Il Giuseppe La Masa, verosimilmente nei primi anni di servizio (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
Torpediniera, già
cacciatorpediniere, capoclasse della classe omonima (dislocamento standard 660
tonnellate, in carico normale 840 tonnellate, a pieno carico 875 tonnellate).
Le unità della classe
La Masa, facente parte della lunga serie delle “tre pipe” (così chiamate per
via dei loro tre alti e snelli fumaioli), erano sostanzialmente una
riproduzione della precedente classe Sirtori,
dalla quale differivano nell’armamento principale: mentre i Sirtori erano armati con sei cannoni
singoli da 102/35 mm, l’armamento dei La Masa consisteva in quattro pezzi
singoli da 102/45 Schneider-Armstrong 1917 (più moderni dei 102/35: il numero
era stato ridotto da sei a quattro per via del maggiore peso dei pezzi da
102/45, ma, disponendo i due cannoni poppieri lungo l’asse centrale, la bordata
non era stata ridotta) e due cannoncini contraerei Armstrong da 76/40 mm, oltre
a due mitragliere singole Colt da 6,5/80 mm. Invariato l’armamento silurante, 4
tubi lanciasiluri da 450 mm in impianti binati.
In generale, le unità
di questa classe – ultimi cacciatorpediniere italiani ad entrare in servizio
durante la prima guerra mondiale: alcuni, anzi, furono completati a guerra già
finita – non rappresentarono un’evoluzione rispetto alle precedenti classi Pilo e Sirtori, alle quali erano quasi del tutto uguali. Come questi
ultimi, erano attrezzati anche per la posa di mine ed il dragaggio in corsa, e
muniti di tramogge per bombe torpedini da getto.
I cannoni da 76/40
vennero eliminati all’inizio del secondo conflitto mondiale, e tra la fine del
1941 e l’inizio 1942 l’armamento artiglieresco subì un decremento a favore di
un maggiore armamento contraereo: entro la fine del 1942, il La Masa risultava armato con un unico
cannone da 102/45 mm (situato sul castello di prua), quattro mitragliere
contraeree binate da 20/65 mm, tre tubi lanciasiluri da 533 mm (in un unico
impianto trinato collocato a centro nave, a poppavia del terzo fumaiolo, lungo
l’asse centrale) e due da 450 mm (un impianto binato, a poppa). Tale armamento,
sperimentale, fu peculiare del solo La
Masa e del gemello Carini, mentre
le altre unità della classe mantennero un maggiore numero di cannoni da 102/45,
pur subendo varie modifiche all’armamento.
La classe La Masa
contava in tutto otto unità: una, il Benedetto
Cairoli, andò perduta per collisione nella prima guerra mondiale, mentre le
rimanenti sette, declassate nel 1929 a torpediniere, combatterono anche nella
seconda guerra mondiale, nella quale cinque di esse andarono perdute.
Durante la seconda
guerra mondiale il Giuseppe La Masa
operò prevalentemente in Mar Tirreno (secondo una fonte avrebbe anche compiuto
qualche missione di scorta sulle rotte per l’Albania e la Grecia), con compiti
di scorta e di soccorso.
Breve e parziale cronologia.
1° settembre 1916
Impostazione nei
cantieri Odero di Sestri Ponente.
6 settembre 1917
Varo nei cantieri
Odero di Sestri Ponente.
28 settembre 1917
Entrata in servizio.
23-24 aprile 1918
Il La Masa, insieme al cacciatorpediniere Pilade Bronzetti, agli esploratori Carlo
Mirabello ed Alessandro Poerio ed ai
cacciatorpediniere Cimeterre (francese), Torrens, Comet, Alarm, Redpole e Rifleman (tutti britannici), esce in mare per porsi
all’inseguimento dei cacciatorpediniere austroungarici Triglav, Csepel, Uzsok, Lika e Dukla, che hanno attaccato lo sbarramento del canale d’Otranto
e danneggiato gravemente i cacciatorpediniere britannici Hornet e Jackal, intervenuti per fermarli. Tra le navi italiane, il La Masa è l’ultimo a prendere il mare,
salpando da Brindisi, preceduto nell’ordine da Bronzetti, Mirabello (con
a bordo il contrammiraglio Guido Biscaretti, comandante della IV Divisione) e Poerio; il La Masa esce in mare poco dopo Mirabello
e Poerio, che sono partiti insieme Da
Valona esce anche l’incrociatore leggero britannico Gloucester.
A causa della loro
posizione, sfavorevole ad un’intercettazione, le navi italo-franco-britanniche
non riescono a raggiungere quelle austroungariche prima che esse rientrino in
porto.
25 maggio 1918
La Masa, Bronzetti, Poerio e Mirabello (con a bordo il contrammiraglio Leopoldo Notarbartolo,
comandante della IV Divisione) lasciano Brindisi per dare la caccia a cinque
unità austroungariche avvistate e segnalate da cacciatorpediniere britannici,
ma senza risultato.
1-2 luglio 1918
Il La Masa ed altri sei
cacciatorpediniere – Audace, Francesco Stocco, Giuseppe Sirtori, Giuseppe Missori, Giovanni Acerbi e Vincenzo
Giordano Orsini – danno appoggio a distanza alle torpediniere 64 PN, 65 PN, 66 PN, 40 OS, 48 OS, Climene e Procione (le ultime due d’alto
mare, con sola funzione d’appoggio alle altre, costiere) mentre procedono
lentamente tra Cortellazzo e Caorle bombardando le linee austroungariche,
simulando inoltre uno sbarco (con le torpediniere 15 OS, 18 OS e 3 PN che rimorchiano alcuni finti
pontoni da sbarco) per distogliere l’attenzione delle forze nemiche e così
favorire l’avanzata di quelle italiane (Reggimento Marina e 64° e 65°
Reggimento Bersaglieri), sul fronte del Piave. I cacciatorpediniere italiani
s’imbattono inoltre negli austroungarici Csikós e Balaton e
nelle torpediniere TB 83F e TB 88F, partite da Pola nella tarda
serata del 1° luglio per supportare un’incursione aerea su Venezia e giunte in
zona dopo aver superato l’attacco di un MAS (che ha lanciato un siluro contro
il Balaton, che ha una caldaia
guasta) all’alba del 2 luglio. Le unità italiane avvistano quelle nemiche alle
3.10 ed aprono il fuoco, dopo di che anche le siluranti austroungariche
iniziano a sparare: nel breve scambio di colpi le unità nemiche, soprattutto il Balaton (che si è portato nel colmo
dello scontro, lasciando indietro le altre tre), subiscono alcuni danni, ma
anche lo Stocco viene
colpito, con alcuni morti e feriti tra l'equipaggio ed un incendio a bordo che
lo obbliga a fermarsi (dopo aver evitato due siluri con la manovra), e l'Acerbi si deve fermare per fornire
aiuto all’unità gemella. Il Balaton,
centrato più volte in coperta a prua, si porta in posizione più avanzata,
mentre La Masa, Audace e Missori combattono contro il Csikós e le due torpediniere, rimaste indietro: da entrambe le
parti si lanciano infruttuosamente siluri, mentre il Csikós viene colpito da un proiettile nel locale caldaie
poppiero ed anche le due torpediniere ricevono un colpo ciascuna. Dopo qualche
tempo le unità italiane si allontanano per riprendere il loro ruolo, mentre
quelle austroungariche tornano a Pola.
1° novembre 1918
Il La Masa fa parte della III Squadriglia
Cacciatorpediniere (insieme ai gemelli Nicola
Fabrizi, Rosolino Pilo e Giuseppe Missori), la quale, unitamente alle Squadriglie Cacciatorpediniere
I e V, forma la Flottiglia Cacciatorpediniere dell’Alto Adriatico, con base a
Venezia.
3 novembre 1918
Durante l’offensiva
finale italiana, un giorno prima dell’annuncio dell’armistizio di Villa
Giusti, La Masa, Stocco, Missori, Pilo, Acerbi, Orsini, Audace (al
comando del capitano di corvetta Pietro Starita e con a bordo il capitano di
vascello Giobatta Tanca, comandante dei cacciatorpediniere dell’Adriatico, ed
il pilota Guido Tebaidi, esperto della navigazione tra Cortellazzo e Trieste) e
Fabrizi lasciano Venezia diretti a
Trieste, trasportando il generale Carlo Petitti di Roreto (designato
governatore di Trieste), imbarcato sull’Audace.
(Per altra fonte, Petitti di Roreto era imbarcato proprio sul La Masa, ma si tratta probabilmente di
un errore).
Insieme a loro vi
sono anche le torpediniere d’altura Procione e Climene (partite da Cortellazzo),
mentre li segue un convoglio per trasporto truppe (piroscafetti Istria, Cervignano e Friuli;
vaporetti Sant’Elena, Roma e Clodia ciascuno con 300 uomini; vaporetti lagunari 1, 4, 17, 29, 38, 40, SV1, SV4 e San Secondo,
con 1450 uomini in tutto) scortato dalle torpediniere costiere 1 PN, 4 PN, 40 PN, 41 PN, 64 PN (con a bordo il generale
Coralli, comandante della spedizione, ed il capitano di vascello Cesare
Vaccaneo), 13 OS e 46 OS (40 PN e 41 PN prendono
anche a rimorchio Cervignano e Friuli, unitisi all’ultimo momento,
perché troppo lenti) e protetto anche dalle torpediniere Pellicano e 113 S, dalle cannoniere Brondolo e Marghera e dai dragamine RD 1 e RD 2, che effettuano a coppie il dragaggio della rotta.
Le navi del convoglio
trasportano il 7° e l’11° Reggimento Bersaglieri (generale Felice Coralli), il
Battaglione "Golametto" del Reggimento Marina (capitano di corvetta
Cesare Repetto), la compagnia mitraglieri reggimentale FIAT (sottotenente di
vascello Mario Monti) del reggimento Marina (capitano di vascello Giuseppe
Sirianni) ed alcuni membri di reparti speciali. Scopo di queste truppe – 2600
uomini in tutto, oltre a 200 carabinieri imbarcati sull’Audace – è di procedere all’occupazione di Trieste: il 30
novembre, infatti, è giunta a Trieste la torpediniera ex austroungarica TB 3, recante parlamentari triestini
(italiani ed alcuni jugoslavi) che hanno riferito che i rappresentanti delle
autorità dell’Impero Austro-Ungarico (in rapida disgregazione) hanno lasciato
Trieste, e che la città è governata da un comitato di salute pubblica. Il 1°
novembre, pertanto, il Comando in Capo del Dipartimento di Venezia ha ricevuto
disposizione di procedere all’occupazione della città, operazione che prende il
via appunto il 3 novembre.
Compito del gruppo
dei cacciatorpediniere, che precede il convoglio con le truppe, è di proteggere
quest’ultimo e dragarne la rotta; le mine, unico concreto pericolo della
navigazione (circola anche la notizia che tre sommergibili siano usciti da
Pola, ma essa è priva di fondamento), non provocano problemi (due sole vengono
dragate, al largo di Cortellazzo).
Nell'ultimo tratto
della navigazione, il convoglio è scortato anche da una coppia di idrovolanti:
L7 e L8 al mattino, M28 e M30 al pomeriggio.
Pilotate dalla TB 3, le navi italiane entrano a Trieste
alle 16.10, sbarcandovi 200 carabinieri ed il generale Petitti di Roreto.
Quest’ultimo, appena sceso a terra, prende possesso della città in nome del re
d’Italia, tra la folla festante. Alle 17 l’Istria sbarca
la compagnia mitraglieri, che prende possesso dell’Arsenale militare, ed alle
18 attracca il resto del convoglio, che sbarca le truppe.
L’occupazione della
città non presenta problemi; sono presenti soltanto due torpediniere ex
austroungariche e personale del Comando Marina. Le truppe italiane provvedono
rapidamente a prendere possesso e dei principali edifici pubblici e militari,
oltre che al rimpatrio degli ex prigionieri italiani.
Cartolina commemorativa dell’arrivo
delle navi italiane a Trieste: a sinistra il La Masa, a destra l’Audace
(da www.webalice.it)
|
5 novembre 1918
La Masa, Pilo, Missori, il cacciatorpediniere Giuseppe Cesare Abba e la
corazzata Ammiraglio Saint Bon (con
a bordo l’ammiraglio Umberto Cagni, comandante della formazione), le
torpediniere d’altura Procione, Climene e Pellicano (che dragano la rotta davanti alla formazione), le
torpediniere costiere 2 PN, 3 PN, 4 PN, 10 PN, 16 OS, 41 PN e 64 PN,
quattro MAS ed un rimorchiatore-dragamine salpano da Venezia di prima mattina
dirette a Pola, per procedere all’occupazione della città e piazzaforte già
austroungarica. A bordo delle navi sono imbarcate truppe da sbarco della Marina
e dell’Esercito: sui cacciatorpediniere, quattro compagnie da sbarco della
Marina con alcuni specialisti per le comunicazioni; sulla Saint Bon, un battaglione di fanteria e
100 carabinieri. Il tempo non è dei migliori: nebbia, nuvolaglia, vento di
scirocco, piovaschi e mare lungo.
La formazione supera
gli sbarramenti di Venezia prima delle cinque del mattino, ed alle dieci la
aumenta la velocità, mentre il tempo migliora, anche se non si vede il sole; il
mare si calma. A mezzogiorno, superata una zona minata, le navi italiane
passano davanti a Rovigno,
Alle 13.30 la
formazione entra nel canale di Fasana, e poco dopo l’ammiraglio Cagni dà ordine
sbarcare truppe a Fasana (a cinque chilometri da Pola): prima il capitano di
vascello Foschini, poi le compagnie da sbarco dei cacciatorpediniere, poi i
reparti della Saint Bon. Mentre
le prime compagnie da sbarco – personale del Reggimento Marina – prendono
terra, alle 13.50, Cagni ordina alla 4
PN (tenente di vascello Paolo Maroni; a bordo anche il capitano di
vascello Alessandro Ciano) di precedere le altre navi a Pola, per preannunciare
l’occupazione della città. La torpediniera esegue l’ordine ed entra a Pola alle
14.20. La La Masa (che, avendo a
bordo il capitano di vascello Costanzo Ciano ed un pilota pratico di queste
acque, guida la Saint Bon in porto,
indicandole dove dare fondo) e le altre navi entrano a Pola alle 16, in
linea di fila; in serata giungono anche truppe di terra.
Mentre la popolazione
della città – in maggioranza italiana – accoglie festosamente l’arrivo delle
truppe italiane, il considerevole numero di soldati e (soprattutto) marinai
jugoslavi presenti può presentare un problema per l’occupazione italiana.
L’ammiraglio Metodio
Koch, comandante della neonata flotta jugoslava (sorta il 30 ottobre a seguito
dell’unilaterale cessione della flotta austroungarica al Consiglio Nazionale
dei Serbi, Croati e Sloveni), inizialmente protesta e sostiene che la città di
Pola, le sue fortezze e la flotta già austroungarica appartengono ora alla
Jugoslavia; le clausole dell’armistizio di Villa Giusti, tuttavia, prevedono la
consegna della flotta e l’occupazione interalleata (mentre il Patto di Londra parlava
di occupazione italiana) delle installazioni militari e degli arsenali e
cantieri di Pola (sarà anche la Francia a prendere posizione contro
un’occupazione solamente italiana, anziché da parte delle forze congiunte
dell’Intesa), ma non vi è poi una sostanziale opposizione all’occupazione
italiana. Le fortezze vengono occupate il 6 novembre.
I circa 30.000
militari ex austroungarici presenti in città se ne vanno nei giorni successivi,
mentre l’ammiraglio Cagni assumerà pieni poteri il 7 novembre.
Venezia, 1919: il La Masa ormeggiato accanto ai similari Rosolino Pilo e Giuseppe Missori, della classe Pilo. In primo piano il cacciatorpediniere statunitense Kitty (Coll. Guido Alfano, via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
30 agosto 1923
Nel corso della Crisi
di Corfù, scatenata dall’assassinio (avvenuto ad opera di ignoti, il 27 agosto,
tra Giannina e Santi Quaranta) del generale Enrico Tellini e di una delegazione
italiana che avrebbe dovuto definire i confini tra Grecia ed Albania, il La Masa salpa da Taranto con una
forza navale (composta, oltre che dal La
Masa, dai cacciatorpediniere Giuseppe
Sirtori, Generale Antonio Cantore, Generale
Antonio Chinotto, Generale Marcello
Prestinari e Generale Achille Papa,
dalle corazzate Caio Duilio ed Andrea Doria, dall’esploratore Augusto Riboty, da un dragamine e da due
navi ausiliarie) incaricata di difendere il Dodecaneso da possibili azioni
ostili da parte della Grecia. La squadra viene dislocata a Portolago (Lero).
La nave nel 1923 (Coll. Luigi Accorsi via www.associazione-venus.it) |
1929
Forma, insieme ai
similari Generale Achille Papa, Generale Antonio Cantore, Generale Carlo Montanari e Generale Marcello Prestinari, la VI
Squadriglia Cacciatorpediniere, che con la V Squadriglia (Angelo Bassini, Giacinto Carini,
Nicola Fabrizi, Giuseppe La Farina) ed all’esploratore Carlo Mirabello compone
la 3a Flottiglia della II Divisione Siluranti (2a Squadra
Navale, di base a Taranto).
1° ottobre 1929
Declassato a
torpediniera, come tutti i vecchi “tre pipe”. Negli anni successivi alterna
periodi di impiego con la flotta a periodi di disponibilità.
1930 ca.
È comandante della La Masa il capitano di corvetta Giuseppe
Sparzani.
1937-1938
È comandante della La Masa e della sua squadriglia, per
breve tempo, il capitano di fregata Massimo Girosi.
Una immagine, un po’ mutilata, della nave nel 1919 (da www.modellismopiu.it) |
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, la La Masa fa parte della XVI Squadriglia Torpediniere (insieme a Giacinto Carini, Curtatone, Castelfidardo,
Calatafimi e Monzambano), avente base a La Spezia.
9 febbraio 1941
La La Masa si trova a La Spezia quando
Genova, tra le 8.14 e le 8.55, viene bombardata dalla Forza H britannica
(incrociatore da battaglia Renown,
corazzata Malaya, portaerei Ark Royal, incrociatore leggero Sheffield, cacciatorpediniere Fury, Foxhound, Foresight, Fearless, Encounter, Jersey, Jupiter, Isis, Duncan e Firedrake), che spara contro il
capoluogo ligure 273 colpi da 381 mm, 782 da 152 mm e 405 da 114 mm,
distruggendo o danneggiando gravemente 254 edifici, uccidendo 144 civili e
ferendone 272, oltre ad affondare due mercantili. Quale azione diversiva, anche
La Spezia viene attaccata, alle 7.33, da alcuni bombardieri decollati dall’Ark Royal, che depositano delle mine
magnetiche all’uscita del porto (in tutto 14 biplani Fairey Swordfish, degli
Squadrons 810 e 820 della Fleet Air Arm, attaccano La Spezia e Livorno). Lo
scopo è impedire alla squadra navale italiana di uscire in mare per contrastare
l’operazione, ma la squadra, al comando dell’ammiraglio Angelo Iachino, è già
salpata (la compongono le corazzate Vittorio
Veneto, Giulio Cesare ed Andrea Doria e e Squadriglie
Cacciatorpediniere X e XIII, cui più tardi si uniranno anche la III Divisione
Navale e la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, uscite da Messina); non sa però
quale sia lo scopo della presenza in mare della Forza H, e non riesce ad
intercettarla prima che questa bombardi Genova.
Alle 11.45 la La Masa esce da La Spezia per fornire
assistenza, qualora fosse necessario, alle unità della vigilanza foranea.
Durante tale crociera
protettiva, alle 16.42, la torpediniera avvista il relitto semisommerso di un
idrovolante CANT Z. 506: si tratta del velivolo n. 7 della 287a
Squadriglia (94° Gruppo, 31° Stormo) della Regia Aeronautica, decollato dalla
base sarda di Elmas, inviato in ricognizione nell’Alto Tirreno ed abbattuto dai
caccia dell’Ark Royal subito dopo
aver avvistato, alle 11.47, la Forza H. Si tratta dell’avvistamento più
importante tra quelli effettuati dalla ricognizione italiana nel corso della
giornata, ma l’idrovolante è stato abbattuto prima di poterne dare notizia. La La Masa, tratto in salvo l’equipaggio
del CANT Z. 506, ne affonda il relitto ed alle 17.15 comunica il segnale di
scoperta sulla base delle informazioni fornite dagli avieri abbattuti: la
torpediniera segnala che a mezzogiorno l’idrovolante ha avvistato una
portaerei, due corazzate ed altre unità in posizione 43°22’ N e 08°35’ E (a 45
miglia per 300° da Capo Corso), stimandone la rotta in 300°/310° (verso
nordovest; in realtà era 244°). La posizione del nemico indicata nel messaggio,
a differenza di quelle riferite nel corso della giornata da altri ricognitori,
è piuttosto accurata; ma giunge nelle mani dell’ammiraglio Iachino solo alle
17.55, quando ormai sono passate troppe ore dall’avvistamento. La flotta
italiana non riuscirà a raggiungere la Forza H, che rientrerà indenne a
Gibilterra.
24 aprile 1941
Alle cinque del
mattino la La Masa e la gemella Giacinto Carini incontrano in mare l’incrociatore leggero Raimondo Montecuccoli, diretto a La
Spezia per un periodo di lavori, e ne assumono la scorta, come loro ordinato.
Il tempo è pessimo.
25 aprile 1941
La Masa, Montecuccoli e Carini entrano a La Spezia alle 12.30.
13 ottobre 1941
La La Masa salpa da Civitavecchia, dov’è
giunta da Livorno, per scortare a Napoli la nave cisterna Saturno.
Alle 16.50 le due
navi (la La Masa, identificata
dall’attaccante come nave classe Generali – in effetti molto simile – sta in
quel momento zigzagando a proravia della Saturno)
vengono avvistate dal sommergibile olandese O
24 (capitano di corvetta Otto de Booy), a cinque miglia per 355°. Alle
17.35, in posizione 41°48’ N e 12°03’ E (circa cinque miglia ad ovest di
Fiumicino), l’O 24 lancia quattro
siluri da 1370 metri, contro la Saturno.
Il bersaglio viene mancato.
Alle 17.45 la La Masa contrattacca brevemente col
lancio di tre bombe di profondità (la prima esplode molto vicina all’O 24, le altre due più lontane), poi
prosegue con la Saturno verso la
destinazione.
27 novembre 1941
La La Masa, insieme alla torpediniera Libra ed ai MAS 510 e 515 della X
Flottiglia, scorta l’incrociatore leggero Giovanni
delle Bande Nere in una breve uscita nelle acque di La Spezia per
esercitazioni di tiro contro un bersaglio rimorchiato.
1942
Lavori di modifica
dell’armamento: tre dei cannoni da 102/45 mm vengono rimossi, al pari dei due
da 76/40 (per altra fonte sbarcati già all’inizio del conflitto), delle due
mitragliere Colt e di uno dei due impianti lanciasiluri binati da 450 mm;
vengono invece installate quattro mitragliere contraeree binate Breda 1935 da
20/65 mm ed un impianto lanciasiluri trinato da 533 mm. (Secondo altre fonti,
tali lavori sarebbero avvenuti nel 1940).
La nave in transito sotto il ponte girevole di Taranto (da www.wrecksite.eu) |
27 febbraio 1943
Alle 15.19 il
sommergibile britannico Torbay
(tenente di vascello Robert Julian Clutterbuck), in agguato poco fuori
dell’imboccatura del porto di Bastia, avvista un convoglio in avvicinamento,
diretto in porto: si tratta dei trasporti truppe Francesco Crispi e Rossini, scortati dalla La Masa, dall’incrociatore ausiliario Filippo Grimani e dal MAS 558. Le
navi italiane distano 13.700 metri; il Torbay
manovra per avvicinarsi, ed alle 15.45 il piroscafo scelto come bersaglio
(probabilmente il Crispi) accosta ad
una distanza di 4600 metri, così ponendosi proprio davanti al Torbay. Il sommergibile manovra per
portarsi in posizione idonea all’attacco, poi lancia quattro siluri; nessuno va
a segno. La scorta lancia 14 bombe di profondità, ma il Torbay non subisce danni, e si ritira verso est.
8 aprile 1943
Alle 6.44 il
sommergibile britannico Trident
(tenente di vascello Peter Edward Newstead) avvista a nordest di Bastia, in
posizione 42°46’ N e 09°39’ E (alla distanza di 7300 metri, su rilevamento
230°), il piroscafo Tagliamento, in
navigazione sotto la scorta della La Masa.
Alle 7.12 il Trident lancia quattro
siluri, da 1460 metri, contro il Tagliamento;
nessuna delle armi va a segno.
19 aprile 1943
La La Masa lascia Livorno per scortare a
Bastia, insieme all’incrociatore ausiliario Caralis
(vi è anche un idrovolante come scorta aerea), un convoglio formato dai
trasporti truppe Francesco Crispi e Rossini, carichi di soldati destinati ai
presidi della Corsica.
Alle 12.50 il
sommergibile britannico Saracen
(tenente di vascello Michael Geoffrey Rawson Lumby) avverte rumore di navi su
rilevamento 080°, e dopo otto minuti avvista il convoglio scortato dalla Fabrizi, mentre procede con rotta e
velocità 220° e 9 nodi (stimate), a distanza di 11 km. Alle 13.17 il convoglio,
inconsapevolmente, accosta in direzione del Saracen,
ed alle 13.25 quest’ultimo, in posizione 42°46’ N e 09°42’ E, lancia sei siluri
da 4600 metri.
Tre delle armi vanno
a segno: la vittima è il Crispi, che
viene colpito da tre siluri ed affonda in soli 16 minuti 18 miglia a ponente di
Punta Nera (Isola d’Elba).
Nei 45 minuti
successivi all’attacco, la scorta lancia 46 bombe di profondità, ma il Saracen non subisce danni.
Un’operazione di
soccorso su vasta scala (vi partecipano i rimorchiatori Turbine e Vulcano, i
piroscafi Angela e Capitano Sauro, il dragamine Lucia Madre ed il MAS 558 con a bordo l’ammiraglio Pellegrino Matteucci), subito
organizzata, permette di salvare 676 uomini, ma altre centinaia, soprattutto
Granatieri di Sardegna, sono morti nell’affondamento.
22 aprile 1943
La La Masa viene fatta salpare da Bastia
per cercare eventuali superstiti del piroscafo Tagliamento, silurato ed affondato dal sommergibile britannico Saracen durante la navigazione da
Livorno a La Maddalena. Le ricerche sono intralciate dalla nebbia; quando la La Masa giunge sul luogo
dell’affondamento, trova soltanto rottami galleggianti. Dopo lunghe ed inutili
ricerche, la torpediniera deve fare ritorno a Bastia: non ci sono sopravvissuti
tra gli oltre 120 uomini imbarcati sul Tagliamento,
esploso subito dopo il siluramento a causa del suo carico di munizioni.
La fine
Quando venne
annunciato l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, l’8 settembre 1943, la La Masa (formalmente inquadrata nel II
Gruppo Torpediniere del Dipartimento Militare Marittimo Alto Tirreno, insieme
alla gemella Nicola Fabrizi ed alla
similare Generale Achille Papa) si
trovava a Napoli per grandi lavori; non era in grado di muoversi, ed era anche
priva di munizioni.
Alla data
dell’armistizio, Napoli era nella disastrata situazione di una città sottoposta
da mesi ad un crescendo di bombardamenti di violenza inaudita: l’edificio che
ospitava il Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo, retto
dall’ammiraglio di squadra Ferdinando Casardi (cui non competeva la difesa
territoriale, che era invece prerogativa dell’Esercito; il personale della
Marina armava solo le batterie contraeree del porto ed i servizi portuali), era
del tutto inagibile salvo che per poche stanze; magazzini, uffici, stabilimenti
industriali, attrezzature portuali ed installazioni della base navale erano in
rovina, il porto disseminato di relitti di navi di ogni genere, le comunicazioni
con Gaeta e le isole del Golfo temporaneamente interrotte.
La notizia
dell’armistizio provocò manifestazioni di giubilo tra l’esasperata popolazione
napoletana, ma le sue pesanti conseguenze non avrebbero tardato a manifestarsi.
Nella notte tra l’8 ed il 9 settembre il capitano di fregata Palmgren della
Kriegsmarine, ufficiale di collegamento tedesco presso il Comando in Capo del
Dipartimento del Basso Tirreno, si presentò all’ammiraglio Casardi dichiarando
che la Germania restava sola e la sua situazione si aggravava, ma che augurava
buona fortuna all’Italia e sperava che da parte italiana non si
intraprendessero azioni ostili verso i tedeschi. Casardi ringraziò e rispose
che i suoi uomini non avrebbero agito contro i tedeschi, se questi ultimi
avessero a loro volta evitato atti ostili; ma intanto l’operazione «Achse»,
l’occupazione tedesca dell’Italia e la neutralizzazione delle sue forze armate,
aveva già preso il via.
Già alle 20.40 dell’8
settembre un reparto tedesco aprì il fuoco contro una batteria contraerea
italiana, e verso le 22 alcuni marinai e soldati italiani furono fermati e
disarmati nella zona di Camaldoli. Da Salerno non tardarono a giungere notizie
sulle aggressioni tedesche ai danni dei locali presidi italiani (il generale
Ferrante Gonzaga, comandante della 222a Divisione Costiera dislocata
in quel settore, fu ucciso dopo essersi rifiutato di arrendersi), sui saccheggi
e sull’occupazione tedesca di quel porto.
Ben presto le
aggressioni tedesche si diffusero a macchia d’olio in tutto il territorio del
Dipartimento di Napoli, mentre i reparti del Regio Esercito stentavano a
reagire, sia per la confusione seguita all’armistizio, sia per la speranza che
gli Alleati, sbarcati a Salerno, sarebbero arrivati a breve.
Tra il 9 ed il 10
settembre lo svolgimento dei servizi della Marina incontrò difficoltà sempre
maggiori; le comunicazioni con Roma cessarono dalle 10.25 del 9 (ma
l’ammiraglio Casardi riuscì a mantenersi al corrente di quanto accadeva
mediante la radio, ricevendo gli ordini impartiti da Brindisi e Roma), e quello
stesso giorno si riuscì a convincere il locale comando della Kriegsmarine,
tramite il comandante Palmgren, a gettare in mare le munizioni stivate nel
deposito del Molo Razza, anziché far saltare il deposito (il che avrebbe avuto
gravi conseguenze sulla città).
Il 10 settembre,
autocarri tedeschi passarono per la città gettando bombe a mano e sparando
contro alcuni presidi italiani (in particolare quello sotto l’edificio del
Comando in Capo e quello della base navale, entrambi attaccati poco dopo le
17), provocando la reazione armata dei marinai di guardia agli impianti. Ai
marinai si unirono anche soldati e civili, e scoppiarono accaniti combattimenti
protrattisi per circa un’ora; gli attaccanti si asserragliarono nei magazzini siti
sotto il Palazzo Reale, nelle vicinanze, ma dovettero infine arrendersi. Le
perdite italiane furono di 3 morti e diversi feriti (tra cui il comandante in
seconda della base navale, capitano di fregata Lubrano), quelle tedesche di 2
morti e 20 prigionieri.
La sera del 10 si
apprese che la Divisione tedesca «Hermann Göring» stava avanzando verso Napoli,
proveniente da sud, e l’11 settembre Napoli ed i sobborghi vennero occupati da
tale Divisione. Nelle prime ore dell’11 settembre, l’ammiraglio Casardi dispose
che tutti gli ufficiali e marinai non necessari al mantenimento di alcuni
servizi essenziali (ricezione radio e decifrazione dei messaggi, custodia
dell’edificio del Comando in Capo, servizio amministrativo e sanitario)
venissero lasciati liberi, con l’ordine di ripresentarsi quando le truppe
Alleate fossero giunte a Napoli.
Lo stesso 11
settembre, nell’imminenza dell’occupazione tedesca del porto di Napoli, la La Masa venne abbandonata nel porto, non
essendo in grado di muovere o reagire.
Non è molto chiara la
successiva sorte della torpediniera; certo è che non fu utilizzata dai tedeschi.
Secondo alcune fonti, la La Masa
sarebbe stata minata e fatta saltare dalle truppe tedesche durante
l’occupazione di Napoli (forse lo stesso 11 settembre, ma tale data sembra
inverosimile). Secondo altre fonti, essa non sarebbe stata abbandonata e
catturata dalle truppe tedesche, bensì autoaffondata dall’equipaggio, l’11
settembre, per evitarne la cattura.
La breve occupazione
tedesca di Napoli, dall’11 al 30 settembre 1943, fu particolarmente brutale:
decine di militari italiani vennero uccisi (parecchi, “rei” di aver resistito
ai tedeschi, o per rappresaglia contro azioni in cui non erano stati coinvolti,
vennero trucidati davanti alla folla costretta a guardare); fu dichiarato lo
stato d’assedio; venne decretato il servizio di lavoro obbligatorio (cioè la
deportazione in Germania, per lavorare nell’industria bellica tedesca) per
tutti gli uomini tra i 18 ed i 33 anni (cioè 30.000 persone); i rastrellamenti,
le esecuzioni, i saccheggi e le vessazioni divennero all’ordine del giorno.
Esasperata da questa
situazione, la popolazione di Napoli, com’è noto, insorse il 27 settembre
contro gli occupanti, dando vita a quattro giorni di guerriglia urbana (le
“Quattro Giornate di Napoli”) nei quali morirono 168 combattenti italiani (tra partigiani
e militari), 159 civili e tra i 54 ed i 96 tedeschi. Questi scontri impedirono
ai tedeschi di attuare la prevista deportazione di massa di lavoratori per la
Germania, e di completare il loro piano di distruzione di Napoli prima dello
sgombero della città. Nondimeno, nel corso dell’occupazione e prima di
ritirarsi, le truppe tedesche avevano sistematicamente distrutto col fuoco e
colle mine ogni installazione d’importanza militare od industriale tra Salerno
e Capo Miseno.
Le prime truppe
statunitensi entrarono a Napoli, già abbandonata dai tedeschi, alle 9.30 del 1°
ottobre. Quello stesso giorno l’ammiraglio Casardi ed il suo Stato Maggiore
rientrarono presso quel che restava della sede del Comando in Capo, e nei
giorni seguenti anche il resto del personale tornò ai propri posti, come
disposto da Casardi l’11 settembre.
Sia che fosse stata
autoaffondata dall’equipaggio l’11 settembre per evitare la cattura da parte
tedesca, sia che fosse stata catturata e poi distrutta dai tedeschi prima di
ritirarsi dalla città a fine settembre (come accadde alla Partenope, unica altra torpediniera bloccata a Napoli per lavori e
catturata dalle forze tedesche), la storia della Giuseppe La Masa si concluse a Napoli nel settembre 1943. Il
relitto della torpediniera fu recuperato nel 1947 e, dopo la formale radiazione
in data 27 febbraio 1947, venne demolito.
L’unico membro dell’equipaggio
della La Masa morto durante il
secondo conflitto mondiale fu il marinaio torpediniere Giuseppe Berruti, di 20
anni, da Montechiaro d’Asti.
Trovandosi
probabilmente a casa in licenza al momento dell’armistizio, Berruti si unì alla
Resistenza, arruolandosi nella Brigata Partigiana «Sandro Magnone» della 43a
Divisione Autonoma «Sergio De Vitis», attiva in Val Sangone (Piemonte
occidentale).
Il 10 maggio 1944 le
forze tedesche (reparti di SS Polizei, polizia militare, Ost-Bataillone –
reparti formati da soldati reclutati nelle terre occupate dell’URSS – ed un
plotone di gendarmeria), appoggiate da reparti della Repubblica Sociale
Italiana (due compagnie della Guardia Nazionale Repubblicana e 50 legionari del
Gruppo Corazzato «Leonessa»), lanciarono l’operazione «Habicht», un massiccio
rastrellamento contro le formazioni partigiane operanti nell’area; in tutto vi
presero parte 1510 uomini. L’operazione terminò il 18 maggio, con l’uccisione
di 156 tra partigiani e civili, in combattimento o passati per le armi; molti
altri furono deportati, diversi villaggi furono saccheggiati e dati alle
fiamme.
Giuseppe Berruti,
catturato durante il rastrellamento, il 16 maggio 1944 venne condotto a Forno
di Coazze insieme ad altri 18 partigiani e cinque altri prigionieri. I
ventiquattro uomini furono costretti a scavarsi una fossa comune e fucilati;
chi non fu ucciso subito dai proiettili venne lasciato morire per
dissanguamento. A nessuno fu consentito di avvicinarsi; la borgata venne
incendiata ed il parroco fu arrestato per aver tentato di intercedere per i
rastrellati.
Un’altra immagine del La Masa nei primi anni di servizio (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
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