domenica 31 gennaio 2016

Felce

Il Felce (Coll. Staatsarchiv, Brema – da www.ddghansa-shipspotos.de

Piroscafo da carico da 5639 tsl, 3518 tsn e 8600 tpl, lungo 128,36-132,59 metri, largo 16,76 e pescante 7,63-8,7, con una velocità di 11,5 nodi. Appartenente all’armatore Achille Lauro, di Napoli, ed iscritto con matricola 336 al Compartimento Marittimo di Napoli.

Breve e parziale cronologia.

20 settembre 1910
Varato dai cantieri Tecklenborg J. C. – Johannes Carlo Teclenborg A. G. di Geestemunde come Freienfels (numero di cantiere 237).

Il varo del Freienfels (Coll. Peter Kiehlmann, da www.ddghansa-shipspotos.de)

22 novembre 1910
Completato per la compagnia Deutsche Dampfschifffahrts Gesellschaft Hansa, con sede a Brema. Nominativo di chiamata QJVC; le caratteristiche originarie sono 5633 tsl, 3545 tsn, 8705 tpl. Ha sette gemelle: Ockenfels, Birkenfels, Kandelfels, Sturmfels, Huberfels, Lauterfels e Spitzfels.
5 agosto 1914
Lo scoppio della prima guerra mondiale sorprende il Freienfels a Calcutta, nell’India controllata dai britannici: essendo di una nazione nemica, il piroscafo viene catturato ed affidato all’Ammiragliato (Royal Navy), che lo dà in gestione alla compagnia Grahams & Co. Ltd. La nave viene registrata a Londra; il nominativo di chiamata viene cambiato in JLGB.
Armato con equipaggio britannico, il Freienfels viene trasferito a Bombay e sottoposto a lavori di modifica per imbarcare uomini ed animali del Camel Corps, per un’operazione programmata nel Golfo Persico.
1919 o 1920
Finita la guerra, il Freienfels viene trasferito sotto il controllo della Segreteria di Stato per l’India, che lo dà in gestione all’India Office Shipping Director.
Assieme ad altri quattro mercantili della DDG Hansa, il Freienfels è una delle sole navi tedesche catturate che, sebbene confiscate, non sono considerate prede di guerra; a seguito del trattato di Versailles, ne viene disposta la vendita.
Giugno 1925
Posto in vendita; dapprima rimane a Dunkerque dal 6 al 18 giugno, per poter essere ispezionato da potenziali acquirenti, poi è disarmato a Falmouth in attesa della vendita. Nel parlamento britannico si è già valutata la possibilità di vendere le cinque navi della DDG Hansa (il cui utilizzo ha permesso un guadagno di 1.700.000 sterline) alla Grecia.
1925
Venduto agli armatori greci Pnevmaticos, Rethymnis, Yannaghas & Co. di Sira e ribattezzato Hadiotis (nominativo di chiamata NPCL).
1927
Trasferito alla Kassos Steam Navigation Company, anch’essa avente sede a Sira, senza cambiare nome. Rimane sotto la gestione di Pnevmaticos, Rethymnis, Yannaghas & Co.
Settembre 1928
Acquistato dall’armatore napoletano Achille Lauro e ribattezzato Felce (nominativo di chiamata IBVL).
Dicembre 1933
Partito da Cuddalore con 150 lavoratori asiatici a bordo, il Felce scampa ad un ciclone che provoca un centinaio di morti nella provincia di Madras.

La nave fotografata a Capetown tra il 1934 ed il 1936 (g.c. John H. Marsh Marittime Research Centre di Capetown, via Mauro Millefiorini e www.naviearmatori.net

18 gennaio 1937
Il Felce s’incaglia a Gibuti, ma, dopo essere stato alleggerito del carico, può essere disincagliato con l’aiuto di un rimorchiatore.
30 giugno 1938
Una bomba, inesplosa, viene scoperta a bordo del Felce nel porto di Taranto. L’ordigno è stato piazzato a bordo durante una sosta in un porto scandinavo, ad opera di un membro della rete di sabotatori organizzata da Ernst Wollweber, comunista tedesco in esilio che ha pianificato una serie di sabotaggi ai danni di navi appartenenti alle nazioni che riforniscono i nazionalisti di Francisco Franco nella guerra civile spagnola.
Marzo 1940
A guerra mondiale già scoppiata, ma durante la non belligeranza italiana, il Felce finisce al centro di un incidente internazionale: partito da Rotterdam e diretto in Italia con un carico di carbone tedesco, viene sequestrato e dirottato da cacciatorpediniere britannici nella rada delle Downs (al largo di Deal, nel Kent, dove è stata stabilita una base britannica per i controlli sul contrabbando) dalle unità britanniche che assicurano il blocco navale contro la Germania (dal 1° marzo è entrato in vigore il divieto, imposto dal Regno Unito, dell’esportazione di carbone tedesco da Rotterdam in Italia, pena l’intercettazione in alto mare e conseguente sequestro delle navi e confisca dei carichi come preda bellica), per effettuare controlli. Stessa sorte subiscono anche altre sette navi italiane anch’esse cariche di carbone: i piroscafi Orata, AbsirteaLianaRapidoErnesto e Caterina e la motonave Loasso, ed entro l’8 marzo il numero salirà a 15, tra cui i mercantili Pozzuoli, Ischia, Integritas, PamiaSemien e San Luigi (in tutto in quei giorni vi sono a Rotterdam 17 navi intente a caricare carbone: l’Italia, per questa risorsa di energia, dipende infatti dalle importazioni, ed il 60 % del carbone importato – 11.000.000 di tonnellate – viene dalla Germania). In tutto più di 100.000 tonnellate di carbone vengono confiscate. Il governo italiano invia a Londra una forte nota di protesta, dicendo che l’accaduto mette in discussione le relazioni politiche ed economiche stabilite tra i due paesi, e la notizia viene riportata da numerosi giornali tedeschi (che parlano di pirateria e furto ai danni dell’Italia), britannici (alcuni dei quali rivendicano il diritto del Regno Unito di interdire le esportazioni di carbone della Germania, mentre altri prospettano una crisi con l’Italia ed ipotizzano i suoi risvolti), italiani (tra i quali “Il popolo d’Italia” denuncia l’accaduto come imperdonabile, mentre altre testate auspicano una soluzione che non nuoccia ai rapporti anglo-italiani), australiani, americani. A Venezia un folto gruppo di studenti universitari organizza una manifestazione di protesta (la prima manifestazione antibritannica dai tempi della guerra d’Etiopia) contro il blocco navale britannico sotto il consolato del Regno Unito, venendo disperso da polizia e carabinieri. L’accaduto sconcerta anche molti circoli italiani usualmente favorevoli ai britannici.
Tutte le navi, tranne la Loasso (che ha caricato il suo carbone prima che il divieto entrasse in vigore), vengono rilasciate solo dopo la confisca del carico.
 

Il Felce nel 1930 (g.c. Pietro Berti, via www.naviearmatori.net
Da Haifa alla Tunisia

Il destino, posto che esista, giocò più di uno strano scherzo alla nave chiamata Felce.
Questo piroscafo, infatti, fu una delle pochissime navi che poterono annoverare di essere state sorprese dallo scoppio di entrambe le guerre mondiali in un porto nemico: come il Freienfels era stato sorpreso dallo scoppio della prima guerra mondiale a Calcutta, nella colonia britannica dell’India, così il Felce, quando l’Italia dichiarò guerra al Regno Unito (10 giugno 1940) iniziando così la propria partecipazione al secondo conflitto mondiale, si trovava nel porto di Haifa, nella Palestina sotto mandato britannico.
La conseguenza naturalmente fu, come 26 anni prima, la cattura. Confiscata dalla Corte delle Prede della Palestina con decreto del 16 giugno 1940 ed affidata al Ministry of War Transport, la nave venne di nuovo registrata a Londra, ribattezzata Empire Defender e ricevette il nuovo nominativo di chiamata GPJG; fu data in gestione alla City Line Ltd.
L’equipaggio italiano del Felce, che aveva dichiarato di non essere al corrente dell’entrata in guerra dell’Italia, venne internato. Uno dei suoi componenti, l’ufficiale di macchina Antonio Tenze, triestino, morì in prigionia il 21 aprile 1943.

Sotto bandiera britannica, l’Empire Defender navigò nel Mediterraneo, nel Mar Rosso, nell’Oceano Atlantico e nell’Oceano Indiano. Il 4 novembre 1940 il piroscafo salpò da Suez con il convoglio BS 8 (composto da 18 mercantili britannici, due norvegesi, due indiani ed uno egiziano, scortati dall’incrociatore leggero HMS Leander, dal cacciatorpediniere HMS Kingston e dagli sloops Flamingo, Grimsby, Indus e Clive, questi ultimi due indiani), dal quale poi si separò e diresse per Port Sudan, arrivandovi l’8 novembre; da qui ripartì il 22 novembre unendosi al convoglio BS 9 (salpato da Suez il 18 novembre con 14 mercantili britannici, 3 norvegesi, 2 greci, uno olandese, uno indiano ed uno sudafricano, scortati dagli incrociatori HMS Leander, HMAS Hobart e HMS Carlisle, dal Kingston e dagli sloops HMS Auckland, HMIS Clive, HMS Grimsby e HMIS Hindustan), e quando questo si disperse il 26 novembre (in posizione 12°30’ N e 48°23’ E) l’Empire Defender fece rotta per Mombasa, dove giunse l’8 dicembre. Lasciata Mombasa il 15 dicembre, la nave raggiunse Durban undici giorni dopo.
Nel 1941 la gestione dell’Empire Defender fu trasferita alla Stanhope Steamship Company Ltd, che armò la nave con ufficiali britannici ed un equipaggio di lascari (indiani).
Il 6 aprile 1941 la nave salpò da Durban per Capetown, dove giunse l’11 aprile; ripartita il 17 aprile, tornò indietro dopo due giorni per poi ripartire il 3 maggio per Freetown, dove arrivò il 22 maggio. Da qui il piroscafo riprese il mare il 15 giugno per Santa Lucia (Piccole Antille), che raggiunse il 5 luglio, e cinque giorni dopo ripartì verso Hampton Roads, in Virginia, dove arrivò il 21 luglio. Il 10 agosto lasciò Hampton Roads, giungendo ad Halifax il 14, per poi partire da lì il 16 agosto con il convoglio HX 145 (56 mercantili britannici, 7 norvegesi, 6 olandesi, un greco ed un belga, scortati dall’incrociatore ausiliario HMS California e seguiti dalla nave soccorso britannica Zaardam), diretto a Liverpool, con un carico di merci varie. Il 30 agosto l’Empire Defender lasciò il convoglio HX 145 a Loch Ewe e si unì al convoglio WN 175 (43 mercantili britannici, 7 norvegesi, 4 olandesi, 3 greci, un estone ed uno svedese, senza scorta), col quale giunse a Methil il 3 settembre; qui si unì al convoglio FS 585 (15 mercantili britannici e 5 norvegesi, nessuna scorta) ed arrivò con esso a Southend-on-Sea il 6 settembre.
Ripartito da Southend il 27 settembre con il convoglio FN 524 (7 mercantili britannici ed un olandese, privi di scorta), il piroscafo giunse a Methil il 29 settembre, e l’indomani si unì al convoglio EC 79 (16 mercantili britannici, 3 norvegesi ed un olandese, senza scorta), col quale giunse ad Oban il 3 ottobre; l’Empire Defender proseguì e raggiunse Glasgow lo stesso giorno.

L’altro scherzo che il destino giocò al Felce consisté nella sua fine: nave italiana catturata ed impiegata in guerra dai britannici, infatti, finì affondata proprio dai precedenti “proprietari”.
Dopo l’arrivo a Glasgow, infatti, l’Empire Defender fu caricato di 9000 tonnellate di munizioni ed altri rifornimenti (con la massima segretezza possibile) e destinato a partecipare all’operazione «Astrologer»: un tentativo di rifornire Malta con due sole navi mercantili (l’altra era l’Empire Pelican), che avrebbero viaggiato isolate e senza scorta nel tentativo di non dare nell’occhio. Allo scopo, il piroscafo venne ridipinto con uno scafo nero, le sovrastrutture bianche ed il fumaiolo marrone chiaro, come in tempo di pace e diversamente dalla colorazione adottata in guerra dalla maggior parte dei mercantili; l’armamento (tranne sei mitragliatrici) venne rimosso, per far sembrare che la nave appartenesse ad una nazione neutrale. Per ingannare eventuali osservatori sulla destinazione del carico, sulle casse furono scritti i nomi di Durban e Capetown; dell’equipaggio, solo il comandante conosceva la vera destinazione del viaggio. La partenza era prevista per il 23 ottobre.
Il mattino del 20 ottobre, però, il «serang» (nostromo) dei lascari si recò dal comandante e gli disse che nessuno dei lascari era pronto a partire; spiegò che aveva avuto dei sogni per due notti successive, e che in entrambi la nave era stata affondata prima del prossimo novilunio. Concluse che l’equipaggio sarebbe salpato volentieri su una qualunque altra nave, da Glasgow o da un altro porto, per qualsiasi destinazione, ma che non sarebbero partiti con l’Empire Defender.
Né promesse (di permessi aggiuntivi, paghe supplementari, visita del mullah alla loro moschea locale), né suppliche, né l’invio della polizia con minacce di carcerazione e deportazione servirono a convincere i 60 lascari dell’equipaggio a partire; l’unica risposta che continuarono a ripetere fu “Ni jao” (“no andare”) e dopo due ore di tentativi per convincerli dissero tutti che avrebbero preferito finire in carcere ed essere deportati che partire con l’Empire Defender. Quando l’imbarco del carico giunse verso il termine, i lascari trasferirono i loro effetti personali in un vicino magazzino e si prepararono a dormirvi, per evitare che la nave potesse salpare di notte, con loro a bordo, mentre dormivano. A questo punto la compagnia cedette e si mise a cercare un altro equipaggio; ma gli altri lascari presenti nel porto di Glasgow non vollero nemmeno sentir parlare dell’Empire Defender.
Alla fine fu necessario ingaggiare altrettanti marittimi bianchi, pagando ciascuno di loro dieci sterline in contanti perché accettassero di viaggiare nelle sistemazioni dei lascari, ben più spartane di quelle dei marinai europei.
Il mattino del 27 ottobre, alle cinque, l’Empire Defender partì finalmente da Glasgow. Mentre la nave mollava gli ormeggi, il gruppo dei lascari la osservò silenziosamente dal magazzino. Il viaggio del piroscafo sembrò davvero cominciare sotto una cattiva stella: nel partire la poppa della nave urtò un’altra nave ormeggiata vicino, strappandola dagli ormeggi, e nel discendere il Clyde l’Empire Defender ebbe un’avaria al timone che provocò una collisione con un’altra nave che stava venendo rimorchiata verso il molo, con seri danni ad entrambe (d’altra parte, però, queste due collisioni potrebbero essere il frutto di una successiva “infiorettatura” per rendere la “profezia” dei lascari ancora più evidente: nel resoconto del secondo ufficiale dell’Empire Defender, infatti, non si fa parola di questo duplice incidente, ed anzi si dice che il viaggio si svolse senza incidenti fino all’11 novembre). Riparate le avarie, l’Empire Defender ripartì si unì al convoglio OG 76, salpato tre giorni prima da  Milford Haven e che giunse a Gibilterra l’11 novembre. Trenta miglia prima di giungere a Gibilterra, tuttavia, l’Empire Defender e l’Empire Pelican si separarono dal convoglio e proseguirono con la scorta di un solo cacciatorpediniere. Superato lo stretto di Gibilterra quello stesso giorno, i due mercantili si separarono (l’Empire Defender rallentò per fare in modo che l’Empire Pelican avesse un giorno di vantaggio, come programmato; poi assunse una velocità di dieci nodi) ed iniziarono la navigazione verso Malta; mentre era nelle acque della Spagna, l’Empire Defender assunse il nome fittizio di Josina fu verniciata sulle sue murate la bandiera spagnola. Nelle acque della Francia il nome fasullo fu cambiato in Nevada, e sullo scafo fu verniciata la bandiera francese; tutte le mitragliatrici furono rimosse dal ponte. Analogamente cambiarono le bandiere che sventolavano sulla poppa della nave.
Questo stratagemma non trasse però in inganno i comandi italiani. Alle 11 del 14 un aereo avvistò il piroscafo, seguendolo per tutto il giorno, ed al tramonto del 15 novembre l’Empire Defender venne attaccato da un aerosilurante Savoia Marchetti S. 84, pilotato dal maggiore Buri della 256a Squadriglia (108° Gruppo, 36° Stormo) della Regia Aeronautica (altre fonti, probabilmente errate, parlano di aerosiluranti Savoia Marchetti S. 79 del 130° o 132° Gruppo). L’aereo dapprima mitragliò i ponti del piroscafo, poi si allontanò e tornò dopo dieci minuti. Alle 16.40 il velivolo centrò il piroscafo con un siluro, incendiandolo; l’equipaggio fece appena in tempo ad abbandonarlo su due lance, prima che questi esplodesse ed affondasse alle 16.55, 18 miglia a sud dell’isola La Galite (a nordovest della Tunisia). Quattro dei 64 membri del suo equipaggio persero la vita, mentre gli altri 60 (tra cui un ferito) sbarcarono alle sei del mattino seguente a Tabarca, in Tunisia; qui i superstiti dell’Empire Defender furono internati nel campo di El Kef, così condividendo la sorte del precedente equipaggio italiano di quella stessa nave, dall’altra parte del Mediterraneo.
Nemmeno l’Empire Pelican giunse a Malta: era già stato affondato da aerosiluranti italiani il giorno precedente. Delle sette navi mercantili inviate a Malta isolate e senza scorta nel corso del 1941, solo una giunse a destinazione; l’affondamento di Empire Pelican ed Empire Defender diede il colpo di grazia a questo genere di tentativi. Da quel momento in poi, i britannici inviarono rifornimenti a Malta solo in convogli fortemente scortati o con navi da guerra veloci.
 

La nave quando portava il nome di Freienfels, con i colori della DDG Hansa (Coll. Holger Patzer, da www.ddghansa-shipspotos.de)


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