domenica 19 marzo 2017

Capo Faro

Il Capo Faro con il precedente nome di Patani (da www.photoship.co.uk

Piroscafo da carico da 3476 tsl e 2137 tsn, lungo 117,3 metri, largo 15 e pescante 6,6, con velocità di 10 nodi. Appartenente alla Compagnia Generale di Navigazione a Vapore, avente sede a Genova, ed iscritto con matricola 1639 al Compartimento Marittimo di Genova.

Breve e parziale cronologia.

6 maggio 1905
Varato nei cantieri Workman, Clark & Co. Ltd. di Belfast come britannico Patani (numero di costruzione 219).
4 agosto 1905
Completato come piroscafo frigorifero (nave bananiera) Patani per la Elder Dempster Shipping Ltd. di Liverpool (dal 1911 Elder Line Ltd.). Stazza lorda originaria 3465 tsl.
18 maggio 1912
In mattinata il Patani, proveniente da Singapore e diretto a Koh-si-Chang (Thailandia) con posta dalla Francia, s’incaglia lungo il corso del fiume che deve risalire per raggiungere Koh-si-Chang. Il Patani ed un altro piroscafo, partito tre ore più tardi, iniziano una sorta di “gara” per avviare primi in porto; in questo frangente, nel superare “testa a testa” un banco di sabbia, l’altro piroscafo passa ma il Patani, più carico e dunque con pescaggio maggiore, s’incaglia. Potrà in seguito essere disincagliato.
1918
Trasferito alla African Steamship Company di Liverpool, una controllata della Elder Dempster.
1930
Acquistato dalla Compagnia Genovese di Navigazione a Vapore, con sede a Genova, e ribattezzato Capo Faro.
1931
Assegnato, assieme ai piroscafi Capo Rino e Capo Vado della stessa compagnia, al servizio sulla prima e nuova linea regolare Spagna-Romania.
Febbraio 1937
Durante la guerra civile spagnola, il Capo Faro effettua un viaggio "contrabbandando" merci per le forze repubblicane spagnole, benché l’Italia stia combattendo (sebbene non "ufficialmente", ma con l’invio di reparti terrestri ed aerei "volontari" e con missioni clandestine contro il naviglio repubblicano) contro i repubblicani. Il carico del Capo Faro, acquistato dalla società Gattorno S. A. Romena ed imbarcato a Costanza (Romania, Mar Nero), consiste in 99 tonnellate di orzo (per la S.A.R. Sodcac), 100 tonnellate di grano per pane (per la S.A.R. Furajul) e 500 tonnellate di grano (per la S.A.R. Bunge).
Lasciata Costanza il 10 febbraio, il Capo Faro raggiunge Marsiglia, in Francia, dove il carico destinato ai repubblicani viene scaricato a terra e successivamente trasferito in Spagna con altri mezzi.
27 agosto 1941
Requisito a Trieste dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato.
22 settembre 1941
Il Capo Faro salpa da Brindisi per Bengasi alle 14 insieme al piroscafo Iseo, con la scorta della torpediniera Orione.
25 settembre 1941
Alle 00.30 il sommergibile britannico Thrasher (capitano di corvetta Patrick James Cowell) avvista delle unità di scorta in posizione 32°17’ N e 19°44’ E e, presumendo che siano dirette incontro ad un convoglio, dirige ad alta velocità prima verso ovest e poi verso nord per intercettarlo. All’1.32, in posizione 32°27’ N e 19°41’ E, il Thrasher avvista dapprima fumo su rilevamento 280° e poco dopo (avendo accostato per avvicinarsi) il convoglio che comprende il Capo Faro, circa un miglio e mezzo a poppavia. All’1.50, dopo essere passato a sinistra del convoglio, il Thrasher vira; dodici minuti dopo, vedendo un "cacciatorpediniere" avvicinarsi, il sommergibile lancia quattro siluri, poi vira a sinistra e – alle 2.05 – ne lancia un quinto, tutti contro il mercantile più vicino; alle 2.06 s’immerge. Nessuno dei siluri va a segno, e l’attacco non viene neanche notato; alle 2.28 il Thrasher riemerge e si pone all’inseguimento del convoglio, ma alle 3.04 avvista di nuovo delle unità di scorta che gli si dirigono incontro, così s’immerge di nuovo alle 3.11 ed abbandona l’inseguimento.
Le tre navi arrivano a Bengasi alle 6.
2 ottobre 1941
Capo Faro ed Iseo lasciano Bengasi alle 18.10 (o 18.50), diretti a Brindisi con la scorta della torpediniera Pegaso.
3 ottobre 1941
Alle 2.10 il sommergibile britannico Perseus (capitano di corvetta Edward Christian Frederic Nicolay) avvista due torpediniere a 4,5 miglia per 225° (evidentemente uno dei due piroscafi viene scambiato da Nicolay per una torpediniera), su rotta 330°, e poco dopo anche una nave mercantile a poppavia di esse: si tratta di Capo Faro, Iseo e Pegaso. Avvicinatosi per attaccare (la posizione del convoglio è 32°50’ N e 19°18’ E, una cinquantina di miglia a nordovest di Bengasi), alle 2.39 il Perseus lancia due siluri da 4570 metri, ma senza successo; il Capo Faro avvista una scia di siluro alle 2.55. Dato che le navi sono dirette in Italia, dunque scariche, Nicolay decide di non perseverare nell’attacco.
5 ottobre 1941
Il convoglio giunge a Brindisi alle 13.
29 ottobre 1941
Il Capo Faro ed il piroscafo Capo Arma salpano da Brindisi per Bengasi alle 10. I due bastimenti, scortati dalla torpediniera Procione, trasportano complessivamente 6466 tonnellate di rifornimenti per le forze italo-tedesche in Libia (760 tonnellate di munizioni, 408 tonnellate di viveri per gli enti civili, 1289 tonnellate di carburante in fusti, 4009 tonnellate di materiali vari tra cui carbone e materiali del Commissariato e del Genio).
1° novembre 1941
Nella notte tra il 31 ottobre ed il 1° novembre il piccolo convoglio subisce per un’ora e mezza continui attacchi di bombardieri, che causano lievi danni ed infiltrazioni d’acqua sul Capo Arma, provocati dalla concussione di bombe esplose vicine allo scafo. Il tiro contraereo delle navi danneggia alcuni degli aerei, forse ne abbatte anche qualcuno.
Alle 4.21 il convoglietto, in posizione 32°32” N e 19°55’5” E, viene avvistato dal sommergibile britannico Thrasher (capitano di corvetta Patrick James Cowell), che alle 4.27 lancia quattro siluri contro il mercantile di poppa. L’attacco non ha successo, e non viene nemmeno notato dalle navi italiane.
Tutte le navi giungono a Bengasi alle 9.
12 novembre 1941
Capo Faro e Capo Arma rientrano a Brindisi scortati dalla torpediniera Pegaso. “ULTRA” intercetta alcuni messaggi relativi a questo convoglio.


Un’altra immagine della nave come Patani (da www.photoship.co.uk) 

L’affondamento

Il novembre 1941 fu il periodo più nero della battaglia dei convogli per la Libia.
L’arrivo a Malta della Forza K, alla fine di ottobre, aveva aggiunto una nuova minaccia a quelle, già aumentate, dell’isola-fortezza britannica: questa piccola ma efficiente forza navale, composta da due incrociatori leggeri (Aurora e Penelope) e due cacciatorpediniere (Lance e Lively), aveva fatto strage, il 9 novembre, del grosso convoglio «Duisburg» (sette mercantili, tutti affondati), nonostante la poderosa scorta, ed il 24 novembre aveva ripetuto il colpo distruggendo il convoglio «Maritza» (piroscafi tedeschi Maritza e Procida, ambedue affondati, nonostante la difesa delle torpediniere Lupo e Cassiopea). Anche aerei e sommergibili di base a Malta mostravano sempre maggiore abilità ed aggressività.
La distruzione del convoglio «Maritza» provocò l’interruzione, per alcuni giorni, di ogni traffico con la Libia; si volle infatti accertare quali errori fossero stati commessi in quell’occasione.
Ma questa pausa non poteva durare a lungo, perché il 18 novembre le forze del Commonwealth avevano lanciato in Nordafrica l’operazione «Crusader», una controffensiva appoggiata da una notevole superiorità in aerei e mezzi corazzati, che di lì alla fine di dicembre avrebbe costretto le forze italo-tedesche ad abbandonare l’assedio di Tobruk ed a ritirarsi dalla Cirenaica, perdendo quasi 40.000 uomini.
A fine novembre, «Crusader» era in pieno svolgimento, e le truppe dell’Asse stavano opponendo un’accanita resistenza all’avanzata britannica; in Libia vi era urgente necessità di rifornimenti, pertanto Supermarina dovette ordinare, tra il 28 ed il 30 novembre, la partenza di tutte le navi cariche e pronte al viaggio ma ferme nei porti della Grecia e dell’Italia meridionale, dove avevano dovuto prolungare la loro sosta per via della succitata sospensione delle partenze per la Libia.
Alle 16 del 28 novembre 1941, di conseguenza, il Capo Faro ed il piroscafo Iseo partirono dalla Brindisi alla volta di Bengasi, scortati dalla torpediniera Procione (capitano di corvetta Villa). Sul Capo Faro si trovava un carico di 521 tonnellate di carburante in fusti, 408 di munizionamento e materiale d’artiglieria, 50 di cemento, 21 tra veicoli e rimorchi (del peso complessivo di 72 tonnellate) e 2191 tonnellate di materiale di commissariato e materiali vari. Comandante del piroscafo era il capitano di lungo corso Galliano Merlo.

La velocità prevista per la navigazione era già poco elevata – 9 nodi –, ma il vento ed il mare avversi (forza 6 da levante scirocco) provocarono ulteriori rallentamenti, costringendo i due piroscafi a ridurre l’andatura alla miserevole velocità di cinque nodi, poi ulteriormente ridotti a quattro.
Nel pomeriggio del 29 novembre il convoglio viene avvistato da un sommergibile, ed il mattino del 30 – trovandosi ancora molto arretrato sulla rotta, in forte ritardo sulla tabella di marcia per via dei problemi sopra menzionati – fu localizzato anche da ricognitori britannici, che comunicarono la sua posizione all’ammiraglio Henry Bernard Hughes Rawlings, comandante della Forza B britannica (unità analoga alla Forza K, e composta dagli incrociatori leggeri Ajax e Neptune e dai cacciatorpediniere Kingston e Kimberley), ed al Comando di Malta.
Per proteggere questo e gli altri convogli in mare (ce n’erano quattro, più quattro cacciatorpediniere ed un sommergibile in missione di trasporto) da attacchi da parte di forze di superficie britanniche, uscite da Malta il mattino del 30 (erano partite sia la Forza B che la Forza K, a seguito di segnalazioni della ricognizione e di decrittazioni di “ULTRA”), era in mare una considerevole forza di sostegno, composta dalla corazzata Duilio (nave di bandiera dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola, comandante superiore in mare), dalla VII Divisione Navale (incrociatori leggeri Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, Muzio Attendolo e Raimondo Montecuccoli, sotto il comando dell’ammiraglio di divisione Raffaele De Courten), dall’incrociatore leggero Giuseppe Garibaldi della VIII Divisione e dalle Squadriglie Cacciatorpediniere XI (Aviere, Geniere e Camicia Nera) e XIII. Ad ogni modo, il convoglio del Capo Faro, protetto dalla VII Divisione, si trovava in posizione tale che le navi britanniche non tentarono nemmeno d’intercettarlo.
Ma le navi di superficie non erano l’unica arma che poteva essere mandata contro il convoglio: da Malta decollarono quattro bombardieri Bristol Blenheim del 18th Squadron della Royal Air Force (per altra fonte cinque Blenheim, del 18th e 107th Squadron del Coastal Command RAF), che piombarono sulle navi italiane alle dieci del mattino del 30, attaccando a volo radente. È interessante notare che, secondo i rapporti italiani, le navi sarebbero state attaccate contemporaneamente da quattro bombardieri (i Blenheim di Malta) ed anche da due aerosiluranti, che avrebbero attaccato il convoglio provenendo dai due lati, agendo con perfetta sincronia; nella documentazione britannica, però, non c’è traccia di questi due aerosiluranti. È più che possibile una stima errata da parte italiana sul tipo e numero degli aerei attaccanti, molto comune in circostanze del genere.
Le navi italiane non avevano alcune scorta aerea, quindi poterono difendersi soltanto con le armi di bordo: ma il tiro contraereo delle navi non fu molto efficace (specie quello di Capo Faro ed Iseo, armati solo con alcune mitragliere), ed il Capo Faro venne colpito ripetutamente.
Il comandante del piroscafo riferì in seguito che la sua nave era stata colpita in pieno da tre bombe e da un siluro; come detto, secondo fonti britanniche di siluri non dovrebbero esservene stati.
Quale che fosse la tipologia degli ordigni che lo colpì, il Capo Faro si capovolse ed affondò rapidamente (alle 10) nel punto 37°28’ N e 19°20’ E (al centro del Mar Ionio, a 70 miglia per 260° da Zante).
Mentre l’Iseo, allontanatisi i Blenheim, dirigeva per Argostoli su ordine del caposcorta, la Procione provvide al soccorso dei naufraghi, terminato il quale si ricongiunse con l’Iseo, vi trasbordò i superstiti e giunse ad Argostoli insieme ad esso alle 22.30.

Vennero recuperati, a seconda delle fonti, 111 o 113 sopravvissuti del Capo Faro, che furono sbarcati ad Argostoli. Secondo alcuni documenti conservati all'U.S.M.M., i morti furono quattro, due membri italiani dell’equipaggio e due tedeschi; tuttavia il superstite Ivo Pianigiani, in una lettera scritta ad una cugina il 30 dicembre 1941, afferma che sul Capo Faro si trovassero in tutto 121 uomini, dei quali sette non risposero all'appello dopo il salvataggio da parte della torpediniera di scorta.
Il comandante Merlo fu tra i sopravvissuti; per il comportamento tenuto durante l’attacco e l’affondamento venne decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare ("Comandante di piroscafo requisito, navigante in convoglio, colpito da siluro durante un attacco di aerei nemici, affrontava con sereno coraggio e presenza di spirito la difficile situazione, infondendo fiducia ai suoi uomini ed adoperandosi con tutte le sue energie e con ferma volontà nei tentativi di salvare la nave. Solo allorché qualsiasi ulteriore sforzo veniva reso vano e l’unità era in procinto di affondare, dirigeva le operazioni di salvataggio della sua gente, dimostrando abnegazione e vivo senso del dovere").
Tra le vittime vi furono l’artigliere ventiseienne Giuseppe Semprini, di Verucchio, ed il marittimo civile Bruno Ball, di Trieste. Alla memoria di Giuseppe Semprini venne conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, con motivazione: "Destinato alla difesa c.a. di piroscafo attaccato e gravemente colpito da aerosiluranti nemici, rimaneva con sereno coraggio al suo posto di combattimento anche dopo l’ordine di abbandonare la nave. Benché lambito dalle fiamme, che alte si levavano dall’unità, e malgrado la possibilità di esplosione del carico, proseguiva impavidamente con ferrea decisione nella vivace reazione di fuoco, incurante della propria salvezza, e scompariva con la nave nell’adempimento incondizionato del dovere. (Mediterraneo Orientale, 30 novembre 1941)".


Sopra, una fotografia del soldato Giuseppe Semprini, dell’814a Batteria del 3° Reggimento Artiglieria, nato a Verucchio l’8 luglio 1915, disperso nell’affondamento del Capo Faro. Sotto, il suo verbale di irreperibilità. Per g.c. della pronipote Giuliana Corbelli.


Una lettera di Ivo Pianigiani (nato a Siena nel 1921, deceduto nel 2006), militare imbarcato sul Capo Faro nel viaggio in cui questo fu affondato, nella quale viene descritto l’affondamento (si ringrazia la famiglia ed in particolare la nipote Tamara Dombrovschi):





Trascrizione della lettera:

"Trieste – 30-12-1941 XX
carissima Rita, in occasione della signora Fiorini ho pensato di scriverti questa letterina per raccontarti liberamente le mie ultime avventure. Come ricorderai ero destinato ad andare in Africa, infatti il giorno 20 novembre partii da Varese verso Brindisi con un tren0 merci che era carico di autocarri sui quali erano montate delle bellissime stazioni radio, roba che apparteneva alla mia compagnia. Così io ed altri sette eravamo di scorta a questi materiali. Dopo 48 ore di viaggio arrivai a Brindisi e lì cominciammo a scaricare le macchine e a caricarle sul piroscafo. Quando una metà ossia 10 furono caricate il piroscafo partì ed io ed altri 3 con lui. Questo avvenne il giorno 28 novembre alle ore 3 del pomeriggio. Non appena usciti dal porto mi levai le fasce e mi slacciai le scarpe, operazione che viene ordinata in modo da essere più leggeri in caso di dover finire in acqua, e quindi indossai il salvagente, anche questo obbligatorio. La prima mezza giornata di navigazione andò benissimo, mare calmo, costa italiana vicina, ecc… Ma poi la costa non si vedeva più e il mare cominciò a farsi grosso e così cominciò ad arrivare il mal di mare. La mattina seguente giorno 29 idem con patatine e così tutto il giorno disteso a terra perché sennò c’è il rischio di mettere fuori tutto quello che poco prima si è mangiato. Passa anche questo giorno, arriva la notte, si dorme poco ma passa. La mattina seguente (30) sempre mare molto agitato, tempo nuvoloso, spiaggia e nebbia bassa. Nebbia provocata dall’acqua alzata dal vento. Dopo aver preso il caffè dato che era domenica io, un tenente ed un sergente entrammo in una stazione Radio ed io che ero l’unico a saperla adoperare l’accesi e non trovando nulla domandai che ora fosse: mi fu risposto le 10. In quello stesso attimo trovai della musica, musica alla quale nessuno di noi tre ebbe il tempo di fare attenzione perché sentimmo un rombo cupo passare sopra di noi e quindi una violenta esplosione. Immaginerai già di cosa si trattava. Così uscimmo in fretta e furia ed in quello stesso attimo che mettevamo piede all’aria aperta, arrivò un secondo apparecchio che ci colpì con una bomba la quale cadde a circa 5 o 6 metri da noi. Fortuna volle che sfondò il boccaporto ed entrò nella stiva così che l’esplosione non poté colpirci. Visto questo scappammo verso il ponte di comando. Ma ancora non era finita, arriva ancora un apparecchio il quale ci mitraglia e sgancia ancora delle bombe, così fummo tutti e tre sfiorati alla testa da diverse pallottole di mitraglia e per fortuna nessuno fu colpito, all’infuori di un marinaio tedesco che si trovava dietro di noi, una pallottola bucò uno stivale senza però toccarlo minimamente. Tanto per tagliare corto ti dirò che dopo aver incassato due siluri lanciati dal primo apparecchio e tre bombe lanciate dagli altri, venne l’ordine di gettarsi a mare. Gettammo via le scarpe e dopo aver messo a mare le scialuppe di salvataggio e le zattere non facemmo altro che gettarci a mare belli vestiti pure noi. Stetti nell’acqua circa mezz’ora e poi dopo lunghi sforzi dato il mare cattivo riuscii a montare su una zattera ove finalmente si stava discretamente. Dico discretamente per non dire male, capirai, bagnato (di novembre) con un vento che era tutt’altro che caldo e con un patente mal di mare non c’era certamente da stare allegri. Questa scomoda posizione dura circa 4 ore, dopo finalmente la torpediniera che avevamo di scorta ci levò su ed allora andò meglio. Appena su, fui preso da un marinaio il quale pur di far presto, mi spogliò a coltellate, capirai in quei momenti non si guarda certamente a non sciupare i vestiti. Quindi bello nudo mi distese sopra di un materassino e mi coprì con quante coperte e stracci asciutti gli capitarono fra le mani. Pertanto fra il calore del locale e tutta questa roba sopra di me, il caldo ritornò. Dirai te, come a 20 anni ti sei fatto spogliare e ti sei fatto mettere a letto?! Mi sembra impossibile pure a me ma con tanto freddo addosso credi ero duro che sembravo una tavola stagionata. Stetti così coperto per circa 3 ore, poi arrivarono con il mangiare che consisteva in una scatoletta di carne e pane. Intanto la nave si dirigeva verso il porto più vicino che lì era l’isola di Cefalonia (Grecia). Quando poi furono circa le otto di sera, arrivò una magnifica ed abbondantissima pastasciutta e così ci rifacemmo del mangiare perduto. Il trattamento che avemmo su questa nave fu davvero grandioso, ci fu dato dai marinai stessi tutto ciò che possedevano, specialmente sigarette rimasero tutti senza, per darle a noi. Fra l’equipaggio, più noi e più gli artiglieri di difesa alla nave in tutto si faceva il numero di 121 persone e all’appello ne risultarono 114. 7 avevano lasciato la loro vita in questa brutta avventura. In ogni modo non c’è da lagnarsi perché se invece di prenderci nei punti ove fummo presi, una sola bomba avesse preso sugli esplosivi che noi avevamo a bordo (2 mila tonnellate), di noi non se ne sarebbe salvato neanche uno, perciò non possiamo che ringraziare Iddio ed io devo ringraziare tanto anche te che hai pregato per me e, come vedi, le tue preghiere sono servite.
Continuando il racconto ti dirò che verso le 10.30 la sera arrivammo a quest’isola dove fummo per mezzo della croce rossa trasportati all’ospedale. Lì ci fecero bere tanti cognach che se ne fece una bellissima sbornia. La mattina seguente fummo trasportati in una caserma dato che si stava bene lì fummo vestiti e nuovamente rifocillati, dico vestiti perché Adamo era certamente più vestito di noi. In quest’isola ci stetti una settimana circa ossia fino al giorno 6, giorno che si partì con un posamine il quale ci portò a Patrasso ove fummo imbarcati sul piroscafo Piemonte. Lì si stette fermi nel porto di Patrasso fino al giorno 12. Ma però non era ancora finita perché l’ultima sera ecco che suona l’allarme e viene presa di mira per più di un’ora la nave nella quale ci trovavamo noi e ci vengono lanciate circa una trentina di bombe che per nostra fortuna non ci colpirono. Così la nave rimase illesa, e poi anche se fosse stata colpita eravamo attaccati al porto ma in ogni modo dopo quello che ci era toccato la paura non mancò certamente. Finalmente il giorno dopo la nave fu caricata di truppe che venivano in licenza e si partì e dopo una ottima navigazione e con bellissimo tempo, la mattina del 14 potei rimettere piede (a Bari) nella solida terra italiana. Il giorno seguente (15) fui mandato a Brindisi e di lì nuovamente a Varese ove si credeva di trovare ancora la compagnia ma invece non c’era più e così andammo a Roma all’ottavo Reggimento Genio. Qui vi stetti una giornata e quindi potei andare a trovare Piero che trovai in ottima salute. Al Reggimento sapevano ove si trovava la compagnia e perciò ci inviarono a raggiungerla a Napoli, da dove il giorno 23 fui mandato in licenza speciale con giorni 10+3 in attesa di proroga di un mese, credo. Che è arrivata dopo un anno [annotazione apparentemente successiva]. Termino perché il mio povero braccio non ne può più, e poi credo di averti raccontato tutto o quasi tutto. Ora farai il piacere di raccontare ciò se te ne capita l’occasione a Milena ed agli altri parenti perché capirai e cosa dato che la signora censura non posso scriverlo a tutti. Dice la mia mamma che Sandro non ha risposto alla nostra e neppure si è visto per Natale, ciò ci è dispiaciuto. Ora termino sul serio inviando a te e tutti i tuoi tanti affettuosi saluti e baci con un bel pizzicottane particolare pure dai miei.
Tuo aff.mo
Saluti pure a Giulio e sua famiglia, a Vera, Mariolina ecc."


6 commenti:

  1. Grazie...il miglior modo per onorare la memoria del carissimo zio Pino..le chiedo gentilmente come posso fare per reperire le ulteriori informazioni riportate da lei in questo articolo, riguardo alla testimonianza rilasciata dal comandante del piroscafo sulle tragiche vicende di quella giornata che io non conosco...le sarei davvero grata se lei mi potesse aiutare ancora una volta... grazie...Giuliana Corbelli

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    1. Buonasera signora Corbelli,
      tutti i documenti relativi all'affondamento del Capo Faro (compresa, presumibilmente, la relazione del comandante) dovrebbero trovarsi all'archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare, a Roma. In genere l'AUSMM non compie ricerche per conto terzi, però magari ad una sua specifica richiesta per email risponderebbero: il loro indirizzo è ufficiostorico@marina.difesa.it

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  2. Grazie...il miglior modo per onorare la memoria del carissimo zio Pino..le chiedo gentilmente come posso fare per reperire le ulteriori informazioni riportate da lei in questo articolo, riguardo alla testimonianza rilasciata dal comandante del piroscafo sulle tragiche vicende di quella giornata che io non conosco...le sarei davvero grata se lei mi potesse aiutare ancora una volta... grazie...Giuliana Corbelli

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  3. Grazie!Lei è' sempre gentilissimo... provvederò con questa ricerca...mi tolga una curiosità, ma lei dove ha reperito le informazioni riportate sopra? Il nome dell'altro militare deceduto oltre allo zio Pino ad esempio dove lo ha trovato? Da una ricerca in internet? Posso avere il link? Grazie mille... sempre riconoscente per aver dedicato il suo tempo prezioso per questo zio, mai conosciuto purtroppo, ma presente nei miei ricordi fin dalla mia infanzia... grazie...buona serata...

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    1. Buongiorno, le mie fonti sono varie; principalmente i libri dell'USMM (in questo caso quelli sulla difesa del traffico con l'Africa Settentrionale) e poi vari siti internet. Il nome di Bruno Ball l'avevo trovato su un sito (www.isfida.it) dedicato alle vittime civili e militari della seconda guerra mondiale nelle regioni della Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, sito che oggi non sembra essere più esistente (ma avevo salvato su un documento Word la pagina che elencava i nomi dei marittimi scomparsi in mare, dove avevo trovato quello di Bruno Ball).

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  4. Grazie mille... grazie ancora...qualora riuscissi a reperire ulteeulte informazioni sara mia premura trasmettergliere e fargliele sapere...saluti...buona giornata...

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