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La
Birmania (Museo della Cantieristica di Monfalcone) |
Motonave
da carico di 5304,67 tsl, 3065,13 tsn e 8000 tpl, lunga 128,01-134,30
metri, larga 17,07-17,13 e pescante 7,18-10,87, con velocità di
crociera di 13,5 nodi e massima di 15 nodi. Di proprietà della
Società Anonima di Navigazione Italia, con sede a Genova, ed
iscritta con matricola 418 al Compartimento Marittimo di Trieste;
nominativo di chiamata radio IBRE.
Aveva
sei stive, con una capacità complessiva di 13.270 metri cubi.
Insieme alle gemelle Barbarigo,
Volpi
e Cortellazzo
formava una classe di «navi da carico celeri» propulse da motori
diesel FIAT da 6000 HP, tra i primi «cargo liners» (cargo di
linea), impiegati sulle rotte per l'Estremo Oriente, per le quali
erano stati espressamente costruiti.
Breve
e parziale cronologia.
1929
Impostata
nel Cantiere Navale Triestino di Monfalcone (numero di costruzione
222).
30
marzo 1930
Varata
nel Cantiere Navale Triestino di Monfalcone.
Novembre
1930
Completata
dai Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone (nuova
denominazione assunta dai cantieri di Monfalcone dopo la fusione tra
il Cantiere Navale Triestino e lo Stabilimento Tecnico Triestino,
avvenuta nel precedente settembre) per la Società Veneziana di
Navigazione a Vapore, con sede a Venezia. Iscritta con matricola 236
al Compartimento Marittimo di Venezia, nominativo di chiamata NGOX.
1934
Il
nominativo di chiamata radio diventa IBRE.
1936
Lo
Stato Maggiore della Regia Marina redige un progetto per la
trasformazione della Birmania
e delle tre gemelle, in caso di guerra, in “navi corsare” armate
con 5 cannoni da 120/45 mm (poi da 135/45 mm a seguito di una
modifica del progetto apportata nel 1937), due mitragliere da 13,2
mm, due tubi lanciasiluri da 450 mm e 50 mine nonché un
idroricognitore IMAM Ro. 43; tali unità dovrebbero essere impiegate
in Atlantico contro il naviglio mercantile nemico, grazie alla
propria velocità di 14 nodi (ciò sarà poi effettivamente fatto, in
guerra, da Germania e Giappone). Il progetto non avrà tuttavia
seguito.
1937
Trasferita
alla Società Anonima di Navigazione Italia, con sede a Genova. Il
porto di registrazione diventa Trieste.
La
Birmania a New York nel 1938 (Byron Company, via Museum of the
City of New York)Agosto
1939
La
Birmania,
in un viaggio da Genova agli Stati Uniti, trasporta a New York il
motoscafo Alagi
del campione motonauta conte Theo Rossi di Montelera (presidente
della Martini & Rossi), che con esso intende partecipare
all'edizione 1939 dell'APBA Gold Cup, una rinomata competizione
motonautica statunitense (consistente in una gara su un percorso di
90 miglia) che si tiene a Detroit. Rossi, con l'Alagi
(un motoscafo in metallo rosso e nero propulso da un motore Isotta
Fraschini da 500 HP, con cui ha vinto anche la President's Cup del
1938), ha vinto l'edizione 1938 della competizione – il primo
straniero a vincerla dalla sua fondazione nel 1904 – e si appresta
a partire per l'America con il transatlantico Conte
di
Savoia
per raggiungere l'Alagi
e difendere il titolo; tuttavia, lo scoppio della seconda guerra
mondiale il 1° settembre 1939 e la conseguente crisi internazionale
(anche se l'Italia non sarà subito coinvolta nel conflitto), che
comporta tra l'altro l'annullamento della partenza del Conte
di
Savoia,
lo indurranno il 3 settembre ad annullare la propria partecipazione
alla gara.
Novembre
1939
Altro
viaggio a New York.
Gennaio
1940
Viaggio
a New York.
Aprile
1940
Altro
viaggio a New York.
1940
Data
in gestione al Lloyd Triestino, insieme alla gemella Barbarigo,
per le linee per il Sudafrica.
18
settembre 1940
Requisita
a Trieste dalla Regia Marina, senza essere iscritta nel ruolo del
naviglio ausiliario dello Stato.
30
ottobre 1940
La
Birmania
lascia Bari alle 18.30, insieme ai piroscafi Olimpia
e Cadamosto
(in tutto 189 autoveicoli e 1314 tonnellate di rifornimenti sono
ripartite sulle tre navi), con la scorta del piccolo incrociatore
ausiliario Lago
Zuai e
della vecchia torpediniera Generale
Marcello
Prestinari.
31
ottobre 1940
Il
convoglio arriva a Durazzo alle 10.50.
7
novembre 1940
Alle
15 la Birmania lascia
scarica Durazzo insieme ai piroscafi Titania
(scarico), Enrico
e
Romagna
(adibiti
a traffico civile) per rientrare a Bari, con la scorta della
torpediniera Monzambano
e del Lago Zuai.
8
novembre 1940
Il
convoglio giunge a Bari alle 6.
13
novembre 1940
Birmania
ed Olimpia
salpano da Bari all'1.45, carichi di 799 automezzi, con la scorta
della torpediniera Confienza
e del piccolo incrociatore ausiliario Lago
Tana.
Il convoglio arriva a Durazzo alle 8.30.
21
novembre 1940
La
Birmania
lascia scarica Durazzo alle 6.20, insieme al trasporto truppe
Viminale
(anch'esso scarico) e con la scorta della torpediniera Curtatone.
Dopo
aver raggiunto Brindisi, Birmania
e Curtatone
proseguono per Bari, dove arrivano alle 17.
18
dicembre 1940
La
Birmania,
il piroscafo Diana
e la motonave Caldea
salpano da Bari per Durazzo alle 13.30, scortate dalla torpediniera
Andromeda.
Birmania
e Diana
hanno a bordo 31 militari, 173 automezzi, 420 quadrupedi e 843,5
tonnellate di materiali delle Divisioni «Taro» e «Trieste»,
mentre la Caldea
è adibita a traffico civile. Il convoglio giunge a Durazzo alle 19.
25
dicembre 1940
Alle
7 la Birmania
lascia scarica Brindisi insieme al piroscafo Merano,
diretta a Bari con la scorta della torpediniera Monzambano.
Il convoglietto giunge a Bari alle 10.50.
12
gennaio 1941
La
Birmania
e le motonavi Verdi
e Donizetti,
aventi a bordo in tutto 1579 militari, 148 veicoli e 392 tonnellate
di materiali, partono da Bari alle 00.00 dirette a Durazzo, dove
arrivano alle 12.45, scortate dall'incrociatore ausiliario Barletta
e dalla torpediniera Generale
Marcello
Prestinari.
16
gennaio 1941
La
Birmania
lascia scarica Durazzo alle 13, scortata dall'incrociatore ausiliario
Barletta.
Le due navi giungono a Bari alle 23.
31
gennaio 1941
La
Birmania
parte da Bari diretta a Durazzo insieme alle motonavi Città
di
Savona,
Rossini
e Puccini;
in tutto le navi hanno a bordo 2563 militari, 121 automezzi e 147
tonnellate di materiali. Scortato dall'incrociatore ausiliario Città
di
Genova
e dalla torpediniera Calatafimi,
il convoglio giunge a destinazione a mezzogiorno.
6
febbraio 1941
La
Birmania,
la motonave Caldea
ed il piroscafo Tagliamento
salpano da Durazzo alle 13.30 dirette a Bari, scariche, con la scorta
dell'incrociatore ausiliario Barletta.
7
febbraio 1941
Il
convoglio raggiunge Bari alle otto.
19
febbraio 1941
La
Birmania
ed il trasporto truppe Italia, aventi a bordo 1244 militari della 38a
Divisione Fanteria «Puglie», 167 automezzi e 75 tonnellate di
materiali, salpano da Bari alle nove del mattino e giungono a Durazzo
alle 19.20, scortati dalla torpediniera Andromeda
e dall'incrociatore ausiliario Barletta.
1°
marzo 1941
Alle
17.50 la Birmania
riparte scarica da Durazzo insieme alla motonave Tergestea
ed al piroscafo Tagliamento,
per rientrare a Bari scortato dalla torpediniera Giacomo
Medici.
2
marzo 1941
Il
convoglio arriva a Bari alle 7.30. In giornata la Birmania
si trasferisce da Bari a Brindisi, navigando da sola e senza scorta.
4
marzo 1941
Birmania,
Barbarigo
e la motonave Piero
Foscari
partono da Brindisi alle 8.30 con la scorta del cacciatorpediniere
Carlo
Mirabello.
Il convoglio, carico di automezzi e materiali vari oltre a 576
uomini, arriva a Durazzo alle 15.
6
marzo 1941
La
Birmania
lascia scarica Durazzo alle undici, scortata dall'incrociatore
ausiliario Capitano
A. Cecchi,
raggiungendo Bari dopo otto ore di navigazione.
10
marzo 1941
Birmania
e Foscari,
aventi a bordo in tutto 613 soldati, 90 automezzi e 726 tonnellate di
viveri e materiali vari, salpano da Brindisi alle 7 e raggiungono
Durazzo alle 13.30, scortate dal vecchio cacciatorpediniere Augusto
Riboty.
15
marzo 1941
La
Birmania
lascia scarica Durazzo a mezzogiorno insieme alle motonavi
Narenta e Rossini
(anch'esse scariche) ed al piroscafo Aventino
(con a bordo 228 feriti) per rientrare in Italia con la scorta della
torpediniera Angelo
Bassini.
16
marzo 1941
Il
convoglio giunge a Bari all'1.30.
9
aprile 1941
La
Birmania
salpa da Napoli alle 14.30 in convoglio con le motonavi Rialto,
Barbarigo,
Andrea
Gritti
e Sebastiano
Venier.
La scorta è fornita dal cacciatorpediniere Dardo
(caposcorta) e dalle torpediniere Clio,
Enrico
Cosenz
e Generale
Achille
Papa.
11
aprile 1941
Il
convoglio giunge a Tripoli alle 11.30.
19
aprile 1941
La
Birmania,
insieme alle motonavi Barbarigo,
Rialto,
Andrea
Gritti
e Sebastiano
Venier,
lascia Tripoli alle 15 per tornare a Napoli, con la scorta del
cacciatorpediniere Dardo
(caposcorta) e delle torpediniere Clio
e Giuseppe
Missori.
20
aprile 1941
Alle
nove del mattino il convoglio viene attaccato da bombardieri
britannici in più ondate al largo di Pantelleria, ma soltanto la
Clio
è colpita, subendo solo danni leggeri.
21
aprile 1941
Il
convoglio giunge a Tripoli alle 11.
24
aprile 1941
Alle
23 la Birmania,
al comando del capitano di lungo corso Arrigo Gladulich
(militarizzato con il grado di capitano di fregata) e con a bordo
truppe tedesche (il II, III e V Battaglione dell'8° Reggimento
Panzer), munizioni, benzina ed altri materiali per l'Afrika Korps,
salpa da Napoli insieme alla motonave Rialto ed ai piroscafi tedeschi
Reichenfels,
Marburg
e Kybfels
(convoglio «Birmania»
o «Seetransportstaffel. 23»), diretta a Tripoli con la scorta dei
cacciatorpediniere Fulmine
ed Euro
e delle torpediniere Castore,
Procione
(capitano di corvetta Riccardo Imperiali, caposcorta) ed Orione.
(Fonti tedesche collocano la partenza del convoglio alle due di notte
del 25 aprile).
25
aprile 1941
A
causa del mare tempestoso il convoglio viene dirottato a Palermo,
dove arriva alle 21.25 (o 21.30).
28
aprile 1941
Alle
5.30 il convoglio, cui si è adesso unito anche il trasporto
truppe Marco Polo
(capitano
di fregata Michele
Tanzini)
scortato dalla torpediniera Orsa
(per altra fonte, le due
navi si sarebbero unite al convoglio in mare aperto, il 25 aprile),
riparte da Palermo.
Alle
13 la ricognizione aerea avvista due incrociatori e dodici
cacciatorpediniere britannici a Malta, pertanto Supemarina ordina al
convoglio di rifugiarsi precauzionalmente ad Augusta e Messina,
dividendolo in due gruppi: Birmania
e Rialto
a Messina, dove arrivano alle 18, le navi tedesche ed il Marco
Polo
ad Augusta, dove arrivano alle 19.45.
29
aprile 1941
La
ripartenza del convoglio viene rinviata per via dell'assenza di
un'adeguata copertura aerea.
30
aprile 1941
Il
convoglio prende nuovamente il mare nelle prime ore della notte,
riunendosi al largo di Augusta e dirigendo per Tripoli. Rinforza la
scorta la torpediniera Canopo.
Il
convoglio passa a nord della Sicilia e poi imbocca la rotta delle
Kerkennah, la più adatta per restare il più lontano possibile dalle
navi britanniche ancora in movimento nel Mediterraneo Orientale.
Per
ordine di Supermarina, le Divisioni incrociatori III (incrociatori
pesanti Trieste e Bolzano)
e VII (incrociatore leggero Eugenio
di Savoia) ed i
cacciatorpediniere Ascari, Carabiniere (per
la III Divisione) e Gioberti (per
la VII Divisione) escono in mare per proteggere il convoglio da
eventuali attacchi da parte delle forze di superficie britanniche che
sono ancora in mare.
(I
movimenti sopra riportati sono quelli che risultano dal diario di
guerra, KTB, del responsabile dei trasporti marittimi tedeschi in
Italia, Seetransportchef Italien. Il volume USMM "La difesa del
traffico con l'Africa Settentrionale dal 10 giugno 1940 al 30
settembre 1941" afferma invece che già il 25 aprile, quando si
decise di dirottarlo in porti della Sicilia in conseguenza sia del
maltempo che di movimenti delle forze navali britanniche ad est e ad
ovest del Canale di Sicilia e conseguente allarme navale, il
convoglio venne diviso in due gruppi, piroscafi e torpediniere fatti
rifugiare a Palermo alle 21.30 del 25 e le motonavi a Messina alle
18, tutti fatti poi ripartire da Palermo e Messina nella notte tra il
29 ed il 30 aprile. Sembra probabile un errore).
1°
maggio 1941
Alle
12.44 il sommergibile britannico Undaunted
(tenente di vascello James Lees Livesey) avvista il convoglio
«Birmania»,
in navigazione ad otto nodi con rotta 205°, in posizione 34°40' N e
12°20' E, e, dopo aver lanciato il segnale di scoperta (che sarà
l'ultimo suo contatto con la base: scomparirà con tutto l'equipaggio
nei giorni successivi), passa all'attacco. Alle 12.51, un'ottantina
di miglia a nord di Tripoli ed al largo delle Kerkennah, la Rialto
viene infatti mancata di stretta misura da un siluro che la passa a
poppa, osservato anche dal Marburg.
(La storia ufficiale dell'USMM parla di più siluri, evitati con la
manovra e passati in mezzo ai mercantili).
Il
convoglio viene anche infruttuosamente attaccato da aerei; da Malta
prende inoltre il mare per intercettarlo al largo delle Kerkennah una
formazione composta dall'incrociatore leggero Gloucester e
dai
cacciatorpediniere Kelly, Kelvin, Kashmir, Kipling, Jersey e Jackal
della 5th
Destroyer Flotilla, che tuttavia non riesce a rintracciarlo.
Tutte
le navi raggiungono indenni Tripoli alle 23 (o 21).
.JPG) |
Un’altra
immagine della Birmania (g.c. Danilo Pellegrini) |
Disastro
a Tripoli
Il
nome della Birmania
è legato ad uno dei più catastrofici eventi che si abbatterono sul
martoriato porto di Tripoli nel corso della seconda guerra mondiale.
Dopo
l'arrivo a destinazione del Seetransportstaffel. 23, la Birmania
si mise alla fonda in porto fino al mattino del 3 maggio 1941, quando
andò ad ormeggiarsi al lato orientale del pontile XXIV Gennaio
(pontile n. 1) per completare lo scarico dei materiali che aveva
ancora a bordo, tra cui munizioni e bombe d'aereo per la Luftwaffe.
(Altre fonti affermano che la nave si era ormeggiata a quel pontile
per caricare munizionamento tedesco, tra cui le famigerate bombe
d'aereo, ma questo appare poco logico, oltre a contrastare con quanto
affermato nell'atto di scomparizione in mare redatto dalla
Capitaneria di Porto di Tripoli il 31 agosto 1941 relativamente ai
membri dell'equipaggio rimasti uccisi nel disastro).
Sull'altro
lato del medesimo pontile, quello orientale, era ormeggiato
l'incrociatore ausiliario Città
di Bari, che stava invece
caricando carburante e munizioni tedesche da portare a Bengasi (aveva
già a bordo circa 800 tonnellate di carburante e munizioni). Secondo
una versione erano proprio le munizioni scaricate dalla Birmania
ad essere trasferite sul Città
di Bari, che avrebbe poi
dovuto trasportarle a Bengasi, più vicina alla linea del fronte,
dove avrebbe potuto entrare più agevolmente della Birmania
in ragione del suo minore tonnellaggio (le distruzioni subite dal
quel porto per effetto dei bombardamenti e dei sabotaggi che avevano
preceduto la sua perdita e riconquista rendevano infatti difficile
l'approdo e lo scarico alle navi mercantili di maggiori dimensioni).
Questa ipotesi sembra rafforzata dal fatto che pochi giorni prima, il
30 aprile, il Città di Bari
era stato messo a disposizione dell'Afrika Korps come nave da
impiegare per i trasporti costieri, come registrato nel diario di
guerra del comando navale tedesco di Bengasi (la nave, già ripartita
da Tripoli per l'Italia da dov'era arrivata il 24 aprile, era stata
richiamata in porto per essere adibita a questo ruolo).
La
Birmania,
che aveva la poppa rivolta verso la terra, scaricava le sue munizioni
sia da prua che da poppa, mentre il Città
di Bari, che aveva la prua
verso terra, imbarcava munizioni dal lato di dritta (rivolto verso il
molo) e benzina in fusti da due chiatte ormeggiate sottobordo sul
lato sinistro. Il Città di
Bari era più vicino a
terra rispetto alla Birmania,
così le poppe delle due navi erano più o meno alla stessa altezza.
Squadre di stivatori arabi provvedevano alle operazioni di carico e
scarico, insieme a militari italiani e tedeschi.
Alle
10.10 (o 10.12) di quel mattino una tremenda esplosione si verificò
nella stiva di poppa della Birmania,
seguita da altre; le fiamme e gli scoppi si estesero ben presto anche
al vicino Città di Bari.
Il
comandante militare del Città
di Bari, capitano di
fregata Giuseppe Puppo, si trovava nella segreteria comando della sua
nave e rimase inizialmente stordito dall'esplosione verificatasi
sulla nave vicina; parlò poi di un primo violentissimo scoppio
proveniente dalla dritta, alle 10.10, seguito da altri di minore
entità. Riavutosi e corso in coperta, vide davanti a sé “la poppa
del Birmania
avvolta da alte fiamme, mentre da essa partivano numerose esplosioni
con lancio di schegge”. Dal momento che il Città
di Bari sembrava non essere
ancora coinvolto, diede ordine di disormeggiare la nave per
allontanarla il più rapidamente possibile dalla Birmania,
le cui fiamme e tizzoni infuocati venivano spinti dal vento – un
grecale piuttosto fresco – verso l'incrociatore ausiliario. Dopo
aver dato quest'ordine, tuttavia, Puppo si accorse che le due chiatte
cariche di fusti di benzina ormeggiate sottobordo avevano preso
fuoco, e che fiamme iniziavano a levarsi anche dalle stive che
contenevano la benzina in fusti, a prua ed a poppa: constatata
l'impossibilità di circoscrivere l'incendio, e l'imminenza
dell'estensione delle fiamme alle stive che contenevano le munizioni,
non poté far altro che dare ordine di abbandonare la nave.
L'equipaggio
del Città di Bari
si diede quindi alla fuga, in parte correndo a terra nei vicini
rifugi antiaerei, in parte gettandosi in mare; il comandante militare
Puppo fu l'ultimo a lasciare la nave, saltando a terra sulla banchina
numero 1 insieme alla sua ordinanza, il trombettiere Salvatore
Loconsole. Accortisi che il cannoniere Luigi Ciullo era in acqua e
non aveva abbastanza forza per arrampicarsi sul molo, lo aiutarono a
salire e poi raggiunsero di corsa il rifugio antiaereo situato
all'inizio del pontile numero 1, mentre dietro di loro Birmania
e Città di Bari
venivano scosse dalle esplosioni e proiettavano schegge in tutte le
direzioni.
Secondo
il ricordo di alcuni superstiti, una grossa porzione della poppa
della Birmania
venne lanciata in aria dall'esplosione e ricadde sulla banchina.
2.jpg) |
L’esplosione
della Birmania
(foto scattata dal tenente del Genio Luigi Dionisi, da www.cronologia.it) |
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L’esplosione
vista da un altro punto, in primo piano il cacciatorpediniere Dardo
(g.c. STORIA militare) |
%20e%20Citt%C3%A0%20di%20Bari%20esplosione%20(foto%20ten%20Genio%20Luigi%20Dionisi%20via%20cronologia.it).png) |
L’esplosione
vista da un punto ancora differente: ben visibile la Città
di Bari,
mentre la Birmania
è nascosta dalla colonna di fumo e fiamme (foto Luigi Dionisi, via
www.cronologia.it) |
La
Birmania,
con la parte poppiera completamente demolita dall'esplosione ed il
lato di dritta squarciato in più punti, affondò in fiamme al suo
posto d'ormeggio alle 12.30, rimanendo tuttavia emergente – come se
fosse ancora a galla – a causa del bassofondale. La Città
di Bari l'aveva preceduta,
affondando all'ormeggio una ventina di minuti dopo le prime
detonazioni, sbandata sulla sinistra.
Il
peggio poteva considerarsi passato dopo circa mezz'ora, con le
esplosioni che pur continuando si erano fatte più sporadiche e meno
violente. Le prime ambulanze accorsero al molo ed iniziarono a
prelevare i primi feriti.
La
motonave tedesca Reichenfels,
ormeggiata al molo Cagni a poche decine di metri dalla Birmania,
subì seri danni al castello di prua, che fu incendiato, ed ebbe tra
l'equipaggio tre vittime (il comandante, capitano Wilhelm Harrie, e
due marinai) e quattro feriti gravi; l'incendio a bordo, che fece
esplodere le riservette di munizioni delle mitragliere contraeree,
poté essere domato soltanto alle sette di sera. Tra i natanti
presenti in porto, furono danneggiati un pontone Siebel e diverse
chiatte, mentre a terra subirono vari danni 25 autocarri. Un
idrovolante italiano (il "Pace" del comandante Figini, che
portava la posta ai soldati dall'Italia) andò distrutto. Non
riportarono invece danni di rilievo le numerose altre navi presenti
in porto ed in rada, tra cui il trasporto truppe Marco Polo, i
piroscafi italiani Bosforo
e Bainsizza,
la motonave Rialto,
la nave cisterna Luisiano,
i mercantili tedeschi Brook,
Marburg
e Tilly
L. M. Russ,
i cacciatorpediniere Dardo,
Euro
e Fulmine
e le torpediniere Castore,
Canopo,
Procione,
Polluce,
Perseo
ed Orione,
anche se alcune di esse lamentarono dei feriti tra gli equipaggi (tra
di esse, il Bainsizza
ed il rimorchiatore Malamocco).
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.jpg) |
Un’altra
immagine della Birmania in fiamme (da www.betasom.it,
utente Eritrea) |
 |
L’incendio
visto da un altro punto: in primo piano è riconoscibile sulla destra
il trasporto truppe Marco
Polo
e, appena più a sinistra, il cacciatorpediniere Folgore;
più lontani le torpediniere Procione,
Castore
ed Orione
ed il cacciatorpediniere Euro
(da “La guerra italiana sul mare” di Giorgio Giorgerini) |
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La
devastazione nel porto, al centro dell’immagine è visibile il
relitto dell’idrovolante "Pace" del comandante Figini,
che portava la posta ai soldati dall'Italia (foto Luigi Dionisi, da
www.cronologia.it) |
Antonio
Mammone, dipendente dei Magazzini Generali del Porto di Tripoli
incaricato della registrazione delle merci in partenza ed in arrivo,
si salvò per uno dei tanti casi del destino. Il mattino del disastro
era stato assegnato allo scaricamento della Birmania,
ma mentre questo era in corso era salito sulla motonave un ufficiale
della Capitaneria di Tripoli che conosceva, capitan Bobani, che gli
aveva chiesto di andare a cercare un caposquadra degli scaricatori di
sua conoscenza, offrendosi di sostituirlo sulla Birmania
fino al suo ritorno. Bobani si sentiva troppo stanco per salire e
scendere le scalette di corda delle navi in rada alla ricerca del
caposquadra. Mammone si era dunque messo in cerca; pensando di
trovare il caposquadra su una delle navi in rada, e volendone
approfittare per mangiare qualcosa, si era recato per prima cosa sul
transatlantico Vulcania,
la nave meglio fornita di cibo e generi di conforto tra quelle
presenti, e proprio nelle sue cucine aveva trovato chi cercava,
intento a parlare con i cuochi e scroccare qualcosa da mangiare.
Anche lui si era trattenuto un po' a parlare e mangiare, dopo di che
entrambi avevano lasciato la nave con una motolancia di servizio;
arrivati a terra, Mammone si era fermato brevemente a parlare con un
collega che gli aveva chiesto se avesse comprato le sue sigarette
preferite, le Philip Morris, sulla Vulcania
(che essendo stata impiegata nel servizio di linea con gli Stati
Uniti prima della guerra, ne aveva ancora abbondante scorta), prima
di proseguire verso il molo XXIV Gennaio. Quando era arrivato a non
più di venti metri dalla Birmania,
Mammone vide la nave sparire in una sfera di fuoco uscita da un
boccaporto, tanto enorme da sembrare un sole e seguito da un boato
terrificante e da un'onda d'urto che lo lanciò a metri di distanza:
stordito, bagnato e contuso, si riprese tra due autocarri
parcheggiati più in là. Ancora inebetito, vide un camion dei
pompieri, fermo sulla banchina, lanciare inutilmente getti d'acqua
sulla Birmania
che continuava ad essere scossa dalle esplosioni, finché un pezzo di
nave, lanciato in aria dagli scoppi, ricadde sul molo schiacciando
sotto di sé i pompieri ed il loro mezzo, oltre ai bar della banchina
ed alla bicicletta nuova che lo stesso Mammone vi aveva lasciato
legata prima di recarsi al lavoro. Di capitan Bobani, che Mammone
aveva visto l'ultima volta seduto su un rotolo di gomene a bordo
della Birmania,
venne ritrovata a settimane di distanza soltanto una mano,
riconosciuta dai suoi amici più cari per via di un anello che
indossava.
Anche
il capitano marittimo tedesco Bernhard Morisse, già comandante del
piroscafo Arcturus
affondato per siluramento pochi giorni prima, scampò al disastro per
pochi minuti, per una mera casualità. Il sovrintendente al carico
destinato alle forze tedesche imbarcato sulla Birmania,
il Lademeister
Hugo Hoppe dell'Ufficio trasporti marittimi di Napoli, era stato in
precedenza alle sue dipendenze; Morisse lo andò a trovare sulla
motonave, e dopo aver chiacchierato una mezz'oretta i due si
lasciarono dopo aver bevuto un bicchiere di gin. Morisse non si era
allontanato neanche di duecento metri, quando la Birmania
era esplosa dietro di lui. Era corso a rifugiarsi nella sede del
Comando portuale, mentre alla prima esplosione ne seguiva una seconda
e nubi di fumo nero si levavano sul porto. Hoppe non ebbe la stessa
fortuna.
Anche
il capitano Walter Ernst Adolf Otto, responsabile dei rifornimenti
dell'Afrika Korps e braccio destro di Rommel per tutte le questioni
inerenti la logistica, aveva lasciato la Birmania
pochi minuti prima dell'esplosione. Ebbe del miracoloso la
sopravvivenza di un altro ufficiale tedesco, il capitano Ernst Hailer
del 681° Reparto rifornimenti, che sovrintendeva alle operazioni di
scarico. Una parte della poppa della Birmania,
lanciata sul molo dall'esplosione, ricadde su di lui ma non lo
schiacciò: grazie alla forma del rottame contorto, rimase una
“nicchia” abbastanza grande nella quale Hailer rimase
relativamente indenne, ed anzi questa sorta di “volta” metallica
lo protesse dalla pioggia di schegge creata dalle esplosioni. Tre
suoi sottoposti, che al momento del disastro si trovavano a pochi
passi di distanza, morirono tutti.
L'allora
diciottenne Paolo Savasta, appartenente ad una famiglia siciliana
trasferitasi a Tripoli fin dal 1906, avrebbe così ricordato il
disastro: “…verso
le 9 del mattino improvvisamente, udimmo uno spaventoso boato,
seguito dopo qualche minuto da un altro ancora più potente, come se
una bomba ci fosse scoppiata a pochi metri, naturalmente pensando ad
un altro bombardamento navale scappammo nei rifugi, ma dopo qualche
ora non sentendo altri scoppi, uscimmo all'aperto domandandoci cosa
fosse successo di così terribile, la conferma arrivò poco dopo,
quando venimmo a conoscenza che nel porto era saltata in aria la nave
italiana “Birmania” carica di bombe d'aereo; l'esplosione fu così
forte che i rottami della nave caddero su quasi tutta la città,
centinaia i morti e feriti tra militari e civili. Le indagini svolte
dalla polizia italiana e tedesca, scartarono l'ipotesi di un
sabotaggio come si era subito pensato, la vera causa fu che la nave
aveva caricato particolari bombe a percussione sensibile; la
inesperienza degli scaricatori del porto, che certamente non usarono
alcuna precauzione, provocò quella terribile deflagrazione”.

1.jpg)
Altre
immagini dell’incendio della Birmania
(da Forum Marinearchiv, utente Whinigo). Nella prima foto in alto,
oltre alla Birmania
in fiamme di cui è ben visibile la metà prodiera, sono
riconoscibili in primo piano a destra il piroscafo tedesco Tilly
L. M. Russ (che
di lì a pochi mesi sarà a sua volta protagonista di una
catastrofica esplosione nel porto di Bengasi, nel suo caso provocata
da siluramento) e dietro di esso altri due piroscafi tedeschi di
maggiori dimensioni, Reichenfels
(a sinistra) e Kybfels
(a destra).
2.jpg)
3.jpg)
Sorprendentemente,
se si considera l'entità del disastro, la maggior parte
dell'equipaggio della Birmania
riuscì a salvarsi, compresi il comandante Arrigo Gladulich, il
direttore di macchina Giovanni Marchetti e tutti gli ufficiali di
coperta e di macchina. Parimenti si salvarono il regio commissario,
capitano del Genio Navale Arturo Porcaro, ed otto tra sottufficiali e
marinai della Regia Marina addetti alle segnalazioni ed all'armamento
di bordo. Viene da pensare che gran parte dell'equipaggio non si
trovasse a bordo al momento del disastro, o che l'esplosione
“principale” sia stata preceduta da altre detonazioni di minore
entità, sufficienti ad indurre i più a mettersi in salvo prima che
fosse troppo tardi.
Dei
42 uomini che componevano l'equipaggio civile della Birmania,
in 33 sopravvissero, mentre nove risultarono dispersi:
Francesco Bruzzone, primo cuoco, 30
anni, da Genova
Paolo Bucetti, radiotelegrafista, 40
anni, da Messina
Angelo Carotenuto, terzo cuoco, 28
anni, da Torre del Greco
Francesco Emmaus, marinaio, 32 anni,
da Torre del Greco
Emilio Milanopulo, secondo cuoco, 31
anni, da Trieste
Gavino Nuvoli, cambusiere, 43 anni, da
Porto Torres
Giuseppe Poscia, meccanico, 53 anni,
da Sant'Antimo
Guglielmo Ravalico, giovanotto di
seconda, 23 anni, da Pirano
Giuseppe Rubini, ingrassatore, 49
anni, da Pola
Rimasero
feriti in modo non grave, e furono medicati presso l'infermeria del
Comando Marina di Tripoli, il comandante Gladulich, il terzo
ufficiale Francesco De Gennaro, il marinaio civile Domenico Lubrano
Lavadera, il carpentiere Eugenio Castellani, l'elettricista Augusto
Vittori, il marinaio della Regia Marina Filippo Corvaglia ed il
secondo capo meccanico Sergio Farè. Altri feriti più gravi vennero
ricoverati negli ospedali di Tripoli, dove furono portati anche i
corpi delle vittime dell'esplosione, non tutte identificabili.
I
superstiti rimasti illesi o feriti lievemente, sia militari e
militarizzati che civili, vennero avviati alla sede di Marina
Tripoli, dove ricevettero del vestiario in sostituzione di quello
perso sulla nave; furono poi tutti rimpatriati sulla nave ospedale
Sicilia,
che lasciò Tripoli per Napoli il 4 maggio.
Sopra,
il verbale di dispersione dei marittimi scomparsi nell’esplosione
della Birmania (g.c. Michele Strazzeri); sotto, un parziale
elenco dei feriti (Ufficio Storico della Marina Militare, via
Pierluca Zampardi)
2.jpg)
3.jpg)
Anche
tra l'equipaggio del Città
di Bari le perdite furono
meno pesanti di quanto ci si potrebbe aspettare, ammontando ad undici
tra morti e dispersi su un equipaggio di 89 uomini. Decine furono,
tuttavia, le vittime tra i lavoratori portuali italiani e libici ed i
militari che con essi lavoravano alle operazioni di caricamento e
scaricamento delle due navi; secondo il libro “Le volpi del
deserto” di Paul Carell il bilancio complessivo fu di 42 morti e 50
feriti tra il personale italiano, 28 morti e 38 feriti tra quello
tedesco (un dispaccio del Comando Superiore della Regia Marina in
Libia datato 7 maggio 1941 parla di una cinquantina di vittime tra i
militari tedeschi impegnati nelle operazioni di scarico) e circa 150
morti tra gli scaricatori di porto libici, mentre altre parlano di
circa duecento vittime complessive; altra ancora afferma che dalle
acque del porto sarebbero stati recuperati i resti di 78 persone.
Rimasero uccisi anche membri degli equipaggi di navigli minori che si
trovavano nei pressi delle due navi esplose, molti degli uomini che
erano sul molo al momento del disastro, personale del Comando Marina
di Tripoli, militari che erano presenti casualmente sulle due navi ed
abitanti di Tripoli investiti dalle schegge infuocate proiettate
ovunque dalle esplosioni, che fecero crollare anche gli edifici
adiacenti al molo interessato dal disastro. Vittime e feriti vennero
portati nei diversi ospedali di Tripoli, mentre i feriti lievi e gli
illesi vennero radunati nella sede del Comando Marina di Tripoli,
dove ricevettero del vestiario per sostituire quello perso a bordo
delle proprie navi.
Alcuni
dei dispersi furono probabilmente tra le vittime i cui corpi furono
recuperati, ma risultavano troppo martoriati dalle esplosioni per
essere riconoscibili. Furono sepolti nel cimitero italiano di
Hammangi.
.JPG) |
Il
relitto della Birmania a Tripoli nel maggio 1941 (da
“Affondate le navi”, di Donatella Alfonso) |
.jpg) |
Vista
poppiera del relitto: la poppa è completamente distrutta ed il
fumaiolo è collassato nel conseguente ammasso di rottami (Coll.
Famiglie Tognon e Zaghis, via g.c. STORIA militare) |
Tra
le vittime fra il personale di terra vi fu anche il capo dell'ufficio
imbarchi e sbarchi del Comando Marina di Tripoli, il
quarantaquattrenne capitano di fregata Enrico Misley, da Roma; alla
sua memoria sarebbe stata conferita la Medaglia d'Argento al Valor
Militare, con motivazione "Capo
Ufficio imbarchi e sbarchi di un porto particolarmente soggetto
all'offesa avversaria, profondeva nell'assolvimento del suo compito
tutte le energie della sua nobile e generosa tempra di soldato e di
marinaio. Animatore instancabile, sempre primo ad accorrere ove
maggiore era il pericolo ed a salire su navi incendiate dall'offesa
nemica per disporre la salvezza delle unità colpite e di quelle
vicine. Trovava morte gloriosa in grave esplosione, mentre sereno ed
impavido come sempre attendeva al suo posto di lavoro".
Il
ventiseienne secondo nocchiere di porto Mario Grabar, da Rozzo
d'Istria, in servizio presso la Capitaneria di Porto di Tripoli,
rimase gravemente ferito mentre cercava di soccorrere altri compagni
feriti e morì in ospedale a Tripoli il giorno seguente. Anche alla
sua memoria venne conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare:
"Gravemente
ferito durante una esplosione di navi cariche di munizioni e
carburanti, nonostante il susseguirsi di proiezioni di schegge e il
divampare degli incendi, si prodigava ancora nel prestare assistenza
agli altri feriti. Caduto esausto e trasportato in ospedale,
sopportava stoicamente il dolore delle lancinanti ferite e negli
ultimi istanti rivolgeva a quanti erano a lui intorno parole di fede
e di incitamento, soprattutto preoccupandosi della sorte del suo
Comandante. Nobile esempio di altissimo sentimento del dovere e di
eroico spirito di sacrificio".
Tra
i feriti vi furono il generale di divisione Edoardo Giordano,
direttore dei servizi del porto di Tripoli, il colonnello Aldo
Mascarini, direttore del servizio automobilistico dell'Intendenza
dell'Africa Settentrionale, ed il tenente colonnello Crisippo
Pagliocchini, capo della delegazione dell'Intendenza della
Tripolitania. Il tenente colonnello Pagliocchini, rimasto gravemente
ferito, venne decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare
(“In
un tragico incidente rimaneva gravemente ferito, mentre, sereno come
sempre al suo posto di lavoro curava l'organizzazione di un
importante rifornimento via mare alle truppe operanti”), così come
il generale Giordano (“In seguito a tragico incidente rimaneva
ferito, mentre al suo posto di responsabilità presiedeva alle
operazioni di scarico di importante convoglio”).
Tra
coloro che, tra il personale a terra, furono coinvolti nel disastro
vi fu anche l'allora tenente d'artiglieria Luigi Ferraro, destinato
ad entrare successivamente come incursore nella X Flottiglia MAS ed a
divenire famoso per le sue gesta nel porto turco di Alessandretta,
dove di giorno si fingeva un impiegato del locale consolato italiano
e di notte piazzava cariche esplosive sulle navi Alleate presenti,
affondandone una e danneggiandone gravemente un'altra. Anche nelle
tragiche circostanze del disastro di Tripoli Ferraro si mise in luce:
dalla motivazione della Croce di Guerra al Valor Militare che gli
venne conferita si apprende infatti che "In
seguito ad una grave esplosione verificatasi in un porto accorreva
tra i primi e si offriva volontario per ben due volte al fine di
allontanare dalle fiamme una maona carica di cassette di munizioni e
bombe per aereo, riuscendo nella difficile e pericolosa impresa.
Nella circostanza dimostrava iniziativa, coraggio ed alto spirito di
sacrificio".
Il
tenente del C.RE.M. Antonio Sorrentino, da Anacapri, venne decorato
con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione "Rimasto
miracolosamente incolume in seguito ad esplosione verificatasi a
bordo di un piroscafo carico di munizioni e di carburante, con
assoluto sprezzo del pericolo determinato dal susseguirsi di violente
esplosioni e dalle fiamme divampanti, anziché ripararsi
s'intratteneva sul posto prodigandosi nel soccorso dei colpiti ed
allontanandosi solo in seguito ad ordine ricevuto. Successivamente,
rifiutando il riposo concessogli, riprendeva il proprio servizio al
porto per raccogliere i manovali dispersi ed assicurare la ripresa
del lavoro intesa allo sbarco dei materiali. Nobile esempio di virtù
militari e profondo attaccamento al dovere".
Il
tenente Ottorino Sacchetti, del XXXI Gruppo del 4° Reggimento
Artiglieria Contraerei, ricevette la Croce di Guerra al Valor
Militare con motivazione: “Ufficiale
di eccellenti doti professionali, incaricato dello scarico di
munizioni e materiali di artiglieria a bordo di un piroscafo,
sorpreso da una esplosione verificatasi in nave vicina e proiettato
al suolo per lo spostamento d'aria, si adoperava, sebbene contuso,
nell'operazione di assistenza e soccorso. Sotto il susseguirsi degli
scoppi della nave incendiata che cagionavano danni e perdite di vite
umane, con grave rischio personale riusciva con prontezza e
decisione, altissimo senso del dovere e spirito di sacrificio, a
porre in salvo i suoi dipendenti ed a sottrarre alla morte i feriti”.
Il XXXI Gruppo, arrivato in Africa il giorno precedente al disastro,
ebbe in questa circostanza i suoi primi caduti: i sergenti maggiori
Guerrieri e Bertagnolo e l'artigliere Broglia.
.jpg) |
Il
tenente Ottorino Sacchetti (da “4o Reggimento
Artiglieria Controaerei 1926-2003”, di Armando Ratti) |
Tra
il personale tedesco, rimasero uccisi tra gli altri nove soldati
della 33a Compagnia Rifornimenti (Clemens Welsch, Edmund Heck, Alfons
Klein, August Dauer, Josef Scharf, Richard Vollmer, Franz
Hinterschitt, Emil Fleinert ed Adolf Bantel; un decimo soldato della
stessa compagnia, Arnold Becker, morì in ospedale per le ferite il 7
maggio), due militari del Luftwaffen-Nachschub I/4 (il sergente
Heinz-Richard Kreter ed il soldato Eduard-Edmund Gundlach), il
caporale Theodor Robert Kemper della Compagnia contraerea di Marina
di Napoli, l'aviere Jakob Salentyn dello Stato Maggiore del Comando
della zona aeroportuale Africa, il sergente Alfred-Frank Proszak del
681° Reparto rifornimenti, il soldato Gustav Herda del 33° Reparto
polizia militare, il soldato Willi Frank dell'85° Battaglione
Pontieri ed il già citato sergente Hugo Hoppe.
Il
bilancio più pesante, a quanto sembra, lo pagarono gli sfortunati
scaricatori libici: di loro la Storia sembra aver dimenticato anche i
nomi.
Altre
due immagini del relitto della Birmania (sopra, da “Navi
mercantili perdute” dell’Ufficio Storico della Marina Militare)

.PNG) |
Il
relitto della Città
di Bari,
da dietro il quale spunta sulla destra la prua della Birmania
(foto Luigi Dionisi, via www.cronologia.it) |
La
causa dell'esplosione che distrusse Birmania
e Città di Bari
rimane non del tutto chiara. Il volume "Navi mercantili
perdute", dell'Ufficio Storico della Marina Militare, afferma
che l'esplosione avvenne “probabilmente
per dolo”,
ed anche Giorgio Giorgerini, nel suo libro "La guerra italiana
sul mare", attribuisce il disastro a sabotaggio; Erminio
Bagnasco in "Navi e marinai italiani nel secondo conflitto
mondiale" parla di esplosione verificatasi “forse
per atto di sabotaggio”.
Il volume "La difesa del traffico con l'Africa Settentrionale
dal 10 giugno 1940 al 30 settembre 1941", anch'esso dell'USMM,
attribuisce l'esplosione della Birmania
a “cause imprecisate”; questo testo precisa anche che al momento
del disastro la Birmania
aveva a bordo 375 tonnellate di munizioni e stava caricando (?)
munizionamento tedesco.
Il
volume "The Royal Navy and the Mediterranean, November
1940-December 1941" afferma invece che la causa era
probabilmente da ricercarsi nell'esplosione spontanea delle bombe
d'aereo tedesche caricate sulla Birmania,
ed anche "The Mediterranean and Middle East" di Ian Stanley
Ord Playfair, storia ufficiale delle operazioni britanniche in
Nordafrica, afferma che le autorità italiane attribuirono l'accaduto
alla combustione spontanea di bombe d'aereo tedesche. Il diario della
Seekriegsleitung, lo Stato Maggiore della Marina tedesca, parimenti
attribuisce il disastro all'esplosione di bombe facenti parte del
carico; curiosamente l'estensore di quel diario, evidentemente male
informato, aveva invertito l'ordine degli eventi, scrivendo che era
stato il Città di Bari
ad esplodere per primo, investendo la Birmania
e causando anche la sua esplosione. Il KTB del Seetransportchef
Italien riporta alle 11.32 del 3 maggio un messaggio del
Seetransportstelle Tripolis che parla dell'esplosione del Città
di Bari (alle 10.15) ed
incendio del Reichenfels causati da un attacco aereo, senza nemmeno
nominare la Birmania;
ma il giorno seguente la notizia veniva corretta da un rapporto del
tenente di vascello Albrecht, che riferiva che “la causa
dell'esplosione della Birmania
non era ancora stata stabilita” ma che non sembrava che ci fosse
stato un attacco aereo. Veniva avanzata l'ipotesi, condivisa dal
comando tedesco di Tripoli, che il disastro potesse essere stato
causato dalla detonazione di bombe della Luftwaffe da 10 kg, di cui
si parlerà più oltre.
Alcuni
siti Internet affermano che la Birmania
venne colpita durante un bombardamento aereo, che provocò anche
l'affondamento della torpediniera Canopo,
ma sembra trattarsi di un errore; vi fu effettivamente, in quella
data, un attacco aereo su Tripoli nel quale venne affondata la
Canopo,
ma questo ebbe luogo la sera del 3 maggio, parecchie ore dopo
l'esplosione della Birmania.
Alcuni
sopravvissuti del Città di
Bari parlarono di attacco
aereo, affermando che gli aerei effettuarono tre passaggi con sgancio
di bombe, che provocarono anche il crollo di parte delle
sovrastrutture della loro nave. Secondo il dispaccio 01/6883/OP del
Comando Superiore dell'Africa Settentrionale Italiana trasmesso alle
19.10 del 3 maggio 1941, tre aerei nemici, giunti di sorpresa sul
porto a motori spenti alle 10.15, avevano effettuato un unico sgancio
di bombe e spezzoni colpendo Birmania
e Città di Bari,
oltre al piroscafo tedesco Kybfels,
causandone l'esplosione. Tuttavia il successivo dispaccio 4/46 del
Comando Superiore della Regia Marina in Libia (ammiraglio di
divisione Pellegrino Matteucci), datato 7 maggio 1941, attribuiva la
perdita della Birmania
ad “esplosione verificatasi nel carico”, senza parlare di
attacchi aerei.
Il
capitano di vascello Giuseppe Castracane, capo ufficio D. T., dopo
aver interrogato cinque ufficiali e due sottufficiali del Città
di Bari inviò il 10 maggio
1941 un rapporto al Comando in capo del Dipartimento Marittimo del
Basso Tirreno, in cui concludeva che nessun membro dell'equipaggio
aveva potuto rendersi conto delle esatte cause dell'esplosione, a
causa della rapidità del precipitare degli eventi, ma riferiva
altresì che molti superstiti ritenevano che causa prima del disastro
fosse stato un attacco aereo: non c'era stato allarme aereo, tuttavia
alcuni dei sopravvissuti dicevano di aver visto dei velivoli sospetti
al momento del disastro.
A
fare un po' di luce sulla vexata
quaestio
dell'attacco aereo è il diario del Comando di Malta della Marina
britannica. In data 5 maggio 1941, due giorni dopo il disastro, vi
figura la seguente annotazione: “È
stata ricevuta informazione che una nave mercantile è esplosa ed
un['altr]a
nave mercantile è bruciata a Tripoli, dove l'830th Squadron stava
posando mine. È possibile che un bengala
[proveniente] da
uno Swordfish sia caduto sulla nave che stava scaricando carburante e
munizioni, dal momento che non sono state lanciate bombe”.
Il fatto che i comandi britannici di Malta facessero ipotesi su cosa
avesse causato l'esplosione della Birmania,
puntualizzando che non erano state lanciate bombe, costituisce di per
sé la prova più evidente che la nave non fu affondata da un attacco
aereo lanciato da quell'isola; difatti un “Sommario delle
operazioni offensive coronate da successo da parte delle forze di
Malta contro le rotte per la Libia” contenuto nel medesimo diario,
in cui sono elencati tutti gli affondamenti, veri o presunti, da
parte di aerei e sommergibili di base nell'isola, non fa alcun
riferimento a navi affondate da aerei il 3 maggio (e di nuovo
presenta la nota a margine: “Fonti
segrete riferiscono che una nave italiana è esplosa ed una seconda è
bruciata a Tripoli il 5 maggio
[sic].
Questo è stato osservato dall'830th Squadron che stava posando
“cucumbers” [“cetrioli”,
nomignolo di un tipo di mina navale di 680 kg, metà dei quali di
esplosivo, posata dagli Swordfish],
e potrebbe essere stato scatenato da un bengala aereo non del tutto
consumato”).
Esiste
la possibilità di un'incursione da parte di velivoli britannici di
base in Egitto (furono questi ad affondare la Canopo
quella sera), ma verosimilmente di questo anche i comandi di Malta
sarebbero stati al corrente, a distanza di due giorni. Forse gli
“aerei sospetti” visti dai superstiti del Città
di Bari erano appunto i
biplani Fairey Swordfish dell'830th
Squadron della Fleet Air Arm, che insieme a pochi bombardieri Bristol
Blenheim costituivano le modeste forze aeree di base a Malta in
quell'inizio di maggio del 1941; il 3 maggio questi aerei
effettuarono appunto un'azione di posa di mine magnetiche
all'imboccatura del porto di Tripoli (poi ripetuta il 4 ed il 5
maggio), sulle quali nel tardo pomeriggio dello stesso giorno saltò
la nave soccorso Giuseppe
Orlando,
in uscita dal porto, aggravando ulteriormente il bilancio di quella
confusa e funesta giornata. Ma non lanciarono bombe, e l'ipotesi
piuttosto estemporanea di un bengala lanciato o caduto
accidentalmente sulla Birmania
sembra a questo punto molto meno credibile rispetto ad un'esplosione
interna, dovuta ad incidente o sabotaggio, circostanza di cui i
comandi maltesi, nel cercare spiegazioni su cosa fosse successo,
ovviamente non erano al corrente.
1.jpg)
Sopra,
il dispaccio n. 01/6883/OP del Comando Superiore dell’Africa
Settentrionale; sotto, il dispaccio 4/46 del Comando Superiore della
Regia Marina in Libia (Ufficio Storico della Marina Militare, via
Pierluca Zambardi)
Fonti
tedesche attribuiscono il disastro a maneggiamento inadeguato delle
bombe a grappolo per la Luftwaffe che facevano parte del carico della
Birmania.
Questi ordigni, del peso di 10 kg, erano tenuti insieme in gruppi di
dieci da un lamierino; all'estremità anteriore avevano un innesco ad
impatto, che si attivava dopo lo sgancio del grappolo dall'aereo. Sul
lamierino si trovava una piccola carica esplosiva che tre secondi
dopo lo sgancio si armava ed esplodeva, strappando il lamierino e
liberando così le dieci piccole bombe, che cadevano separatamente
sul bersaglio, ed armando la spoletta ad impatto, che faceva
esplodere la bomba al minimo tocco. L'estrema sensibilità della
spoletta era tale che anche un urto contro un ramo sarebbe bastato ad
attivarla.
Quello
trasportato dalla Birmania
era anzi il primo carico di queste bombe ad arrivare in Libia: per la
prima volta quegli ordigni, dall'elevato potere distruttivo (in
funzione soprattutto antiuomo, contro concentramenti di truppe allo
scoperto), sarebbero stati utilizzati nel teatro africano. Il
maggiore Carl Graf von Klinckowstroem, Seetransportführer e
responsabile dei trasporti marittimi da Napoli a Tripoli in qualità
di capo del Sonderstabes Neapel, aveva fatto trasmettere dal sergente
Herbert Dammert, responsabile della stazione radio di Napoli
dell'esercito tedesco (Funkstelle OKH), un messaggio radio
indirizzato al responsabile dell'ufficio trasporti marittimi della
Marina tedesca di Tripoli, capitano di corvetta Paul Hermann Meixner,
cui chiedeva di assicurarsi che le operazioni di scarico della
Birmania
fossero affidate esclusivamente a specialisti esperti, se possibile
militari del Genio; la nave avrebbe dovuto essere ormeggiata in un
molo speciale e nessuno vi avrebbe potuto accedere prima che gli
artificieri fossero saliti a bordo ed avessero accertato l'integrità
del carico.
Le
preoccupazioni del maggiore von Klinckowstroem non erano dettate da
un eccesso di prudenza: già a Napoli, durante le operazioni di
carico, si era verificato un incidente che per poco non aveva portato
al disastro; in quell'occasione era esploso un solo grappolo di dieci
bombe. (Il 25 aprile la motonave Barbarigo – ironia della sorte,
proprio la gemella della Birmania
– aveva subito un'esplosione in una stiva contenente bombe di
questo tipo, durante le operazioni di caricamento: i danni non erano
stati gravi, ma tre membri dell'equipaggio erano rimasti uccisi e due
erano rimasti feriti. Dopo questo incidente non vi erano più state
partenze di navi con a bordo ordigni di quel modello, ma la Birmania
ed il suo convoglio erano già in mare quando si era verificato.
Esperti della Luftwaffe erano stati subito chiamati ad investigare
sull'esplosione sulla Barbarigo, ma le indagini non erano ancora
concluse quando si era verificato il disastro della Birmania;
tuttavia già il 29 aprile il KTB del Seetransportchef Italien recava
la seguente annotazione: “L'esame
delle casse delle bombe ha mostrato che le nuove bombe a volte non
sono adeguatamente trattenute nelle casse, che i fermi di sicurezza
possono cadere a causa delle vibrazioni e alcuni sono caduti.
L'ulteriore caricamento di questo tipo di casse di bombe deve essere
rifiutato”).
Ma
la sorte si era messa di mezzo. Proprio in quel giorno in cui la
trasmissione di un messaggio sarebbe stata cruciale, la radio tedesca
di Napoli si era rivelata malfunzionante: dopo diversi tentativi di
ripetere la comunicazione, la radio di Tripoli aveva comunicato che
le trasmissioni da Napoli risultavano quasi impercettibili. Il
sergente Dammert aveva allora inoltrato il messaggio, in forma
cifrata, a Roma, da dove mezz'ora più tardi era stato ritrasmesso a
Tripoli dalla più potente stazione radio tedesca della capitale.
Questa volta il messaggio era stato ricevuto, come confermato dal
brogliaccio della stazione radio di Tripoli, ma il giorno dopo era
arrivata la notizia dell'esplosione della Birmania.
Ciò
che era successo era che le bombe a grappolo non erano state
assicurate abbastanza saldamente nelle casse in cui erano state
imballate per il trasporto (Paul Carell afferma che le casse stesse
erano inadeguate e sarebbe stato necessario realizzare delle casse
apposite), lasciando un “gioco” eccessivo, così che durante le
operazioni di caricamento, nelle quali le casse venivano spesso
lanciate dai lavoratori portuali, erano scivolate avanti e indietro
nelle casse, e questi bruschi movimenti avevano rotto i lamierini e
fatto allentare le sicure dei percussori, costituite da deboli
linguette metalliche, facendo così armare alcuni degli inneschi. Una
volta che le bombe erano armate, era bastato un modesto urto contro
l'innesco per farle esplodere: e questo era quel che era accaduto,
quando qualcuno aveva posato una delle casse una delle bombe armate
era esplosa, facendo esplodere anche le altre e poi a catena le casse
vicine e le altre munizioni stivate sulla Birmania,
comprese bombe d'aereo di calibro maggiore (da 50 a 250 kg). Secondo
“Le volpi del deserto” di Paul Carell, ciò fu confermato anche
da esperti inviati ad esaminare i relitti dopo il disastro.
.JPG) |
L’annotazione
sul KTB del Seetransportschef Italien (Dimitris Galon, via Forum
Marinearchiv) |
Il
disastro della Birmania
aveva destato una tale impressione a Berlino che il comandante in
capo della Luftwaffe, Hermann Göring in persona, aveva inviato un
telex ordinando che altre due navi in arrivo dall'Italia con le
famigerate bombe a grappolo del tipo trasportato sulla motonave
esplosa, la Marco
Foscarini
e la Sebastiano
Venier,
venissero fermate prima di entrare nel porto di Tripoli, riportate in
alto mare ed autoaffondate dopo aver fatto sbarcare gli equipaggi,
per evitare altri disastri. Il capitano di corvetta Meixner,
tuttavia, era intervenuto per salvare navi e carico, troppo vitale
per le operazioni aeree tedesche nel deserto; le aveva fatte ancorare
nella rada di Tripoli e poi aveva mandato a bordo il capitano Reinen
della Marina Mercantile tedesca (comandante del piroscafo Menes,
immobilizzato nel porto di Tripoli a causa di un siluro che l'aveva
colpito durante la navigazione), il tenente di vascello Karl Krüger
(suo aiutante di campo) e dieci volontari, uno solo dei quali era un
artificiere (era stato lui ad istruire Reinen e Krüger su come
disinnescare le bombe già armate), per esaminare e sbarcare il
carico una bomba per volta. Dopo cinque giorni di lavoro snervante,
tutte le bombe erano state scaricate senza ulteriori incidenti; 22
erano state trovate già armate ed avevano dovuto essere disinnescate
con la massima cautela. Per questa impresa, il capitano Reinen era
stato il primo civile a ricevere la Croce di Ferro di prima classe.
Göring
mandò comunque una commissione speciale ad indagare su quanto
accaduto alla Birmania;
i suoi componenti interrogarono il maggiore Klinckowstroem ed
esaminarono le carte ed i registri delle stazioni radio di Napoli,
Tripoli e Roma per verificare che avesse detto la verità, appurando
che l'avvertimento via radio era stato effettivamente trasmesso.
Venne accertato che la Birmania
aveva effettivamente ricevuto un ormeggio separato (eccetto che dal
Città di Bari…),
ma che non era stato possibile mandare degli artificieri a
sovrintendere al suo scaricamento, ed a ciò fu attribuito
l'accaduto.
Tutto
considerato, la versione dell'esplosione accidentale sembra la più
verosimile.
Sopra,
i relitti di Birmania
(a sinistra) e Città
di Bari (a
destra); sotto, i resti della Birmania
in una rara foto a colori (da Forum Marinearchiv, utente Whinigo)
.jpg)
Quale
che fosse stata la causa, l'esplosione di Birmania
e Città di Bari
inflisse gravi danni al porto di Tripoli, distruggendo moli e
riducendo per qualche tempo la capacità di scarico complessiva da
45.000 tonnellate mensili a sole 15.000.
Il
volume USMM "La difesa del traffico con l'Africa Settentrionale
dal 10 giugno 1940 al 30 settembre 1941" asserisce che il
disastro “menomò
per parecchio tempo l'efficienza del porto di Tripoli”;
la nota verbale n. 111 del capo di Stato Maggiore della Marina,
redatta il 1° giugno 1941 a tema "Trasporti militari con la
Libia dal 10 febbraio al 31 maggio 1941 XIX", menzionava che
l'esplosione di Birmania
e Città di Bari
rese inutilizzabili due posti di ormeggio alla banchina (di fatto,
rese del tutto inutilizzabile tutto il pontile XXIV Gennaio, bloccato
dai relitti delle due navi, oltre a danneggiare gravemente la
banchina stessa), riducendo la capacità ricettiva del porto (minor
quantitativo giornaliero di merci sbarcate) e contribuendo così,
insieme ad altri fattori, alla riduzione del flusso di mercantili
diretti verso Tripoli nel maggio 1941 rispetto ai mesi precedenti (35
mercantili in maggio contro 72 in marzo e 62 in aprile): “La
riduzione stessa
[del traffico con Tripoli] è
dovuta
(…) al
minor rendimento del porto di Tripoli in seguito allo scoppio
avvenuto il 3 maggio sulle Mn. Birmania e Città di Bari, che ha
inutilizzato due posti di ormeggio alla banchina, colla conseguenza
di ridurre il quantitativo giornaliero di merci sbarcate (…)”.
Già il 19 maggio lo Stato Maggiore dell'Esercito, nel dispaccio 592
a firma del generale Mario Roatta, inerente ai trasporti di truppe e
materiali in Africa Settentrionale ed indirizzato al Comando Supremo
e per conoscenza Supermarina, menzionava che “…si
deve anche tenere presente che la capacità di scarico nel porto di
Tripoli è menomata in causa del recente scoppio”,
suggerendo che per migliorare la situazione sarebbe stato necessario
ricorrere ai porti della Tunisia, richiesta più volte avanzata ma
mai soddisfatta – non volendo Hitler e Mussolini calcare troppo la
mano con la Francia di Vichy sotto il cui controllo si trovava la
Tunisia – fino al novembre del 1942.
Renato
Mancini, nell'articolo “I porti della Libia” pubblicato su
“Storia Militare” nel febbraio-marzo 1998, rileva che entrò la
metà del 1941 la capacità del porto di Tripoli si era dimezzata
rispetto all'anteguerra, con la distruzione dei magazzini situati sui
moli e l'inutilizzazione di parte dei moli stessi per via dei relitti
che li ostruivano (non solo a causa dell'esplosione della Birmania,
ma anche dei danni causati dai ripetuti attacchi aerei); giornalmente
non era possibile scaricare più di 2200 tonnellate di materiali sui
moli, più altre 500 trasbordate sulle navicelle minori impiegate nel
traffico costiero e 300 tonnellate di carburante pompate a terra per
mezzo di manichette.
Il
3 (o l'8) giugno 1941 la prua della Birmania,
che a differenza della poppa era rimasta relativamente intatta, venne
fatta saltare con cariche esplosive, perché sporgendo oltre
l'estremità del molo costituiva un ostacolo ai movimenti delle navi
del porto.
Il
relitto dilaniato e mutilato della motonave venne demolito sul posto;
una fonte tedesca menziona che i lavori di demolizione erano in corso
nell'ottobre 1941, ma probabilmente questa non venne ultimata fino a
dopo la conquista di Tripoli da parte dei britannici nel gennaio
1943.
Il
disastro di Tripoli nel ricordo di Antonio Mammone (si ringrazia la
figlia Aurora):
"[Il
mattino del 3 maggio 1941] arrivai
sulla banchina alla solita ora a cavallo di una bicicletta quasi
nuova. Bucchieri, Lombardo, Corrado e Bernardo, il ragazzo
italo-tunisino di cui ho accennato, mi vennero incontro e si
complimentarono con me. Bucchieri mi chiese dove pensavo di lasciarla
durante il servizio ed io risposi che l'avrei appoggiata al muro del
bar, dopo averla chiusa col lucchetto. “Chiusa?” mi disse “Perché
chiusa? Qui non ruba niente nessuno… ma se bombardano, lo sai che
fine fa la tua bicicletta nuova…”
Era
ossessionato dai bombardamenti il caro vecchio “nuvoletta” e
spesso mi chiedeva di sostituirlo sulle navi in rada perché a terra,
cioè sulla banchina, si sentiva più a suo agio: “Non per paura”
diceva “io ho fatto la guerra mondiale, quella del ’15-’18,
sono uno di quelli del Grappa!” E aveva ragione perché con la
grappa (o buha)
[liquore distillato dai datteri] ci
sapeva fare. Poi mi abbracciava e mi chiamava figlio suo. Ma quella
mattina non mi fu consentito di sostituirlo; andò in rada, sul
maestoso transatlantico Conte Rosso e si salvò. Io fui assegnato
sulla Birmania e Lombardo sulla Città di Bari, due “carrette”
affiancate al molo principale. La Birmania era zeppa di fusti di
benzina e di sofisticate e sensibilissime bombe tedesche a grappolo
da trasbordare sulla Città di Bari che avrebbe poi proseguito per
Bengasi; perché, intanto, dopo il disastro di Graziani, i tedeschi
erano sbarcati a Tripoli a dare man forte agli alleati italiani
considerati "shaiser", cioè merda, e insieme con una
rapida controffensiva il quattro aprile avevano riconquistato la
città di Bengasi. Quella mattina, dopo ore di carico e scarico,
quando però nemmeno un decimo degli infernali strumenti di morte era
stato trasbordato dalla Birmania sulla Città di Bari e quando più
si sentiva la noia per quel monotono incarico (o la preoccupazione?),
con Lombardo ci scambiavamo segnali di appuntamento durante
l'imminente riposo degli scaricatori per andare a pranzare su qualche
nave vicina. Capitan Bobani salì sulla Birmania e mi pregò di
andare a cercare Corrado, un caposquadra degli scaricatori che io
conoscevo; lui stesso mi avrebbe sostituito fin quando non fossi
tornato.
Era
stanco, mi disse, e non se la sentiva di salire e scendere per mezzo
di scale di corda sulle navi in rada. Ci fossero stati in quel tempo
i telefoni cellulari il problema non si sarebbe posto. Povero Capitan
Bobani, gran signore, di solito instancabile, sempre in movimento,
quel giorno il destino gli fece sentire di colpo la stanchezza.
Sedette al mio posto su un rotolo di gomene ed io rapidamente scesi
alla ricerca di Corrado. Avevo ventitrè anni e alla elasticità
delle gambe univo un appetito gagliardo, perciò vuoi perché
ritenevo che Corrado fosse su qualche nave in rada, vuoi perché
sapevo che prima o poi sarebbe approdato su una di quelle per fare
colazione, approfittai di un rimorchiatore e mi recai sul Vulcania,
la grande nave sulla quale ognuno voleva andare in servizio per
rifornirsi di cioccolata, sigarette, liquori di marca e per gustare
la vera pasta al pesto genovese. Era quasi mezzogiorno e, attirato da
un odorino invitante proveniente dalle cucine, là mi recai e trovai
Corrado che....assaggiava qualcosa e chiacchierava
con uno dei cuochi.
Mi
fermai anch'io per un po' e anche io assaggiai qualcosa. I cuochi ma
anche i Commissari, gli ufficiali e i marinai erano nostri amici e
insieme gustavamo le varie specialità culinarie in un'atmosfera di
festa in famiglia, in quel terribile 1941. Tripoli e il suo porto,
nonostante i continui bombardamenti notturni, era oasi di riposo
sicuro per quegli uomini abituati a tutt'altri rischi. Quanti di quei
marinai perirono in fondo al Mediterraneo? Tornammo alla banchina col
motoscafo della stessa Vulcania e qui il destino si intromise ancora:
un collega mi venne incontro e mi chiese se sul Vulcania (che fino a
un mese prima aveva effettuato servizio di linea per gli Stati Uniti
d'America non ancora entrati in guerra) avevo comprato le Philip
Morris, le sue sigarette preferite. Perdemmo così quei cinque minuti
che bastarono a salvarmi a salvarmi e quando eravamo a non più di
venti metri dalla Birmania dal suo boccaporto vidi spuntare il sole,
lo vidi scoppiare, poi lo sentii! Quanto tempo trascorse da quando i
miei occhi furono abbacinati da quell'immensa sfera di fuoco fino a
che le orecchie ne percepissero l'essenza? Forse un attimo, forse
neppure un attimo e fu solo una pseudoestesia a separare nettamente
quel sole abbacinante dal boato immenso, infinito e dal gran pugno
che mi abbatté…
Mi
ritrovai senza sapere come fra due camions parcheggiati più in là,
bagnato, dolorante per varie escoriazioni sulle gambe e sulle
braccia e negli occhi sempre quella sfera di fuoco esplodente che
sorgeva dalla Birmania. Oh Dio, ma sulla Birmania non c'era Capitan
Bobani? E dove sarà ora ? E tutti quegli scaricatori arabi che nulla
avevano a che vedere con la guerra, che fine hanno fatto? Poi dal mio
rifugio fra i due camions vidi l'autocarro dei vigili del fuoco,
attestato sulla banchina, lanciare ridicoli schizzi d'acqua verso il
vulcano che continuava ad esplodere: poi l'intera prua della nave
volò nel cielo e ricadde su pompieri e autocarro…Il disastro della
Birmania nel quale sono periti, si disse, almeno duecento persone,
lo
raccontai più dettagliatamente dopo la guerra in un lungo articolo
sul giornale "Corriere di
Tripoli". Del Capitano Bobani si trovò qualche settimana dopo
solo una mano con al dito un anello riconosciuto come suo dagli amici
più intimi. Lombardo, sulla Città di Bari, si salvò perché lo
spostamento d'aria lo scaraventò in mare e anche se con il bacino
fratturato, riuscì grazie alla sua abilità di nuotatore, ad
allontanarsi di quanto bastò perché qualcuno lo aiutasse a mettersi
ai riparo. Io me la cavai abbastanza a buon mercato: ci rimisi la
bicicletta quasi nuova che assieme ai pompieri e ai bar sulla
banchina rimase sepolta dalla prua della nave. Dovrei sentirmi
responsabile della morte del caro Capitan Bobani? Se non avessi
perduto tempo a ritornare sarei stato io al suo posto sulla Birmania…
e lui si sarebbe salvato! Ma il destino non ammette riserve. Tutto è
macktuub
[maktub, arabo: “scritto”]".
Ed
in versione più romanzata, in un racconto scritto dallo stesso
Antonio Mammone nel dopoguerra:
"Tony
abitava vicino all'albergo "La Perugina". Chi non lo
ricorda quel modesto albergo quasi al termine della via che da piazza
Italia conduceva al Porto, proprio ai piedi del Monumento ai caduti,
a non più di cinquanta metri dall'Arco romano di Marc'Aurelio,
l'imperatore filosofo... Aveva preso in affitto una stanza mobiliata
al terzo ed ultimo piano di un vetusto palazzo con ripide scale di
legno in Zenghet Madrasaat nella Città vecchia, il quartiere a
ridosso del Porto, che la sera diventava deserto. Infatti, la paura
dei bombardamenti notturni che la R.A.F. proveniente da Malta
effettuava regolarmente su Tripoli, aveva spinto gli abitanti ad
abbandonare le loro case e a rifugiarsi nelle sicure grotte di
Gargaresh a circa venti chilometri dalla città. Egli non poteva che
restare nella sua camera, solo come un cane: anche la padrona di
casa, una vecchia maltese era andata a stabilirsi lontano, a Zwarah,
quasi al confine con la Tunisia, e tornava una volta al mese per
pulire la stanza e per riscuotere l'affitto.
Tony invidiava
quella gente fortunata che aveva la possibilità di mettersi al
sicuro; avrebbe voluto anche lui andarsene e, in verità, aveva
provato ad abbandonare quel lugubre quartiere ma il ritorno la
mattina seguente, in orario per assumere servizio, si era rivelato
impresa difficile. In quel tempo egli era dipendente dei Magazzini
Generali del Porto per annotare le merci in partenza e in arrivo.
Alle sette dalla banchina centrale partivano i rimorchiatori con le
bettoline e con il personale addetto verso le navi in rada e se si
perdeva la....corsa si perdeva anche la giornata e forse anche il
posto di lavoro: perciò, per non correre il rischio del
licenziamento , come tanti altri, era costretto a restare là, a
qualche centinaio di metri dal Porto, obiettivo preferito dai
bombardieri inglesi, ad aspettare ansioso e impotente l'ora delle
incursioni e correre al rifugio con le ali ai piedi e poi spesso
trascorrere insonne buona parte della notte rintanato in un cantuccio
sotto le robuste volte del Castello Turco fra gente avvilita come
lui. Possedeva una vecchia bicicletta che gli consentiva di
recuperare un po' del sonno perduto al rifugio durante la notte e di
raggiungere in orario il posto di lavoro; al ritorno, invece, serviva
per trasportare qualcosa che riusciva a comprare dai marinai delle
navi che facevano una specie di piccolo "mercato nero":
pacchi di pasta, carne congelata, barattoli di marmellata o scatole
di conserva di pomodoro che ormai al mercato libero, senza la tessera
annonaria, erano introvabili; la Guardia di Finanza all'ingresso
fingeva di non vedere ed egli utilizzava quel ben di Dio per
rinsaldare amicizie e simpatie e quando il "bottino"era
abbondante, cederlo al padrone del ristorante, dove era abbonato a
cenare e ad ascoltare la radio.
A differenza di Lombardo, un
collega genovese, non approfittava della sua posizione di lavoratore
sulle navi provenienti dall'Italia per lucrare nel piccolo commercio;
cedeva
quella merce per lo stesso prezzo da lui pagato e qualche
volta anche rimettendoci. Così, il suo tempo, in quel tragico primo
semestre del 1941, si svolgeva saltando di giorno da una nave
all'altra, di sera in trattoria ad ascoltare la radio e di notte
correndo da casa al rifugio e viceversa e tentando di dormire il più
possibile fra un bombardamento e l'altro. Eppure, nonostante i disagi
e le paure, si sentiva tranquillo. Le corse al rifugio, il fragore
delle bombe e quell'apparato di mitragliere e soldati appostati
tutt'intorno al Porto e lungo il bellissimo ondisonante lungomare,
all'inizio davano l'impressione di stare ad una sagra....e ascoltava
indifferente le notizie del "bollettino di guerra"
esprimendo, a volte, meraviglia per l'interesse che suscitavano su
alcuni avventori del ristorante i quali interrompevano la cena per
stare più vicini alla radio e per non perdere una parola del
"comunicato".
"Ma di che si preoccupa 'sta gente
!" -pensava- "Tanto, vinciamo noi.... !" E rideva e
correggeva l'italiano di Aquino, un non tanto giovane portalettere
che cenava al suo stesso tavolo e che mormorava "Popolo
'gnoranto, popolo 'gnoranto !" quando la radio trasmetteva i
battimani e le acclamazioni che si frapponevano ai discorsi del
Gerarca di turno nelle piazze italiane. La propaganda di guerra gli
aveva fatto il lavaggio del cervello; e non solo a lui, ovviamente.
Le notizie cattive venivano date col...contagocce. Il disastro
dell'Armata del Generale Graziani nel deserto della Marmarica, per
esempio, era stata ridotta a "ritirata strategica" e il
successivo abbandono di Bengasi e dell'intera Cyrenaica a "prudente
trasferimento dei coloni italiani in luoghi meno esposti".
Purtroppo, presto, molto presto, avrebbe dovuto cambiare opinione in
merito alle nostre possibilità di vittoria anche se, con l'arrivo ai
primi di febbraio, dell'Afrika Korp del Generale Rommell, quella
stessa propaganda sarebbe diventata più intensa e martellante.
(…)
Dieci
giorni dopo il bombardamento aereo-navale, come tutte le mattine i
colleghi Bucchieri e Lombardo aspettavano Tony sulla banchina.
Ammirarono ancora una volta la bicicletta nuova e Lombardo da buon
genovese volle sapere tutti i particolari dell'acquisto: quanto era
costata, se contanti o a rate, da chi l'aveva comprata...Lombardo
aveva il senso degli affari e del baratto : sigari contro sigarette,
pennine usate contro matite e persino lamette da barba, cinque usate
per una nuova marca Signorina. Bucchieri invece gli chiese se era
disposto ad andare in rada in sua vece. Egli odiava il servizio sulle
navi ancorate in rada: "Non per paura" chè io sono uno di
quelli del Grappa!" -diceva- e non aveva torto perchè con la
grappa o anche con la "buhka" andava veramente d'accordo,
tanto da meritare il soprannome di "Nuvoletta" . Si
dichiarò disposto a sostituirlo qualora fosse stato possibile e
l'anziano collega lo abbracciò contento e lo chiamò, come solito,
figlio suo.
In attesa del rimorchiatore chiacchierarono un po'
del più e del meno commentando le scarse notizie della guerra in
Cyrenaica con l'esercito italo-tedesco impegnato nella prima
controffensiva e del traffico navale che intasava il Porto.
"Vedi
la "Birmania"? -chiese Bucchieri- Quella motonave è carica
di fusti di benzina e di bombe a grappolo tedesche sensibilissime,
l'ho saputo da un capitano amico mio! E vedi quell'altra, la "Città
di Bari"? Sono così affiancate al molo principale mica per
caso.....Il carico della "Birmania" dev'essere trasbordato
sulla "Città di Bari" che lo porterà a Bengasi..."
-"E
allora ? che importanza ha questa notizia ?" -chiese
Tony.
-"L'importanza consiste che il lavoro su quelle due
navi è a rischio...." -spiegò Lombardo.
-"E se ti
chiamano per quel servizio cerca di squagliarti con ogni mezzo!"
-concluse Bucchieri.
(…)
La
"Birmania" e la "Città di Bari" erano quasi
affiancate, a destra e a sinistra del molo principale. Al lavoro di
scarico e carico da una nave all'altra erano addette due
squadre
che si alternavano ogni tre ore; a controllare i facchini e ad
annotare i colli erano stati chiamati, senza alcun preavviso, Tony e
Lombardo; Bucchieri invece andò in rada malgrado i suoi tentativi di
restare nei magazzini, a terra. E si salvò il caro Nuvoletta.
I
facchini lavoravano attentamente ed ogni tanto si udiva
l'avvertimento del Capo: "Rood balek, sciuhéia, be-sciuhéia!"
[attenzione,
piano, piano] mentre
i fusti di benzina e bombe volavano imbracate sui verricelli da una
nave all'altra. Lombardo seduto su un rotolo di gòmene sulla "Città
di Bari", richiamava l' attenzione del Collega mostrando il suo
orologio, un cipollone che teneva legato ai pantaloni con uno spago,
per informarlo del tempo che mancava al sospirato riposo di
mezzogiorno.
Tony a dir la verità non era eccessivamente
preoccupato. Era allora, come anche adesso, del resto, piuttosto.....
incosciente in certe situazioni, ma si chiedeva: "Perchè cavolo
non hanno fatto proseguire direttamente la "Birmania" per
Bengasi anzichè perder tempo e fatica a scaricare e a caricare?"
Egli, ovviamente, non sapeva nulla di navi, di tattiche e di
strategie di guerra; non poteva certo entrare nelle considerazioni
dei grandi cervelli che dirigevano tutto...ma restava lo stesso
piuttosto perplesso.
-"Tony! "-qualcuno dal molo
chiamava-
Tony si affacciò alla murata della nave. Capitan
Bobani gli fece segno di scendere e lo incaricò di andare a cercare
Corrado, un giovane commesso siculo-tunisino che, secondo le sue
informazioni si sarebbe dovuto trovare a bordo in una di quelle navi
attraccate alla banchina centrale. "Sono po' stanco, oggi;
-spiegò- tu sei giovane e certo non ti pesa salire e scendere dalle
navi. Qui sulla "Birmania" starò io finchè tu non torni
con Corrado." Povero Capitan Bobani, genovese puro sangue, sulla
cinquantina, energico e cortese e competente. Era praticamente il
responsabile della Capitaneria di Porto, di quel Porto che
improvvisamente era diventato prima linea. Ma a che cosa è valso il
suo sacrificio? Chi lo ricorda più ? Chi ricorda le centinaia di
vittime di quel terribile giorno? Solo poche righe, a guerra finita,
su qualche pubblicazione specializzata : "....e Rommel restò
senza benzina perchè la nave che doveva portarla in Cyrenaica era
stata sabotata nel Porto di Tripoli."
A vent'anni Tony non
difettava come ora di elasticità di gambe. Salì rapidamente su una
prima nave attraccata alla banchina e seppe che Corrado era andato
sulla motonave "Vulcania" ancorata in rada. Là si recò
approfittando di un rimorchiatore che faceva la spola trainando le
bettoline dalle navi alle banchine e viceversa, si arrampicò sulla
scala di corda e andò direttamente alla cambusa; conosceva le
abitudini di Corrado; diciamo che conosceva....i suoi polli ! Infatti
Corrado era lì a far colazione con un amico marinaio e a cercare
qualcosa da portare a casa, chè la "Vulcania" era fornita
di ogni ben di Dio. Poi approfittarono del motoscafo della stessa
nave e ritornarono rapidamente a terra.
Erano circa le undici;
un aeroplano della nostra ricognizione volteggiava nel cielo
limpido......tutto era tranquillo.
Sulla banchina venne loro
incontro un altro collega, Bernardo, e chiese se avevano comprato le
sigarette per lui, le Philip Morris di cui la "Vulcania"
che fino a qualche mese prima aveva fatto servizio di linea per gli
Stati Uniti d'America, non ancora entrati in guerra, era provvista.
Chiacchierarono per quei cinque-dieci minuti che bastarono a
salvarli.
Tony scorse Capitan Bobani apprestarsi a scendere ed
era forse a dieci-venti metri da lui quando dalla "Birmania"
vide levarsi il sole ! Lo vide levarsi e poi scoppiare e un'immensa
sfera di fuoco e un infinito rombo esplosivo gli colpirono
simultaneamente occhi e orecchie mentre un'enorme colonna d'acqua
salata lo travolgeva scaraventandolo contro la parete di una rimessa.
Sanguinante da varie escoriazioni al viso e con una larga ferita al
polpaccio della gamba destra, inzuppato, terrorizzato si trascinò
sotto un grosso autocarro per ripararsi dalle innumerevoli schegge e
lamiere infuocate pioventi dall'alto e attese di capire cosa stava
succedendo : scorgeva esplosioni e fuoco là dove prima c'erano la
"Birmania" e la "Città di Bari" e poi un
automezzo dei Pompieri che si posizionava sulla banchina e lanciava
ridicoli schizzi d'acqua su quell'inferno e veniva sepolto dall'
intera prua della "Birmania" volata in aria come un
fuscello. Contemporaneamente si erano scatenati i cannoni della
difesa antiaerea e non capiva a chi sparavano...perchè nel cielo
limpido c'era soltanto l'idrovolante di prima.....
Raggiunse
carponi un rifugio oltre i capannoni e fu aiutato a tamponare la
ferita che sanguinava ancora ma che si rivelò, fortunatamente, meno
grave di quanto la paura gli aveva fatto credere. E poi attese con
gli altri rifugiati di sapere chi aveva potuto provocare quel
caos.
Tanti feriti, anche gravi, furono portati in quel rifugio
di fortuna e fra questi anche Lombardo che, come disse poi, era stato
lanciato in mare e si era salvato, anche se con un femore fratturato,
grazie alla sua abilità di nuotatore.
Del Capitano Bobani,
invece, non si seppe più nulla. Di lui, come di altre, si disse,
centinaia di lavoratori arabi e italiani, si trovarono nei giorni
seguenti solo resti irriconoscibili sparsi nelle acque del
Porto.
Quando le esplosioni diminuirono d'intensità e anche le
cacciatorpediniere che erano in Porto cessarono di sparare sulle due
navi esplose per provocarne l'affondamento e limitare il danno alle
infrastrutture adiacenti, Tony andò a cercare la bicicletta ma non
trovò né bicicletta nè capannone; c'erano solo rovine fumanti. Si
avviò allora zoppicante e inzuppato d' acqua sporca verso casa
(…) La
rugginosa ringhiera fra l'ingresso del Porto e l'albergo Perugina era
contorta e i dintorni cosparsi di schegge metalliche e di frammenti
di lamiere fra pozze di sangue e detriti d'ogni genere.
(…) Tony
vagò per giorni e giorni, disperato, nei vicoli della Città
vecchia, fra Suck el Turck e Suck el Muscir chiedendo a ebrei, arabi,
maltesi se conoscevano un'ebrea giovane, biondina che qualche volta
andava al porto a chieder l'elemosina...... si rivolse persino al
Rabbino della Città vecchia. Fu tutto inutile, persino l'intervento
di alcuni amici agenti della P.A.I. (Polizia Africa Italiana).
Nessuno l'aveva vista, nessuno la conosceva e qualcuno avanzò
l'ipotesi che ella si fosse trovata all'ingresso del porto fra le
mendicanti investite dalla pioggia di fuoco in seguito all'esplosione
delle navi".
La Birmania
su Wrecksite
Birmania
e Città di Bari
saltano in aria a Tripoli
Le volpi del deserto
Discussione sul disastro di Tripoli su Forum Marinearchiv
Accidente en el vapor Birmania
The Royal Navy and the Mediterranean: Vol.II: November 1940-December 1941
Racconti di Antonio Mammone
Storia del Corpo delle Capitanerie di Porto
Le foto di Luigi Dionisi
4o
Reggimento Artiglieria Controaerei, 1926-2003
Admiralty War Diaries of World War 2 – Malta Command, January-December 1941
Libro registro del RINA del 1932