere il Paese agli statunitensi, definendo altresì Roosevelt un “ebreo figlio di puttana”; questi erano stati seguiti a distanza di pochi giorni dalla concessione all'aviazione statunitense del diritto di attraversare lo spazio aereo messicano, e poi dal sequestro delle navi italiane e tedesche nei porti messicani. Il 7 marzo 1941 Ezequiel Padilla aveva condannato le infiltrazioni naziste in un discorso al senato messicano, e prospettato la possibilità di un'alleanza con gli Stati Uniti per contrastare eventuali minacce esterne al continente americano; poco tempo dopo, il governo messicano aveva pubblicamente condannato l'invasione italo-tedesca di Grecia e Jugoslavia. Nel luglio 1941 il governo statunitense aveva pubblicato una “lista nera” di imprese tedesche compromesse con il regime nazista, con le quali era vietato fare affari, comprese alcune attività tedesche aventi sede in Messico; l'ambasciatore tedesco in Messico aveva invitato il governo messicano a prendere le distanze da questa decisione, ma la sdegnata risposta era stata che il Messico non tollerava ingerenze estere nelle proprie decisioni, e non necessitava di suggerimenti in questioni che erano di sua esclusiva competenza. Poco dopo, i rapporti commerciali tra Messico e Germania erano stati troncati.

Queste azioni avevano comportato un raffreddamento dei rapporti tra Messico e Germania, con conseguente chiusura dei rispettivi consolati, ma ciò non aveva dissuaso il governo messicano dal proseguire per la sua rotta; il 1° settembre 1941, in occasione dell'apertura del Congresso messicano, sia Ávila Camacho che il presidente del Congresso avevano attaccato duramente l'Asse, ed in novembre il codice penale messicano era stato emendato per inasprire le pene per i reati di sovversione e spionaggio. Il 7 dicembre 1941 il governo messicano aveva condannato l'attacco giapponese a Pearl Harbour e quattro giorni dopo aveva rotto le relazioni diplomatiche con i Paesi dell'Asse, oltre a congelare i conti in banca di italiani, tedeschi e giapponesi, vietare l'utilizzo di lingue straniere in telegrammi e chiamate telefoniche a lunga distanza, imporre una stretta sull'utilizzo delle radio e porre sotto sorveglianza i funzionari giapponesi, che successivamente vennero consegnati agli Stati Uniti per essere internati, nel timore che potessero condurre attività di spionaggio. Sempre nel dicembre 1941 il Messico aveva nominato dei rappresentanti diplomatici presso i governi in esilio di Polonia, Norvegia, Belgio e Paesi Bassi, ed il 27 dicembre aveva dichiarato di non considerare belligeranti i Paesi americani in guerra con Paesi di altri continenti, accordando il permesso alle loro navi di sostare e transitare nelle acque territoriali messicane, e consentendo persino il transito di truppe in caso d'emergenza.

Un altro provvedimento preso sulla scia dell'attacco a Pearl Harbour era stato quello di imporre ai marittimi italiani e tedeschi internati a Guadalajara l'obbligo di firma presso l'ufficio per l'immigrazione due volte al giorno, anche se di fatto gli internati continuarono a godere di notevole libertà.

Il 12 gennaio 1942 il Messico aveva formato con gli Stati Uniti una commissione congiunta per la difesa delle rispettive coste occidentali contro possibili attacchi giapponesi, ed a metà maggio era stato accordato agli statunitensi il permesso di installare attrezzature radar sul territorio messicano, mentre già dal dicembre 1941 era stato concesso di stanziare piccoli distaccamenti di personale dell'USAAF nelle basi aeree di Tampico, Veracruz e Tapachula, ed inviare altri distaccamenti ad ispezionare le coste della Bassa California e stabilirvi due stazioni radio. Il comandante della Zona militare del Pacifico, generale Lázaro Cárdenas del Río (ex presidente del Messico dal 1934 al 1940 ed autore della nazionalizzazione delle risorse petrolifere che aveva portato alla nascita della Pemex), si era incontrato a più riprese con il generale John Lesesne DeWitt, comandante in capo delle difese della costa occidentale degli Stati Uniti, per concordare un piano di difesa comune e definire le rispettive responsabilità ed aree di competenza. Il 27 marzo e 7 aprile vennero firmati tra Messico e Stati Uniti accordi industriali ed altri che consentivano al Messico di acquistare materiale militare statunitense per modernizzare le proprie forze armate: a questo scopo veniva concesso credito per dieci milioni di dollari.

Dopo che il presidente Roosevelt si era attivato, con successo, per far cessare l'embargo contro i prodotti petroliferi messicani (nell'ottobre 1941 erano state anche ristabilite le relazioni diplomatiche con il Regno Unito, sospese dal 1938 a causa dell'espropriazione petrolifera), il Messico aveva inoltre ricominciato ad esportare il proprio petrolio verso gli Stati Uniti, usando la Faja de Oro e le altre petroliere ex italiane trasferite alla Pemex: questa decisione aveva destato le ire della Germania, che nel marzo 1942 aveva protestato che quel traffico costituiva una violazione della neutralità messicana ed avvertito che se fosse continuato ci sarebbero state conseguenze (il che portò molti in Messico a ritenere, erroneamente, che Faja de Oro e Potrero del Llano fossero state deliberatamente bersagliate proprio per dare attuazione a quelle minacce: in realtà, i comandanti dei due U-Boote siluratori non avevano riconosciuto la nazionalità delle navi attaccate).

La presenza nel Paese di gruppi non trascurabili di simpatizzanti dell'Italia e della Germania aveva a lungo dissuaso dall'entrare direttamente in guerra, ma i siluramenti delle navi messicane fecero precipitare la situazione, facendo infuriare l'opinione pubblica dalla quale si levarono a gran voce le richieste di nazionalisti e militari favorevoli all'entrata in guerra. La sede del Club Tedesco in Messico venne presa a sassate da gruppi di studenti che ne distrussero le finestre e causarono altri danni, e lo stesso accadde a diversi esercizi commerciali di proprietà di tedeschi, mentre il sindacalista Vicente Lombardo Toledano e l'ex ministro e diplomatico Narciso Bassols, tra le figure più influenti della sinistra messicana, richiesero che venisse emessa una dichiarazione di guerra contro le potenze dell'Asse, proposta avanzata anche dal presidente del Senato León García; il 20 maggio l'ambasciatore statunitense George Messersmith scriveva al segretario di Stato Cordell Hull che sia Ávila Camacho che Padilla erano favorevoli ad entrare in guerra.


Sopra, la notizia dell’affondamento della Faja de Oro sul “Waikato Times” del 25 maggio 1942 (da www.paperspast.natlib.gov.nz); sotto, il giornale messicano “El Nacional” del 27 maggio 1942 (da www.gob.mx)

 


L'affondamento della Faja de Oro fu la goccia che fece traboccare il vaso: dopo aver di nuovo chiesto soddisfazione al governo tedesco, senza ricevere risposta, il 22 maggio Ávila Camacho convocò il governo e tramite il sottosegretario agli Interni Adolfo Ruiz Cortines chiese che la Commissione Permanente del Congresso si riunisse in sessione straordinaria e gli concedesse il potere di dichiarare guerra e prendere le misure necessarie. La riunione, tenuta presso la residenza presidenziale di Los Pinos con la partecipazione di tutti i membri del governo ed iniziata alle 18.45, si protrasse per oltre tre ore: Ávila Camacho raccontò, come tutti già sapevano, che due navi messicane erano state affondate dai sommergibili tedeschi con la morte di 23 marinai e che il governo tedesco non aveva nemmeno risposto alla prima nota di protesta inviata dopo l'affondamento della Potrero del Llano; mostrò ai membri del governo la bozza della dichiarazione di stato di guerra che sarebbe stata inviata al Congresso per l'approvazione.

Unici membri del governo ad opporsi furono i ministri della Marina, Heriberto Jara, e degli Interni, Miguel Alemán Valdés. Jara, molto vicino all'ex presidente Lázaro Cárdenas (da sempre ostile agli Stati Uniti e fermo difensore della sovranità messicana), obiettò che l'entrata in guerra avrebbe posto il Messico in una situazione di subordinazione rispetto al vicino statunitense, data la scarsa consistenza delle sue forze armate, e che la Marina Mercantile messicana sarebbe stata molto più esposta ai rischi bellici, mancando i mezzi necessari alla protezione del naviglio mercantile (ed aveva ragione: nei mesi successivi quasi metà delle navi mercantili di bandiera messicana sarebbero state affondate dagli U-Boote). Era perciò sua opinione che il Messico avrebbe dovuto appoggiare gli Alleati diplomaticamente ed economicamente, con la fornitura di petrolio e materie prime, ma senza dichiarare ufficialmente lo stato di guerra. Alemán, dal canto suo, sottolineò la debolezza militare del Messico e le conseguenze economiche negative che, a suo dire, avrebbe avuto l'entrata in guerra. Ávila Camacho, per mantenere gli equilibri ed accontentare la fazione “cardenista” che rimaneva più fredda nei confronti della prospettiva della guerra a fianco degli Stati Uniti, decise di nominare proprio Lázaro Cárdenas ministro della Guerra. Questi, certamente, non avrebbe fatto ai vicini statunitensi più concessioni di quelle strettamente necessarie.

Lo stesso 22 maggio il Partido de la Revolución Mexicana (partito di governo, che controllava 172 dei 173 seggi della Camera dei Deputati) e la Confederación de Trabajadores de México (CTM, parte integrante del Partido de la Revolución Mexicana), il più grande sindacato messicano (del quale Lombardo Toledano era stato segretario fino a pochi mesi prima), indissero una riunione dei rappresentanti del movimento antifascista del Messico che portò alla fondazione del Comitato di Difesa Nazionale contro il nazifascismo.

Il 24 maggio la CTM organizzò su tutto il territorio nazionale manifestazioni di massa in favore dell'entrata in guerra; gli operai delle fabbriche di materiale bellico offrirono parte dello stipendio per aiutare il governo ad acquistare materiale militare e si dichiararono disponibili a rinunciare alle vacanze di primavera ed a fare turni straordinari, e lo stesso fecero i dipendenti statali, che richiesero la propria militarizzazione nonché la dissoluzione di tutte le organizzazioni “di quinta colonna”. I principali sindacati organizzarono il boicottaggio dei prodotti dei Paesi dell'Asse, ed insieme alle organizzazioni di sinistra, vicine all'Unione Sovietica, premettero per l'entrata in guerra; la CTM, la Confederación Nacional Campesina (CNC, principale sindacato dei lavoratori agricoli messicani), la Confederación General de Trabajadores, il sindacato petrolifero (affiliato alla CTM), ed il Partito Comunista Messicano furono tra i più attivi nell'organizzare manifestazioni in favore dell'intervento e nel chiedere la confisca di tutte le proprietà di cittadini dell'Asse in Messico. Gruppi di immigrati ed esuli tedeschi, come “Alemania Libre” e la “Liga Pro-Cultura Alemana”, dichiararono che in caso di guerra sarebbero stati dalla parte del Messico. Punto culminante della campagna in favore dell'entrata in guerra furono i funerali solenni, celebrati il 24 maggio a Città del Messico, dell'unico morto della Potrero del Llano il cui corpo era stato recuperato; parteciparono alle esequie Ávila Camacho con la moglie, diversi ministri del governo ed oltre 15.000 persone, e durante la cerimonia furono letti i nomi di tutti i marittimi scomparsi negli affondamenti di Faja de Oro e Potrero del Llano.


La processione funebre per i morti di Faja de Oro Potrero del Llano passa per Hidalgo, diretta a Città del Messico (da www.eluniversal.com.mx)



Sopra, il giornale messicano “El Nacional” del 22 maggio 1942 (da www.gob.mx), e sotto, l’“Excelsior” (da www.excelsior.com)



Alle dieci di sera del 22 maggio (per altra fonte, il 25 maggio), al termine della riunione con i membri del governo, Ávila Camacho aveva chiesto alla Commissione Permanente di indire una riunione speciale del Congresso per dichiarare lo stato di guerra e chiedere poteri emergenziali straordinari, riunione che si tenne il 28 maggio 1942; in quella seduta il presidente messicano presentò alla Camera dei Deputati un disegno di legge per dichiarare lo stato di guerra, ed il giorno seguente un altro con il quale si sospendevano alcune garanzie individuali e si autorizzava l'Esecutivo a legiferare in tutti i rami della pubblica amministrazione: entrambi furono approvati all'unanimità tra il 29 ed il 30 maggio. Durante il dibattimento un deputato, Carlos Samaniego, dichiarò che non si trattava solo “della perdita di due nostre navi; è la patria messicana che ha subito l'attacco”; un altro, Antonio Betancourt Pérez, chiese: “Potrebbe il Messico sfuggire all'insaziabile voracità e agli istinti sanguinari di Hitler, Mussolini e Hirohito? No”.

Lo stesso 28 maggio Ávila Camacho, ottenuta l'approvazione del Congresso e dietro formale proposta del Consiglio dei Segretari di Stato, proclamò l'esistenza di uno stato di guerra tra il Messico e le potenze dell'Asse (con effetto, retroattivo, dal 22 maggio), con un breve comunicato in tre articoli, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale messicana il successivo 1° giugno (nella stessa data lo stato di guerra venne notificato a Rolf Arfwedson, in qualità di rappresentante della Germania in Messico): «Articolo I. Si dichiara che dal 22 maggio 1942 esiste uno stato di guerra tra gli Stati Uniti del Messico e la Germania, l'Italia e il Giappone. Articolo II. Il Presidente della Repubblica renderà la dichiarazione corrispondente alle notifiche internazionali che procedono. Articolo III. La presente legge e la dichiarazione presidenziale di cui al precedente articolo entrano in vigore dalla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale».

Ben più elaborato era stato il discorso tenuto il 28 maggio da Ávila Camacho davanti al Congresso per chiedere l'approvazione dello stato di guerra, diffuso in tutto il Paese attraverso migliaia di altoparlanti: “Onorevoli membri del potere legislativo: Mi presento per adempiere, dinanzi a voi, il più grave dei doveri che incombono su un Capo di Stato: quella di sottoporre alla Rappresentanza Nazionale la necessità di ricorrere all'ultima delle risorse che ha un popolo libero per difendere i propri destini. Come comunicato tempestivamente alla Nazione dal Governo della Repubblica, durante la notte del 13 del corrente mese, un sommergibile delle potenze nazifascisti ha silurato e affondato nell'Atlantico, una petroliera di immatricolazione messicana, la “Potrero del Llano”. Nessuna considerazione ha fermato gli aggressori. Né la neutralità del paese a cui apparteneva la nave, né il fatto che portasse tutti i caratteristici segni esterni della loro nazionalità, né la precauzione che la nave viaggiava con il luci accese in modo da rendere ben percepibili i colori della nostra bandiera; né, per le ragioni del diritto internazionale e umanitario, il dovere di concedere ai membri della nave l'occasione di mettersi in salvo. (…) Non appena il governo del Messico è venuto a conoscenza dell'attacco, ha formulato una forte protesta, che è stata trasmessa al Ministero degli Affari Esteri della Svezia, paese che nel dicembre 1941 ha accettato di rilevare i nostri interessi in Germania, Italia e Giappone. In detto documento, il Messico ha stabilito che, se entro il termine di una settimana, a partire da giovedì 14 maggio, il Paese responsabile dell'aggressione non avesse provveduto a darci piena soddisfazione, oltre a darci le garanzie che sarebbe stato debitamente coperto il risarcimento dei danni subiti, avremmo adottato i provvedimenti richiesti dall'onore nazionale. Il termine è scaduto: Italia e Giappone non hanno risposto alla nostra protesta. Peggio ancora. In un gesto di disprezzo che sottolinea l'offesa e misura l'arroganza dell'aggressore, la Cancelleria tedesca ha rifiutato di riceverlo. Ma la slealtà degli Stati totalitari non si è limitata a questo. Sette giorni dopo l'attacco al “Potrero del Llano”, è stato effettuato un nuovo attacco. Nella notte di mercoledì 20, un'altra nostra nave, la “Faja de Oro”, è stata silurata e affondata al largo delle coste nordamericane, in circostanze identiche a quelle registrate nel caso precedente. Anche questa volta abbiamo dovuto piangere la perdita di un valoroso gruppo di compatrioti. Dei 35 membri dell'equipaggio della nave a cui mi riferisco, 6 sono scomparsi. I restanti 29, prelevati da un guardacoste degli Stati Uniti, sono arrivati ​​a Key West la mattina del 22 corrente: uno di loro è morto a bordo del guardacoste e sei sono rimasti feriti. Tutti gli sforzi diplomatici sono finiti e si presenta ora la necessità di fare una rapida Rivoluzione. Prima di sottoporvi la proposta dell'Esecutivo, desidero dichiarare solennemente che nessun atto del Governo o del popolo del Messico può giustificare il duplice attacco delle Potenze totalitarie. La sintesi degli avvenimenti internazionali succedutisi negli ultimi anni costituisce la più eloquente dimostrazione dell'atteggiamento impeccabile del nostro Paese e dell'ingegnosità dell'abuso che ci viene fatto. (…) Il Messico, che dopo aver manifestato la sua simpatia per la causa del popolo cinese, si era opposto alla guerra d'Etiopia e aveva teso la sua mano disinteressata e amica alla Spagna repubblicana; il Messico, che aveva protestato contro l'annessione dell'Austria e contro l'occupazione della Cecoslovacchia; il Messico, che ha condannato la violazione della neutralità di Norvegia, Paesi Bassi, Belgio e Granducato di Lussemburgo, nonché le campagne contro Grecia, Jugoslavia e Russia, ha anche alzato la voce contro l'attacco a Pearl Harbor e Manila, e Fedele allo spirito degli impegni assunti alle conferenze di Panama e dell'Avana, ha subito interrotto le relazioni diplomatiche con la Germania, l'Italia e il Giappone. Uniti agli altri popoli liberi di questo emisfero dai vincoli di amicizia panamericana, spezzati i nostri rapporti con le potenze imperialiste dell'Europa e dell'Asia, abbiamo cercato di rafforzare la nostra solidarietà con le democrazie e ci siamo astenuti dall'esercitare atti di violenza contro i totalitaristi. I cittadini di Germania, Italia e Giappone, residenti nella Repubblica, godevano di tutte le garanzie che la nostra costituzione concede agli stranieri. Nessuna autorità messicana li infastidiva nell'esercizio delle loro attività lecite; nessuno li ha resi oggetto di persecuzione o misure coercitive. In altre circostanze, avremmo potuto ritenere che la nostra pace non fosse direttamente minacciata. Tuttavia, sentivamo che, all'interno dell'imbarazzante ragnatela in cui si è sviluppata la storia dei governi nazifascisti, il Messico potesse trovarsi coinvolto, e suo malgrado, il giorno meno atteso. Ecco perché abbiamo organizzato la nostra difesa e sorvegliato le nostre coste; per questo abbiamo fatto i passi necessari per aumentare la nostra produzione ed è per questo che, in ogni discorso, in ogni atto pubblico, abbiamo ripetuto l'esortazione a stare all'erta e preparati all'attacco che poteva arrivare in qualsiasi momento. Il 13 maggio è arrivato l'attacco. Non determinato e schietto, ma sleale, nascosto e codardo, inferto nell'oscurità e con l'assoluta sicurezza dell'impunità. Una settimana dopo l'attacco è stato ripetuto. Di fronte a questa ripetuta aggressione, che viola tutte le norme del Diritto delle Nazioni e che implica un sanguinoso oltraggio per la nostra Patria, un popolo libero e desideroso di mantenere immacolata la sua esecuzione civile, ha una sola risorsa: quella di accettare con coraggio la realtà e dichiarare – come proposto dal Consiglio dei Segretari di Stato e dei Capi dei Dipartimenti Autonomi riunitosi nella Capitale venerdì 22 del corrente mese – che da questa data vige lo stato di guerra tra il nostro Paese e la Germania, l'Italia e il Giappone. Queste parole – Stato di guerra – hanno dato luogo a interpretazioni così impreviste che è necessario specificarne dettagliatamente la portata. Naturalmente, ogni motivo di confusione deve essere eliminato. Lo stato di guerra è la guerra. Sì, la guerra, con tutte le sue conseguenze; guerra, che il Messico avrebbe voluto bandire per sempre dai metodi della convivenza civile, ma che in casi come il presente, e nell'attuale disordine del mondo, costituisce l'unico mezzo per riaffermare il nostro diritto all'indipendenza e per conservare intatta la dignità della Repubblica (…) Nessuna considerazione ha impedito agli aggressori di silurare e affondare nell'Atlantico le navi di bandiera messicana Potrero del Llano e Faja de Oro. Alla nota energica del Messico, Italia e il Giappone non hanno risposto. E la Cancelleria tedesca, in un gesto di disprezzo che sottolinea l'offesa e misura l'arroganza dell'aggressore, ha rifiutato di accogliere la nostra protesta (…) Il Messico, aderendo alla causa delle Nazioni Unite, esprime la ferma risoluzione di contribuire con tutti i mezzi disponibili alla vittoria finale delle democrazie, accettando consapevolmente le alte responsabilità che un popolo libero deve assumersi quando si trova in pericolo, insieme con il prestigio della sua sovranità, gli ideali che ne regolano l'esistenza e che sono alla base delle sue istituzioni, l'onore del suo passato, l'intensa preoccupazione per il suo presente e l'effettiva garanzia del suo futuro (…) Sono il primo ad apprezzare lo sforzo che la situazione in cui ci troviamo richiederà al Paese. Ma se non facessimo questo sforzo, non perderemmo qualcosa di infinitamente più prezioso della nostra tranquillità e delle nostre vite; l'onore del paese, il buon nome del Messico?”.



Il presidente Ávila Camacho proclama lo stato di guerra (sopra: da www.profraymundo.wordpress.com; sotto: da www.yosoypuebla.com)




Lo stato di guerra sulla gazzetta ufficiale dello stato di Veracruz (Archivio General del Estado de Veracruz)


Nel suo discorso al Congresso, Ávila Camacho asserì che niente poteva giustificare gli attacchi che avevano provocato l'affondamento della Potrero del Llano e della Faja de Oro, e che di conseguenza era obbligato a dichiarare che fin dal 22 maggio esisteva uno stato di guerra tra il Messico, la Germania, l'Italia ed il Giappone. Il 30 maggio Ávila Camacho pronunciò un discorso alla nazione, trasmesso alla radio nazionale, in cui spiegava che la via della diplomazia era chiusa dall'aggressività delle potenze dell'Asse, e che “Il Messico nell'attuale guerra si è astenuto da ogni atto di violenza e non ha risparmiato sforzi per stare lontano dal conflitto; ciononostante, le potenze dell'Asse hanno commesso ripetuti atti di aggressione contro la nostra sovranità; una volta esauriti gli sforzi diplomatici, è impossibile non riconoscere e proclamare, senza disprezzo dell'onore nazionale e della dignità della Patria, l'esistenza di uno stato di guerra e quindi si decreta che il Paese è in stato di guerra con Germania, Italia e Giappone”.

Rimaneva una non trascurabile opposizione interna sia al governo che al Congresso, capeggiata dall'ex presidente Lázaro Cárdenas, che sottolineava che il Messico non era preparato alla guerra e doveva rimanere neutrale; all'estremo opposto si collocavano il segretario agli Esteri Padilla e Lombardo Toledano, che avrebbero voluto una vera e propria dichiarazione di guerra.

Anche l'opinione pubblica appariva esitante dinanzi alla prospettiva della guerra: al di là della rabbia destata dai siluramenti delle due navi cisterna e della diffusa avversione al nazifascismo, ancora nel maggio 1942 un sondaggio della rivista “Tiempo” attestava che solo il 40 % dei messicani erano favorevoli alla guerra, mentre il 60 % era contrario, vedendola come estranea agli interessi nazionali e non desiderando che sangue messicano venisse sparso per gli Stati Uniti, vicino infido che più volte aveva combattuto con il Messico nel corso del secolo precedente, strappandogli gran parte dei suoi territori (secondo alcuni osservatori, addirittura l'85 % della popolazione messicana rimaneva contraria all'invio di truppe a combattere per gli angloamericani). C'era persino – e c'è ancora oggi – chi riteneva che Faja de Oro e Potrero del Llano fossero state in realtà affondate da sommergibili statunitensi, per incolpare la Germania e spingere il Messico ad entrare in guerra dalla parte degli Alleati, nonostante alcuni superstiti della Faja de Oro avessero dichiarato di aver sentito dalle scialuppe voci che parlavano in tedesco provenienti dal sommergibile. Era poi opinione diffusa che vi fossero altre priorità e che il Messico non fosse preparato alla guerra.

Anche molti di coloro che erano favorevoli alla cooperazione con gli Stati Uniti rimanevano contrari ad una mobilitazione generale, per la quale mancavano risorse. Fu questo – dopo un ultimo incontro con Padilla e Cárdenas – ad indurre Ávila Camacho, anziché ad emettere una vera e propria dichiarazione di guerra, a ricorrere all'espediente di dichiarare “l'esistenza di uno stato di guerra”: una dichiarazione di guerra, disse, non sarebbe stata coerente con la tradizione pacifista del Messico, che nella sua secolare storia non aveva mai dichiarato guerra ad un altro Paese (né lo avrebbe più fatto in seguito); non era sua intenzione mandare truppe messicane a combattere oltremare, bensì cooperare alla difesa del continente americano contro aggressioni provenienti dall'esterno. Il Messico non dichiarava guerra all'Asse, dunque, ma piuttosto formalizzava una situazione di guerra dimostrata dall'affondamento delle petroliere, che non poteva essere ignorata perché costituiva un'aggressione militare non provocata; il Messico non entrava in guerra per sua volontà ma perché “costretto dai fatti e dalla violenza dell'aggressione… L'atteggiamento che il Messico assume in questa eventualità si basa sul fatto che la nostra determinazione scaturisce da un'esigenza di legittima difesa”. Ad ogni modo, parlando al Congresso Ávila Camacho aveva avuto cura di precisare che “Conosciamo i limiti delle nostre risorse belliche e sappiamo che, data l'enormità delle masse internazionali in conflitto, il nostro ruolo nel conflitto in corso non consisterà in azioni di guerra extracontinentali, per le quali non siamo preparati (…) Sarà una guerra totale, ma le Forze Armate saranno dedite alla difesa del territorio nazionale”.







La notizia dell’entrata in guerra su vari giornali messicani (da www.gob.mx, www.imer.mx e www.catarina.udlap.mx)








La notizia sul “Sunday Times” di Perth (da www.trove.nla.gov.au)


Il caso aveva voluto che poco prima del duplice attacco alle petroliere, nell'aprile 1942, il parlamento messicano avesse approvato l'istituzione della Giornata della Marina: il 30 aprile 1942 era stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale messicana il decreto del presidente Ávila Camacho con cui si fissava la data della nuova celebrazione come il 1° giugno di ogni anno, anniversario della prima partenza dal porto di Veracruz – il 1° giugno 1917 – del piroscafo Tabasco, prima nave mercantile con equipaggio interamente messicano.

L'istituzione di una Giornata della Marina era stata caldeggiata da alcuni esponenti dell'Armada de Mexico fin dal 1940, ed il relativo accordo era stato raggiunto l'11 aprile 1942. I preparativi per i festeggiamenti erano in corso, ed il relativo programma già definito, quando furono affondate la Faja de Oro e la Potrero del Llano: la prima celebrazione della Giornata della Marina, che cadde proprio nella data di pubblicazione del decreto con cui si dichiarava l'esistenza dello stato di guerra tra il Messico ed i Paesi dell'Asse, finì così col trasformarsi in una commemorazione dei marittimi morti nell'affondamento delle due navi cisterna. La sera del 31 maggio 1942 il tenente di vascello Ramón Sánchez Mena, già comandante della Faja de Oro, narrò alla radio – nel corso del programma radiofonico La Hora Nacional – i particolari dell'attacco e affondamento della sua nave.

La decisione messicana di entrare in guerra, prevedibilmente, fu favorevolmente accolta dai governi e dalla stampa dei Paesi Alleati. Il “Sunday Times” di Perth del 24 maggio 1942 scriveva: “Stanco delle sfuriate siluratrici di Hitler, il Messico dichiarerà formalmente guerra a lui ed ai suoi alleati giovedì prossimo. Preannunciata dal risentimento per l'affondamento della nave cisterna Potrero del Llano, la decisione è stata praticamente chiesta dall'insensibilità o disattenzione dell'Asse. L'umore messicano, tempestoso ieri dopo il rifiuto di una richiesta di completa soddisfazione per l'affare Llano, è stato scioccato fino al punto di esplodere quando, al largo di Cuba, un sommergibile nemico ha alzato il periscopio si è portato in posizione, e con assenza ha silurato una seconda nave cisterna, la Faja de Oro. Prima di affondare, la nave ha preso fuoco. La maggior parte dell'equipaggio è perito [sic]. Attonite, provocate e furiose, le autorità messicane, quando è stata chiesta loro quale sarebbe stata la reazione, sulle prime hanno inarcato le sopracciglia, rimanendo silenziose. Poi hanno avviato una speciale sessione governativa protrattasi per tutta la notte ed hanno risolto la questione in modo scenografico ma avveduto, dichiarando la guerra di fatto. Il governo ha chiesto una sessione speciale in Congresso per ratificare la decisione. Il Congresso sbrigherà le formalità giovedì”.

Simili i toni della rivista “Time”, che però tracciava un'analisi più approfondita, e sorprendentemente veritiera, della situazione interna messicana: “Il Messico era sull'orlo della guerra, e l'Asse poteva dare la colpa soltanto a sé stessa. Il ministro degli Esteri Ezequiel Padilla aveva già mandato all'Asse un violento ultimatum sul siluramento della Potrero del Llano. Poi la scorsa settimana, al largo di Cuba, l'Asse ha commesso l'errore di silurare la nave cisterna Faja de Oro di 6607 tsl, che il Messico aveva sottratto all'Italia l'anno scorso, ed il cui comandante si era pubblicamente vantato il mese scorso di aver speronato ed affondato un sommergibile dell'Asse. Alta tensione. Gli osservatori a Città del Messico che avevano detto “Tutto ciò che serve è un altro siluramento”, adesso avevano detto “Ci siamo!”. Il governo aveva bloccato tutti i cambi in dollari per evitare la liquidazione di fondi dell'Asse, ed ordinato l'approntamento di tutte le truppe. Il Banco Germánico aveva pagato i dipendenti e rimborsato i depositanti. Alcuni dei capi del movimento cattolico-fascista Sinarquista erano passati a posizioni pro-guerra ed hanno cercato di persuadere i loro confusi lacché a seguire il loro voltafaccia. I negozi dell'Asse erano deserti, ed i cittadini dell'Asse evitavano le strade. Ma nonostante l'alta tensione, il presidente Manuel Avila Camacho si stava muovendo molto cautamente. Certamente, la guerra avrebbe dato al suo governo di destra la possibilità di “unificare” il Messico, estendere il suo controllo su lavoro, prezzi, risorse economiche, evitare che il boom economico andasse fuori controllo. Stava venendo spinto verso la guerra dal ministro degli Esteri Padilla, che in ciò vedeva il culmine della sua politica emisferica, e dai grandi gruppi sindacali a guida comunista che volevano una crociata contro il fascismo in alleanza con la Russia. Ma il presidente Avila Camacho doveva considerare gli imprenditori messicani, che temevano alte tasse e la fine del loro boom. Soprattutto, settimana scorsa osservatori in Messico avevano segnalato che “non c'è ancora entusiasmo… tra il popolo… c'è accordo in generale sul fatto che i messicani vogliono che l'Asse perda, ma vogliono che il Messico rimanga non belligerante… l'85 % della gente comune non ha nessun desiderio di combattere per il Regno Unito e gli Stati Uniti”. Il presidente doveva pensare più di due volte alla gente comune del Messico, non essendo certo un segreto che molti di essi ricordavano favorevolmente il regime liberale dell'ex presidente Lazaro Cardenas, adesso al comando della regione della costa occidentale. I gruppi pro-guerra facevano del loro meglio per convertire in sentimento pro-guerra la comprensibile rabbia del popolo messicano contro i nazisti che avevano ucciso 13 dei 35 uomini dell'equipaggio della Potrero del Llano, e 14 dei 41 della Faja de Oro. (…) sebbene preoccupato e diviso internamente, il governo di Avila Camacho ha intrapreso il passo successivo verso la guerra, convocando una sessione speciale del Congresso per questa settimana per autorizzare una formale dichiarazione [di guerra]. È iniziato a sembrare probabile che il governo non avrebbe chiesto guerra aperta contro l'Asse, ma soltanto uno “stato di guerra”. Internamente, ciò permetterebbe di attuare misure di guerra come la confisca di tutte le proprietà dell'Asse e la sorveglianza di tutti i sospetti, il controllo delle comunicazioni (cioè la censura interna), la sostituzione del governo civile con uno militare, e la sospensione delle garanzie costituzionali e delle libertà civili. Il P.R.M., unico partito nazionale, ha cercato di rassicurare il popolo messicano affermando ufficialmente che nessun soldato messicano sarebbe stato inviato all'estero. Coloro che speravano di ottenere l'“unità nazionale” prevedevano che l'ex presidente generale Cardenas avrebbe partecipato alla riunione governativa della scorsa settimana, avrebbe votato per la dichiarazione di guerra e sarebbe stato ricompensato con il posto di Ministro della Difesa. Lazaro Cardenas non ha partecipato, non è stato ricompensato con niente”.

Di senso opposto, naturalmente, la reazione tedesca: il 28 maggio la Deutsches Nachrichtenbüro, principale agenzia stampa della Germania nazista, pubblicò un “ultimo avvertimento” in cui si affermava: “Sotto tutti i segni di un'esaltazione isterica, il governo messicano si prepara a obbedire ai desideri di Washington e lanciarsi in guerra… Il governo messicano vuole presentare al Congresso il presunto affondamento della nave "Potrero del Llano" – che in realtà è una petroliera italiana rubata – per giustificare una dichiarazione di guerra? Quindi deve avere ben chiaro che la guerra a cui non può partecipare militarmente, per il Messico non significa solo impoverimento ma resa totale agli Stati Uniti, che è l'opportunità per i capitalisti yankee di tornare in Messico e riprendere le loro posizioni economiche e politiche per sfruttare il paese. La sottomissione del governo messicano a Roosevelt favorisce il vecchio piano di Washington di occupare alcune regioni. La preziosa lotta per la libertà che i messicani hanno condotto contro questo piano del loro tradizionale nemico e contro lo sfruttamento da parte dei capitalisti della borsa e dell'industria di New York sarebbe resa vana. Il parlamento messicano deve sopportare una grave responsabilità storica ora che deve affrontare la decisione”.





Una serie di manifesti propagandistici messicani. In uno di essi si fa esplicitamente riferimento al siluramento delle petroliere (da www.siker.com.mx, www.editorialgea.com.mx, www.povijest.hr)





Il 1° giugno 1942, in una lettera a Cordell Hull, Padilla descrisse l'affondamento di Potrero del Llano e Faja de Oro come un'“indescrivibile aggressione commessa contro il Messico”.

L'11 giugno il Messico annunciò la propria adesione ai principi della Carta Atlantica, e tre giorni dopo l'ambasciatore Castillo Najera firmò il Patto Atlantico nell'ambito di una cerimonia tenuta alla Casa Bianca.

Stante l'impreparazione delle forze armate messicane ad un conflitto su vasta scala (l'Esercito messicano contava solo 50.000 uomini, compreso il personale amministrativo e dei servizi, con armamento inadeguato), e l'avversione della maggioranza della popolazione all'invio di truppe oltremare, il contributo del Messico allo sforzo bellico Alleato si concretizzò principalmente nella fornitura di materie prime, come petrolio, zinco, piombo, argento, rame, antimonio e mercurio (il Messico divenne il più importante fornitore di materie prime strategiche degli Stati Uniti nel periodo bellico, e già da prima della dichiarazione di guerra gli Stati Uniti erano divenuti il primo importatore di petrolio messicano: il conflitto finì col dare notevole impulso allo sviluppo dell'industria messicana, e diede inizio ad un periodo di forte crescita economica che consentì importanti investimenti nelle infrastrutture ed un aumento dei salari), e di manodopera (il programma “Braceros”, avviato nell'agosto 1942, permise ad oltre 300.000 lavoratori messicani di trasferirsi legalmente negli Stati Uniti, dove trovarono lavoro nell'agricoltura – principalmente – e nell'industria, colmando il vuoto lasciato dagli statunitensi partiti per il fronte). Come annunciato da Ávila Camacho, “il contributo messicano [fu] nel campo economico; la battaglia sul fronte della produzione”; il 1942 venne dichiarato “l'anno dello sforzo”.

Venne creato un Consiglio Supremo per la Difesa Nazionale e fu istituito il servizio militare obbligatorio, ma solo allo scopo di difesa del territorio messicano contro un'eventuale invasione da parte giapponese (o, molto meno probabilmente, tedesca); senza impiego rimasero anche i 100.000-150.000 volontari della “Legione dei Guerriglieri Messicani”, fondata dal politico ed editore Antolín Jiménez Gamas, ex combattente della guerra civile (aveva combattuto con Pancho Villa raggiungendo il grado di tenente colonnello e venendo ferito tre volte) che reclutò tutti i charros – l'equivalente messicano dei cowboys statunitensi – disposti a prendere le armi contro un esercito invasore. I volontari di Jiménez, distribuiti in 250 punti sul territorio messicano, si addestravano ogni domenica nelle tattiche della guerriglia, ma la paventata invasione non si verificò.

Venne istituito anche un sistema di difesa civile e furono tenute nelle principali città esercitazioni di oscuramento e contro possibili bombardamenti aerei; inoltre, l'entrata in guerra comportò la sospensione delle garanzie individuali e la registrazione di tutti gli stranieri presenti in Messico presso il Ministero degli Interni. I cittadini italiani, tedeschi e giapponesi che vivevano nei pressi delle coste od in altre zone dove la loro presenza era ritenuta un pericolo vennero forzosamente trasferiti altrove.

Un accordo tra Messico e Stati Uniti stretto nel gennaio 1943 permise a 15.000 messicani che vivevano a nord del Rio Grande di arruolarsi come volontari nelle forze armate statunitensi e di altri Paesi alleati. Il Messico divenne beneficiario del programma Lend-Lease e ricevette dagli Stati Uniti moderne artiglierie contraeree ed aerei Vought OS2U Kingfisher, Vought F4U Corsair, North American T-6 Texan, Douglas A-24 Banshee e Beech AT-11 Kansan con cui pattugliare le proprie coste.

Unico reparto militare messicano a partecipare attivamente al conflitto fu la 201a Squadriglia da Caccia (detta delle “Aquile Azteche”), inviata a partecipare alla liberazione delle Filippine nell'estate del 1945: addestrata in Idaho e Texas ed equipaggiata con 25 cacciabombardieri P-47 “Thunderbolt” di fabbricazione statunitense, operò contro le forze giapponesi effettuando un totale di 59 missioni, nel corso delle quali morirono in combattimento cinque dei suoi 35 piloti (altri tre erano morti durante incidenti verificatisi nel corso dell'addestramento); in totale, considerando anche il personale di terra, i membri della Fuerza Aérea Expedicionaria Mexicana furono trecento. Rimane ad oggi l'unico reparto militare messicano mai impiegato al di fuori del territorio del Messico.


Il monumento ai caduti della Marina Mercantile messicana nella seconda guerra mondiale: tra di essi figurano anche quelli della Faja de Oro (Museo Veracruz)



La Genoano sul Libro Registro del RINA del 1938

L'affondamento della Faja de Oro su Uboat.net

La Barneson su Tyne Built Ships

Bank Line Ships

La Faja de Oro su Histarmar

L'affondamento della Faja de Oro su U-Boot Archiv

La Faja de Oro su Wrecksite

El Faja de Oro

U 106 under Hermann Rasch, May 1942 Bahamas patrol

Historia de México, Volume 2

Mexicans at War: Mexican Military Aviation in the Second World War, 1941–1945

The Aztec Eagles: The Forgotten Allies of the Second World War

Hitler's U-Boat War: The Hunters 1939-1942 (Volume 1)

World War II Sea War, Vol 6: The Allies Halt the Axis Advance

LA CREACIÓN DE LA SECRETARÍA DE MARINA Y LA INSTITUCIONALIZACIÓNDEL CUERPO DE INFANTERÍA NAVAL 1940-1964

Café, espías, amantes i Nazis (México 1941-1942)

Historia General de la Secretaria de Marina, Tomo II

Futuro – Al servicio de America – Abril del 1946

Mexico e Italia. Politica y diplomacia en la epoca del fascismo,1922-1942

Espacio Profundo 132

Discorso del presidente Manuel Ávila Camacho sulla dichiarazione di guerra ai Paesi dell'Asse

El Sol de Tampico

Argumentación y poder: la mística de la revolución mexicanarectificada

Hermanos, generales y gobernantes: Los Ávila Camacho

Historia de la Revolución Mexicana. 1940-1952: Volumen 7

Recopilación de circulares, oficios-circulares, acuerdos, decretos,leyes y reglamentos, expedidos durante el año de 1941

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