lunedì 20 novembre 2023

MZ 714

Profilo delle motozattere tipo MZ-A, classe cui apparteneva la MZ 714 (Historisches Marinearchiv)

Motozattera della prima serie della classe MZ, tipo "MZ-A", unità derivate dalle Marinefährprahme tedesche e costruite in vista del mai attuato sbarco a Malta. Lunga 47 metri e larga 6,50, con un pescaggio di un metro se scarica e 1,40 a pieno carico, dislocamento di 140 tonnellate a vuoto, 174 in carico normale e 239 a pieno carico (poteva caricare 65 tonnellate di materiali). Propulsa da tre motori diesel delle Officine Meccaniche di Milano, della potenza complessiva di 450 CV; velocità massima undici nodi, autonomia di 1450 miglia a 8 nodi. Armata con un cannone da 76/40 mm e due mitragliere da 20/70 mm.
 
Breve e parziale cronologia.
 
Aprile 1942
Impostazione nei Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone (numero di costruzione 1366).
10 giugno 1942
Varo nei Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone.
17 giugno 1942
Entrata in servizio.
21 luglio 1942
Parte da Brindisi alle sei del mattino per trasferirsi in Africa, insieme alle gemelle MZ 701, MZ 702, MZ 704, MZ 708, MZ 720, MZ 752 e MZ 754. In tutto, le otto piccole unità trasportano 397 tonnellate di rifornimenti (54 tonnellate di materiali vari, 30,7 di munizioni, 4,3 di pezzi di ricambio per automezzi, venti carri armati ed un trattore); le scorta nella traversata la torpediniera Castore. Si tratta del terzo gruppo di motozattere a trasferirsi in Africa.
30 luglio 1942
Dopo varie soste lungo il percorso, la Castore ed il convoglio delle motozattere giungono a Tobruk alle 14.
6 agosto 1942
A mezzogiorno la MZ 714 (al comando del tenente di vascello Gennaro Mucera, 42 anni, da Gaeta) salpa da Tobruk per trasferirsi a Marsa Matruh, in convoglio con altre motozattere (tra cui la MZ 712, la MZ 734 e la MZ 738); comanda direttamente il convoglio il capitano di vascello Orazio Bernardini, comandante della 1a Flottiglia Motozattere con sede a Tobruk, che imbarca sull’unità di testa per meglio istruire i comandanti delle motozattere, appena arrivati in Africa, su come navigare e reagire agli attacchi britannici sulla rotta Tobruk-Marsa Matruh.
Le motozattere sono state destinate al trasporto di rifornimenti da Tobruk, ultimo porto degno di questo nome della Cirenaica ma distante centinaia di chilometri dalla prima linea, a Marsa Matruh, porticciolo egiziano a ridosso della linea del fronte, per via del loro ridotto pescaggio, che consente loro di sbarcare i rifornimenti anche sulla spiaggia; le navi mercantili che portano i rifornimenti dall’Italia non possono scaricare a Marsa Matruh, per via del loro maggior pescaggio e della necessità di attrezzature portuali che in quell’ancoraggio sperduto ai margini del deserto non ci sono.
Gli ordini per il convoglio prevedono che le motozattere, uscite da Tobruk, raggiungano un punto convenzionale denominato "C" (32°02' N e 24°04' E) e poi, a 7 nodi, seguano rotta vera 85° fino a raggiungere il punto 32°05' N e 24°45' E (che devono raggiungere alle 18), poi rotta vera 58° fino al punto 32°13' N e 25°00' E (che devono raggiungere alle 20), rotta vera 124° fino al punto situato quattro miglia a nord di Ras Aleima (che devono raggiungere alle quattro del mattino del 7 agosto), rotta vera 104° fino al traverso di Ras Abu Lahu (distanza 2,2 miglia), punto alle cinque del mattino in posizione 31°41' N e 26°03' E e quindi rotta diretta per Marsa Matruh.
7 agosto 1942
Durante la prima notte di navigazione, la MZ 714 e la MZ 734 (sottotenente di vascello Alberto Cordeschi) rimangono indietro in seguito ad un incremento di velocità da parte del convoglio, non riuscendo a tenere la stessa velocità delle altre unità; le due motozattere proseguono insieme, con la MZ 714 in testa e la MZ 734 che la segue, finché la MZ 714 viene colta da un’avaria che la costringe a tornare indietro (si arresta anzi così repentinamente che la MZ 734 fa appena in tempo ad accostare per non speronarla). La MZ 734, invece, prosegue. Il convoglio subirà un attacco aereo, nel quale verranno affondate le MZ 712 e 738.
Successivamente il comando della MZ 714 passa al capo nocchiere di seconda classe Domenico Ciani, 29 anni, da Portico di Romagna.
Agosto 1942
Riparata l’avaria e raggiunta Marsa Matruh, la MZ 714 riceve ordine di imbarcare un carico variegato: oltre a rifornimenti “normali”, come provviste e benzina, ne fanno parte anche bandiere, casse di pomata per scarpe e cartelli con la scritta "Requisito dal Comando Italiano"; poco dopo giunge ordine di partire in convoglio con altre motozattere, dirette verso est. A bordo si pensa che sia iniziata la spinta finale verso Alessandria d’Egitto, ma dopo un paio d’ore il convoglio viene raggiunto da un motoscafo, che al megafono ordina a tutti di tornare indietro.
Dopo circa due ore, quando manca poco all’arrivo a Marsa Matruh, un aereo viene avvistato verso poppa: l’equipaggio è mandato ai posti di combattimento, pur non riuscendo sulle prime ad appurare l’identità del velivolo, ma ben presto quest’ultimo toglie ogni dubbio abbassandosi ed aprendo il fuoco con le mitragliatrici. La MZ 714 risponde al fuoco con le sue due mitragliere, ma il cannone da 76 mm, armato da un cannoniere fresco di corso, rimane zitto; quando l’aereo inizia un secondo passaggio, il comandante Ciani grida al cannoniere di sparare e gli dà uno spintone, e stavolta l’unico colpo sparato dal cannone centra il velivolo, abbattendolo. Il novello abbattitore, subito festeggiato dall’equipaggio, dovrà pagare da bere a tutti per una settimana.
21 agosto 1942
La MZ 714 viene danneggiata a Tobruk da un bombardamento aereo, nel quale rimane ucciso un membro dell’equipaggio, il marinaio cannoniere Leo Cappellaro, 20 anni, da Adorno Micca.
30 gennaio 1943
La MZ 714 salpa da Trapani diretta a Susa alle 14, insieme alle gemelle MZ 713 e MZ 754.
31 gennaio 1943
Alle 12.30 le tre motozattere raggiungono un piccolo convoglio composto dal piroscafo tedesco Lisboa e dalla torpediniera italiana Cigno (capitano di corvetta Carlo Maccaferri), anch’esso in navigazione da Trapani (da dov’è partito alcune ore prima delle motozattere) a Susa. Il comandante della Cigno ordina alle motozattere di unirsi ad esso per rinforzare la difesa contraerea del Lisboa, che nelle ore precedenti ha subito ben quattro attacchi aerei, tutti superati senza danni.
Alle 13.58, tuttavia, è un sommergibile ad avvistare su rilevamento 290° il fumo del piccolo convoglio: si tratta del P 46 (poi Unruffled, tenente di vascello John Samuel Stevens). Alle 14.05 il sommergibile distingue dalle alberature Cigno e Lisboa, in navigazione verso sud lungo la costa, e quando la distanza cala nota che il mercantile stazza circa 2000 tsl e la torpediniera procede a zig zag a proravia sinistra di quest’ultimo; non nota invece le motozattere. Iniziata una manovra d’attacco alle 14.28, alle 15.02 lancia quattro siluri da 5500 metri in posizione 35°54' N e 10°38' E, per poi scendere in profondità.
Alle 15.08, il Lisboa viene colpito da uno dei siluri, incendiandosi ed affondando rapidamente cinque miglia a nord del faro di Susa. Le motozattere recuperano i naufraghi, mentre la Cigno dà infruttuosamente la caccia al sommergibile per poi dirigere su Trapani per ordine di Marina Susa. (Il P 46, tornato a quota periscopica alle 15.15, osserva il Lisboa in fiamme e la Cigno diretta verso il mare aperto, dove lancia due bombe di profondità ben lontane dal sommergibile; scende nuovamente in profondità alle 15.25, dopo aver visto tre aerei in pattugliamento, ed alle 16. 50 torna a quota periscopica, non vedendo altro che fumo grigio. Alle 17.25 avvista denso fumo nero ed alle 18.20, mentre si ritira verso est, avverte una forte esplosione).
2 febbraio 1943
Le tre motozattere giungono a Susa a mezzogiorno.
 
Tempesta
 
A metà febbraio 1943 venne deciso di riportare in Italia tutte le motozattere che si trovavano dislocate in Africa, unificando a Palermo i comandi della 1a e della 4a Flottiglia Motozattere, in modo da dare un coordinamento unificato alla loro attività. Il trasferimento sarebbe avvenuto in due gruppi, che sarebbero partiti ad un giorno di distanza l’uno dall’altro.
Al comando del ventisettenne tenente di vascello Giuseppe Ranalli, da Ortona a Mare, che ricopriva il ruolo di capoconvoglio, la MZ 714 lasciò Sfax alle 9.30 del 16 febbraio 1943 con il primo gruppo, che oltre ad essa comprendeva le MZ 733, 737, 739, 751 e 753; destinazione Trapani. Approfittando della navigazione di trasferimento, le motozattere furono tutte caricate con sacchi di fosfati destinati all’industria italiana, nonché altro materiale vario; sulla MZ 739 persino un paio di aerei da caccia.
Lasciata Sfax, le motozattere non diressero subito verso la Sicilia, bensì verso il Golfo di Hammamet, dove si misero alla fonda e da dove assisterono ad un bombardamento di quadrimotori avversari sull’entroterra. Alcuni cacciabombardieri attaccarono anche le motozattere, ma vennero respinti dal loro tiro contraereo senza causare danni.
Alle 5.30 del 18 febbraio (a mezzogiorno per altra fonte) la flottiglia riprese la navigazione, dirigendo verso nordest, con le unità disposte su due file; la MZ 714 era l’unità di coda della colonna di sinistra, la MZ 739 di quella di dritta. C’era mare mosso, con vento di grecale in peggioramento; scrive Tullio Marcon nel suo libro "I muli del mare": «in simili condizioni (…) in altri tempi, le motozattere non sarebbero state mandate in mare del tutto; ma ora le esigenze della guerra avevano fatto accantonare questi scrupoli».
(Il volume USMM "Navi militari perdute" afferma che facevano parte del convoglio anche alcuni motovelieri, mentre "La difesa del traffico dal 1° ottobre 1942 alla caduta della Tunisia", anch'esso dell'USMM, e "I muli del mare" non ne fanno parola).
 
Il viaggio iniziò sotto cattivi auspici. Poco dopo la partenza, le motozattere incontrarono un gruppo di cadaveri alla deriva, vestigia di qualche tragedia recente, che il mare stava spingendo verso la costa tunisina; pietosamente, i timonieri manovrarono in modo da evitare di investirli o risucchiarli nelle eliche.
Nelle ore successive, le condizioni del tempo andarono rapidamente peggiorando: il vento rinforzò, il mare divenne via via più agitato, il cielo si oscurò. Entro il pomeriggio le piccole unità, mai pensate per lunghe navigazioni in mare aperto, erano alle prese con una vera e propria tempesta, per giunta di grecale, cioè proprio dalla rotta che dovevano seguire, con conseguente forte beccheggio e continue incappellate.
La navigazione era difficoltosa per tutti, ma era proprio la MZ 714 ad apparire l’unità maggiormente in crisi. Martellata dalle onde incessanti, la rampa di prua della motozattera iniziò a cedere, ed il mare infuriato iniziò ad irrompere nella stiva.
 
Avvertito da un marinaio, il comandante Ranalli convocò il nostromo e il direttore di macchina Vincenzo Di Nitto, insieme a due marinai, ed ordinò loro di passare dei cavi d’acciaio sotto la rampa e legarli poi tra loro in coperta, in modo da tenerla chiusa. Era una soluzione provvisoria e di ripiego, ma altro non si poteva fare: rischiando la vita contro le onde che continuavano ad abbattersi sulla prua, gli uomini della MZ 714 eseguirono l’ordine, ma la furia del mare riuscì ugualmente ad allentare i cavi e divaricare la rampa.
L’acqua che si muoveva liberamente nella stiva allagata accentuava pericolosamente lo sbandamento ogni volta che la piccola nave rollava, e né le pompe né le catene di buglioli riuscivano a contrastarne l’avanzata. Si era intanto fatta sera. Concludendo che la sua unità stesse per cedere alla violenza della tempesta, il comandante Ranalli ordinò di mettere la poppa al mare (il che rendeva necessario invertire la rotta, con il rischio di traversarsi: per fortuna questa evenienza non si concretizzò) e contattò via radio la motozattera più vicina, la MZ 751, chiedendole di avvicinarsi per trasbordarvi il suo equipaggio.
Alle otto di quella sera la sagoma della MZ 751 apparve nell’oscurità; la motozattera si avvicinò il più possibile alla gemella in difficoltà, ed il drammatico trasbordo venne portato a termine senza che nessuno rimanesse ferito in modo grave, a dispetto del mare che rischiava continuamente di far entrare in collisione le due motozattere e le sollevava ed abbassava a turno di vari metri, così che i loro ponti non erano mai allo stesso livello.
 
Contrariamente alle aspettative, tuttavia, la MZ 714, per quanto ingavonata e semiallagata, non andò a fondo. Dopo un po’, Ranalli decise di accelerarne l’agonia con alcuni colpi del cannone da 76 mm della MZ 751; ma nemmeno questo valse a dare il colpo di grazia a quello che pure sembrava niente più che un relitto galleggiante. Dinanzi alla prospettiva di lasciare la motozattera alla deriva, con il rischio che diventasse un pericolo per la navigazione o che cadesse in mano nemica, Ranalli decise di tornare a bordo per un ultimo tentativo di salvarla; scrive Tullio Marcon: “Passò qualche minuto, poi il comandante gridò nella tempesta ai suoi: “Io torno a bordo, c’è qualcuno che viene con me?” C’erano uomini di ferro, più forti del ferro di cui era fatta la nave, più forti del mare e della paura: il nostromo, il direttore e tre marinai”. Tra mille difficoltà, i sei volontari saltarono nuovamente a bordo della MZ 714; poi, mentre la MZ 751 si allontanava con a bordo il resto dell’equipaggio, tentarono di rimettere in moto i motori. Nonostante l’acqua avesse iniziato ad allagare anche la sala macchine, raggiungendo anche i filtri del carburante, capo Di Nitto riuscì a far ripartire i motori, ed il comandante Ranalli, messosi personalmente al timone, fece rotta verso nordest, verso Pantelleria. L’isola distava solo una decina di miglia, percorribili in un’ora in condizioni normali, ma in mezzo a quella tempesta quell’ora diventava un’eternità. Da sola, la MZ 714 non ce la poteva fare a raggiungere Pantelleria: occorreva chiedere l’invio di qualche mezzo che la prendesse a rimorchio, e così Ranalli ordinò a Di Nitto di tentare di mettersi in contatto radio con l’isola. La radio, a causa dell’acqua che ormai era entrata dappertutto, dava continuamente la scossa a chi la usava; non per questo Di Nitto demorse, ma da Pantelleria giunse lapidaria la risposta che il mare era troppo mosso perché i rimorchiatori che vi avevano base potessero uscire.
A questo punto non c’era più speranza per la MZ 714, al suo sparuto equipaggio non rimaneva che abbandonarla per la seconda volta nel giro di poche ore. Di Nitto tentò di mettersi nuovamente in contatto con le altre motozattere del convoglio: convoglio che ormai esisteva solo sulla carta, essendo ormai stato disperso dalla tempesta, con le singole motozattere che procedevano ognuna per proprio conto. Tutte erano ormai giunte a ridosso di Pantelleria, tranne una.
La richiesta d’aiuto fu ricevuta dalla MZ 739 (al comando del capo nocchiere Enrico De Stefanis), essa stessa in difficoltà perché alle prese con infiltrazioni d’acqua che l’equipaggio, inceppatesi tutte le pompe, cercava di contrastare con catene di buglioli. Parlando con il capo nocchiere Domenico Ciani della MZ 739, suo vecchio amico ed in passato comandante proprio della MZ 714, Di Nitto spiegò che la MZ 714 stava affondando e che Pantelleria era stata contattata ma non poteva fornire aiuto; Ciani rispose che stavano arrivando, invitandolo ad accendere i fanali di via e lanciare qualche razzo di segnalazione Very per permettere all’unità gemella di avvistare la motozattera agonizzante nell’oscurità. Erano le dieci di sera, la tempesta era al colmo della sua violenza.
 
Invertita la rotta sfidando il rischio di essere presa dalle onde al traverso con conseguenze fatali, la MZ 739 raggiunse la 714 dopo circa mezz’ora. Portatasi sottovento a pochi metri di distanza, la MZ 739 iniziò a lanciare verso la MZ 714 sacchetti, cime e salvagenti; gli uomini del suo equipaggio, assicurati alla coperta con draglie per non essere trascinati in mare delle onde, gridarono ai compagni dell’altra motozattera di buttarsi subito in mare, perché la MZ 739 non sarebbe riuscita a mantenersi a sottovento ancora per molto. “In linea d’aria erano pochi metri, ma per effetto del mare, quando uno scafo stava nel cavo e l’altro sulla cresta di un’onda, la distanza si dilatava; gettarsi in quell’orrido richiedeva un coraggio ancor più forte dello spirito di conservazione”. Uno zatterino venne legato ad un sacchetto ed usato a mo’ di traghetto tra le due motozattere, trasbordando il comandante Ranalli e tre marinai. Ultimi rimasti sulla MZ 714 erano il direttore di macchina Di Nitto ed il nostromo, cui venne in mente che a centro nave c’era un battellino di salvataggio: i due lo raggiunsero e lo liberarono con un coltello dalle cime che lo trattenevano, ma non appena fu messo in acqua, il piccolo galleggiante venne portato via dalle onde. Usarono allora come zattera di fortuna una scala di legno; pagaiando con le mani si avvicinarono alla MZ 739, dalla quale vennero lanciate loro delle cime, che afferrarono venendo così issati a bordo.
I naufraghi vennero portati nel locale motori della MZ 739 per scaldarsi, ma quando i due gruppetti s’incontrarono si resero conto di essere in cinque, anziché sei. Mancava il marinaio motorista Pasquale Gloria, di vent’anni, da Cassano Irpino: era stato visto giungere con gli altri fin sottobordo alla MZ 739, ma non era mai arrivato a bordo. Il mare l’aveva ghermito senza che nessuno se ne accorgesse, nell’oscurità e nel rumore della tempesta. La MZ 739 si trattenne in zona ancora un po’ per cercarlo, ma senza risultato. Fu l’unica vittima del naufragio della MZ 714, che poco dopo essere stata abbandonata per la seconda ed ultima volta, era definitivamente andata a fondo alle 22.30 di quel 18 febbraio, una decina di miglia ad ovest della Punta San Leonardo di Pantelleria.
 
Neanche la MZ 739 doveva sopravvivere a quella tempesta: messa la prua su Pantelleria, non riuscì ad avanzare minimamente in direzione dell’isola, il che indusse Ranalli – che ne aveva frattanto assunto il comando – a decidere di mettere la poppa al mare in attesa che il tempo migliorasse, chiedendo per radio a Pantelleria di mandare almeno un ricognitore a cercarli il giorno seguente. Durante la notte la tempesta spinse la motozattera verso la costa tunisina, e l’indomani mattina la gettò su una spiaggia a nord di Kelibia, nonostante i tentativi dell’equipaggio di gettare le ancore e contrastare il moto delle onde con i motori messi a marcia indietro a tutta forza. Quanto meno, non si lamentarono altre vittime. Alcuni tunisini armati di fucile, dopo averli in un primo momento scambiati per nemici (poco ci mancò che sparassero), accompagnarono i naufraghi ad una locanda a qualche chilometro di distanza. Gli equipaggi di MZ 714 e MZ 739 vennero infine rimpatriati due settimane più tardi.
 
La perdita della MZ 714 e della MZ 739 non fu l’unico danno causato da quella tempesta: delle motozattere che si erano ridossate a Pantelleria, subirono danni la MZ 751 (sbattuta contro gli scogli) e la MZ 753, mentre la MZ 737 perse un uomo in mare; i motovelieri requisiti Nicola Lo Porto e L'Angelo Raffaele, abbandonati dai rispettivi equipaggi dopo essere stati attaccati dal sommergibile britannico Unruffled, vennero gettati dal mare in costa nei pressi di Nabeul, nel golfo di Hammamet; la motozattera tedesca F 349 fu anch’essa buttata dal mare contro gli scogli di Pantelleria e riportò danni in seguito ai quali non sarebbe più rientrata in servizio; il pontone semovente tedesco SF 99 s'incagliò in costa vicino a Biserta. Peggio ancora andò ad una flottiglia di piccole unità tedesche, completamente distrutta dalla furia del mare con la perdita di cinque pontoni semoventi Siebel (SF 209, SF 211, SF 213, SF 215, SB 217) e quattro piccoli mezzi da sbarco (I 16, I 21, I 30, I 31), naufragati od incagliati sulla costa tunisina, anche se fortunatamente i loro equipaggi riuscirono a mettersi in salvo.
Sulla perdita delle MZ 714 e 739 venne condotta un’inchiesta dalla Capitaneria di Porto di Pantelleria, che interrogò i naufraghi, valutò le decisioni del tenente di vascello Ranalli e giunse alla conclusione che il sinistro era da imputarsi al mare, ma che la MZ 714 era stata abbandonata troppo presto, anche se Ranalli aveva posto rimedio a questo errore di valutazione con la sua decisione di tornare a bordo per tentare di salvare la nave. Venne inoltre stabilito che il sistema di esaurimento con le pompe a mano in uso sulle motozattere fosse inadeguato a far fronte agli allagamenti, e che se al momento di abbandonare la nave si fosse provveduto a gettare dell’olio in mare per calmare le onde – come si faceva ai tempi della marineria velica – il trasbordo dell’equipaggio sarebbe forse risultato più agevole.
 
 
La MZ 714 sul sito del Museo della Cantieristica di Monfalcone
La MZ 714 sul sito della Marina Militare
La MZ 714 sull’Historisches Marinearchiv

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