Il Città di Palermo in tempo di pace (da www.naviearmatori.net, utente HORO2006) |
Incrociatore
ausiliario, già motonave passeggeri di 5413 tsl e 2914 tsn, lunga 125,5 metri,
larga 15,6 e pescante 6,7. Appartenente alla Società Anonima di Navigazione
Tirrenia, con sede a Napoli, ed iscritta con matricola 158 al Compartimento
Marittimo di Palermo. Nominativo di chiamata IBWG.
Faceva parte di una
serie di quattro motonavi passeggeri (Città
di Genova, sua gemella; Città di
Napoli e Città di Tunisi,
quasi gemelle) sovvenzionate dal governo italiano e progettate per il servizio
espresso Napoli-Palermo con scalo settimanale a Tripoli e Tunisi. Propulse da
due motori diesel Tosi a 6 cilindri da 1900 HP che garantivano una velocità di
– a seconda delle fonti – 16, 17 o 19 nodi, potevano trasportare 565 passeggeri
in tre classi. (Secondo una fonte, Città
di Palermo e Città di Genova
potevano raggiungere i 19 nodi, Città di
Napoli e Città di Tunisi i 17).
Con lo scoppio della
guerra divennero tutte incrociatori ausiliari, impiegati sia in missioni di
scorta convogli che di trasporto veloce di truppe e rifornimenti. Furono i più
grandi incrociatori ausiliari posti in servizio dalla Regia Marina.
Breve e parziale cronologia.
Dicembre 1930
Completata dai
Cantieri Navali Riuniti di Palermo (numero di costruzione 102) per la Florio
Società Italiana di Navigazione, avente sede a Roma; è l’ultima delle quattro
motonavi serie “Città” ad entrare in servizio. Posta in servizio sulla linea
Napoli-Palermo-Tunisi-Tripoli.
Marzo 1932
La Florio si fonde
con la Compagnia Italiana Transatlantica (CITRA) dando vita alla Tirrenia
Flotte Riunite Florio-CITRA; la Città
di Palermo passa alla nuova compagnia.
5 agosto 1933
Durante un viaggio
della Città di Palermo da Palermo a
Napoli, al comando del capitano Francesco Matarazzo, il passeggero Innocenzo
Marotta, un trentunenne di Casteltermini, scompare in mare. Ne vengono
rinvenuti la giaccia, i documenti ed il cappello di paglia abbandonati
all’estrema prua; tre tentativi di cercare in mare il passeggero risultano
vani.
La nave nella sua città eponima, nel 1935 (g.c. Stefano Cioglia via www.naviearmatori.net) |
19 ottobre 1936
La Città di Palermo è tra le navi che
accorrono in soccorso del transatlantico Vulcania (capitano Stuparich), partito da Napoli per New York
alle 4 del mattino con 1100 persone a bordo e dal quale, alle 7 del mattino, è
stato lanciato un SOS per incendio a bordo (scoppiato alle 5.15 a circa 45
miglia da Napoli), chiedendo assistenza immediata. La nave è stata fermata poco
dopo l’inizio dell’incendio, e le lance preparate per l’ammaino (anche se non
ci sarà bisogno di usarle). Sul luogo giungono per primi due battelli
antincendio ed una motonave passeggeri, tutte inviate dal comandante del Porto
di Napoli. La Città di Palermo,
arrivata a Napoli alle cinque del mattino, affretta lo sbarco dei passeggeri e
poi riparte subito per andare in soccorso della Vulcania.
Oltre alla Città di Palermo, sono inviate in
soccorso della Vulcania anche
la quasi gemella Città di Tunisi, la
motonave mista Esquilino, il
cacciatorpediniere Scirocco e
due battelli antincendio, ma nessuna delle unità giungerà sul luogo, perché
l’incendio – probabilmente causato da un cortocircuito in un corridoio che
porta in sala macchine – potrà essere domato nel giro di un’ora con i mezzi
disponibili a bordo. Si dovranno però lamentare quattro morti tra l’equipaggio
della Vulcania, che sarà
costretta a riparare a Palermo, giungendovi nel pomeriggio.
21 dicembre 1936
La compagnia
armatrice, assorbite alcune altre società minori, diviene Tirrenia Società
Anonima di Navigazione.
La Città di Palermo negli anni Trenta (g.c. Mauro Millefiorini, via www.naviearmatori.net) |
Maggio 1937
La Città di Palermo trasporta da Napoli a
Tripoli le auto da corsa ed i piloti tedeschi che si recano in Libia per
partecipare al XI Gran Premio di Tripoli.
1937
Trasporta a Palermo
il principe Umberto di Savoia.
31 marzo 1938
La diva Greta Garbo è
tra i passeggeri della Città di Palermo
durante un viaggio da Napoli a Tunisi.
1938
Trasporta da Napoli a
Tripoli i principi di Piemonte, che si recano in visita in Libia.
La Città di Palermo al Molo Beverello di Napoli nel 1938 (Salvatore La Barbera via www.naviearmatori.net) |
Maggio 1939
La Città di Palermo trasporta a Tripoli il
gran maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, Ludovico Chigi Albani, ed
una delegazione dell’Ordine, recatasi in visita in Libia.
2 giugno 1939
La Città di Palermo imbarca il principe
ereditario Umberto di Savoia e la moglie Maria José in occasione della rivista
navale di primavera, e poi li trasporta a Cagliari per una visita ufficiale in
Sardegna.
La motonave imbarca a La Maddalena passeggeri diretti a Caprera per il «pellegrinaggio nazionale» alla tomba di Giuseppe Garibaldi (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net) |
10 giugno 1940
All’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale, la Città di Palermo si trova nel Dodecaneso.
20 giugno 1940
Lascia Lero alle sei
del mattino per rientrare in Italia, in navigazione isolata.
23 giugno 1940
Arriva a Brindisi
alle otto del mattino. Subito viene requisita dalla Regia Marina ed iscritta
nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato, con sigla D 3; iniziano i lavori di conversione in incrociatore ausiliario.
Viene armato con quattro cannoni da 120/45 mm, due mitragliere da 20/65 mm e
due da 13,2 mm.
29 luglio 1940
Città di Palermo, Città
di Napoli ed il trasporto truppe Marco
Polo salpano da Napoli alle 00.30 diretti a Tripoli, nell’ambito
dell’operazione di rifornimento «Trasporto Veloce Lento» (T.V.L.). Si tratta
della prima grande operazione di traffico per il trasporto in Libia di truppe e
materiali del Regio Esercito e della Regia Aeronautica; sono previsti tre
convogli, due da Napoli a Tripoli (n. 1, lento, e n. 2, veloce) ed uno da
Trapani a Tripoli (n. 3, piroscafi Caffaro
e Bosoforo, scortati dalle
torpediniere Vega, Perseo, Generale Antonino Cascino
e Generale Achille Papa).
Sul Città di Palermo è imbarcato, tra
l’altro, il XVII Gruppo da 75/46 mm del 4° Reggimento Artiglieria Contraerea.
Città di Palermo, Città
di Napoli e Marco Polo, scortate
inizialmente dalla XIII Squadriglia Torpediniere (Circe, Clio, Climene e Centauro), formano il convoglio veloce, avente velocità di 16 nodi.
Nel caso di inconvenienti, è prevista la possibilità di dirottamento su
Bengasi.
A protezione di
questo e di un secondo convoglio diretto a Tripoli (quello lento, che procede a
7,5 nodi: piroscafi Maria Eugenia, Gloria Stella e Caffaro, motonavi Mauly, Col di Lana e Città di Bari, torpediniere Procione,
Orsa, Orione e Pegaso) saranno
in mare, dal 30 luglio al 1° agosto, gli incrociatori pesanti Pola (comandante superiore in mare,
ammiraglio di squadra Riccardo Paladini), Trento,
Zara, Fiume e Gorizia (questi
ultimi tre formano la I Divisione), gli incrociatori leggeri Alberico Da Barbiano ed Alberto Di Giussano della IV
Divisione e Luigi di Savoia Duca
degli Abruzzi, Eugenio di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo della VII
Divisione, e le Squadriglie Cacciatorpediniere IX (Alfieri, Oriani, Gioberti, Carducci), XII (Lanciere, Corazziere, Carabiniere, Alpino),
XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Ascari) e
XV (Pigafetta, Malocello, Zeno).
Vengono inoltre
inviati in agguato 23 sommergibili, tra Mediterraneo Orientale e Mediterraneo
Occidentale, e sono disposte frequenti e specifiche ricognizioni con velivoli
della ricognizione marittima e dell’Armata Aerea.
Poche ore dopo, a
seguito dell’avvistamento di notevoli forze navali britanniche uscite in mare
sia da Alessandria (il grosso della Mediterranean Fleet) che da Gibilterra
(l’incrociatore da battaglia Hood, le
corazzate Valiant e Resolution e le portaerei Argus ed Ark Royal), i due convogli dell’operazione T.V.L. ricevono ordine
da Supermarina di rifugiarsi immediatamente nei porti della Sicilia.
Il convoglio veloce
giunge a Messina alle 13.30, e vi sosta per due giorni.
31 luglio 1940
Passata la minaccia,
il convoglio riparte in mattinata da Messina, ma alle 2.30 riceve ordine di
dirigere a Bengasi, anziché a Tripoli. La scorta è ora costituita dalla I
Squadriglia Torpediniere (Alcione, Airone, Aretusa ed Ariel),
che ha sostituito la XIII. Nel primo tratto di navigazione tra la Sicilia e la
Libia la scorta viene rinforzata con la XII Squadriglia Cacciatorpediniere, che
poi torna a far parte della forza di scorta indiretta; la porzione di scorta
indiretta assegnata alla difesa del convoglio veloce (Pola, Trento, I e VII
Divisione), portatasi in posizione tale da proteggerlo da navi nemiche
provenienti da est, invertirà la rotta in serata per tornare alle basi, essendo
ormai cessato ogni rischio.
Il convoglio giunge
indenne a Bengasi alle 24.
2 agosto 1940
Città di Palermo e Città
di Napoli, scortati della XII Squadriglia Torpediniere (Airone, caposcorta, Alcione, Altair ed Aretusa), lasciano Bengasi per Tripoli
alle 20.30.
3 agosto 1940
Il convoglietto
giunge a Tripoli alle 21.30.
4 agosto 1940
Città di Palermo, Città
di Napoli e Marco Polo, scortate
ancora da Airone (caposcorta), Alcione, Altair ed Aretusa,
lasciano Tripoli alle 20 per tornare a Bengasi.
6 agosto 1940
Le navi giungono a Bengasi
alle 7.
7 agosto 1940
Città di Palermo, Città
di Napoli e Marco Polo, ancora
con la scorta di Airone (caposcorta),
Alcione, Altair ed Aretusa,
ripartono da Bengasi alle otto per trasferirsi nuovamente a Tripoli.
8 agosto 1940
Le navi arrivano a
Tripoli alle 7.
16 agosto 1940
Città di Palermo, Città
di Napoli e Marco Polo lasciano
Tripoli alle 8.30 per rientrare in Italia, scortate dalle torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso.
Nella notte si
uniscono alla scorta la X Squadriglia Cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco) e la I Squadriglia Torpediniere (Alcione, Airone, Ariel ed Aretusa).
18 agosto 1940
Il convoglio arriva a
Palermo alle tre.
19 agosto 1940
Il convoglio giunge a
Napoli alle 19.
4 novembre 1940
Il Città di Palermo ed il Città di Genova, impiegati come
trasporti, salpano da Bari alle 3.30 con a bordo 1610 militari, 156 veicoli e
164 tonnellate di materiali, scortati dalla torpediniera Confienza e dall’incrociatore
ausiliario RAMB III, giungendo a
Durazzo alle 20.25.
6 novembre 1940
Città di Palermo e Città di Genova lasciano scarichi Durazzo alle 8.30 per
rientrare a Bari, dove giungono alle 17.15, scortati ancora da Confienza e RAMB III.
10 dicembre 1940
Città di Palermo, Città
di Genova ed il grosso piroscafo Sardegna salpano
da Brindisi alle 5.25 scortati dall’incrociatore ausiliario Egeo, trasportando 1172 uomini e 715
tonnellate di provviste, munizioni e materiali vari. Il convoglio giunge a
Valona alle 12.10.
14 dicembre 1940
Ora impiegato come
nave scorta, il Città di Palermo
lascia Valona alle 8 e raggiunge Brindisi alle 17, scortando le motonavi
scariche Città di Trapani ed Argentina.
18 dicembre 1940
Città di Palermo (di nuovo adibito a trasporto), Argentina e la motonave Viminale salpano da Brindisi alle 10.30
e raggiungono Valona alle 17, trasportando 2946 soldati, 42 automezzi, quattro
quadrupedi e 525 tonnellate di munizioni, viveri, carrette e materiali vari. Li
scorta l’incrociatore ausiliario Brindisi.
22 dicembre 1940
Città di Palermo ed Argentina,
scarichi e privi di scorta, ripartono da Valona alle 12.30 diretti a Brindisi,
dove giungono alle 19.25.
31 dicembre 1940
Di nuovo usato come
trasporto, parte da Bari alle quattro del mattino, insieme al Città di Genova ed al
piroscafo Italia (le tre
navi trasportano in tutto 2667 militari e 126,5 tonnellate di materiali), alla
volta di Durazzo (dove il convoglio arriverà alle 13.30), con la scorta del
cacciatorpediniere Carlo Mirabello.
I cacciatorpediniere Folgore e Baleno forniscono scorta a
distanza.
9 gennaio 1941
Il Città di Palermo ed i piroscafi Monstella e Tagliamento salpano da Bari alle 00.30, trasportando 1044 militari,
1216 quadrupedi e 112 tonnellate di materiali vari. Scortati dall’incrociatore
ausiliario Brindisi e dalla
torpediniera Andromeda, arrivano a
Valona alle 13.
12 gennaio 1941
Salpa da Valona alle
6.30 diretto a Brindisi, scortando la motonave Città di Trapani ed il piroscafo Polcevera, scarichi. Il convoglietto giunge in porto alle 16.
20 luglio 1941
Il Città di Palermo salpa da Napoli alle 18
per scortare a Cagliari i piroscafi Pallade
e Vincenzina. La velocità del
convoglio è di soli 6,5 nodi.
21 luglio 1941
Il sommergibile
britannico Olympus (capitano di
corvetta Herbert George Dymott), avvista alle 13.27 il convoglio di cui fa parte
il Città di Palermo, in posizione
39°53’ N e 11°49’ E (nel Tirreno centrale). Alle 13.58 l’Olympus lancia un siluro da 5500 metri di distanza, ma manca il
bersaglio; ne lancia allora un secondo (alle 14.23) da 5000 metri, ma neanche
questo va a segno. Il convoglio prosegue nella navigazione senza accorgersi di
nulla.
28 ottobre 1941
Alle 10.30, in
posizione 40°42’ N e 13°47’ E (a ponente di Ischia), il sommergibile polacco Sokol (tenente di vascello Borys
Karnicki) avvista un convoglio formato da una nave passeggeri e quattro navi da
carico, scortate da due cacciatorpediniere: uno dei bastimenti è il Città di Palermo. Alle 10.48, dalla
distanza di 5500 metri, il Sokol
lancia quattro siluri: subito dopo, per un errore, il sommergibile affiora
brevemente, per poi restare per mezzo minuto a tre metri di profondità. Nessuno
dei siluri va a segno (il Città di
Palermo viene mancato di stretta misura, avvistando i siluri e riferendo
dell’attacco), anche se il Sokol
avverte un’esplosione alle 10.54, attribuita ad un siluro a segno (varie fonti
britanniche e polacche riportano, erroneamente, che il Città di Palermo sarebbe stato colpito e danneggiato). Alle 11 il Sokol, sceso a 73 metri di profondità,
subisce un contrattacco col lancio di 10 bombe di profondità, che tuttavia non
causano alcun danno, essendo state gettate un paio di miglia a poppavia del
bersaglio.
Novembre 1941
Il Città di Palermo ed il Città di Tunisi vengono scelti, in
virtù delle loro caratteristiche di velocità ed armamento, per una missione di
trasporto rapido di truppe e rifornimenti a Bengasi, nella fase più critica
della battaglia dei convogli.
La missione dei due
incrociatori ausiliari si colloca nell’ambito di una più vasta e complessa
operazione di traffico volta ad inviare urgenti rifornimenti in Libia, dov’è
iniziata da pochi giorni un’offensiva britannica (operazione «Crusader») e dopo
che la distruzione del convoglio «Duisburg», avvenuta il 9 novembre ad opera
della Forza K britannica, ha provocato la perdita di un ingente quantitativo di
rifornimenti diretti in Africa Settentrionale.
L’operazione prevede
la partenza di vari gruppi di navi; ruolo centrale hanno due convogli di
moderne motonavi: il convoglio «C», partito da Napoli in due scaglioni tra le
20 del 20 novembre e le 5.30 del 21 (motonavi Monginevro, Napoli e Vettor Pisani, nave cisterna Iridio Mantovani,
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco
e Turbine, torpediniere Enrico Cosenz e Perseo), ed il convoglio «Alfa», salpato da Napoli alle 19 del 20
(motonavi Ankara e Sebastiano Venier e
cacciatorpediniere Maestrale, Alfredo Oriani e Vincenzo Gioberti). La III e VIII
Divisione Navale dovranno dare loro protezione.
Al contempo, una
motonave veloce (la Fabio Filzi)
sarà inviata sempre a Tripoli ma sulla rotta di ponente (per il Canale di
Sicilia), con la scorta di un paio di cacciatorpediniere (oltre che di aerei:
sia sui due convogli che sulla Filzi la
scorta aerea dovrà essere continua, nelle ore diurne, dal 20 al 23 novembre),
per non dare nell’occhio; contestualmente saranno inviati a Bengasi
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna in
missione di trasporto di carburante (da Brindisi) nonché, appunto, Città di Palermo e Città di Tunisi (da Taranto), e verranno
fatte rientrare in Italia le navi rimaste bloccate a Tripoli dall’inizio di novembre.
L’idea è che un tale
numero di navi in movimento contemporaneamente, divise in più convogli sparsi
su una vasta area, confonda e disorienti la ricognizione maltese; che i
convogli finiscano col coprirsi a vicenda; che la presenza in mare della III e
VIII Divisione scoraggi interventi da parte della Forza K britannica (autrice
della distruzione del convoglio «Duisburg»), notevolmente inferiore per numero
e potenza (incrociatori leggeri Aurora e Penelope e
cacciatorpediniere Lance e Lively). L’Aeronautica, oltre alla
scorta antiaerea ed antisommergibile dei convogli, effettuerà anche azioni di
ricognizione e di bombardamento degli aeroporti di Malta. Alcuni sommergibili
vengono disposti in agguato nelle acque circostanti l’isola.
Nei primi giorni di
novembre il Città di Palermo imbarca
a Taranto truppe italiane di vari reparti, nonché l’Artillerie Abteilung
(Battaglione Artiglieria) 361 della 90. Leichte Afrika-Division (la 90a
Divisione Leggera dell’Afrika Korps) insieme ad alcuni autocarri, veicoli leggeri
e cucine da campo.
19 novembre 1941
Il Città di Palermo (capitano di fregata Filippo
Ogno), dopo aver imbarcato 688 militari (1 ufficiale e 427 tra sottufficiali e
soldati italiani, 260 militari tedeschi di tutti i gradi) e 92 tonnellate di
materiali di commissariato, salpa da Taranto alle 14, insieme al Città di Tunisi (capitano di vascello
Franzoni), che trasporta 765 militari e 103 tonnellate di materiali di
commissariato. Li scortano i cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello (capitano di fregata Mario Leoni) e Nicolò Zeno (caposcorta, capitano di
fregata Ollandini).
20 novembre 1941
Alle 15 convoglio
viene attaccato da tre bombardieri britannici; tre bombe cadono in mare a
poppavia del Città di Palermo, che non
subisce danni. Per il resto la navigazione procede senza accadimenti degni di
nota, ma nelle prime ore della sera il Città
di Tunisi viene colto da un’avaria ad un motore: deve così interrompere la
missione e puggiare a Suda, scortato dal Malocello
(potrà poi riprendere il viaggio dopo un paio di giorni, dopo aver riparato
l’avaria). Il Città di Palermo
prosegue verso Bengasi, con la scorta dello Zeno.
21 novembre 1941
Città di Palermo e Zeno,
raggiunti nell’ultimo tratto dalla torpediniera Partenope (venuta loro incontro da Bengasi), giungono a Bengasi
alle 12.30. Dopo aver rapidamente sbarcato le truppe ed i materiali, il Città di Palermo imbarca personale
militare da rimpatriare e poi riparte alle 18 per Taranto, sempre scortato
dallo Zeno.
23 novembre 1941
Città di Palermo e Zeno
arrivano a Taranto alle otto.
Il Città di Palermo in tempo di pace (g.c. Rosario Sessa, via www.naviearmatori.net) |
L’affondamento
Alle nove di sera del
4 gennaio 1942 il Città di Palermo,
al comando del capitano di fregata Filippo Ogno, salpò da Brindisi diretto a
Patrasso, scortando la motonave Calino.
Secondo il volume dell’USMM "La difesa del traffico con l’Albania, la
Grecia e l’Egeo", sul Città di
Palermo si trovavano circa 150 uomini di equipaggio e circa 600 militari di
passaggio (in gran parte appartenenti ad un reggimento misto inviato nel
Dodecaneso), per un totale di circa 750 uomini.
Alle 7.55 del 5
gennaio le due navi, giunte tre miglia a nordovest di Capo Dukato, accostarono
sulla rotta di sicurezza del passo tra Cefalonia e Santa Maura.
Sul Città di Palermo, ben poca gente si
avventurava sui ponti scoperti nella gelida aria di gennaio; il freddo del
mattino induceva i più a restarsene sottocoperta. Per giunta, era l’ora della
refezione, ed era in corso la distribuzione del caffé. La decisione di restare
sottocoperta, per restare al caldo ed avere il caffé, sarebbe riuscita fatale a
quasi tutto il personale di passaggio.
Occhi ostili spiavano
in quel momento le navi italiane: alle 7.40 il sommergibile britannico Proteus (capitano di corvetta Philip
Stewart Francis) aveva rilevato rumori prodotti da motori di navi su
rilevamento 300°, ed un minuto dopo aveva avvistato Calino e Città di Palermo
mentre procedevano su rotta 140°, ad una distanza di circa 6400 metri.
Il battello nemico
manovrò per portarsi all’attacco, senza che sulle navi italiane si sospettasse
di nulla. Alle 7.56 il Proteus,
ridotte le distanze a soli 585 metri, lanciò due siluri dai tubi di poppa: poco
dopo, intorno alle otto del mattino (le 8.06, secondo una fonte), il Città di Palermo venne colpito da entrambe
le armi.
La scia del primo
siluro fu avvistata all’ultimo momento: il comandante Ogno ordinò di accostare,
ma era troppo tardi. Dopo pochi secondi, il siluro colpì il Città di Palermo, che iniziò subito a
sbandare sulla dritta: in pochissimo tempo, lo sbandamento raggiunse i 90 gradi.
Gli uomini che
avevano la fortuna di trovarsi sui ponti scoperti al momento del siluramento –
quasi tutti membri dell’equipaggio – si precipitarono immediatamente verso le
scialuppe di salvataggio; alcuni si buttarono in mare dall’estrema poppa.
Intanto, anche il secondo siluro andò a segno: la seconda esplosione fu ancora
più violenta della prima.
Gli scoppi dei siluri
uccisero o ferirono numerosi uomini, e resero inagibili molte delle scale che
portavano in coperta; la nave assunse in breve uno sbandamento elevatissimo,
togliendo ogni via di scampo a quanti si trovavano nei ponti inferiori. Degli
uomini che erano nei ponti inferiori al momento del siluramento, non riuscì a
salvarsi quasi nessuno.
Quanti si trovavano
sui ponti superiori ebbero almeno la possibilità di abbandonare la nave, ma la
situazione era drammatica: l’equipaggio mantenne l’ordine e la disciplina e
tentò di mettere a mare alcune lance di salvataggio, ma molti soldati in preda
al panico si gettarono sulle imbarcazioni, facendole rovesciare e facendo
finire in mare gli occupanti.
Il giovane tenente
cappellano don Alberto Carrozza, un ventisettenne di Salsomaggiore, si prodigò
per riportare la calma, aiutando nella messa a mare delle scialuppe; rifiutando
di salvarsi, cedette il suo salvagente ad un soldato che non l’aveva e rimase
sulla nave che affondava, pregando e confortando i suoi uomini. Alla sua
memoria sarebbe stata conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Il catanese Carmelo
Giustolisi, membro dell’equipaggio, descrisse poi la scena in questi termini: "Uno
spettacolo indescrivibile si presentò ai miei occhi. La nave sbandava, la prua
era quasi del tutto sommersa. Presi dal panico, numerosi soldati, troppi,
saltavano sulle scialuppe di salvataggio ribaltando in mare coloro che vi erano
saliti. Prima di tuffarmi, vidi il Cappellano militare che raccomandava tutti
alla calma mentre aiutava a mettere in mare le scialuppe. E mentre la nave
affondava, Don Alberto Carozza respingeva l'invito a porsi in salvo e donava il
suo salvagente ad un soldato che ne era sprovvisto. Restò così fino alla fine, pregando con i suoi soldati."
Anche il comandante
Ogno rimase a bordo fino all’ultimo momento; quando il Città di Palermo gli affondò sotto i piedi, venne risucchiato dal
gorgo, ma riuscì a raggiungere la superficie.
Passarono solo sei
minuti, forse anche meno, tra l’impatto del primo siluro ed il momento in cui
il Città di Palermo scomparve tra i
flutti nel punto 38°33’ N e 20°36’ E, tre miglia ad ovest di Capo Dukato
(Cefalonia) e 73 miglia a nordovest di Patrasso.
Molti naufraghi si
ritrovarono in acqua, aggrappati a rottami galleggianti. Non potevano
sopravvivere a lungo in quelle condizioni: l’acqua era gelida, e molti degli
uomini che si erano gettati in mare morirono assiderati.
La Calino, con manovra che fu poi giudicata
corretta (fermarsi a prestare soccorso avrebbe significato essere silurati a
propria volta), si allontanò rapidamente dalla zona del siluramento,
provvedendo a lanciare il segnale di soccorso, nel caso il Città di Palermo non avesse fatto in tempo a chiedere aiuto via
radio.
I primi mezzi di
soccorso arrivarono sul posto dopo meno di mezz’ora: si trattava di un
dragamine e di un motopeschereccio, in servizio nelle vicinanze. Poco più tardi
arrivò anche la torpediniera Generale
Carlo Montanari, mentre il Comando Militare Marittimo della Morea
(Marimorea) disponeva l’uscita della cisterna militare Sesia e del piroscafetto Tergeste,
con personale e materiale sanitario, viveri e coperte, oltre ad ordinare che
tutti i mezzi aerei e navali a disposizione dessero la caccia al sommergibile
attaccante. Per molti dei naufraghi era già troppo tardi.
Un gruppo di marinai
del Città di Palermo, rifugiatisi su
un relitto galleggiante, furono portati dalle correnti fino in prossimità della
costa: qui decisero, all’unanimità, di raggiungere la terra a nuoto, e così
fecero. Tutti tranne uno, il motorista della Tirrenia Alfonso Esposito: era
rimasto ferito alla testa, inciampando, durante l’abbandono della nave, e non
volle lasciare il relitto, forse ancora stordito dalla ferita, forse temendo di
non riuscire a raggiungere la riva. Alcuni suoi colleghi e concittadini,
sopravvissuti all’affondamento, tornando nel paese d’origine erano convinti di
trovarlo presso la sua famiglia, ma scoprirono che risultava disperso; rimasero
stupiti e dissero che lui “non era morto in quell’incidente”. Per anni la
famiglia avrebbe atteso invano il suo ritorno; qualcuno ritenne anche di averlo
visto a Napoli in epoca successiva. Agli archivi della Marina Militare
(Esposito era stato militarizzato col grado di secondo capo meccanico) Alfonso
Esposito risulta disperso il 5 gennaio 1942. Lasciava una moglie e quattro
figli.
Solo circa metà
dell’equipaggio del Città di Palermo
sopravvisse, e quasi nessuno dei militari di passaggio. Non sembrano esservi
informazioni precise sul numero delle vittime: secondo documenti consultati
presso l’USMM dal ricercatore Platon Alexiades, su circa 750 uomini imbarcati
(150 membri dell’equipaggio e 600 militari di passaggio) vi furono 291
sopravvissuti, il che significherebbe che le vittime furono oltre 400. Dalla
medesima fonte risulterebbe però che “potrebbero esservi stati 400 prigionieri
di guerra a bordo” (oltre ai 750 italiani già menzionati), ma non sembra
esistere nessuna lista, né risultano nomi di stranieri tra i superstiti
recuperati. È possibile che la notizia sui 400 prigionieri a bordo sia un
errore (il citato volume dell’USMM non fa menzione della presenza di
prigionieri, né essa sembra essere menzionata da qualsiasi altra fonte), anche
perché non si vede il senso di trasportare prigionieri dall’Italia verso la
Grecia, anziché in senso opposto. In caso contrario, le vittime del Città di Palermo sarebbero state oltre
800.
Alcuni articoli
online parlano di 921 vittime e soli 60 sopravvissuti tra il personale
imbarcato sul Città di Palermo, ma
non viene fornita nessuna fonte per queste cifre, il che induce a ritenere che
esse siano errate, considerata l’autorevolezza della fonte secondo cui vi
sarebbero stati 291 sopravvissuti.
Alcuni dei superstiti
risentirono gravemente delle conseguenze del lungo periodo passato nell’acqua
gelida e cosparsa di nafta: il secondo capo cannoniere Arturo Ciannamea,
rimasto a lungo in acqua pressoché nudo, aggrappato ad un pezzo di legno,
avrebbe avuto problemi di salute per il resto della sua vita, passando i suoi
anni tra ripetuti ricoveri ospedalieri. Sarebbe morto ancora giovane,
probabilmente per problemi collegabili ai patimenti subiti in seguito
all’affondamento, pur essendo riuscito a sposarsi ed avere una figlia.
Personale della Regia Marina perito sul Città di Palermo:
Armando Abbondante, marinaio silurista,
disperso
Bruno Affarelli, marinaio furiere, disperso
Gennaro Amba, marinaio fuochista, deceduto
Gennaro Arcoleo, sottocapo cannoniere,
disperso
Matteo Barbera, capo meccanico di seconda
classe, deceduto
Michele Bartoli, marinaio cannoniere, deceduto
Leo Battaglia, marinaio, deceduto
Ettore Battista, marinaio segnalatore,
deceduto
Francesco Bellisario, sottocapo segnalatore,
disperso
Mario Bertolini, secondo capo nocchiere,
disperso
Santo Billè, marinaio S.D.T., disperso
Pietro Biondo, marinaio, disperso
Bartolomeo Bompartito, sottocapo nocchiere,
disperso
Luigi Bonadio, secondo capo cannoniere,
disperso
Giuseppe Brambilla, marinaio cannoniere,
deceduto
Giovanni Brangi, marinaio, disperso
Luigi Bronti, sottocapo segnalatore, disperso
Gaetano Calabrese, marinaio, deceduto
Giuseppe Cammarata, marinaio, disperso
Umberto Cammarata, marinaio furiere, disperso
Salvatore Campisi, marinaio furiere, deceduto
Francesco Capecchi, marinaio, disperso
Cinzio Caradini, sottocapo segnalatore,
disperso
Felice Careddu, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Guido Casella, secondo capo segnalatore,
disperso
Stefano Catania, secondo capo meccanico,
disperso
Vincenzo Ceci, marinaio fuochista, deceduto
Giovanni Cesaroni, marinaio meccanico,
disperso
Antonio Chiarello, marinaio, disperso
Domenico Cinti, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Corsico, marinaio, disperso
Pietro Crimiti, marinaio, disperso
Armando Cucchi, sottocapo elettricista,
disperso
Filippo Cuomo, marinaio cannoniere, disperso
Silvio Currarino, sergente torpediniere,
deceduto
Aniello D’Acunto, marinaio, disperso
Domenico De Giorgi, marinaio, disperso
Carmine De Lucia, secondo capo meccanico,
disperso
Pietro De Moro, secondo capo furiere, deceduto
Francesco Del Buono, marinaio, disperso
Ercole Del Prete, marinaio, disperso
Francesco Dovere, sottocapo cannoniere,
disperso
Alfonso Esposito, secondo capo meccanico,
disperso
Amedeo Feola, marinaio, disperso
Gennaro Ferrandino, marinaio, disperso
Illario Ferrari, marinaio fuochista, deceduto
Domenico Festoso, sottocapo fuochista,
disperso
Antonino Fichera, marinaio, deceduto
Salvatore Fiorillo, marinaio fuochista,
disperso
Giovanni Flori, sottocapo cannoniere, disperso
Francesco Fornasar, sottocapo cannoniere,
deceduto
Antonio Forneris, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Hermes Gadani, marinaio silurista, disperso
Giacomo Galioto, sottocapo nocchiere, deceduto
Salvatore Gambuzza, sottocapo carpentiere,
disperso
Giuseppe Giacona, marinaio, disperso
Ignazio Giannalivigni, marinaio, disperso
Giovanni Giardo, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Gioielli, marinaio furiere, disperso
Giuseppe Giuffrè, sottocapo nocchiere,
disperso
Antonio Grava, marinaio cannoniere, disperso
Mario Graziano, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Lorenzo Guerriera, sottocapo nocchiere,
disperso
Carlo Guido, sottocapo cannoniere, disperso
Fiore Iacono, sottocapo furiere, disperso
Alfonso Infurna, marinaio carpentiere,
disperso
Alberto Intoccia, marinaio cannoniere,
disperso
Amedeo Iudica, capitano del Genio Navale,
disperso
Benedetto La Barbera, sottocapo furiere,
disperso
Achille La Fata, marinaio fuochista, disperso
Claudio Lambertini, marinaio cannoniere,
disperso
Orazio Licciardello, marinaio, deceduto
Giuseppe Lo Cascio, secondo capo meccanico,
disperso
Pietro Longhi, marinaio, disperso
Valentino Lupieri, tenente di vascello,
disperso
Giovanni Magnasco, sottocapo carpentiere,
disperso
Raffaele Mainas, marinaio, disperso
Francesco Maiorana, tenente del Genio Navale,
disperso
Agostino Malafronte, sottocapo cannoniere,
disperso
Luigi Manfredi, sottocapo fuochista, deceduto
Serino Mantellassi, marinaio fuochista,
disperso
Vincenzo Maroni, capo aiutante di seconda
classe, disperso
Pasquale Marra, sottocapo cannoniere, disperso
Vito Mattaliano, capitano del Genio Navale,
disperso
Alfredo Mazzarisi, marinaio, disperso
Salvatore Messina, sottocapo nocchiere,
disperso
Antonio Micalizzi, capo elettricista di
seconda classe, disperso
Salvatore Miranda, sottocapo, deceduto
Rosolino Molica, sottocapo nocchiere, deceduto
Silvio Montagnese, sottocapo motorista,
disperso
Mario Montaldo, marinaio, disperso
Ruggero Montanari, marinaio silurista,
disperso
Antonio Morelli, marinaio furiere, disperso
Mario Mozan, marinaio fuochista, disperso
Mario Mura, capo furiere di prima classe,
disperso
Domenico Natoli, sottocapo cannoniere,
deceduto
Amleto Navarra, sergente motorista, disperso
Giacinto Occhipinti, marinaio, disperso
Santo Ognissanti, marinaio, deceduto
Salvatore Orlando, capo carpentiere di seconda
classe, disperso
Michelangelo Paiano, marinaio
radiotelegrafista, disperso
Gaetano Paino, marinaio, disperso
Andrea Parisi, marinaio, disperso
Ettore Passerini, sottotenente CREM, disperso
Raffaele Pecoraio, marinaio fuochista,
disperso
Vincenzo Perna, sottocapo elettricista,
disperso
Antonio Petrone, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Pierucci, sottocapo elettricista,
disperso
Umberto Piraino, marinaio fuochista, disperso
Lorenzo Pisasale, sottocapo infermiere,
deceduto
Flavio Porricolo, marinaio, disperso
Vittorio Procida, marinaio, deceduto
Ferdinando Raddi, secondo capo elettricista,
disperso
Andrea Radoslovich, marinaio fuochista,
disperso
Guido Rode, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Arturo Rossi, sergente (militarizzato),
disperso
Mario Rossi, marinaio, disperso
Giuseppe Ruggero, secondo capo silurista,
disperso
Salvatore Ruggiero, marinaio furiere, disperso
Giuseppe Runci, sottocapo furiere, disperso
Francesco Scalici, marinaio, disperso
Umberto Scatola, marinaio cannoniere, deceduto
Albino Scermino, marinaio, disperso
Tullio Sciarra, marinaio, deceduto
Pasquale Scognamiglio, marinaio, disperso
Dario Seligardi, secondo capo (militarizzato),
disperso
Angelo Senese, sottocapo infermiere, disperso
Paolo Spicuzza, marinaio fuochista, disperso
Nereo Stecich, marinaio fuochista, disperso
Fernando Stretti, sottocapo furiere, disperso
Lorenzo Tarallo, marinaio cannoniere, disperso
Ubaldo Tessari, sottocapo segnalatore,
disperso
Giuseppe Traversone, marinaio, disperso
Eugenio Trinca, secondo capo furiere, disperso
Alvaro Vairani, secondo capo meccanico,
disperso
Girolamo Verde, marinaio motorista, disperso
Luigi Visconte, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Giacomo Viviano, secondo capo elettricista,
deceduto
Nicola Vurro, marinaio cannoniere, disperso
Ernesto Zanellato, sottocapo palombaro,
disperso
Francesco Zecchillo, marinaio meccanico,
deceduto
Nota – I nomi sopra elencati
sono ricavati dai tre volumi che raccolgono i nominativi dei caduti e dispersi
della Marina Militare italiana nella seconda guerra mondiale. A differenza che
per quasi tutte le altre navi, per i caduti del Città di Palermo non è indicato il nome dell’unità di appartenenza,
ma soltanto la dicitura «non specificato (O12)» che sembra identificare il
personale imbarcato su navi requisite, quale appunto era il Città di Palermo. È possibile
identificarli come caduti del Città di
Palermo in base alla data di morte o dispersione, il 5 gennaio 1942;
l’unica altra unità navale italiana perduta in tale data era infatti il
sommergibile Ammiraglio Saint Bon, i
cui caduti non possono essere confusi con quelli del Città di Palermo, perché nel loro caso è indicato il nome del
sommergibile. Il presente elenco non comprende invece i nomi del personale del
Regio Esercito, della Regia Aeronautica (se presente) e di eventuali civili
periti nell’affondamento.
In seguito al
siluramento, Maricotraf dispose la temporanea sospensione del traffico tra
l’Italia e le Isole Ionie.
I pochi militari
sopravvissuti all’affondamento, sbarcati a Patrasso, vennero trasferiti ad
Atene e da qui a Rodi.
Per loro la guerra
continuava: il tenente medico di complemento Sebastiano Leone avrebbe subito un
secondo, meno drammatico, affondamento pochi mesi dopo, con il posamine
ausiliario Lero, guadagnandosi
l’appellativo di “naufrago di professione” da parte dell’ammiraglio Bianchieri,
comandante di Mariegeo (particolarmente infastidito perché Leone si era
presentato a lui in divisa dell’Esercito, unica divisa che aveva potuto
reperire dopo l'affondamento del Città di Palermo).
Il capitano
d’artiglieria Giovanni Terruggia, sopravvissuto con non pochi problemi di
salute a causa dell’ingestione di molta acqua mista a nafta, sarebbe stato
fucilato a Coo dai tedeschi nell’ottobre 1943, durante le crudeli rappresaglie
che insanguinarono l’Egeo dopo l’armistizio.
La Città di Palermo in tempi migliori (Eustachio Patalano via www.naviearmatori.net) |
L’affondamento del Città di Palermo nel giornale di bordo
del Proteus (da Uboat.net):
“0740 hours - Just as
it was getting light heard HE bearing 300°.
0741 hours - Sighted
two merchant vessel on the same bearing. Range was 7000 yards. Enemy course was
140°. Started attack. The ships were seen to be modern passenger vessel of
about 8000 tons.
0756 hours - Fired
two stern torpedoes from 600 yards. Both hit. The ship immediately took a heavy
list to starboard und turned onto her beam ends.
0802 hours - The
target was seen to sink.”
(g.c. Rosario Sessa, via www.naviearmatori.net) |
Grazie per aver scritto questo articolo
RispondiEliminaSono il nipote del secondo capo meccanico Giuseppe Lo Cascio che purtroppo era tra i dispersi.
Grazie! Mio nonno Giovanni Stanich, mancato nel 90, era a bordo e riuscì a salvarsi. Negli anni 80 ci fu una commemorazione in mare. Ho un video in videocassetta con testimonianze che voglio rivedere
RispondiEliminaSalve, nella motonave città di Palermo era imbarcato mio zio Cabras Giovanni che non trovo nell’elenco dei dispersi. È possibile avere più dettagli. Potete anche rispondermi alla mia mail budroni6561@gmail.com grazie
RispondiEliminaBuongiorno, conosce il grado e la forza armata di suo zio?
EliminaMio padre, Biagio Tricamo ,fu uno dei sopravvisuti all'affidamento Salvò un ufficiale pugliese ,mentre erano in acqua.Aveva bevuto nafta Si rivedere moltissimi anni dopo ,durante un incontra di meno di loro.Il giovane salvato fu sindaco di Manfredonia
RispondiEliminaGrazie per l’articolo, mio padre Lucio Cutolo, ufficiale medico, era imbarcato e diretto a Scarpanto. Anni dopo documentò la sua esperienza scrivendo un articolo su Historia.
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