Il varo del Romolo (da “Gli squali dell’Adriatico” di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999, via www.betasom.it) |
Sommergibile da
trasporto della classe R (dislocamento di 2210 tonnellate in superficie e 2606
in immersione).
Il progetto della
classe R nasceva dalla necessità dell’approvvigionamento di materie prime d’importanza
strategica che nel 1942, in Europa, iniziavano ormai a mancare, e che potevano
essere reperite soltanto oltremare: stagno, zinco, e soprattutto caucciù (gomma
naturale). Per Italia e Germania, l’unica soluzione era di procurarsi queste
materie prime, necessarie allo sforzo bellico, nei territori dell’Estremo
Oriente occupati dall’alleato Giappone. Il problema principale stava nel
trasportare tali materie prime dall’Estremo Oriente all’Europa: i mercantili
violatori di blocco erano esposti a rischi sempre crescenti, e ben pochi
riuscivano a sfuggire alla caccia delle forze aeronavali Alleate, che di fatto
controllavano gli oceani. I sommergibili, sebbene in grado di trasportare una
quantità molto minore di merci, davano una maggiore garanzia di poter
completare con successo la traversata. Allo scopo, venne progettata, e poi
attuata, la conversione in unità da trasporto di alcuni sommergibili oceanici
della base di Betasom (appartenenti alle classi Calvi, Liuzzi e Marconi); ma
anche per le più grandi tra questi, la capacità di carico non poteva superare
di molto le 200 tonnellate, quantitativo assai modesto.
Per questo motivo,
venne decisa la realizzazione di una classe di sommergibili di grandi
dimensioni, appositamente concepiti per il trasporto occulto e lo scambio di merci
e materiali pregiati da e per l’Estremo Oriente: la classe R, per l’appunto.
Furono i primi ed unici sommergibili da trasporto progettati e costruiti come
tali per la Regia Marina.
Il progetto
selezionato come corrispondente alle specifiche tecniche della Marina fu quello
messo a punto dai cantieri Franco Tosi di Taranto; le prime due unità della
classe, Romolo e Remo, furono impostate presso tali cantieri nell’estate del 1942
(anche se una fonte fa risalire il progetto ad inizio 1941, e l’ordinazione
delle prime due unità al luglio 1941). In tutto, la classe avrebbe dovuto
comprendere dodici unità; le altre dieci (denominate semplicemente da R 3 a R 12), la cui costruzione venne distribuita tra i cantieri Tosi (4
sommergibili), i CRDA di Monfalcone (3) ed i cantieri OTO di La Spezia (3),
furono ordinate nell’estate 1942 (per la loro costruzione si sarebbero
utilizzati materiali forniti dalla Germania) ed impostate molto più tardi, tra
il febbraio ed il maggio del 1943, e non giunsero mai al completamento,
nonostante la priorità data alla costruzione degli "R" rispetto a
quella dei sommergibili di altri tipi. La torretta di una di esse, l’R 12, varato dai tedeschi dopo
l’armistizio ed usato come pontone nel dopoguerra, è oggi esposta a Gaeta –
restaurata dopo molte traversie – come monumento ai 3021 sommergibilisti
italiani che non fecero mai più ritorno: tra di essi, anche la quasi totalità
degli equipaggi degli sfortunati gemelli Romolo
e Remo.
I sommergibili classe
R furono, in termini di dislocamento, le più grandi unità subacquee mai
costruite per la Marina italiana. Appartenevano al tipo a doppio scafo
parziale, detto «Cavallini», ma all’interno erano radicalmente diversi rispetto
a tutti gli altri sommergibili italiani, essendo nati per trasportare merci,
anziché per attaccare navi nemiche.
Per il trasporto di
materiali, gli "R" erano dotati di quattro stive di carico a tenuta
stagna, due a proravia della camera di manovra e due a poppavia della stessa,
per una capacità complessiva di 610 metri cubi; ciò li rendeva in grado di
trasportare 600 tonnellate di materiali aventi densità media pari a uno, ossia
il triplo di quanto potevano caricare i più grandi sommergibili “convertiti” di
Betasom, ed il doppio del carico che poteva essere imbarcato sui sommergibili
tedeschi tipo X B (sommergibili posamine a lungo raggio, che al Kriegsmarine
finì con l’utilizzare come sommergibili da trasporto per via della loro ampia
disponibilità di spazi di carico).
Le stive erano
ovviamente resistenti alla profondità di collaudo (100 metri), indipendenti tra
loro e, se i sommergibili fossero stati completamente scarichi e privi di
zavorra, potevano anche essere allagate per essere utilizzate per il “dosaggio”
dell’unità. Per il carico e lo scarico delle merci vi erano inoltre, sul ponte
di coperta, quattro piccole gru di carico abbattibili, una per ogni stiva.
L’apparato motore,
costituito da due motori diesel Tosi della potenza di 2600 CV per la
navigazione in superficie, e da due motori elettrici Marelli della potenza di
900 CV per la navigazione in immersione, permetteva una velocità massima in
superficie di 14 nodi ed una in immersione di 6,5. Dovendo affrontare
traversate oceaniche, l’autonomia era ragguardevole, con una riserva di gasolio
di 200 tonnellate: 12.000 miglia a 9 nodi in superficie e 110 miglia a 3,5 nodi
(e 90 a 4 nodi) in immersione.
L’armamento,
puramente difensivo, consisteva in tre mitragliere contraeree singole Breda
1940 da 20/65 mm su affusti a scomparsa, di nuovo tipo, posizionate una a
proravia della torretta, in coperta, e due sulla torretta, nella sua parte
poppiera. Vi era un unico periscopio.
Altra caratteristica
dei sommergibili classe R era la capacità di immergersi con estrema rapidità,
nonostante le loro notevoli dimensioni: 45 secondi. Erano infatti pensati per
potersi immergere il più rapidamente possibile in caso di avvistamento. Sempre
per permettere loro di immergersi prima di poter essere localizzati, Romolo e Remo vennero dotati di due apparati «Metox», di produzione tedesca,
per la rilevazione delle emissioni radar delle altre unità.
Il progetto della
classe R fu ritenuto innovativo per il suo tempo; dato però che le uniche unità
completate, Romolo e Remo, andarono perdute alla loro prima
missione in un momento in cui ormai la situazione della guerra del Mediterraneo
era già compromessa per l’Italia (e le perdite di sommergibili molto gravi, a
causa dello strapotere aeronavale Alleato), senza poter svolgere il compito
loro affidato, non è possibile esprimere una valutazione sulle effettive
qualità dei sommergibili di questa classe. Al momento dell’accettazione delle
unità non vennero riscontrati particolari problemi, se non che la velocità in
superficie risultava inferiore di circa un nodo rispetto a quella prevista dal
contratto.
La Marina tedesca si
interessò molto ai sommergibili classe R, che avrebbero potuto esserle molto
utili per scambiare nuove armi e tecnologia militare con il Giappone,
ricevendone in cambio materie prime; ne richieste i piani costruttivi,
considerando la possibilità di riprodurli nei propri cantieri, e, dopo
l’armistizio, proseguì la costruzione delle sei unità della classe catturate
sugli scali a La Spezia e Monfalcone, anche se, causa i bombardamenti Alleati e
la mancanza di materiali (ironia della sorte), non riuscì a completarne neanche
uno.
Il Romolo pronto al varo sullo scalo del cantiere di Taranto, il 21 marzo 1943 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
Da parte tedesca,
anzi, si fecero pressioni per l’immediato trasferimento in Atlantico degli
stessi Romolo e Remo, al fine di impiegarli negli scambi tra tecnologia militare
tedesca e materie prime giapponesi che già avvenivano per mezzo dei
sommergibili trasformati di Betasom (rotta Bordeaux-Singapore). Questi ultimi,
la cui capacità di carico oscillava tra le 100 e le 200 tonnellate per unità,
potevano trasportare solo quantità relativamente modeste di materiali; i tedeschi
desideravano invece trasferire in Europa quantitativi più rilevanti di materie
prime, ed i due "R" in fase di completamento facevano al caso loro:
da soli, avrebbero potuto portare la stessa quantità di materiali degli altri
sette sommergibili modificati di Betasom. Già nel maggio 1943, prima ancora che
Romolo e Remo venissero ultimati, l’ammiraglio Karl Dönitz, comandante della
flotta subacquea tedesca, richiese alla Marina italiana di inviare i due
sommergibili in Atlantico, non appena fossero stati completati, per impiegarli
nel trasporto della gomma dall’Estremo Oriente. In cambio, la Kriegsmarine
avrebbe ceduto alla Regia Marina altri due moderni U-Boote “d’attacco” in
aggiunta ai nove del tipo VII C (ribattezzati, in Italia, “classe S”) già
trasferiti sotto bandiera italiana quale compensazione per la trasformazione in
unità da trasporto dei sommergibili di Betasom.
Se fosse giunta in un
altro momento, probabilmente la proposta sarebbe stata accettata (d’altro
canto, i sommergibili classe R erano nati proprio per questo impiego); ma nel
maggio 1943 la posizione dell’Italia nel Mediterraneo si era ormai fatta
critica. Caduta la Tunisia, risultava evidente che a breve gli Alleati
avrebbero lanciato il loro attacco contro l’Italia stessa, ed il crescendo dei
bombardamenti aerei stava sconvolgendo il sistema stradale e ferroviario della
Penisola; i collegamenti con le isole maggiori risultavano sempre più
deficitari, a causa dell’intensificata attività offensiva aeronavale degli
Alleati in Mar Tirreno, ed era prevedibile che proprio una di tali isole –
Sicilia o Sardegna – sarebbe stata l’obiettivo del prossimo attacco
angloamericano.
In questo quadro
dalle tinte fosche, la disponibilità dei due sommergibili da trasporto era
ritenuta fondamentale per il mantenimento dei collegamenti; pertanto, sia
Supermarina che, ancor più, il Comando Supremo respinsero la proposta tedesca.
Il 15 giugno 1943 il capo di Stato Maggiore Generale, generale Vittorio
Ambrosio, scrisse al capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo
Riccardi, una lettera nella quale ricordava le circostanze sopra descritte
(deficienze nei rifornimenti delle isole maggiori, prevedibile prossimo attacco
contro di esse) e prospettava la necessità, in caso di invasione Alleata di una
delle isole, di dovervi inviare dei rifornimenti essenziali che, in determinate
circostanze, non avrebbero potuto giungere a destinazione se non per mezzo di
sommergibili. Inoltre, scriveva Ambrosio, Romolo
e Remo dovevano essere utilizzati per
il trasporto occulto dalla Sardegna al continente di metalli necessari
all’industria bellica italiana, provenienti dalle miniere dell’isola, senza i
quali la produzione industriale sarebbe entrata in crisi.
L’ammiraglio
Riccardi, nella sua risposta ad Ambrosio, si mostrò più propenso ad accettare
le proposte tedesche: la cessione di due moderni sommergibili tedeschi sarebbe
andata a rimpinguare la flotta subacquea italiana, duramente provata dalle
gravi perdite subite negli ultimi mesi, mentre per le esigenze di collegamento
tra l’Italia e le isole maggiori, in sostituzione di Romolo e Remo trasferiti
a Bordeaux (sulla costa atlantica della Francia, sede di Betasom), si sarebbero
potuti convertire in unità da trasporto altri cinque sommergibili oceanici, per
i quali l’intensa e prolungata attività operativa aveva ormai ridotto di molto
l’efficienza bellica. Ma Ambrosio stroncò ogni possibilità in tal senso: ribadì
a Riccardi gli argomenti esposti nella missiva del 15 giugno (attacco imminente
alle isole maggiori, probabili grandi difficoltà nei rifornimenti di queste
ultime ad assalto iniziato), aggiunse che comunque anche l’attraversamento
dello stretto di Giblterra era divenuto pericolosissimo, e concluse che per il
momento non era possibile alcuna cessione; se ne sarebbe potuto riparlare «non
appena la situazione generale si sarà chiarita, e quando sarà iniziato il
gettito degli altri sommergibili da trasporto in allestimento». Questa fu la
risposta data a Dönitz, il 26 giugno 1943.
Il rifiuto italiano
provocò un certo malumore negli ambienti della Kriegsmarine, dove – come riferì
al comandante in capo della squadra sommergibili, ammiraglio Antonio Legnani,
il comandante di Betasom, capitano di vascello Enzo Grossi, dopo una visita a
Berlino – gli alti ufficiali tedeschi interpretarono questa risposta come una
mancanza di volontà di collaborazione da parte dell’Italia, verso la quale la
Germania, in quel momento, “era stata prodiga di aiuti di ogni specie” (affermazione,
questa, assai discutibile: i tedeschi non avevano dato niente per niente, ed
avevano sempre agito primariamente nel loro interesse). Ancora il 5 luglio
Dönitz scrisse personalmente a Riccardi per reiterare la propria profferta, ma
la risposta fu ancora negativa, e giunse il 17 luglio: per quella data, il destino
di Romolo e Remo si era già compiuto.
Il Romolo appena varato (sopra: www.wrecksite.eu; sotto: USMM)
La vita del Romolo fu estremamente effimera.
Impostato nei cantieri Franco Tosi di Taranto il 21 luglio 1942, venne varato
il 21 marzo 1943 ed entrò in servizio il 19 giugno 1943. A testimonianza della
priorità data ai sommergibili classe "R", la sua costruzione venne
ultimata in meno di un anno, mentre la contemporanea costruzione di unità di
dimensioni anche minori richiese molto più tempo (i sommergibili classe Tritone,
ad esempio, ebbero tempi di costruzione di circa un anno e mezzo, pur
dislocando meno della metà degli "R"). Fu il primo sommergibile della
classe R ad entrare in servizio: per questo la classe R è anche chiamata,
talvolta, “classe Romolo”.
Le prove in mare,
successivamente al varo, iniziarono a metà aprile 1943 e si protrassero fino a
giugno, quando avvenne la consegna alla Regia Marina. Il 30 aprile 1943 il Romolo svolse le prove di resistenza
dello scafo, scendendo a 103 metri di profondità e trattenendovisi per un
quarto d’ora. Alla data della consegna, 19 giugno 1943, restavano ancora da
ultimare i collaudi degli idrofoni, del radiogoniometro e del telefono
subacqueo; si erano inoltre verificati alcuni problemi relativi al
funzionamento dei motori diesel, dello scarico dei gas e del timone orizzontale
di poppa, nonché al controllo della rapidità d’immersione, tutto ancora da
mettere a punto.
Il 27 giugno il
Comando Squadra Sommergibili (Maricosom) stimava che Romolo e Remo sarebbero
stati pronti per l’addestramento degli equipaggi il 10 luglio; il 7 luglio
Supermarina, in base a tali previsioni, decise di iniziare ad utilizzare il
solo Romolo per trasportare 600
tonnellate di munizioni alla base di Augusta, in data da determinare ma
“comunque prossima”. Si verificarono però altri ritardi nell’approntamento,
relativi alla preparazione per la prova di silenziosità, ai lavori di
staffatura dell’intercapedine per lo stivaggio del carico esterno, alla
risoluzione di alcuni problemi relativi all’impianto oleodinamico Calzoni
(necessario al funzionamento di molti apparati di bordo, a partire da timoni e
periscopi), ai motori diesel ed all’installazione dell’apparato Metox. Come se
non bastasse, in fase di ormeggio il Romolo
aveva urtato la banchina, subendo la deformazione delle strutture leggere della
prua, il che richiese alcuni lavori di riparazione, e provocò la sospensione
dell’ordine della missione di trasporto verso Augusta, rinviando la partenza al
mattino del 14 luglio.
Per i problemi sopra
descritti, l’approntamento al carico per il Romolo
venne rinviato dalla sera del 9 luglio a quella del 16 luglio, e nel frattempo
la prevista missione di rifornimento di Augusta venne stata cancellata ancor
prima di cominciare: il 10 luglio 1943 le forze angloamericane erano sbarcate
in Sicilia, ed il 13 luglio Augusta era caduta. Proprio questi eventi, d’altro
canto, posero ancora maggior pressione verso un rapido approntamento del Romolo e del gemello Remo.
Le prove di collaudo
e l’addestramento dell’equipaggio furono condotti molto più affrettatamente
rispetto alla norma, riducendo i tempi al minimo, perché in quel momento
critico della guerra l’impiego del Romolo
e del Remo era urgentemente richiesto
per trasportare minerali provenienti dalle miniere della Sardegna: piombo, rame
ed antimonio. L’addestramento degli equipaggi fu quindi svolto
contemporaneamente all’esecuzione stessa delle prove e dei lavori di messa a
punto, nei limiti in cui il cangiante stato di approntamento dei sommergibili
lo permetteva. Tutto si svolse tanto freneticamente che tra la data di consegna
alla Regia Marina e quella di partenza per la prima missione Romolo e Remo non poterono nemmeno effettuare la programmata foto ufficiale.
L’addestramento
dell’equipaggio del Romolo, condotto
a ritmo particolarmente intenso, venne prolungato di qualche giorno per via dei
lavori che si erano resi necessari in seguito ai collaudi; solo su insistenza
del comandante, capitano di corvetta Alberto Crepas, si ottenne di effettuare
almeno un’uscita in mare di dieci ore da riservarsi interamente ed esclusivamente
all’addestramento, l’unica, che fu svolta il 12 luglio, appena tre giorni prima
della partenza per la prima missione. Pur essendo l’addestramento durato molto
meno del solito, il grado di preparazione raggiunto dall’equipaggio venne
giudicato dal comandante, capitano di corvetta Alberto Crepas, come
«sufficiente e soddisfacente». O almeno così sostenne, nel suo rapporto a
Mussolini del 22 luglio 1943, l’ammiraglio Arturo Riccardi: ma sull’effettivo
grado di preparazione dell’equipaggio, dopo un addestramento svolto in tempi
così brevi e nelle condizioni sopra descritte, si possono esprimere seri dubbi.
La Commissione d’Inchiesta Speciale istituita sulla perdita del sommergibile,
nel dopoguerra, valutò assai diversamente il grado di efficienza del battello e
di addestramento dell’equipaggio.
Dato il delicato
incarico che sarebbe stato affidato ai due sommergibili, come comandanti erano
stati scelti ufficiali di comprovate capacità (il comandante Crepas del Romolo era un veterano della battaglia
dell’Atlantico, dove aveva colto alcuni successi al comando del sommergibile Argo), e gli equipaggi erano stati
selezionati tra marinai veterani, molti di essi già imbarcati in precedenza su
altri sommergibili impiegati in missioni di trasporto; ma sarebbe occorso più
tempo per un adeguato affiatamento tra gli uomini e per una buona
familiarizzazione con gli apparati delle nuove unità.
Per Romolo e Remo era previsto al più presto il trasferimento in Mar Tirreno, in
preparazione del loro impiego nei collegamenti con le isole maggiori, Sardegna
in primis. La navigazione di trasferimento sarebbe dovuta avvenire secondo le
norme della navigazione occulta, vale a dire in superficie di notte ed in
immersione di giorno; lo sbarco angloamericano in Sicilia aveva tuttavia
comportato un incremento nell’azione antisommergibili delle forze Alleate nella
zona che i due sommergibili avrebbero dovuto inevitabilmente attraversare. La
situazione andava peggiorando di giorno in giorno: sempre più frequenti ed
estesi pattugliamenti di motosiluranti nemiche, ricognizione area sempre più
continua e capillare, avvistamenti di sommergibili avversari nelle acque della
Calabria.
Il 14 luglio
Maricosom annunciò al II Gruppo Sommergibili di Napoli il prossimo
trasferimento di Romolo e Remo in quella sede, e lo stesso mattino
il IV Gruppo Sommergibili di Taranto riferì a Supermarina e Maricosom che Romolo e Remo sarebbero stati pronti da mezzogiorno del giorno seguente. Una
volta giunti a Napoli, avrebbero caricato dei rifornimenti che avrebbero dovuto
trasportare in Sardegna, da dove sarebbero poi rientrati con un carico di
materiale ferroso imbarcato a Cagliari.
Dovendo trasferire i
sommergibili nel Tirreno il prima possibile, e dovendo giocoforza farli passare
nello Stretto di Messina nelle ore diurne (di notte veniva effettuata caccia
antisommergibili da parte delle unità italiane, che non avevano modo,
ovviamente, di distinguere la nazionalità un sommergibile immerso), Supermarina
ordinò al IV Grupsom di Taranto di farli partire non appena fossero stati
pronti; venne deciso che i due sommergibili navigassero in superficie (il Romolo sarebbe dovuto passare per i
punti 39°00' N e 17°40' E, 37°45' N e 16°12' E e poi 37°45' N, 15°45' E, indi
fino al punto «S 1» al largo di Capo dell’Armi, in posizione 37°51' N, 15°41'
E), fino ad un punto convenzionale denominato «M 1» (al traverso Capo Vaticano)
per passare il prima possibile a nord dello stretto di Messina, indi
eseguissero navigazione occulta dal punto «M 1» ad un secondo punto
convenzionale, denominato «B 1» (a sud di Capri), da dove avrebbero raggiunto Napoli.
Dato che il 13 luglio era stato avvistato un sommergibile avversario sotto
costa, nei pressi di Punta Alice, le rotte attraverso i punti intermedi
sarebbero passate al centro del Golfo di Taranto, tenendosi lontane dalla
costa.
Venne chiesta scorta
aerea per entrambi i battelli dall’alba del 16 luglio fino al transito nello
stretto di Messina, ma la richiesta fu respinta; in considerazione di ciò, e
del fatto che il 16 sarebbe dovuto passare nello stretto il sommergibile Ambra (diretto verso sud), scortato da
tre motosiluranti in funzione antisommergibili, alle 12.30 del 15 luglio
Supermarina decise che Romolo e Remo svolgessero navigazione occulta
anche in Mar Ionio, fino a sudovest della Calabria (zona più pericolosa per gli
attacchi aerei angloamericani), accettando che l’arrivo a Napoli avvenisse con
un giorno di ritardo, se necessario.
Inizialmente era
previsto che il Romolo partisse per
primo, ma poco prima della partenza si verificò un’avaria al motore elettrico
del timone verticale, che dovette essere riparata in fretta e furia, ritardando
la partenza del sommergibile. La precedenza venne allora data al Remo, che partì alle 11 del 15 luglio,
mentre il Romolo sarebbe dovuto
partire alle 15 o 16, una volta riparata l’avaria.
Dettaglio del varo del Romolo – la parte centrale con la torretta (da www.sommergibili.com) |
E così, nel
pomeriggio del 15 luglio 1943, dopo meno di un mese dalla sua consegna alla
Regia Marina, il Romolo, al comando
del capitano di corvetta Alberto Crepas, lasciò Taranto per la prima volta,
diretto a Napoli.
A bordo c’erano in
tutto 62 uomini: 60 membri dell’equipaggio (7 ufficiali, 13 sottufficiali e 40
tra sottocapi e marinai) e due operai civili militarizzati, Giulio Fiumi e
Sante Zavatta. Questi ultimi, la cui presenza – e morte – a bordo del Romolo sembra essere ignorata da quasi
tutte le fonti che riportano della perdita di questo sommergibile, erano un
operaio montatore di garanzia dei cantieri Tosi ed un operaio montatore della
ditta Calzoni, imbarcati soltanto per il trasferimento da Taranto a Napoli.
La partenza poté
avvenire soltanto 17.26, con un ritardo di due ore rispetto ai programmi, una
volta riparato il motore elettrico del timone verticale e sbarcati gli operai
dei cantieri Tosi che l’avevano eseguita (ma non Giulio Fiumi e Sante Zavatta,
che rimasero a bordo). Lasciata la banchina sommergibili ed uscito dal porto,
il Romolo passò alle 18.30 presso il
punto «A 2», in cui cominciava la rotta di sicurezza, navigando in superficie.
Alle 20 dello stesso
giorno, per i descritti più sopra (decisione di Supermarina delle 12.30 sul
prolungamento della navigazione occulta), venne ordinato al Romolo di eseguire navigazione occulta,
regolando la navigazione per trovarsi alle 5 del 17 sul meridiano 16° E, da
dove avrebbe dovuto eseguire navigazione in immersione anche di notte, per poi
emergere a 6 miglia per 212° da Reggio Calabria alle 19 del 17. Qui il Romolo avrebbe incontrato un
cacciasommergibili tipo VAS (Vedetta Anti Sommergibili), che lo avrebbe
scortato fino a nord dello Stretto di Messina.
Alle 13.37 del 16
luglio, dato che l’incrociatore leggero Scipione
Africano sarebbe dovuto transitare anch’esso nello stretto di Messina (per
spostarsi, nel suo caso, dal Tirreno allo Ionio, dove doveva raggiungere
Taranto), su richiesta di Supermarina venne ordinato al Romolo di regolare la navigazione in modo da trovarsi sul meridiano
16°06’ E alle tre di notte del 17, cominciando in quell’ora la navigazione in
immersione verso lo Stretto di Messina (per una versione, tale ordine sarebbe
stato trasmesso su onda corta il 15 luglio e poi su onda lunga il 16). Per il
resto, gli ordini sull’orario e posizione di emersione davanti a Reggio
Calabria restavano invariati. Marina Messina venne avvisata che, per via della
lunga navigazione subacquea conseguente a questi nuovi ordini, il sommergibile
sarebbe potuto arrivare all’incontro con la VAS di scorta con un ritardo di
ventiquattr’ore.
Secondo alcune fonti,
che però non sembrano confermate da alcuna documentazione ufficiale, gli
Alleati, temendo che Romolo e Remo potessero essere utilizzati per
trasportare in Giappone “armi segrete” in corso di sviluppo in Germania (o
materiali necessari a realizzarle), avevano attivato la loro rete di spionaggio
per controllare i movimenti dei due sommergibili da trasporto, preparandosi a
neutralizzarli non appena avessero lasciato il porto. Sarebbero stati dunque
predisposti agguati di sommergibili di base a Malta e preparati all’attacco gli
aerei nelle basi appena conquistate, in Sicilia, di Comiso e Pachino. Ma, come
detto, non risulta nulla di ufficiale; si sa soltanto che “ULTRA”, il servizio
di decrittazione britannico dei messaggi in codice dell’Asse, intercettò un
messaggio di Maricosom (il Comando della flotta subacquea italiana) delle 13.45
del 16, che riferiva che Remo e Romolo avrebbero dovuto superare il
meridiano 16°06’ E rispettivamente alle due ed alle tre di notte del 17. Questa
intercettazione, tuttavia, non sembra aver avuto alcun impatto sulla loro
perdita: quando essa avvenne il Remo
era già stato affondato, mentre la perdita del Romolo, come si vedrà, fu dovuta quasi certamente a cause non
collegate ad azione offensiva da parte angloamericana.
Come che siano andate
le cose, la prima missione del Romolo
fu anche l’ultima: dopo la partenza da Taranto, il sommergibile non diede mai
più notizia di sé. Ultima informazione certa al riguardo è il suo passaggio
presso il punto «A 2» alle 18.30 del 15 luglio, poi più nulla. Di certo non raggiunse
mai lo stretto di Messina; il 5 agosto 1943 Supermarina dichiarò il Romolo «ufficialmente perduto», e
l’equipaggio venne considerato disperso in tale data.
Anche il Remo, partito poche ore prima del Romolo, andò perduto lo stesso giorno
della partenza, affondato dal sommergibile britannico United nel Golfo di Taranto.
Scomparve col Romolo l’intero equipaggio:
Giuseppe Aquilina, secondo capo motorista
Giovanni Aurilia, sottocapo silurista
Giancarlo Bagnasco, guardiamarina (ufficiale
di rotta)
Alfredo Barone, sottocapo motorista
Umberto Biondi, capo nocchiere di terza classe
Alfio Bonanni, marinaio
Federico Brancati, sottocapo radiotelegrafista
Ugo Busarello, marinaio cannoniere
Angelo Calò, marinaio nocchiere
Aldo Camagni, marinaio elettricista
Mauro Capece, marinaio nocchiere
Pasquale Carreras, sottocapo silurista
Cornelio Cazzanelli, marinaio
Sergio Cecchi, capitano del Genio Navale
(direttore di macchina)
Lorenzo Colacicco, secondo capo furiere
Giuseppe Colombo, sottocapo torpediniere
Lauro Coppola, secondo capo cannoniere
Alberto Crepas, capitano di corvetta
(comandante)
Raffaele Cuben, sottocapo motorista
Giuseppe Cundari, sottocapo cannoniere
Carlo Dal Pino, tenente di vascello
(comandante in seconda)
Rolando Donati, marinaio motorista
Antonio Finotti, marinaio finotti
Giulio Fiumi, operaio militarizzato
Angelo Fusari, marinaio cannoniere
Pietro Gambarano, marinaio silurista
Mauro Gasparotti, sergente nocchiere
Marco Gianola, sottocapo meccanico
Faone Grasselli, sottocapo radiotelegrafista
Simone Iannuzzi, sottocapo radiotelegrafista
Carlo Licari, sergente meccanico
Angelo Lippo, marinaio elettricista
Guglielmo Lucchini, secondo capo elettricista
Carmelo Luparelli, secondo capo silurista
Luigi Macculi, sottocapo radiotelegrafista
Giordano Macorini, marinaio motorista
Michele Mangarella, marinaio fuochista
Ugo Mannucci, marinaio fuochista
Sebastiano Mondi, marinaio nocchiere
Edoardo Moscatelli, capo motorista di prima
classe
Giuseppe Nichil, sottocapo fuochista
Donato Orlando, marinaio furiere
Orlando Orsucci, marinaio silurista
Dario Pacini, sergente elettricista
Mario Pepe, marinaio silurista
Salvatore Pezzino, tenente del Genio Navale
(sottordine di macchina)
Amodio (o Amadio) Polini, sottocapo nocchiere
Renato Pollice, sottocapo segnalatore
Giulio Ragazzini, sottocapo cannoniere
Renzo Razzi, sottocapo elettricista
Aldo Rebuffi, sottotenente del Genio Navale
(sottordine di macchina)
Enzo Rizzato, secondo capo radiotelegrafista
Vincenzo Rizzi, marinaio cannoniere
Francesco Rizzo, sergente elettricista
Giuseppe Salmeri, marinaio nocchiere
Domenico Sassi, sottocapo silurista
Trieste Sergi, marinaio nocchiere
Guerrino Tommasin, secondo capo motorista
Fausto Trabalza, sottocapo radiotelegrafista
Lucio Turba, aspirante guardiamarina
(ufficiale sottordine)
Luigi Xella, marinaio cannoniere
Sante Zavatta, operaio militarizzato
Le cause della
scomparsa del Romolo rimangono
avvolte dal mistero. Una settimana dopo la loro partenza da Taranto, il 22
luglio 1943, il capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Arturo
Riccardi, consegnò a Benito Mussolini (che appena tre giorni dopo sarebbe stato
rimosso dal potere) un rapporto sulla perdita del Romolo e del Remo. Veniva
esclusa la possibilità dell’urto contro una mina, per via dei fondali troppo
profondi sui quali si sarebbe dovuta svolgere la navigazione (impossibile
ancorarvi delle mine); un attacco di motosiluranti era ritenuto improbabile, in
quanto si riteneva che esse fossero state concentrate a Capo dell’Armi per
attaccare lo Scipione Africano (che
nelle prime ore del 17 era stato assalito da alcune motosiluranti,
respingendole ed affondandone una) e non ne erano state avvistate da
nessun’altra parte. Un attacco aereo era considerato possibile, dato che un
sommergibile italiano era già stato affondato, e diverse altre unità seriamente
danneggiate, da aerei nemici nella zona considerata; d’altro canto, di solito
venivano sempre intercettate e decifrate comunicazioni degli aerei nemici che
riferivano di avvistamenti ed attacchi ai danni di sommergibili, mentre questa
volta non si era intercettata nessuna comunicazione che potesse fare riferimento
ad un attacco ai danni del Romolo (o
del Remo). L’azione di sommergibili
era ritenuta la causa più probabile, dato anche che un sommergibile nemico era
stato avvistato sotto costa a Punta Alice. Anche per questo motivo, le rotte
che Romolo e Remo avrebbero dovuto seguire erano state spostate più al centro
del Golfo di Taranto; nel rapporto di Riccardi si ipotizzava tuttavia che, dopo
il bombardamento navale di Crotone del 22, il sommergibile avvistato a Punta
Alice potesse aver avuto ordine di portarsi al centro del Golfo di Taranto per
poi spostarsi verso Taranto per tener d’occhio gli spostamenti delle navi da
battaglia italiane; durante tali spostamenti, sarebbe stato assai probabile che
il battello nemico incontrasse il Romolo
e/o il Remo, che le loro grandi
dimensioni rendevano peraltro facilmente avvistabili.
Nel dopoguerra,
tuttavia, la consultazione della documentazione britannica mostrò che, mentre
il Remo era stato effettivamente
affondato da un sommergibile (c’erano stati anche quattro sopravvissuti, che
poterono raccontare quanto era accaduto), nessun battello nemico aveva compiuto
attacchi che potessero aver portato alla perdita del Romolo.
Sulla sparizione del Romolo venne istituita una Commissione
d’Inchiesta Speciale (C.I.S.), che esaminò tutte le informazioni disponibili
sull’ultimo viaggio dello sfortunato battello. Il fatto che non fosse giunto
davanti a Reggio Calabria alle 19 del 17 luglio venne imputato alla restrizione
della navigazione occulta fino alle 3 del 17 e poi per la navigazione in
immersione anche nelle ore notturne, il che avrebbe potuto causare
l’accumulazione di un serio ritardo, facendo perdere al Romolo il previsto appuntamento a Reggio. La stessa Supermarina
aveva considerato questa eventualità, ed il 18 luglio 1943 aveva informato
Marina Messina che il Romolo sarebbe
potuto giungere all’appuntamento col VAS di scorta, nel punto previsto in cui
sarebbe dovuto emergere al largo di Reggio Calabria, con un ritardo di
ventiquattr’ore.
Il 1° agosto 1947 il
Naval Intelligence Department della U.S. Navy trasmise all’Ambasciata italiana un
rapporto relativo ad un attacco aereo, compiuto da un bombardiere Vickers
Wellington del 221st Squadron, l’HZ 116 "B" (sottotenente
Austin), alle 3.20 del 18 luglio 1943, a sud di Capo Spartivento. Decollato da
Malta alle 00.50 del 18 luglio, alle 3.20 il Wellington aveva attaccato in
posizione 37°20’ N e 16°15’ E un sommergibile del dislocamento stimato di mille
tonnellate e di colore scuro che navigava in superficie, sganciando un grappolo
di cinque bombe da 250 libbre. Il grappolo aveva inquadrato il sommergibile,
esplodendo tutt’intorno (una bomba a sinistra della torretta, un’altra 6 metri
a dritta della prua, un’altra ancora a nove metri dallo scafo), ed una singola
bomba era esplosa sotto il suo scafo; apparentemente impossibilitato ad
immergersi a causa dei danni subiti, il sommergibile aveva reagito col fuoco di
una mitragliera era rimasto immobile per una ventina di minuti, poi aveva
rimesso in moto seguendo una rotta irregolare verso la costa (circa 010°), a
bassa velocità (3-5 nodi), lasciandosi alle spalle abbondanti quantità di motorina
(evidentemente fuoriuscita dai serbatoi danneggiati). Il Wellington aveva
seguito il sommergibile per due ore e mezza; l’ultima volta che lo aveva visto,
alle 5.50, questi era ancora a galla ed in moto, ad una quindicina di miglia
dalla costa. L’esito di questo attacco era stato valutato dai britannici come
probabile lieve danneggiamento di un U-Boot tedesco.
Da parte italiana, la
C.I.S. ritenne che il sommergibile attaccato dall’aereo di Austin fosse proprio
il Romolo: la successiva sparizione e
la mancanza di sopravvissuti, nonostante il tempo buono e la vicinanza della
costa, erano attribuite ad un affondamento repentino per probabile esplosione
interna, nel locale batterie (si riteneva che al momento dell’attacco le
batterie fossero sotto carica, con produzione di idrogeno) o nel deposito
munizioni (od anche delle bombole dell’aria compressa), verificatasi in un
secondo tempo (dopo che l’aereo se ne era andato) per conseguenza dei danni
subiti nell’attacco.
Il fatto che il
presunto Romolo stesse navigando in
superficie, il 18 luglio, al largo di Capo Spartivento venne giustificato con
qualche evento che doveva aver reso impossibile, per il sommergibile, di
rispettare l’ordine di navigare in immersione dalle 3 del mattino del 17, di
trovarsi a quell’ora presso il meridiano 16°06’E e di raggiungere poi, alle 19
del 17 luglio, il punto di emersione e di appuntamento con la scorta davanti a
Reggio Calabria. La C.I.S. ipotizzò che durante la navigazione di trasferimento
il Romolo dovesse essere incorso in
qualche avaria, del tutto possibile per un sommergbile alla sua prima missione
di guerra, che avesse provocato un ritardo e l’avesse costretto a navigare in
superficie per provvedere alle riparazioni; oppure, che la restrizione relativa
alla navigazione occulta fosse all’origine del presunto ritardo, che avrebbe
portato il sommergibile a navigare in superficie per ricaricare le batterie. Le
coordinate dal Wellington come posizione dell’attacco, indicando un punto
distante oltre 40 miglia dalla costa (dove il Romolo non sarebbe mai dovuto essere), vennero attribuite ad un
errore dell’equipaggio del velivolo.
Nel 1949 l’ammiraglio
Raffaele De Courten convalidò le conclusioni della Commissione d’Inchiesta
Speciale ed elogiò il comportamento del comandante Crepas (che aveva sempre
prestato servizio di guerra al comando di sommergibili nonostante soffrisse di una
osteoartrosi deformante del tratto lombare della colonna vertebrale) e del suo
equipaggio, proponendo per il primo la Medaglia d’Argento al Valor Militare e
per gli altri la Croce di Guerra al Valor Militare.
Dettaglio del varo del Romolo – la prua (da “Gli squali dell’Adriatico” di Alessandro Turrini, Vittorelli Edizioni, 1999) |
Un dettagliato
articolo AIDMEN (Associazione Italiana Documentazione Marittima E Navale) del
2015, a firma del ricercatore Domenico Clarizia, tuttavia, mette in dubbio le
conclusioni della Commissione d’Inchiesta Speciale.
In primo luogo, la
posizione in cui si verificò l’attacco del Wellington, 37°20’ N e 16°15’ E
(circa 45 miglia a sud di Capo Spartivento), risulta – come già detto – troppo
lontana dalla rotta che il Romolo
avrebbe dovuto seguire: risulta del tutto improbabile che il sommergibile
potesse venirsi a trovare in quella posizione, attenendosi alle disposizioni
ricevute circa la rotta da seguire. Come già accennato, la C.I.S. aveva
“risolto” questa incongruenza ipotizzando che, dato che nel rapporto del Naval
Intelligence Department dell’U.S. Navy risultava che il Wellington avesse
seguito il sommergibile per un paio d’ore, lasciandolo a 15 miglia dalla costa,
la posizione indicata non sarebbe stata attendibile. Ma questa conclusione
sembra posare su presupposti alquanto labili.
Inoltre, gli ordini
impartiti al Romolo alla partenza
erano di navigare in superficie fino al traverso di Capo Vaticano e
attraversare lo stretto di Messina il 16 luglio, ordini poi modificati per due
volte, dopo la partenza, con la disposizione che il sommergibile effettuasse
navigazione occulta ed in immersione in modo da trovarsi all’altezza di Capo
Spartivento prima alle cinque del mattino del 17, e poi (seconda modifica) alle
tre di notte dello stesso giorno. Per poter essere nella posizione in cui si
trovava il sommergibile attaccato dal Wellington, all’ora in cui avvenne
l’attacco (3.20 del 18), il Romolo avrebbe
dovuto essere in ritardo di circa ventiquattr’ore. La Commissione d’Inchiesta
Speciale aveva ipotizzato, a questo proposito, che il Romolo avesse effettivamente accumulato tale ritardo a causa di
qualche avaria o di altri ritardi nella navigazione; ma non si spiega perché il
Romolo, che doveva avere un
appuntamento con una VAS per attraversare lo stretto di Messina, non abbia
annunciato tale ritardo (che poteva avere gravi conseguenze) via radio. Se
anche la radio fosse stata in avaria, il sommergibile avrebbe potuto
raggiungere Crotone per riferire delle avarie ed eventualmente richiedere
assistenza.
Dalla documentazione
britannica, risultano due attacchi svolti da aerei ai danni di sommergibili in
Mar Ionio, ad est della Sicilia, tra il 17 ed il 18 luglio 1943: uno è il
citato attacco svolto dal Wellington di Austin; l’altro, un attacco svolto dal
Wellington MP 617 "K" del 221st Squadron R.A.F. (tenente W.
Lewis) che, decollato da Malta alle 20.44 del 17, alle 22.30 attaccò in
posizione 37°19’ N e 16°41’ E un grosso sommergibile italiano col lancio di
cinque bombe di profondità, una delle quali esplose sotto lo scafo del
sommergibile, che venne anche mitragliato dall’aereo (che mise a segno vari
colpi alla base della torretta). Dopo l’attacco, il sommergibile rimase in
superficie, girando in cerchio come se fosse fuori controllo, mentre fumo e
vapori uscivano dalla torretta. L’ultima volta che fu visto dall’aereo, il
sommergibile era ancora in superficie, su rotta 047°; alcuni
cacciatorpediniere, guidati sul posto dalle segnalazioni del Wellington, non
riuscirono a trovarlo. Da parte britannica si ritenne che il Wellington avesse
probabilmente danneggiato gravemente un U-Boot tedesco. È interessante notare
che la storiografia ufficiale neozelandese, nel capitolo 7 (“Sicily”) del terzo
volume dell’opera “New Zealanders with the Royal Air Force”, scritta dal
colonnello H. L. Thompson ed edita dal Department of Internal Affairs di
Wellington, menziona questo attacco come diretto contro il Romolo, aggiungendo che cinque ore dopo il sommergibile fu
nuovamente attaccato da un Wellington del 221st Squadron
(evidentemente quello di Austin), subendo ulteriori danni. Da parte
neozelandese si ritiene quindi che entrambi gli attacchi di quella notte
fossero stati diretti contro lo stesso sommergibile, e che questi fosse il Romolo, del quale Thompson scrive
inoltre: “Durante le successive quarantott’ore, dei Baltimore avvistarono per
due volte il Romolo che avanzava
lentamente a quota periscopica, ma non raggiunse mai il porto e non ci furono
sopravvissuti”. In realtà, che il sommergibile attaccato dall’aereo di Lewis
non potesse essere il Romolo lo si
nota anche da un particolare menzionato dalla stessa storia ufficiale
neozelandese: dopo lo sgancio delle bombe da parte di Lewis, il sommergibile
aprì il fuoco con il cannone di poppa. Ma i sommergibili classe R non avevano
alcun cannone di poppa: l’avevano, invece, i sommergibili della classe
Marcello, cui apparteneva il Dandolo,
il vero sommergibile attaccato da Lewis.
Da parte dell’Asse, infatti,
vengono registrati due attacchi verificatisi ai danni di sommergibili nella
zona “incriminata” e nei giorni in cui scomparve il Romolo: uno contro il sommergibile Dandolo, che alle 22.25 del 17 fu assalito nel punto 37°22’ N e 16°52’
E da un velivolo che gli sganciò contro sei bombe, danneggiandolo gravemente e
costringendolo a rifugiarsi a Crotone; l’altro contro il sommergibile Ambra, che alle 3.20 del 18 fu attaccato
45 miglia a sud di Capo Spartivento da un aereo che gli sganciò contro sei
bombe (che esplosero vicinissime, ai lati del sommergibile, sotto lo scafo),
danneggiandolo gravemente e mettendolo nell’impossibilità d’immergersi. Rimasto
inizialmente immobilizzato, l’Ambra
era riuscito faticosamente a rimettere in moto dopo un po’, ed a raggiungere
Messina.
Dal confronto tra
orari e posizioni degli attacchi, risulta piuttosto evidente che i due attacchi
eseguiti dai Wellington tra la sera del 17 e la notte seguente coincidono alla
perfezione con i due attacchi riportati da Dandolo
ed Ambra: il Dandolo era il sommergibile attaccato dall’aereo di Lewis alle
22.25/22.30 del 17, mentre l’attacco cui la C.I.S. aveva attribuito la perdita
del Romolo, eseguito alle 3.20 del 18
dal Wellington del sottotenente Austin, era stato in realtà diretto contro l’Ambra, che aveva subito gravi danni ma
era sopravvissuto. Anche i dettagli tra i rapporti di Austin e dell’Ambra (bombe esplose tutt’attorno e
sotto lo scafo, sommergibile impossibilitato ad immergersi e temporaneamente
immobilizzato) combaciano.
Viene così a perdere
ogni fondamento la conclusione della Commissione d’Inchiesta Speciale, finora
sempre riportata da tutte le fonti, secondo cui il Romolo sarebbe stato affondato da un attacco aereo il 18 luglio
1943: quell’attacco aereo aveva in realtà danneggiato gravemente l’Ambra, e nulla centrava col Romolo. Dato che non esistono notizie di
altri attacchi aerei eseguiti in ora e luogo compatibili con la scomparsa del Romolo, l’attacco aereo non risulta più
una ipotesi plausibile.
Dal momento che non
vi sono nemmeno rapporti di sommergibili, navi di superficie o motosiluranti,
tra il 15 ed il 17 luglio 1943, che riferiscano di attacchi lungo la rotta che
il Romolo avrebbe dovuto seguire, le
cause della perdita del sommergibile rimangono del tutto sconosciute.
Considerati
l’affrettato allestimento dell’unità ed altrettanto sbrigativo addestramento
dell’equipaggio, di cui si è già parlato, e l’avaria al timone verticale prima
della partenza, frettolosamente riparata, non sembra inverosimile che il Romolo possa essere andato perduto per
un incidente.
Sulla probabilità di
tale causa convergono sia Clarizia che lo storico Francesco Mattesini ed un
altro ricercatore, Platon Alexiades. Quest’ultimo analizza più a fondo le
possibili cause della perdita del Romolo:
in particolare, una vaga possibilità potrebbe essere rappresentata anche da un
campo minato che il sommergibile britannico Rorqual
aveva posato, il 15 maggio 1943, ad un paio di miglia da Punta Stilo. Queste
mine erano regolate per “autoaffondarsi” il 21 giugno (ed alcune di esse erano
state frattanto dragate da dragamine italiani), dunque in teoria non avrebbero
più dovuto esserci al momento del passaggio del Romolo, e per giunta il Romolo
sarebbe dovuto passare a quasi 15 miglia da Punta Stilo. Esiste però la
possibilità che alcune delle mine non si siano autoaffondate come programmato
(non sempre il dispositivo di autoaffondamento funzionava), e che il comandante
del Romolo possa aver deciso di
passare più vicino alla costa (ad esempio, per recuperare un po’ di tempo,
essendo in ritardo sulla tabella di marcia), così finendo su una mina ancora
funzionante. Ma le probabilità che entrambe queste condizioni si siano
verificate sono piuttosto basse. Altra possibilità da considerare è che il Romolo sia finito accidentalmente su un
campo minato difensivo italiano mentre si allontanava da Taranto; ma la rotta
che avrebbe dovuto seguire passava piuttosto lontano da tali campi minati,
anche se non si può del tutto escludere la possibilità dell’urto contro una
mina alla deriva.
Infine, l’ipotesi
forse più probabile, è quella di un incidente in fase immersione, considerando
sia i già citati problemi relativi all’efficienza dell’unità, all’addestramento
dell’equipaggio ed all’avaria occorsa prima della partenza, sia il fatto che i
sommergibili classe R avevano un sistema per l’immersione con caratteristiche
differenti rispetto a quello in uso sugli altri sommergibili italiani, al fine
di garantire un’immersione più rapida.
Cosa sia
effettivamente accaduto al Romolo,
con ogni probabilità, è destinato a rimanere un quesito insoluto.
(Coll. Erminio Bagnasco, via Maurizio Brescia e www.associazione-venus.it) |
Nessun commento:
Posta un commento