Il Salemi sotto bandiera francese, con il suo precedente nome di Pontet-Canet (Coll. Paul Bois via www.wormsetcie.com) |
Piroscafo da carico
di 1176 tsl, 678 tsn e 1560 tpl, lungo 69,10 metri, largo 10,13 e pescante 4,50,
con velocità di 9-11 nodi. Ex francese Pontet-Canet,
giunto in Italia da Marsiglia nel dicembre 1942, armato dallo Stato italiano e
dato in gestione alla Società Anonima Cooperativa di Navigazione G. Garibaldi
(con sede a Genova); iscritto al Compartimento Marittimo di Genova con
matricola 18 F.
Era una delle decine
di navi mercantili francesi consegnate all’Italia ed alla Germania in
conseguenza degli accordi Laval-Kaufmann, che prevedevano la consegna all’Asse
di 159 bastimenti mercantili che si trovavano nei porti mediterranei della
Francia di Vichy, in seguito alla sua occupazione da parte dell’Asse.
Breve e parziale cronologia.
23 marzo 1912
Varato come tedesco Viola nei cantieri Flensburger
Schiffsbau Gesellschaft di Flensburg (numero di costruzione 317).
1912
Completato per la
Hamburg London Dampfschiffs Linie di Adolf Kirsten & Co., con sede ad
Amburgo. È una nave da carico, ma ha anche qualche cabina per passeggeri. La
stazza lorda originaria è di 1156 tsl.
Posto in servizio
sulla linea Amburgo-Londra.
1914-1919
Requisito ed
impiegato dalla Marina Imperiale tedesca durante la prima guerra mondiale.
1919
In seguito alla conclusione
della prima guerra mondiale, il Viola
viene trasferito al Governo francese in conto riparazione danni di guerra.
1923
Il Governo francese
cede il Viola alla compagnia Worms,
Josse & Cie. (o Maison Worms & Cie) di Le Havre, quale compensazione della
perdita del piroscafo Pontet-Canet,
appartenente a tale compagnia, affondato da un U-Boot nel 1918. Il nuovo
proprietario ribattezza il Viola
proprio Pontet-Canet, e lo registra a
Le Havre. Stazza lorda 1183 tsl.
Febbraio 1934
Il Pontet-Canet, in manovra su un canale a
Dunkerque (nei pressi della chiusa Guillemain), entra in collisione, forse a
causa di un malinteso relativo all’interpretazione dei segnali, con la chiatta
a motore Rhénus X, facendola finire
contro una seconda chiatta, l’Emile
Allart, che affonda rapidamente.
Il giudice riterrà
corresponsabili della collisione sia il comandante della Rhénus X, Karl Ludwig, che quello del Pontet-Canet: la chiatta non si è tenuta al centro del canale, come
avrebbe dovuto fare, ed ha virato bruscamente a sinistra senza badare al colpo
di sirena del Pontet-Canet; il
comandante di quest’ultimo, da parte sua, ha lasciato il timone ad un semplice
marinaio, in un tratto ristretto in cui era richiesto l’intervento di un
pilota.
Agosto 1937
Avendo deciso di
ridurre il numero dei piroscafi impiegati nei traffici costieri in acque
francesi, la compagnia Worms et Cie. annuncia piani per il disarmo di due
piroscafi, tra cui il Pontet-Canet.
Il Pontet-Canet (da pages14-18.mesdiscussions.net) |
1940
A seguito dello
scoppio della seconda guerra mondiale, il Pontet-Canet
è una delle sole sei navi della compagnia Worms et Cie. a non essere requisita
dalla Marine Nationale.
1° settembre 1940
Dopo la resa della
Francia, il Pontet-Canet viene
requisito per qualche tempo dalle autorità tedesche.
Aprile 1941
Il Pontet-Canet viene trasferito da
Bordeaux al Mediterraneo.
Novembre 1942
Dopo gli sbarchi
angloamericani nel Nordafrica francese (operazione Torch, 8 novembre 1942) e il
passaggio agli Alleati, dopo un’iniziale reazione, delle truppe francesi di
Vichy ivi stanziate, le forze italo-tedesche lanciano l’Operazione "Anton"
(10-11 novembre 1942), procedendo all’occupazione della Francia meridionale e
della Corsica, fino a quel momento controllate dal regime francese
collaborazionista di Vichy.
Anche la flotta
mercantile francese nel Mediterraneo, concentrata nei porti di Marsiglia e
Berre, cade al completo in mani italo-tedesche. Il 20 novembre Germania
pretende che tutti i mercantili francesi disponibili vengano messi a sua
disposizione per essere impiegati per le esigenze belliche delle forze
tedesche; già il giorno seguente, ad ogni modo, 900 militari tedeschi vengono
inviati a Marsiglia per sorvegliare le navi francesi, a bordo delle quali sono
mandate delle guardie armate, preparandosi ad impadronirsene con la forza nel
caso la Francia dovesse rifiutarne la concessione.
Il presidente del
consiglio di Vichy, il collaborazionista Pierre Laval, accetta verbalmente ed
il 22 novembre 1942, in una lettera ad Hitler, informa quest’ultimo che 158
bastimenti mercantili francesi (112 navi da carico, 31 navi passeggeri e 16
navi cisterna), per quasi 650.000 tsl complessive, verranno messi a
disposizione della Germania. Il 1° dicembre 1942 si tiene a Roma un incontro
tra Kaufmann, il gerarca nazista Hermann Göring, il feldmaresciallo Erwin Rommel,
il maresciallo Albert Kesselring (comandante delle forze tedesche nel
Mediterraneo), l’ammiraglio Arturo Riccardi (capo di Stato Maggiore della Regia
Marina) ed il generale Ugo Cavallero (capo di Stato Maggiore generale delle
forze armate italiane), nel quale viene decisa la spartizione tra Italia e
Germania dei mercantili francesi: 83 andranno all’Italia e 75 alla Germania.
Per la flotta mercantile italiana, duramente colpita dalla guerra, queste 83
navi sono una notevole boccata d’ossigeno, e permetteranno, a caro prezzo, il
mantenimento dei collegamenti con la Tunisia.
L’accordo formale,
detto accordo Laval-Kaufmann (dal nome di Laval e del firmatario da parte
tedesca, il "Gauleiter" nazista e commissario del Reich Karl
Kaufmann), verrà firmato a Parigi il 23 gennaio 1943; in base a tale impegno,
il governo francese mette a disposizione dell’Asse un quarto della flotta
mercantile francese del 1939. In base all’articolo 4 dell’accordo, le navi
francesi devono essere in buone condizioni d’efficienza e pienamente
equipaggiate; in cambio, il governo tedesco s’impegna a pagare alla Francia un
indennizzo, eccezion fatta che per i viaggi verso il Nordafrica. Laval vorrebbe
che le navi mantenessero bandiera ed equipaggio francese, ma la proposta viene
rifiutata; vi è diffidenza verso i marinai francesi (specie dopo il
comportamento delle forze di Vichy nel Nordafrica francese) e, d’altro canto,
sono ben pochi i marittimi francesi che desiderino navigare per conto
dell’Asse.
Quando l’accordo
viene firmato, comunque, la maggior parte dei mercantili francesi ha già
lasciato la Francia per l’Italia.
15 dicembre 1942
Il Pontet-Canet viene trasferito alla
Germania (per una fonte, alla Mittelmeer Reederei GmbH) e successivamente
all’Italia, a seguito degli accordi Laval-Kaufmann.
Dicembre 1942
Il Pontet-Canet arriva in Italia,
proveniente da Marsiglia, e viene ribattezzato Salemi.
Non viene requisito
dalla Regia Marina, né iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato;
viene invece armato dallo Stato stesso ed affidato in gestione alla S.A.
Cooperativa Garibaldi di Genova.
Il Pontet-Canet nel luglio 1936 (foto Marius Bar – Tolone, da www.wormsetcie.com) |
L'affondamento
Alle 11.20 del 2
febbraio 1943 il Salemi, al comando
del quarantacinquenne capitano di lungo corso Giuseppe Giovanni Volpe, salpò da
Napoli diretto Messina, in convoglio con un secondo e più grande piroscafo, il Valsavoia (capitano di lungo corso
Amedeo Astarita), anch’esso diretto in Sicilia (doveva infatti trasportare a
Palermo un carico di rifornimenti per le truppe stanziate nell’isola).
Non è chiaro se
Messina rappresentasse la destinazione finale del viaggio del Salemi, o se il piroscafo sarebbe poi
dovuto proseguire per la Tunisia, come può far supporre il fatto che il volume "La
difesa del traffico con l’Africa Settentrionale dall’1.10.1942 alla caduta
della Tunisia" dell’U.S.M.M. lo elenchi (a differenza del Valsavoia) tra le navi perdute nel
traffico con la Tunisia, e ne descriva la perdita al proprio interno, cosa
inusuale per un piroscafo perduto in un viaggio lungo le coste italiane.
Il carico di Salemi e Valsavoia consisteva in cemento, cereali, fieno e paglia; sul Salemi si trovavano anche alcuni
documenti segreti da consegnare a Marisicilia, il Comando Marina della Sicilia.
Nessuna unità da
guerra accompagnava i due bastimenti, probabilmente perché il naviglio di
scorta era assorbito dalle esigenze del traffico e della Tunisia. Le coste
italiane stavano diventando sempre meno sicure: i sommergibili Alleati si
facevano sempre più arditi, spingendosi ormai ad attaccare le navi italiane
anche in vista della riva; proprio nel Golfo di Napoli, una settimana prima,
era stata segnalata la presenza di un sommergibile nemico, che aveva
infruttuosamente tentato un attacco contro navi italiane.
Si trattava del
sommergibile britannico P 211, poi
divenuto più noto col nome di Safari
(che assunse ufficialmente qualche settimana dopo), comandato dal capitano di
fregata Benjamin Bryant. Il 26 gennaio il P
211 aveva attaccato, senza successo, un convoglio italiano al largo della
Bocca Piccola (all’estremità meridionale del Golfo di Napoli), e quattro giorni
dopo aveva affondato a cannonate i due piccoli motovelieri Gemma e Sant’Aniello al
largo di Capo Scalea, ai confini settentrionali della Calabria.
Non è dato sapere se
i comandi italiani, nell’ordinare la partenza di Salemi e Valsavoia senza
alcuna scorta, avessero ignorato questi avvertimenti, o se piuttosto la
mancanza di una scorta per i due piroscafi derivasse semplicemente
dall’indisponibilità di navi idonee, come poteva avvenire nella drammatica
situazione di quei mesi, in cui il naviglio sottile della Regia Marina, a
fronte di perdite sempre più gravi sia in mare che in porto, doveva farsi in
quattro per proteggere il traffico con la Tunisia, la Sardegna, la Corsica, la
Grecia, l’Albania, le isole dell’Egeo e lungo le coste della Penisola, di
fronte ad un nemico sempre più potente ed aggressivo.
Gli ordini di
navigazione consegnati ai comandanti di Salemi
e Valsavoia prevedevano che le due
navi dovessero salpare da Napoli alle undici del mattino del 2 febbraio ed
uscire dal passo delle ostruzioni di levante, per primo Valsavoia e poi il Salemi.
Imboccate le rotte di sicurezza, i due piroscafi si sarebbero dovuti portare
nel punto "B", individuato dalle coordinate 40°32’ N e 14°19’ E, da
dove poi avrebbero dovuto seguire le rotte indicate in un allegato contenuto in
una busta chiusa, che i comandanti, per preservarne la segretezza, avrebbero
dovuto aprire soltanto una volta usciti dal porto. Se le condizioni
meteorologiche e di visibilità lo avessero permesso, Salemi e Valsavoia
avrebbero dovuto seguire rotte che rasentassero la costa, entro tre miglia
dalla riva, tratto che nel tratto compreso tra Capo Vaticano e Capo Peloro, nel
quale invece avrebbero dovuto seguire strettamente le rotte del traffico
costiero. La velocità da tenere era indicata in 7 nodi e mezzo.
Così fu fatto;
lasciata Napoli e doppiata Punta Campanella, i due piroscafi diressero verso
sud. Poche ore dopo la partenza da Napoli, alle 13.47 del 2 febbraio, Salemi e Valsavoia vennero avvistati dal periscopio del P 211 mentre uscivano dalla Bocca Piccola ed accostavano verso est.
Il comandante del sommergibile scambiò dapprima il Valsavoia per una nave cisterna di medie dimensioni (perché aveva
il fumaiolo a poppa, conformazione che all’epoca caratterizzava quasi esclusivamente
le navi cisterna) ed il Salemi per
una nave scorta che la stava accompagnando, ma alle 14.15, iniziata la manovra
d’attacco, si rese conto che il primo era in realtà una nave da carico, ed il
secondo una piccola nave mercantile. In controtendenza con la maggior parte dei
suoi colleghi di tutte le nazionalità, che tendevano a sovrastimare le
dimensioni dei loro bersagli, Bryant sottostimò considerevolmente la stazza di
entrambe le navi: ritenne che il Valsavoia
fosse una nave di circa 2500 tsl, ed il Salemi
una di sole 700 tsl, mentre le stazze reali dei due bastimenti erano circa il doppio,
5733 tsl e 1176 tsl. Dato che il Valsavoia
aveva un grosso cannone a poppa, Bryant decise di neutralizzarlo per primo
silurandolo, per poi emergere ed attaccare col cannone il più piccolo Salemi.
Alle 14.38 (fonti
italiane indicano l’orario dell’attacco nelle 14.45 o 14.50) Salemi e Valsavoia stavano navigando in linea di fila (Valsavoia in testa e Salemi
in coda) al traverso del piccolo arcipelago de Li Galli, quando, nove o dieci
miglia ad est di Capri, il P 211
lanciò tre siluri, da circa 915 metri di distanza, tutti contro il Valsavoia. Subito dopo, il sommergibile
britannico scese in profondità.
Dei tre siluri
lanciati, due colpirono il Valsavoia,
che iniziò subito ad sbandare su un fianco, mentre il Salemi riuscì ad evitare – di stretta misura – il terzo con una
pronta accostata a sinistra; proseguendo nella sua corsa, l’arma colpì invece
due faraglioni (situati nei pressi della Torre Clavel a Positano, ad ovest
della spiaggia di Fornillo), chiamati dagli abitanti del luogo “Madre e Figlio”
(sotto quello più grande, detto della “Madre”, due anni prima gli abitanti
avevano apposto due mattonelle con l’effigie della Madonna di Positano: oggi
giacciono in fondo al mare), che vennero demoliti dalla sua esplosione (per
un'altra versione soltanto il “Figlio” venne completamente distrutto, mentre la
“Madre” fu gravemente danneggiata e crollò del tutto solo qualche anno dopo, a
causa anche delle mareggiate che le diedero il colpo di grazia).
La rapida manovra con
cui il Salemi aveva evitato il siluro
non valse però a salvarlo: poco dopo aver lanciato, il P 211 tornò a quota periscopica e poté osservare che il Valsavoia era stato colpito e stava
iniziando ad affondare, mentre il Salemi
aveva invertito la rotta per tornare a Napoli.
Alle 14.42 (orario di
bordo britannico) il P 211 emerse ed
aprì il fuoco col suo cannone da 76 mm contro il Salemi, da una distanza di circa 1830 metri. Il primo colpo sparato
fu subito un centro, e così pure la maggioranza degli altri 26 colpi di cannone
che il P 211 sparò contro il piccolo
piroscafo nell’arco di quattro minuti, finché l’arrivo sul posto di un aereo lo
indusse ad immergersi alle 14.46.
Parecchie cannonate
colpirono il Salemi in sala macchine
ed all’altezza della linea di galleggiamento; nel tentativo di non affondare,
il piroscafo cercò di andare ad incagliarsi in costa, ma una cannonata del P 211 lo colpì in plancia, rendendolo
ingovernabile.
Alle 14.50, forse a
seguito dello spostamento del carico, il Salemi
si capovolse, dopo di che affondò in breve tempo nel punto 40°35' N e 14°27' E.
Anche il Valsavoia era colato a picco
(fonti britanniche indicano le coordinate del luogo dell’attacco in 40°35' N e
14°29' E).
Persero la vita sette
uomini dell'equipaggio del Salemi,
tra i quali il comandante Volpe, forse ucciso dal colpo del P 211 che esplose in plancia.
Le vittime fra l'equipaggio civile:
Giovanni Giaccardo, marinaio, da Genova
Pietro Metastasio, capo fuochista, da Gela
Pierluigi Roffi, ufficiale di coperta, da Livorno
Rocco Saffiotti, marinaio, da Palmi
Giovanni Giovanni Volpe, comandante, da Garessio
Degli altri due caduti, presumibilmente militari di passaggio od addetti all'armamento difensivo, non è stato possibile rintracciare i nomi.
I naufraghi delle due
navi (tra l’equipaggio del Valsavoia
vi fu invece un’unica vittima) vennero subito soccorsi dai pescatori del vicino
paese di Positano, sulla costiera sorrentina.
Dalla Spiaggia Grande
di Positano un gruppo di pescatori, impegnati come al solito a riparare e fare
manutenzione a barche, reti e nasse, poterono infatti assistere a tutto il
dramma, svoltosi sotto i loro occhi: uno di essi, Luigi Parlato, contò 22
cannonate, anche se ritenne che potessero essere state anche qualcuna in più.
I pescatori misero
subito in acqua le loro barche ed uscirono in mare mentre ancora il P 211 stava sparando gli ultimi colpi di
cannone contro i due bastimenti agonizzanti (subito dopo il sommergibile,
completata la propria opera, s’immerse e si allontanò), precipitandosi subito
sul luogo dell’attacco, distante un paio di miglia dalla riva; vogando con
tutte le proprie forze, giunsero sul posto dopo circa mezz’ora. Il loro
tempestivo intervento permise il salvataggio di tutti coloro che non erano rimasti
uccisi nell’attacco. Tra i pescatori andati a soccorrere i naufraghi vi erano
Gennaro Polese e la sua famiglia, Luigi Marrone (di 17 anni), Pietro Pane (di
15 anni), Luigi Parlato, Francesco Esposito ed altri, tra cui i proprietari
degli alberghi "Savoia", "Margherita" e "Santa
Caterina"; tra le barche da pesca impegnate nei soccorsi vi erano la San Francesco e la Delfino. La barca di Francesco Esposito recuperò una ventina di
naufraghi, uno dei quali era gravemente ferito alla testa e perdeva
copiosamente sangue: questi raccontò ad Esposito di essere il cannoniere, e di
non aver avuto il tempo di sparare neanche un colpo. La barca di Luigi Parlato
recuperò sei sopravvissuti. I naufraghi vennero accolti e rifocillati dalla
popolazione del paese, accorsa in massa sulla Marina Grande.
Degli otto uomini
deceduti negli affondamenti (sette del Salemi
ed uno del Valsavoia), soltanto una
salma poté essere recuperata; fu sepolta a Positano il giorno seguente. Durante
il funerale un marinaio genovese, Angelo D’Imborsano, vestito con pigiama e
vestaglia, abbracciò e baciò Luigi Parlato, il pescatore che l’aveva soccorso,
chiamandolo più volte salvatore.
Qualche tempo dopo,
un rappresentante del Governo consegnò ai pescatori un documento di encomio e
95 lire di premio per la generosa opera di soccorso dei naufraghi. Nel 2009,
sessantasei anni dopo l’affondamento delle due navi, i soccorritori ancora in
vita – tra cui Luigi Parlato, Luigi Marrone, Francesco Esposito e Pietro Pane –
sarebbero stati premiati con una targa al merito per il salvataggio dei
superstiti di Salemi e Valsavoia.
Il parroco di
Positano, Don Saverio, ritenendo che la Madonna avesse salvato il paese da
danni “fermando” con lo scoglio ad essa dedicato il siluro evitato dal Salemi, fece recitare un Te Deum in suo
onore per quello che considerava un miracolo.
Alcune fonti locali
sembrano aver ricamato parecchio sulle circostanze dell’affondamento di Salemi e Valsavoia, ed in particolare sul fatto che il Salemi trasportasse anche “documenti segreti” che “poteva diventare
importante per taluni impedire che giungessero a destinazione”, giungendo
persino ad ipotizzare un collegamento tra l’affondamento del Salemi e le confuse vicende relative ai
vari tentativi di “fronda” contro Mussolini e di contatti con gli Alleati per
una pace separata, avviati da più parti nel corso del 1943 e terminati con i
fatti del 25 luglio e dell’8 settembre. Tali “interpretazioni” adombrano
addirittura l’ipotesi che Salemi e Valsavoia sarebbero stati mandati senza
scorta, nonostante le notizie sulla presenza in zona di un sommergibile,
proprio perché venissero affondati insieme ai “documenti segreti” imbarcati sul
Salemi.
Tutto ciò appare del
tutto assurdo ed inverosimile. I famosi “documenti segreti” trasportati dal Salemi erano diretti a Marisicilia e
consistevano, con ogni probabilità, in niente più che ordinarie disposizioni
inviate da Supermarina a quel Comando, che ovviamente dovevano restare segrete
a chiunque altro, come tutti gli ordini di quel genere. Del tutto implausibile
che documenti riguardanti questioni veramente importanti, così tanto che potesse
“diventare importante per taluni impedire che giungessero a destinazione”,
sarebbero stati imbarcati su di un piccolo e vecchio piroscafo fatto partire
senza scorta, anziché per via aerea, o con una nave da guerra, o con un
mercantile più veloce e provvisto di scorta.
Niente di
particolarmente strano nemmeno sul fatto che Salemi e Valsavoia
fossero stati fatti partire senza scorta nonostante fosse stata segnalata la
presenza di un sommergibile, pochi giorni prima, nella stessa zona:
segnalazioni di questo tipo erano ormai all’ordine del giorno, sommergibili
nemici operavano ormai un po’ ovunque lungo le coste specie del Sud Italia e
delle isole, e come già detto non era possibile avere navi da guerra sempre ed
ovunque, per scortare ogni singolo bastimento in movimento lungo le coste
italiane e tra l’Italia ed i vari fronti oltremare. Le navi i cui carichi erano
giudicati meno importanti – e tra queste rientravano certamente Salemi e Valsavoia – dovevano giocoforza navigare senza scorta, sperando di
non incontrare un sommergibile avversario. Forse criticabile è la scelta di
aver fatto viaggiare le navi insieme, anziché isolate, il che magari avrebbe
potuto limitare i danni ad una sola delle due, che tanto erano prive di scorta:
ma si ritenne forse che il Valsavoia,
col suo cannone e la sua mitragliera, avrebbe potuto proteggere il Salemi oltre a sé stesso.
Non sembra
particolarmente fondata neanche l’ipotesi secondo cui il P 211 avrebbe intercettato i due piroscafi in seguito ad
intercettazione e decifrazione a mezzo “ULTRA” dei messaggi relativi al loro
viaggio: se è pur vero che “ULTRA” permise ai britannici l’intercettazione di
numerosi convogli italiani, è vero anche che esso non decrittava certo tutti i messaggi relativi a tutti i mercantili in movimento, e che
moltissimi affondamenti furono frutto soltanto del caso e di appostamenti lungo
le rotte notoriamente frequentate dal naviglio dell’Asse. Non ha senso
invocarlo in occasione di ogni affondamento e sembra ancor meno sensato in
questo caso, dove le disposizioni relative al viaggio furono consegnate
direttamente ai comandanti delle due navi, con particolari contenuti in busta
chiusa da aprirsi solo dopo la partenza, per mantenere maggior segretezza. Né
sembra, nel giornale di bordo del Safari,
che si faccia riferimento ad un convoglio segnalato in precedenza al
sommergibile dai servizi d’informazione: l’incontro descritto appare invece del
tutto fortuito.
L’affondamento di Salemi e Valsavoia nel giornale di bordo del Safari (da Uboat.net):
“1347 hours - Sighted
2 vessels leaving Bocca Piccola and turning to the Eastward. The vessels were
thought to be a medium seized tanker [il Valsavoia]
with an escort [in realtà il Salemi].
Started attack.
1415 hours -
Identified the targets as a modern looking ship of about 2500 tons with the
engines aft [il Valsavoia]. The other
ship was not an escort but a merchant vessel of about 700 tons [il Salemi]. The first ship looked like a
tanker but was a regular merchant vessel given the samson posts before the
bridge and the goal post after the bridge. She had a large gun on the poop.
Decided to torpedo this ship and then attack the smaller ship with the gun.
1438 hours - Fired 3
torpedoes at the leading ship from 1000 yards. 2 Hits were obtained. Went deep
after firing. Upon coming up again sighted the target settling. The smaller
merchant vessel had turned back towards Naples.
1442 hours - Surfaced
and engaged the small merchant with the 3" gun from 2000 yards. The 1st
round already hit as did most of the 26 rounds fired before an aircraft
appeared.
1446 hours - Dived
while the steamer tried to beach herself but a shot in her bridge had put her
steering out of action. A number of shots were on her waterline and in her
engine room.
1450 hours - Returned
to periscope depth it was seen that the large merchant could not be seen
anymore it had sunk. The small merchant's cargo had shifted and she had
capsized. Retired to seaward. ”
Il relitto del Salemi giace oggi a 1,40 miglia dalla
riva, ad una profondità compresa tra i 95 ed i 114 metri. La nave giace in
assetto di navigazione ed è in buono stato di conservazione; sono facilmente
riconoscibili, tra l’altro, il ponte di comando, un cannone ed un’elica, nonché
la campana di bordo, ancora presente a prua. Il relitto del Salemi, insieme a quello del Valsavoia, è meta di immersioni di
subacquei, rese molto difficili dalla scarsa visibilità, dalla corrente e dalla
profondità elevata. Alcuni subacquei, confondendo e “mescolando” i nomi delle
due navi, chiamano erroneamente "Valsanemi"
il relitto del Salemi, e "Valsavoy" quello del Valsavoia; errore incredibilmente
ripreso anche dal sito del Progetto "Archeomar" del Ministero per i
Beni e delle Attività Culturali.
Un’altra immagine della nave come Pontet-Canet (da www.marine-marchande.net) |
perché gli fu dato il nome SALEMI ?
RispondiEliminaTutte le navi francesi trasferite all'Italia in seguito agli accordi Laval-Kaufmann ricevettero nomi di città italiane, perché questa nello specifico fu chiamata Salemi sinceramente non saprei.
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