sabato 20 dicembre 2025

MAS 531

Il MAS 531 a Trapani nel giugno 1943; a poppa sono visibili due selle laterali per la posa di mine galleggianti tipo "Beta" (da "Decima flottiglia nostra" di Sergio Nesi)

MAS della classe MAS 526 (classe 500 seconda serie) del dislocamento di 25,5-27 tonnellate. Lungo 18,7 metri, largo 4,7 e pescante 1,4, armato con due tubi lanciasiluri da 450 mm, una mitragliera da 13,2 mm ed una tramoggia per bombe di profondità; velocità 42-44 nodi con autonomia di 360 miglia nautiche alla velocità massima (l'apparato propulsivo era costituito da due motori principali da 2000 HP e due ausiliari da 100 HP, su due eliche), equipaggio 10-12 uomini.

Aveva un motto, non ufficiale, "Ibis et redibis": riferimento alla formula "Ibis et redibis non morieris in bello" pronunciata dalla Sibilla cumana ai soldati romani che, partendo per la guerra, la interrogavano sul loro destino.


Breve e parziale cronologia.


24 maggio 1939

Varo presso i cantieri Baglietto di Varazze.

4 settembre 1939

Entrata in servizio.

10 giugno 1940

All'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale, il MAS 531 fa parte della XIV Squadriglia MAS (composta oltre che da esso dai MAS 530, 532 e 533), che insieme alle Squadriglie I, V, XII e XIII forma la 1a Flottiglia MAS, di stanza alla Spezia.

Non molto tempo dopo verrà trasferito alla 2a Flottiglia MAS, di base in Sicilia.

11 novembre 1940

Il MAS 531, insieme al gemello MAS 532, viene inviato in agguato a sud di Pantelleria per contrastare l'eventuale transito di una forza navale britannica (tre corazzate e due incrociatori) segnalata dalla ricognizione aerea nel Mediterraneo centro-orientale. Allo stesso scopo vengono inviate le torpediniere Vega, Calipso, Alcione e Calliope tra Marettimo e la costa tunisina, i MAS 530 e 550 nelle acque del Banco Talbot ed i MAS 516, 517 e 518, appoggiati dai cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi e Lanzerotto Malocello, a nordest di Malta.

In realtà, le forze navali segnalate dalla ricognizione non sono dirette verso il Canale di Sicilia e Gibilterra, ma sono parte della forza uscita in mare per lanciare l'operazione “Judgment”, l'attacco aerosilurante contro Taranto che avrà luogo la notte seguente.

30 settembre-1° ottobre 1941

Il MAS 531 ed il similare MAS 543 vengono inviati al largo di Trapani a cercare il sommergibile britannico Urge (tenente di vascello Edward Philip Tomkinson), che il 24 settembre ha sbarcato sulla costa siciliana, presso Capo Gallo, vicino a Palermo, un agente francese, Alfred Rossi (ebreo francese, nato a Beirut ma residente in Tunisia allo scoppio della guerra, dopo l'adesione delle autorità coloniali francesi in Tunisia al regime di Vichy si è unito ad una rete di resistenza clandestina, per poi fuggire a Malta nell'estate 1941). Questi, provvisto di 100.000 lire e di una radio trasmittente, ha nascosto radio e denaro e si è recato a Palermo, ma è stato subito notato e posto sotto sorveglianza dal SIM (Servizio Informazioni Militare, il servizio segreto del Regio Esercito): dopo essere stato seguito per sei giorni, è stato catturato mentre tornava al suo nascondiglio nella notte tra il 30 settembre ed il 1° ottobre (data in cui il sommergibile sarebbe dovuto tornare a prenderlo), e per avere salva la vita, ha accettato di collaborare con i servizi italiani. I MAS 531 e 543, insieme alle torpediniere Generale Antonino Cascino e Giuseppe Dezza, vengono inviati alla ricerca dell'Urge e riescono quasi a localizzarlo, ma questi riesce a sfuggire alla trappola. Cascino e Dezza verranno poi rilevate nella caccia dalle torpediniere Cigno e Climene, uscite da Trapani a tale scopo.

Rossi, operando per conto del SIM, si metterà in contatto con la sua radio con i servizi segreti britannici e trasmetterà loro, nei mesi a venire, informazioni false prodotte dal controspionaggio italiano per intralciare l'attività dell'MI6. I britannici si accorgeranno dell'inganno soltanto nel febbraio 1942, quando l'Urge sarà oggetto di un'altra trappola, anche stavolta fallita, nel tentativo di portare del denaro a Rossi: stavolta la “coincidenza” della presenza di unità italiane all'appuntamento non potrà più essere ignorata dall'MI6. Rossi, che successivamente riuscirà ad informare i britannici della sua situazione, verrà ucciso dai carabinieri durante un tentativo di fuga nell'aprile 1943.

29 giugno 1941

Il MAS 531 partecipa ad un'esercitazione nelle acque di Augusta, insieme al sommergibile Malachite (tenente di vascello Enzo Zanni).

18 agosto 1941

I MAS 531 e 544 lasciano Pantelleria con a bordo l'ammiraglio Amilcare Cesarano, comandante della Zona Militare Marittima di Pantelleria, diretto a Lampedusa per dirigere il tentativo di salvataggio del piroscafo Maddalena Odero, danneggiato da un attacco aereo durante la navigazione in convoglio verso l'Africa Settentrionale e portato ad incagliare nell'insenatura di Cala Croce. Il piroscafo incagliato è già assistito dalla torpediniera Pegaso, facente parte della scorta del convoglio, e dalla cannoniera Maggiore Macchi della Guardia di Finanza.

I due MAS giungono sul posto verso mezzogiorno; l'ammiraglio Cesarano dispone che la Pegaso disincagli il piroscafo dalla punta di scoglio dove si è incagliato, dopo di che la Macchi dovrà prendere la cima di prua del piroscafo e rimorchiarlo all'interno della Cala Croce. Il lavoro è appena cominciato, quando alle 13.30 sopraggiungono cinque bombardieri britannici Bristol Blenheim del 105th Squadron della Royal Air Force, uno dei quali colpisce il Maddalena Odero con diverse bombe incendiarie a proravia della plancia. Le fiamme si estendono rapidamente al carico di munizioni del piroscafo, con conseguenze catastrofiche: equipaggio e militari imbarcati fanno appena in tempo a mettersi in salvo, dopo di che il Maddalena Odero viene distrutto da una colossale esplosione, che travolge e affonda anche la Maggiore Macchi (abbandonata dall'equipaggio poco prima, su ordine del comandante, nell'impossibilità di uscire dall'insenatura ed allontanarsi).

Particolare dell’imbarco sul MAS 531 a Trapani, nel giugno 1943, di mine galleggianti tipo "Beta", da poco introdotte, da posare nel Canale di Sicilia (da “Le motosiluranti italiane della seconda guerra mondiale”, di Erminio Bagnasco)

Marzo-Agosto 1943

Nel corso di questo periodo il MAS 531, inquadrato nella 2a Flottiglia MAS, è inizialmente di stanza a Pantelleria; dopo un periodo di lavori a Mazara del Vallo per sostituzione dei motori riprende l'attività, consistente principalmente da uscite notturne da Pantelleria o Trapani in coppia con un altro MAS, fino al suo trasferimento con altri MAS a Sciacca e Licata, in previsione dell'ormai imminente sbarco angloamericano. Svolge anche attività di posa di mine (proprio nel 1943 è stato dotato di due selle laterali per la posa di 8-10 mine galleggianti tipo «Beta», da poco introdotte) nel Canale di Sicilia.

In questo periodo è comandante del MAS 531 il sottotenente di vascello Giorgio Rizzo, secondogenito dell'ammiraglio Luigi Rizzo, vera leggenda dei MAS e duplice Medaglia d'Oro al Valor Militare (oltre a quattro Medaglie d'Argento) per l'affondamento, durante la prima guerra mondiale, delle corazzate austroungariche Wien e Szent Istvan, che gli è valso l'appellativo di “Affondatore” ed il titolo nobiliare di conte di Grado e di Premuda.

Nato a Genova Pegli il 5 novembre 1921, Giorgio Rizzo ha seguito le orme del padre entrando in Marina e frequentando l'Accademia Navale di Livorno; scoppiata la guerra, anelando l'azione (scriveva al fratello Giacomo: "Sapessi quanto è duro per noi stare qui [in Accademia] a marcire tra le formule, mentre parecchi carissimi compagni di Accademia hanno già dato la vita"), ha completato gli studi per poi imbarcare come guardiamarina sulla corazzata Giulio Cesare il 28 febbraio 1942, ma si è ritrovato ben presto insoddisfatto dell'inattività della vecchia corazzata (scriveva ancora al fratello: "Siamo stufi di grattarci…", ed al padre: "Ne ho abbastanza di rimanere sul Cesare a fare un bel niente… È ora che ti metta in moto per il passaggio ai MAS. È assolutamente necessario perché su questa nave, dove ogni attività è spenta, non è più possibile che ci rimanga…"). Desiderando emulare le gesta del padre (ancora gli scriveva, facendo riferimento al – millantato – affondamento di due corazzate da parte del sommergibilista Enzo Grossi: "Siamo un po' stufi di grattarci la pera… È assolutamente necessario che io vada ai Mas e il più presto possibile… Quest'attesa monotona mi esaspera. È possibile che proprio il figlio dell'Affondatore ecc. ecc. non riesca ad imbarcare sulle unità che da te sono state valorizzate?... Come saprai dai bollettini, il Com.te Enzo Grossi ha affondato la sua seconda corazzata. Quindi è ora che la famiglia Rizzo ripassi in testa con una terza!... Fammi passare subito ai Mas!"), ha insistito per essere trasferito sui MAS, facendo pressione affinché proprio lui usasse la sua influenza per procurargli l'anelato trasferimento: in varie lettere scriveva "Carò Papà, ricordo la promessa dei MAS" e poi ancora (13 settembre 1942) "Carò papà, non mi troverai noioso se insisto ancora per la faccenda dei MAS". Luigi Rizzo non avrebbe voluto "forzare il destino, vedendo che gli si obiettivava a Roma che il movimento sui MAS era prematuro, che il corso non aveva navigato ecc.", ma alla fine Giorgio ha ottenuto l'assegnazione ai MAS, frequentando un corso a Pola per poi essere destinato al comando del MAS 531, attivo nel Canale di Sicilia.

Al suo nuovo mezzo ed al suo equipaggio si dedica anima e corpo, facendosi in quattro per farne una macchina bellica perfetta e sempre pronta all'azione: al padre adesso scrive "ho la soddisfazione di potervi dire che finora non ho fatto nulla se non per il bene del servizio e per l'onore del mio nome". Il 19 maggio 1943 scrive in un'altra lettera: "Capo papà, ti mando l'altro mio silurista Saleri per un bisogno del mio Mas. Devi sapere che avevamo a bordo i siluri «A 100» del tipo anteguerra, dei veri catenacci. Sono riuscito dopo lunghi sforzi ad ottenere per il mio Mas i siluri «Whithead 200», che sono bellissimi e molto più veloci e moderni, ed hanno 200 kg. di esplosivo, cioè il doppio dei precedenti (…) Dal mio silurista ti farai raccontare come facciamo i lavori sul 531, lavori che superano in serietà quelli che fanno nell'Alta Italia, perché tutto l'equipaggio si impegna a rendere questa unità la più bella e veloce e armata del Canale". Sogna di diventare anch'egli un “Affondatore”, di cogliere nuove glorie; invece è costretto, nel luglio 1943, ad abbandonare la Sicilia, terra d'origine dei Rizzo e base dei MAS, venendo mandato a Bocca di Magra (dove giunge con un viaggio di trasferimento di 1800 miglia nautiche) per un periodo di lavori. Al padre scrive: "Purtroppo la grande superiorità nemica ci ha tolto la bella terra d'Italia, bisogna aver fede e lavorare. Ho fatto il mio dovere per il bene del servizio e per l'onore del mio nome".

Due giorni dopo l'arrivo a Bocca di Magra, Rizzo concede un permesso al membro più giovane dell'equipaggio, il motorista diciottenne Luca Bellone de Grecis, mandandolo nella natia Bari a prendere dei tabacchi. Non si rivedranno più.


Sopra, il sottotenente di vascello Giorgio Rizzo, figlio dell’eroe di Premuda Luigi Rizzo e comandante del MAS 531; sotto, a bordo del MAS 531 con il suo equipaggio (Coll. Maria Guglielmina Rizzo Bonaccorsi, da www.giorgiorizzo.blogspot.com)

Epilogo

Il desiderio di Giorgio Rizzo di emulare le gesta del padre e diventare un nuovo “Affondatore” si infranse definitivamente con l'annuncio dell'armistizio, l'8 settembre 1943. In quel momento il MAS 531, inquadrato nella II Flottiglia MAS (per altra fonte faceva parte all'epoca della V Flottiglia MAS, di stanza in Sardegna), si trovava a Bocca di Magra, alla foce dell'omonimo fiume sulla costa ligure, non lontano da La Spezia: giuntovi dopo aver risalito tutta l'Italia da Trapani in seguito alla caduta della Sicilia in mano angloamericana, il MAS era entrato ai lavori nel locale cantiere perché immobilizzato da un'avaria.

Difficile immaginare quali pensieri dovettero passare per la mente di Giorgio Rizzo quando apprese la notizia dell'armistizio: probabilmente sconcerto, amarezza, delusione; appena due giorni prima, in quella che sarebbe stata la sua ultima lettera, Giorgio Rizzo scriveva al padre da Bocca di Magra che "Fra pochi giorni sarò pronto con il mio MAS per andare in giù; probabilmente farò le prove il giorno 11. Ti prego perciò di venire per tale data". Nella stessa missiva riassumeva in poche righe quali siano state le sue aspirazioni e la sua vita, che di lì a pochissimo si sarebbe conclusa tragicamente: "Ho sempre agito in questo periodo, e tu lo puoi benissimo dedurre dalle mie lettere di Mazara, con il solo pensiero di fare bene il mio servizio di Massista, di tenere la mia unità e il mio equipaggio nel massimo ordine, di sfruttare con astuzia le mie possibilità (…) Quando, appena cominciai a ragionare, sentivo continuamente ripetermi in tutti i discorsi “tuo padre ha affondato questo, tuo padre ha fatto questo, tuo padre ha fatto quest'altro”, il desiderio di emulazione, inizialmente infantile, assunse, alimentato in continuità, il carattere di una vera e propria ossessione, che è la mia ossessione. E la mia gente lo sa che vado cercando il nemico a tutti i costi, per mare: altro che aver da fare con un pivello di guardiamarina, come credeva il primo giorno che sono imbarcato sul mio Mas! La mia gente, quando usciamo in mare, trema perché sa che sono deciso, e ho dato loro numerose prove, ma nello stesso tempo ha fiducia nella mia calma e nella mia serietà. E sono anni che in silenzio mi avvicino allo scopo prefissomi". Il 2 settembre aveva preso commiato dalla famiglia al termine di un breve permesso di sei giorni, tre dei quali passati in viaggio; non l'avrebbe più rivista.

Nel giornale di bordo del MAS 531, alla data dell'8 settembre, Giorgio Rizzo annotò poche, concise frasi, freddo linguaggio militare dal quale niente traspariva della tragicità di quei giorni. "8 mercoledì: Unità ai lavori. Cessano le ostilità con gli Stati Uniti d'America e con la Gran Bretagna. Rinforzato il servizio di guardia a bordo".


Nelle ore successive la situazione andò rapidamente precipitando, con le truppe tedesche che muovevano per occupare il territorio italiano e neutralizzarne le forze armate. Il MAS 531, mancando dei cuscinetti reggispinta, non era in grado di muovere: a Giorgio Rizzo non rimase altro da fare che renderlo inutilizzabile facendo sfilare gli assi, pur senza danneggiarne scafo o motori. Fece anche distruggere la radio di bordo e l'archivio segreto (ed anche quello del MAS 557, anch'esso ai lavori a Bocca di Magra, il cui comandante era assente) dopo di che, mentre l'equipaggio si disperdeva, concluse il diario di bordo con le parole: "Cessa il comando del MAS 531".

Presi con sé bandiere e guidoni di combattimento del MAS 531 e la documentazione amministrativa per evitare che cadessero in mano tedesca, Giorgio Rizzo tentò ugualmente di eseguire l'ordine di raggiungere il territorio rimasto sotto controllo italiano od Alleato. Con una motolancia, sfidando il maltempo, raggiunse Portoferraio, nell'Isola d'Elba, dove stavano affluendo le unità sottili di tutto l'Alto Tirreno in attesa che si chiarisse la caotica situazione dell'Italia: qui trovò due MAS in avaria, il 551 ed il 554, e prese l'iniziativa di tentare di rimetterne almeno uno in efficienza per raggiungere con esso l'Italia meridionale.

Mentre la terraferma veniva rapidamente occupata dalle truppe tedesche, l'Elba rimase libera per qualche giorno in più, ma il mancato invio di una qualsiasi forma di aiuto da parte delle forze del Sud o degli Alleati significò che anche la sorte dell'isola fosse segnata. Il 13 settembre 1943 truppe tedesche occuparono Piombino, dove due giorni prima un loro tentativo di sbarco si era concluso in una bruciante batosta, vanificata però dalla decisione del comandante della locale divisione costiera, l'ex gerarca fascista Cesare De Vecchi, di liberare i prigionieri tedeschi e restituir loro le armi. La caduta di quella città isolò definitivamente l'Elba dalla terraferma, ma l'isola sembrava in quel momento in grado di difendersi: a Portoferraio erano concentrate oltre venti tra torpediniere, corvette ed unità minori giunte dai porti liguri, corsi e toscani ed il presidio dell'Elba contava circa 10.000 uomini dell'Esercito e della Marina, al comando del generale di brigata Achille Gilardi.

Il 13 settembre un attacco di bombardieri tedeschi venne respinto dal tiro delle navi e delle batterie di terra, e si riuscì a stabilire un collegamento radio con Brindisi, ov'erano fuggiti la famiglia reale, il governo ed i vertici delle forze armate, chiedendo l'invio di rinforzi: ma questi furono negati, mentre venne ordinato alle navi presenti in porto di raggiungere il sud, come stabilito dalle disposizioni dell'armistizio. La loro partenza fu deleteria per il morale del presidio e della popolazione, ma quando il 15 settembre giunsero a Portoferraio dei parlamentari tedeschi a chiedere la resa dell'isola, minacciando in caso contrario pesanti bombardamenti, il generale Gilardi respinse la richiesta, forte ancora dell'appoggio della popolazione e del neonato Comitato di Resistenza locale.

Per tutta risposta, dando attuazione alle minacce, poco dopo mezzogiorno del 16 settembre sette bombardieri tedeschi Junkers Ju 87 "Stuka" attaccarono Portoferraio sganciando grappoli di bombe sulla sede del comando, sulle caserme e sull'abitato, provocando oltre un centinaio di vittime (forse anche il doppio) e circa 150 feriti, in maggioranza civili. Fu colpita una batteria antiaerea, con perdite tra il personale, e messa fuori uso la rete di comunicazione tra le batterie.

Tra le vittime di quel bombardamento vi fu anche Giorgio Rizzo di Grado e di Premuda: aveva trovato la benzina per raggiungere il sud e stava parlando con un altro ufficiale di Marina per prepararsi alla partenza, quando ebbe inizio l'attacco aereo. Alcune bombe colpirono degli edifici vicini, che crollarono sulla banchina e su di lui: il suo corpo venne recuperato dopo tre giorni dalle acque del porto e sepolto in una fossa comune.

Finì così, nel modo più amaro possibile, la parabola terrena del figlio dell'Affondatore di Premuda: partito in cerca di gloria, fu travolto come tanti dal caos del momento più drammatico della storia patria, scomparendo senza quasi che nessuno, all'infuori della famiglia, se ne accorgesse. Scrisse il padre Luigi: "Sognò la gloria, la gioia, il successo, e invece, perì tragicamente, tradito da un destino che non meritava... Il lutto per la perdita del figlio e per la sciagura della Patria è inconsolabile! Nel rapirlo ai vivi ha forse Iddio voluto risparmiare alla Sua anima ardente il peso di tanta tragedia, l'ombra della umiliazione ed il tormento dei dolori che ancora ci attendono…". Aveva 21 anni.

Alle quattro del pomeriggio del 16 settembre il generale Gilardi, dietro pressione della popolazione civile terrorizzata dal bombardamento subito e dalla prospettiva di subirne altri, accettò la resa. L'indomani truppe tedesche sbarcarono nell'isola e la occuparono senza colpo ferire, prendendo possesso anche dei due MAS e delle altre unità immobilizzate in porto e che, in base alle condizioni di resa, non erano state sabotate.












Libretto commemorativo fatto pubblicare a Trieste da Luigi Rizzo nel 1944, in memoria del figlio Giorgio (da Internet Archive)











Luigi Rizzo, da Trieste ove risiedeva come direttore dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico, andò all'Elba portando una bara di zinco sul tetto della macchina per recuperare la salma del figlio, ma dovette tornare indietro a mani vuote, essendo stato sepolto in una fossa comune. Solo a guerra finita, nel 1945, l'eroe di Premuda poté dare a Giorgio una degna sepoltura. Il corpo era del tutto sfigurato ed irriconoscibile, l'identità poté essere stabilita soltanto grazie alle iniziali, “G. R.”, ricamate sulla biancheria intima. Alla memoria del sottotenente di vascello Giorgio Rizzo di Grado e di Premuda sarebbe stata conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare, con motivazione: «Giovane comandante di M.A.S. destinato a squadriglia operante nelle acque della Sicilia, in occasione di attacco aereo nemico a motozattera carica di benzina, con brillante iniziativa prendeva il mare con pochi audaci per recare soccorso all'unità incendiatasi e, nonostante il contrasto aereo nemico ed il divampare del combustibile in fiamme, riusciva, in cooperazione con altro M.A.S., a trarre in salvo buona parte dell'equipaggio prima che il natante affondasse in un mare di fuoco. Successivamente si distingueva ancora per capacità ed alto spirito combattivo in ardue missioni di guerra fino a che la squadriglia, in seguito all'evacuazione della Sicilia, si trasferiva nell'Alto Tirreno per proseguire la lotta. Sorpreso dall'armistizio con l'unità ai lavori, provvedeva ad inutilizzarla maggiormente e, fedele al giuramento prestato, raggiungeva un Comando marina insulare del territorio nazionale libero. Nel corso di attacco aereo tedesco, la morte troncava il suo giovanile slancio, teso a porsi sulla scia della tradizione paterna».



Sopra, la tomba di Giorgio Rizzo e del padre Luigi negli anni Cinquanta (Coll. Maria Guglielmina Rizzo Bonaccorsi, via www.giorgiorizzo.blogspot.com); sotto, un’altra immagine dello sfortunato “Massista” (da www.oggimilazzo.it)

La storia del MAS 531, invece, non era ancora giunta al termine. Il 9 settembre 1943, mentre il suo ex comandante si dirigeva verso il suo destino all'Isola d'Elba, il MAS venne catturato dalle truppe tedesche a Bocca di Magra, insieme ad altre piccole unità: il MAS 557, le motosiluranti MS 34 e MS 51 ed i cacciasommergibili VAS 207 e VAS 225. Il 2 novembre 1943 i tedeschi lo cedettero alla Repubblica Sociale Italiana, che il 22 gennaio 1944 (per altra fonte, nel febbraio dello stesso anno), dopo averlo rimesso in efficienza, lo rimise in servizio alle dipendenze della X Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese; al comando del sottotenente di vascello Giuseppe Mazzanti, il MAS 531 entrò a far parte della I Squadriglia MAS, con base a Lerici, insieme ai MAS 525 (sottotenente di vascello Mistrangelo), 553 (guardiamarina Mario Poddine), 556 (capo di prima classe Giuseppe Jafrate) e 561 (guardiamarina Andrea Bernotti). In seguito la squadriglia sarebbe stata rinforzata da un sesto MAS, il 505, appartenente alla Marina cobelligerante e consegnato ai tedeschi dal suo equipaggio che si era ammutinato uccidendo il comandante ed altri due ufficiali. Sotto la bandiera di Salò, il MAS 531 ebbe come insegna il poker d'assi.


Agli inizi del 1944, dopo lo sbarco Alleato ad Anzio, i MAS della I Squadriglia ed i mezzi d'assalto della X Flottiglia MAS iniziarono ad essere dispiegati a Porto Santo Stefano per insidiare il naviglio angloamericano impiegato nel rinforzo e rifornimento dell'importante testa di ponte stabilita sulla costa laziale. La tattica prevedeva che i MAS uscissero insieme ai motoscafi siluranti MTSMA; i primi avrebbero distratto, con il rumore dei motori avviati al massimo dei giri, le unità minori (motovedette, cannoniere e dragamine) incaricate della vigilanza costiera, attirandole lontano ed agevolando così gli attacchi dei secondi, più piccoli e difficili da individuare.

L'8 marzo 1944 anche il MAS 531 (sottotenente di vascello Scipione Santoni) venne trasferito a Porto Santo Stefano, che raggiunse insieme al MAS 561 (guardiamarina Bernotti); durante la navigazione di trasferimento, i due MAS vennero fatti a segno del tiro di alcune motozattere tedesche, che li avevano scambiati per unità nemiche, subendo alcuni danni e la morte del sergente Antonino Scardamaglia del MAS 561. Riparati i leggeri danni subiti, il MAS 531 partì comunque per la sua prima missione dalla nuova base il giorno successivo, 9 marzo, recando a bordo il comandante della II Squadriglia, capitano di corvetta Cesare Biffignandi; ma non avvistò niente, né avvistò alcunché alla missione successiva, il 14 marzo. Il 19 marzo il MAS 531 (sottotenente di vascello Santoni) compì un'incursione nelle acque di Nettuno insieme ad altri MAS della squadriglia; la formazione incappò in unità sottili Alleate e ne scaturì un vivace scontro a fuoco, nel quale il MAS 531, attaccato da due motosiluranti britanniche, ebbe alcuni danni ma riuscì a rientrare a Porto Santo Stefano senza perdite tra l'equipaggio, mentre venne affondato dal cacciasommergibili PC 545 il motoscafo silurante MTSMA 316. Le riparazioni vennero effettuate a Porto Santo Stefano; altri MAS, che avevano subito danni maggiori, dovettero essere mandati a La Spezia.


Pochi mesi dopo, con lo sfondamento del fronte a Cassino e la ritirata tedesca verso nord, anche i MAS lasciarono le acque di Anzio per operare nell'Alto Tirreno. Il 30 maggio 1944 il MAS 531 (sottotenente di vascello Santoni) ed il MAS 562 (guardiamarina Bellipanni) condussero una missione nel Canale di Piombino, trasportando e sbarcando all'Isola del Giglio un reparto di commandos incaricati di attaccare una stazione radar Alleata.

Un mese dopo, nella tarda serata del 29 giugno, il MAS 531 (sempre al comando del sottotenente di vascello Scipione Santoni) ed il MAS 562 (avente a bordo il caposquadriglia, capitano di corvetta Cesare Biffignandi) salparono da Livorno per tentare il forzamento della rada di Portoferraio, ove avrebbero dovuto silurare una nave all'ancora segnalata da informatori locali (questo secondo il libro "Decima flottiglia nostra" di Sergio Nesi, mentre nelle sue memorie Junio Valerio Borghese scrive che compito dei due MAS era di recuperare, per ordine diretto del comandante supremo tedesco in Italia Albert Kesselring, alcuni alti ufficiali tedeschi che si erano sottratti alla cattura in seguito allo sbarco francese nell'Elba e si nascondevano nell'interno dell'isola: sarebbe stato proprio Borghese a scegliere personalmente i MAS cui affidare la delicata missione). Poco dopo mezzanotte, i due MAS furono avvistati da terra ed accelerarono; entrati nella rada di Portoferraio, il sottotenente di vascello Santoni segnalò a Biffignandi tre motosiluranti statunitensi (erano le PT 306 “Fascinating Bitch”, 308 “La-Dee-Da” e 309 “Oh Frankie” del 22nd Motor Torpedo Boat Squadron, partite quella sera da Bastia per un pattugliamento tra Capo Falcone e l'estremità nordorientale dell'Isola d'Elba), una delle quali effettuò un segnale di riconoscimento con lampi luminosi quando la distanza fu calata a 400 metri. (La PT 308, al comando del tenente di vascello Charles Murphy, e la PT 309, al comando del tenente di vascello Wayne E. Barber, rilevarono al radar intorno a mezzanotte un oggetto non identificato in movimento verso Portoferraio; rimasero in attesa che questi si avvicinasse, su rilevamento 030o, e quando la distanza si fu ridotta ad un miglio identificarono correttamente il contatto come due MAS). Biffignandi decise di non rispondere ed i due MAS proseguirono a tutta forza, inseguiti dalle motosiluranti, finché queste, dopo aver accostato di 90o a dritta quando la distanza era di 1100 metri, non aprirono il fuoco con tutte le armi di bordo da 730 metri di distanza: i MAS virarono, accelerarono e risposero rabbiosamente al fuoco con le mitragliere, ritirandosi verso nord mentre le distanze andavano calando; la motosilurante più vicina sembrò essere colpita, sbandando e zigzagando, ma senza interrompere il tiro. L'inseguimento durò un quarto d'ora, su una distanza di una decina di miglia; i due MAS tentarono di seminare gli inseguitori separandosi e cambiando continuamente la rotta, sempre procedendo alla massima velocità, ma solo il MAS 531 riuscì a lasciarseli alle spalle e ad uscire dalla rada: era appena giunto in mare aperto, quando il suo radiotelegrafista consegnò al comandante Santoni un conciso messaggio di Biffignandi, "Sono stato colpito". Il MAS 562 era stato infatti centrato in un motore, rimanendo immobilizzato; vedendolo perdere di velocità, le motosiluranti statunitensi si concentrarono su di esso, lasciando scappare il MAS 531. Incendiato ed abbandonato dall'equipaggio, il MAS 562 venne abbordato dalla PT 306 e catturato (consegnato alla Regia Marina, venne da essa riparato e rimesso in servizio, mentre Biffignandi e l'equipaggio finirono prigionieri negli Stati Uniti). Il MAS 531 rientrò indenne a Livorno.


Catturato Biffignandi, il comando della squadriglia MAS passò interinalmente al sottotenente di vascello Giuseppe Mazzanti. Il 7-8 luglio 1944 il MAS 531 (sottotenente di vascello Santoni) ed il MAS 561 (guardiamarina Bernotti) condussero delle missioni di agguato e posa di mine nelle acque della Meloria, dopo di che rientrarono a Lerici, dove si era frattanto trasferita la loro base; durante questa missione rimase gravemente ferito il capo di seconda classe Agostino Ciaccia, del MAS 531, che morì poco dopo nell'ospedale di Budrio.

Poco tempo dopo questa fu nuovamente trasferita, stavolta a San Remo, venendo battezzata in codice "Base Ovest"; il MAS 531 (sempre al comando di Santoni e con a bordo il caposquadriglia Mazzanti) vi si trasferì l'8 settembre 1944, insieme al MAS 561 di Bernotti. Dieci giorni dopo, alle undici del mattino del 18 settembre, la nuova base fu oggetto di un violento bombardamento navale da parte dei cacciatorpediniere statunitensi Madison e Hilary P. Jones e del francese Le Forbin, in cooperazione con caccia e cacciabombardieri: il MAS 531 ebbe un principio d'incendio a bordo, ma il secondo capo Mario Angelo Caramanna salì a bordo, lo spense e poi ne assunse temporaneamente il comando (il comandante era stato sorpreso a terra dal cannoneggiamento e non era riuscito a raggiungere il porto), portandolo al riparo fuori dal porto.


In seguito allo sbarco Alleato in Provenza (operazione "Dragoon") ed alla conseguente liberazione della Francia meridionale, le unità della X MAS di stanza nella "Base Ovest" ebbero un nuovo obiettivo: i porti e le basi navali della vicina costa mediterranea francese ed il naviglio che da esse partiva od arrivava. In particolare venne pianificato un attacco contro Tolone, già tra le più importanti basi navali della Marine Nationale, teatro dell'autoaffondamento della flotta francese nel novembre 1942, passata in meno di due anni dai francesi ai tedeschi, quindi agli italiani, poi di nuovo ai tedeschi ed infine agli Alleati: abbandonato dai tedeschi il 28 agosto 1944, nonostante i sabotaggi e le distruzioni da essi attuate prima di ritirarsi il suo porto era tornato pienamente operativo già entro metà settembre. Nel novembre 1944 iniziarono a Savona le prove per un'operazione contro Tolone mediante l'impiego combinato di MAS, “barchini esplosivi” tipo MTM e motoscafi siluranti tipo MTSMA: ne fu protagonista proprio il MAS 531, comandato alternativamente dal sottotenente di vascello Giuseppe Mazzanti e dal guardiamarina Andrea Bernotti (figlio del celebre ammiraglio e “pensatore” navale Romeo Bernotti), insieme al MTSMA 18 (sergente allievo ufficiale Di Piramo e sottocapo Petris) e ad un MTM pilotato dal secondo capo Caramanna. Furono compiute esercitazioni di rimorchio a varie velocità ed altre prove, che ebbero esito positivo.


Nel mentre, il 24 ottobre 1944, la Squadriglia MAS «Castagnacci» venne trasferita ancora una volta, da San Remo ad Imperia, mentre continuavano le missioni di ricerca del naviglio Alleato in mare aperto. Il 28 novembre 1944 il MAS 531 uscì in missione al largo di San Remo al comando del tenente di vascello Giuseppe Mazzanti e con a bordo il nuovo caposquadriglia, tenente di vascello conte Giorgio Omodeo Salè; insieme ad esso presero il mare anche i MAS 556 (capo di prima classe Jafrate) e 561 (guardiamarina Bernotti), ma non venne avvistato niente, all'infuori di una mina alla deriva che fu prontamente distrutta.

Il mattino del 10 dicembre 1944 il servizio informazioni della X MAS segnalò la presenza di un convoglio Alleato tra Nizza e Villafranca: in seguito a questa segnalazione, il tenente di vascello Giorgio Omodeo Salè (comandante della Squadriglia MAS "Castagnacci") ed il capitano del Genio Navale Umberto Andreoli di Sovico (comandante della "Base Ovest") concordarono un attacco combinato di MAS e mezzi d'assalto. Tra le unità destinate all'azione vi fu il MAS 531, che salpò da Imperia al comando del sottotenente di vascello Giuseppe Mazzanti e con a bordo il caposquadriglia Omodeo Salè; insieme ad esso presero il mare anche il MAS 556 (capo di prima classe Jafrate) ed il MAS 561 (guardiamarina Bernotti). Il MAS 531 doveva apparire piuttosto affollato, con ben venti uomini stipati a bordo del piccolo scafo: oltre ai 17 dell'equipaggio (il comandante Mazzanti, 9 sottufficiali e 7 marinai, tra cui un radiotelegrafista ed un segnalatore tedeschi per i collegamenti) ed al caposquadriglia Omodeo Salè, si trovavano a bordo anche due allievi ufficiali imbarcati quel giorno per esercitazione.

Contestualmente partirono da San Remo ben venti mezzi d'assalto, metà della X MAS e metà tedeschi: i primi comprendevano gli MTSMA 18 (capitano G. N. Andreoli di Sovico, caposquadriglia; sergente allievo ufficiale Di Piramo) e 25 (guardiamarina Sicola, sottocapo Gregorat) e gli MTM 15b (guardiamarina Kummer), 16b (secondo capo Caramanna), 26b (sergente allievo ufficiale Costa), 30 (sergente allievo ufficiale Barilli), 36 (sergente allievo ufficiale Perbellini), 63b (sottocapo Baisi), 517 (sottocapo Malatesti) e 544 (sottocapo Spertini). I MAS avrebbero dovuto attaccare il convoglio tra Cap Camarat ed Antibes, i mezzi d'assalto – divisi in due squadriglie, ognuna composta da un MTSMA e quattro MTM – due miglia a sud di Cap Ferrat, dove giunsero alle 22.40; gli MTSMA andarono quindi in ricognizione verso terra e seguirono la costa fin quasi all'imboccatura del porto di Nizza, avvicinandosi abbastanza da vedere le sentinelle ma senza avvistare navi in porto né in mare. Alle 23.30 i due MTSMA tornarono verso il largo, procedendo insieme agli MTM in formazione “a pettine” fino a 3-4 km a sud del Capo di Nizza. Pendolarono poi lungamente, a distanza di un migliaio di metri gli uni dagli altri, osservando la differenza tra la costa francese, dove gli abitati erano illuminati come in tempo di pace (ormai ai tedeschi non rimanevano più aerei o navi con cui effettuare bombardamenti, dunque l'oscuramento era inutile), e quella italiana, completamente oscurata.

Quanto ai MAS, raggiunsero la zona designata per l'agguato intorno a mezzanotte, dopo di che si posizionarono ad un miglio l'uno dall'altro, a motori spenti. La notte era buia e priva di luna, con cielo coperto, il che avrebbe dovuto facilitare l'attacco; il mare era calmo.


Alle 21.30 il MAS 561 fermò i motori in base agli ordini prestabiliti, alle 21.40 il MAS 531 fece lo stesso ed alle 21.50 fu la volta del MAS 556, che si venne così a trovare ad un paio di miglia dall'isolotto esterno di Antibes. Non avendo ricevuto comunicazioni via radio (vi era collegamento radio su onda media con le stazioni di Imperia e San Remo), il caposquadriglia Omodeo Salè diede ordine di attaccare qualsiasi nave avessero incontrato, non appena avvistata; gli altri MAS si sarebbero portati sul luogo dell'azione non appena avessero avvistato il fuoco, mentre per la poca distanza dalla costa sarebbero stati rigidamente proibiti i segnali luminosi. Per il rientro, i MAS si sarebbero riuniti con manovra inversa rispetto all'arrivo.

Dalle 22 del 10 dicembre all'una di notte dell'11, il MAS 531 rimase in agguato sul posto, a motori spenti. All'una di notte, ritenendo che la brezza fresca da ovest avesse fatto scadere l'unità rispetto alla posizione designata, il tenente di vascello Omodeo Salè accese i motori ausiliari e procedette con essi per cinque minuti su rotta 270o; all'1.05 avvistò il MAS 556 che, avendolo probabilmente avvistato anch'esso, manovrò per allontanarsi sulla stessa rotta, al che Omodeo Salè fece nuovamente fermare i motori e riprendere l'agguato.

All'1.10 le vedette del MAS 531 avvistarono di profilo una massa scura che si muoveva a bassa velocità su rotta 270o, a circa 800 metri di distanza su rilevamento 150o. Vennero accesi i motori ausiliari, ed il MAS accostò per portarsi in posizione d'attacco. Dall'alberetto, si ritenne a bordo del MAS 531 che la nave avversaria fosse una corvetta; in effetti si trattava del pattugliatore francese Sabre (tenente di vascello André Ernest Maître-Devallon), un'unità ceduta dalla Marina statunitense e vagamente simile, per forma e dimensioni, ad una piccola corvetta. La nave francese era impegnata in un pattugliamento al largo di Cap d'Antibes ed a sud di Cannes; in quel momento stava procedendo ad otto nodi con rotta ovest-sud-ovest, una decina di miglia a sud-sud-est di Cap d'Antibes. Dopo una rapida consultazione, Mazzanti ed Omodeo Salè decisero di attaccare.

Il MAS compì un ampio semicerchio sulla dritta per arrivare in posizione favorevole per lanciare i siluri, mentre il Sabre, che procedeva a bassa velocità, sembrava non accorgersi della presenza dell'attaccante. Al ridursi delle distanze, un fanale rosso sulla testa d'albero della nave francese si mise a lampeggiare, segno che questa aveva avvistato il MAS: il 531 lanciò allora il primo siluro, accendendo al contempo i motori principali, ma la scia dell'arma fu vista passare sotto lo scafo della corvetta, a centro nave, senza che questa esplodesse: regolato per correre ad una profondità di tre metri, essendo destinato alle navi del convoglio, il siluro era passato sotto lo scafo della piccola nave, che aveva ridotto pescaggio, senza esplodere. Quando la distanza fu di 400 metri il MAS 531 lanciò un secondo siluro, anche stavolta senza successo: probabilmente l'arma non fece nemmeno in tempo ad armarsi, data la distanza troppo ridotta.

Dal canto suo il Sabre aveva rilevato al radar all'una di notte due contatti che si muovevano lentamente, a 4600 metri di distanza a 10o a sinistra; si era diretto verso di essi ed all'1.25 aveva avvistato due piccole scie a 10o di proravia dritta a distanza di 1000-1500 metri, di unità aventi rotta verso ovest. Nel dubbio che potesse trattarsi di unità amiche in pattugliamento, aveva chiesto loro di identificarsi con il segnalatore luminoso Donath: era questo il lampeggio osservato dal MAS 531; non avendo ricevuto risposta, il comandante francese ordinò alla mitragliera di prua di sparare una raffica intimidatoria con i traccianti, ma in quel momento vide il MAS spostarsi velocemente al traverso a dritta e dirigersi ad elevata velocità verso il Sabre, che accelerò bruscamente a 20 nodi per evitare i siluri, mise la prua sull'attaccante ed aprì il fuoco su di esso con tutte le armi automatiche di cui disponeva, colpendolo pur senza fermarlo (la seconda unità avvistata dal Sabre era probabilmente il MAS 556, in effetti era presente nei pressi, che vista sfumare la sorpresa si allontanò sottraendosi al tiro avversario).

Il MAS 531 fu investito da raffiche di cannoncini a tiro rapido da 40 mm, che spazzarono la coperta uccidendo sette uomini e ferendone altri sei, tra cui il caposquadriglia Omodeo Salè che fu colpito alla testa (il marinaio nocchiere Aurelio Cosatto avrebbe ricordato, a decenni di distanza, di aver estratto un motorista dai rottami per poi accorgersi – avendoglielo fatto notare il capo silurista – che era privo di metà della testa). Da bordo si rispose al fuoco con le mitragliere da 12,7 e 20 mm, ma una scheggia troncò un frenello del timone e rese la piccola unità, che ancora puntava sul bersaglio, ingovernabile: nonostante i disperati tentativi di evitare la collisione (anche la nave francese tentò di virare a dritta con tutta la barra), il MAS 531 speronò violentemente la Sabre al traverso, a tutta velocità, distruggendosi la prua e provocando danni non gravi alla nave francese; “rimbalzò” poi contro il suo scafo e defilò lungo il suo lato di dritta, mentre una mitragliera da 20 mm del Sabre (la numero 3) gli scaricava addosso un caricatore mettendo a segno tutti i colpi. Poi, mentre si allontanava, la nave francese le sparò ancora con il cannoncino poppiero da 40 mm e le mitragliere 2 e 4 da 20 mm, puntate a sinistra.


Diagramma del combattimento tra MAS 531 e Sabre (da “Sous la flamme de guerre” di Jean Mauclère)


Dopo la collisione, le due unità cessarono il fuoco e si allontanarono. In tutto il combattimento era durato un quarto d'ora; sulla Sabre, la squadra di sicurezza rilevò che c'era soltanto una piccola falla un metro sopra la linea di galleggiamento, un gruppo elettrogeno era stato danneggiato dallo scossone della collisione, tre proiettili di mitragliera avevano aperto altrettanti buchi in corrispondenza delle cabine degli ufficiali ferendo leggermente due uomini, ed altri due avevano colpito frontalmente il cannone da 76 senza provocare danni.

Nonostante la prua distrutta, il MAS 531 rimase a galla per ore grazie alla paratia del locale marinai, che resse la pressione dell'acqua. Conscio che la sorte della sua unità era in ogni caso segnata, il comandante Mazzanti – che era rimasto indenne – tentò di attirare l'attenzione della Sabre lanciando diversi razzi (dal Sabre ne furono osservati cinque, in rapida successione), per salvare almeno l'equipaggio: ma la nave francese – che girava intorno al MAS agonizzante, distante 2800 metri, attendendo l'arrivo di due torpediniere in stato d'allerta a Golfe-Juan, cui aveva chiesto appoggio, e tenendosi pronta a respingere un temuto attacco da parte del secondo MAS, che aveva perso di vista – credette che stesse facendo una segnalazione all'altra piccola unità avvistata all'inizio del combattimento e dileguatosi, e rispose con raffiche di tracciante, oltre a sparare proiettili illuminanti per non farsi cogliere di sorpresa dal secondo MAS. In aiuto del Sabre giunsero anche la torpediniera Fortune e l'avviso scorta Cimeterre, entrambi francesi, ed il cacciatorpediniere statunitense Ludlow; Fortune e Ludlow, all'ancora a Golfe-Juan, misero in moto prima delle due di notte e diressero a 31 nodi (la massima velocità della Fortune, il Ludlow avrebbe potuto raggiungere i 36 ma preferì non separarsi dall'unità francese) per sud-sud-est per andare in aiuto della Sabre, che distava una quindicina di miglia e che raggiunsero in meno di mezz'ora. I nuovi arrivati spararono sull'unità italiana; il Ludlow illuminò il MAS 531 mentre alle 2.40 il Sabre riotteneva il contatto radar con il presunto secondo MAS da 6400 metri di distanza, aprendo il fuoco contro di esso insieme alla nave statunitense ed alla Fortune, e la piccola unità si ritirò inseguita dal Ludlow. Il Cimeterre giunse sul posto un quarto d'ora dopo ed assunse il comando delle operazioni; verso le tre di notte tutte e quattro le unità spararono di nuovo sul MAS 531 con i cannoni da 40 e 76 mm, colpendolo ancora, dopo di che, una volta certo che non costituisse più una minaccia, il Cimeterre diede ordine di cessare il fuoco.

Poco dopo le tre di notte, il MAS 531 (che era fortemente sbandato sulla sinistra e privo di tre metri della prua) lanciò in mare un segnale luminoso di naufragio, che illuminò il mare tutt'attorno con un'altissima fiamma (secondo il ricordo di Aurelio Cosatto, venne lanciato un razzo Very rosso: fu lui a lanciarlo, dopo aver persuaso il comandante ad autorizzarlo in tal senso per evitare all'equipaggio la morte per ipotermia quando il MAS fosse affondato, e quando lo lanciò ebbe il timore che la nave francese avrebbe in tutta risposta aperto il fuoco); stavolta la Sabre si avvicinò e prese a bordo i sopravvissuti (12 o 13 a seconda delle fonti, compreso un radiotelegrafista tedesco), nonché le salme di cinque dei caduti. Aurelio Cosatto aveva perso tutto il corredo personale; venne recuperato dalla nave francese con addosso i soli calzoni.

La Sabre tentò anche di prendere a rimorchio il MAS abbandonato, stendendo un cavo di una cinquantina di metri, ma dopo pochi minuti di marcia a bassa velocità la paratia del locale marinai cedette ed il MAS 531 andò a fondo, al largo di Antibes. Poco dopo che si era inabissato, le due bombe di profondità che aveva in dotazione esplosero quando raggiunsero la profondità per cui erano regolate, destando un certo nervosismo a bordo del Sabre, che fu scosso dalla conseguente concussione. Il comandante Mazzanti asserì in seguito di aver tolto volutamente le sicure delle bombe di profondità, prima di abbandonare il MAS 531, al fine di poter arrecare ulteriori danni all'unità avversaria quando queste fossero esplose in seguito al prevedibile affondamento.

Invertita la rotta, la Sabre entrò a Cannes alle cinque del mattino, sbarcandovi i prigionieri. Durante la navigazione verso Cannes, che durò tre quarti d'ora, il comandante del Sabre volle interrogare i due ufficiali italiani per chiarire la dinamica della collisione, ma ne ebbe due risposte contraddittorie: secondo Omodeo Salè il MAS aveva lanciato i due siluri (uno da 700 metri di distanza e l'altro da 400) e poi, una volta falliti i lanci, si era lanciato volontariamente contro il Sabre per speronarlo; secondo Mazzanti, la collisione era stata dovuta ad un duplice suo errore di valutazione, circa le dimensioni del Sabre, che aveva creduto essere più grande, e la distanza che lo separava da esso: sua intenzione era stata inizialmente di passare a proravia della nave francese, ma quando questa aveva bruscamente accelerato da 8 a 20 nodi ed aveva aperto il fuoco, il MAS aveva cercato allora di passargli a poppavia; la manovra non era riuscita, ed aveva finito con lo speronarlo. Essendo il MAS lanciato a 40 nodi, la sua prua impennata si alzava oltre il livello della coperta del Sabre, ed era stata così tranciata nell'impatto; lo scafo era poi “rimbalzato” contro quello della nave francese.


Vignetta di Luc-Marie Bayle sulla rivista “Marine Nationale” del febbraio 1945, che ironizza sullo scontro tra Sabre e MAS 531 (da www.anciens-cols-bleus.net)


I morti fra l'equipaggio del MAS 531 furono il capo nocchiere di seconda classe Luciano Maggiani, il secondo capo mitragliere Attilio Peppino Possali, il sergente motorista conte Mario Pieri Nerli, il sottocapo Policarpo Macripodari, il marinaio silurista Amoroso Schena ed il marinaio nocchiere Loris Pietro Ansaldo, nonché uno dei due marinai tedeschi imbarcati. Secondo il libro "Decima flottiglia nostra" di Sergio Nesi, sarebbe morto anche "un allievo ufficiale segnalatore rimasto senza nome", ma Nesi nel suo libro non elenca tra i morti il sottocapo Macripodari, che pure elenca tra l'equipaggio del MAS.


Il combattimento fu osservato anche dalle altre unità in mare e da terra. All'1.10 dell'11 dicembre i mezzi d'assalto della X MAS notarono delle nutrite raffiche di mitragliera con traccianti verso sudovest, ad una decina di chilometri di distanza; ritenendo che si trattasse dei MAS che attaccavano il convoglio, il capitano Andreoli si spostò con i suoi mezzi nel tratto di mare tra Nizza e Villafranca per avere condizioni d'attacco favorevoli, ipotizzando che il convoglio fosse diretto verso Villafranca. Avevano, in realtà, assistito alla fine del MAS 531. Sulla costa furono viste segnalazioni luminose tra il Capo di La Garoupe, le foci del Varo e Cap Ferrat, e da vari punti furono lanciati bengala per illuminare il mare. Il peggiorare dello stato del mare costrinse i barchini esplosivi al rientro; alcuni si arenarono sulle spiagge di San Remo ed uno, l'MTM 15b del guardiamarina Kummer, rimase immobilizzato per avaria e dovette essere autoaffondato dal suo pilota quando giunse nei pressi l'avviso scorta francese Javelot, che lo prese poi a bordo. Uno dei due MTSMA non avvistò niente, mentre l'altro ebbe una breve ed inconclusiva scaramuccia con una motosilurante avversaria; lo stesso capitò al MAS 561.


Pierre-Emmanuel Klingbeil, nel suo "Le front oublié des Alpes-Maritimes (15 août 1944 - 2 mai 1945)", scrive erroneamente che i MAS intendevano attaccare del naviglio all'ancora a Golfe-Juan, che sarebbero stati comandati da marinai tedeschi e che sarebbero stati sprovvisti di radio, con conseguente mancanza di coordinazione cui l'autore imputa il fallimento dell'attacco.


La bandiera di combattimento regia del MAS 531, sottratta alla cattura dopo l'armistizio, venne donata insieme al diario di bordo a Luigi Rizzo e poi dal nipote di questi, Francesco Rizzo, donata a Luca Bellone de Grecis, che del MAS 531 era stato, sotto Giorgio Rizzo, il membro più giovane dell'equipaggio.


Sopra, la bandiera di combattimento del MAS 531 (Coll. Duilio Bellone De Grecis, via www.betasom.it) e sotto, un bassorilievo dedicato da Luca Bellone De Grecis a Giorgio Rizzo (da www.sitomilazziano.it)

I ricordi del motorista Luca Bellone De Grecis, imbarcato sul MAS 531 durante la guerra 1940-1943 (da www.sitomilazziano.it):

"Nel 1940 ho conseguito il diploma di terza media. Avevo 16 anni, l'Italia era in guerra e fui preso dall'entusiasmo, allora dilagante, di servire la Patria. Fu bandito un concorso in Marina, ma bisognava mediamente aver compiuto 17 anni, mentre per la categoria di motorista si poteva accedere anche a 16 anni e tre mesi; quindi optai per quella categoria. Passai la prima visita a Bari, risultai idoneo e fui destinato a Gaeta, luogo di accentramento di tutti i volontari del meridione, dove passai una seconda visita medica ed il 14 giugno 1941, con altri volontari, partii per Pola dove entrai a far parte del C.R.E.M.. Superai il corso e chiesi come destinazione l'imbarco sui M.A.S. o motosiluranti.

Così, all'inizio del 1943, insieme ad altri motoristi fummo inviati a Navalgenio Milano e dopo qualche settimana di frequenza del corso sui motori all'Isotta Fraschini, fummo destinati a La Spezia; dopo pochi giorni di permanenza nella città ligure, ero tra i sette allievi inviati presso la 2A flottiglia M.A.S. a Trapani. Questa destinazione non fu certo felice, perchè dopo solo due giorni ebbi il primo duro impatto con la guerra, infatti a Trapani vi fu il primo bombardamento dei quadrimotori americani in Italia. Al termine di quell'orribile bombardamento, io ed i miei compagni siamo usciti dal ricovero per dare aiuto alla popolazione. La Via dei Biscottai, che costeggiava il porto, era ridotta ad un cumulo di macerie. Un disastro, preferisco non indulgere in macabri e dilanianti particolari.

Il Comando della 2A flottiglia M.A.S. era diretto dal Comandante Michelangelo e dal Comandante Ghittoni, peraltro non ricordo con precisione il loro grado. Essi per ordini ricevuti spostarono la base dei M.A.S. da Trapani a Mazzara del Vallo e così l'intero gruppo di "massisti" fu trasferito. Per i M.A.S. Fu un periodo negativo perchè ne furono affondati due all'isola di Lampedusa e un altro a Pantelleria prese fuoco e andò completamente distrutto. A questo punto il Comando destinò sei allievi motoristi in Italia ed io, il settimo, fui destinato a Pantelleria; mi fu detto perentoriamente che l'indomani dovevo imbarcare sul peschereccio San Ciro diretto a Pantelleria.

Al momento mi sembrò strano che tutti i miei amici tornavano indietro, mentre io scendevo verso quel lembo estremo del nostro Paese. Tant'è.

Sbarcato a Pantelleria, vidi una casermetta sulla strada alla fine della banchina, vi era un solo MAS., il numero 531; il motto del naviglio era: "Ibis et redibis". Il proverbio latino, per intero, suona così: "Ibis et redibis, non morieris in bello", andrai e ritornerai non morirai in guerra. è davvero singolare questo proverbio, con particolare riferimento alla storia che vado narrando, spesso mi soffermo a pensare. Secondo la leggenda, infatti, i soldati romani, prima di partire per la guerra, si recavano dalla Sibilla Cumana, la quale pronunciava sempre le stesse parole, quelle del proverbio appunto. E però, la Sibilla per modificare il vaticinio bastava che si soffermasse o meno, sulla negazione "non", in tal modo scaturivano due diversi oracoli: Ibis et redibis, non morieris in bello (andrai e tornerai, non morirai in guerra); Ibis et redibis non, morieris in bello (andrai e non ritornerai, morirai in guerra).

Mi presentai ad un marinaio che era sulla porta della casermetta e questi mi portò dal Comandante. Non so se egli sapesse del mio arrivo, mi guardò mi squadrò e quasi sorridente mi domandò quanti anni avessi, gli risposi:

- Quasi diciotto.

Mi diede un benevolo scappellotto e mi disse che lui era del 1921 e che era Giorgio Rizzo; sì, Rizzo di Grado e di Premuda. Rimasi incredulo. Lo avevo studiato, mi trovavo di fronte al figlio dell'Ammiraglio Luigi Rizzo di Grado e di Premuda, Eroe della prima guerra mondiale, il celebre affondatore delle corazzate tedesche "Viribus Unitìs" e "Santo Stefano". Il Comandante percepì il mio stupore e quasi a soddisfare la mia innata curiosità mi accennò, comunque umilmente, alle gesta del padre, alle due Medaglie d'Oro e alle quattro d'Argento, se mal non ricordo. Il Comandante Rizzo, per il suo comportamento con tutti gli uomini dell'equipaggio, sembrava quasi un fratello maggiore. Nei miei quaranta anni d'imbarco raramente ho avuto modo di incontrare una persona dotata delle sue qualità morali.

Tutte le notti eravamo in mare per tendere l'agguato al naviglio nemico e al rientro il primo lavoro era rifornire i serbatoi di benzina, controllare bene i motori e pulire le sentine e siccome ero il più giovane e smilzo, mi prendevano in giro: questo compito toccava a me. Quando si rientrava alla palazzina, il Comandante domandava sempre al Direttore (era un maresciallo motorista) come andavano i motori e questi rispondeva:

- Sono pronti al fiammifero.

Dopo un lungo periodo dì navigazione i motori iniziavano a scadere di potenza per cui fummo costretti a ritornare a Mazzara del Vallo per eseguire lavori. Quasi alla fine del porto-canale vi era lo scalo dei pescherecci, mentre dal lato opposto vi era l'officina il cui tecnico Milanese si chiamava Scalabino; erano arrivati da Firenze due motori già revisionati. Ci mettemmo tutti al lavoro, il Comandante Rizzo era al paranco e ci dava istruzioni per la messa a punto dei motore sulla base dello scalo; mi era toccato il compito di collegare i tubi dell'olio dal motore al refrigerante, vista la mia magrezza; infatti, il refrigerante era posto sulla paratia dello scafo e per arrivare a collegare i tubi bisognava fare delle contorsioni quasi impossibili. Mettemmo a posto il motore di dritta e non avemmo nessuna brutta sorpresa quando lo mettemmo in moto. Eravamo tutti felici per il nostro operato e così iniziammo a mettere sul basamento anche il motore di sinistra. Collegammo tutti i tubi, anche quelli dell'olio al refrigerante, ma successivamente notammo che l'olio aspirato dal motore non tornava tutto alla cassa.

Mediante il motore ausiliario aspirammo tutto l'olio dal motore principale, scollegammo dal basamento il motore, togliemmo la sottocoppa e notammo che vicino alla pigna di aspirazione dell'olio vi era un batuffolo di stoffa, lo togliemmo, pulimmo per bene, rimettemmo al suo posto il motore, ma ancora una volta nel verificare il livello della cassa dell'olio eravamo ancora costretti a constatare che non tutto l'olio veniva aspirato dal motore. A questo punto nacque il dubbio che la pompa di recupero non aspirasse tutto. Infatti, i motori dei MAS. avevano due pompe una di mandata e una di recupero, entrambe azionate dallo stesso asse; la pompa di recupero doveva avere una portata maggiore di quella di mandata perchè l'olio riscaldandosi aumenta di volume, ebbene verificammo che le pompe erano state scambiate e pertanto l'olio rimaneva nel motore: errore di montaggio! Rimontammo correttamente il tutto, eseguii nuovamente le mie contorsioni ed il giorno dopo facemmo le prove. Abbiamo percorso quarantacinque miglia, eravamo soddisfatti del nostro lavoro: il MAS. n. 531 era il più veloce della squadriglia. Il Comandante Rizzo era contentissimo, si congratulò e noi eravamo orgogliosi.

Ricominciarono le nostre missioni quotidiane. Allora i M.A.S. uscivano in coppia di notte e al rientro al mattino con una piccola pompa dovevamo caricare 5.000 litri di benzina e rimettere tutto in ordine per una nuova missione. Quando i motori erano "pronti al fiammifero" si andava fuori del paese, lì dove la vecchia centrale del latte era adibita a refettorio, mentre nel vecchio macello era allestito il camerone per dormire in brande di legno. Nonostante le ristrettezze e i conseguenti forti disagi, eravamo sempre allegri e scherzavamo prendendoci in giro.

Dopo tante missioni, si iniziò a temere lo sbarco degli alleati e pertanto ci mandarono con due M.A.S. a Licata e a Sciacca, dove si presumeva potesse avvenire l'invasione. Al contrario gli alleati sbarcarono ad Augusta.

Nuovamente, dopo tante missioni, i motori iniziarono a scadere di potenza; in quest'ultimo periodo avevamo il compito di posare le bombe Beta di profondità, in previ-sione del passaggio di navi nemiche. Ad invasione avvenuta fummo inviati a La Spezia e precisamente a Bocca di Magra, per i lavori necessari, ed il Comandante Rizzo così scriveva a suo padre: "Purtroppo la grande superiorità nemica ci ha tolto la bella terra d'Italia, bisogna aver fede e lavorare. Ho fatto il mio dovere per il bene del servizio e per l'onore del mio nome".

Avevamo percorso circa 1.800 miglia marine.

Dopo due giorni di permanenza il Comandante mi chiamò e mi disse:

- Hai lavorato duramente, perciò meriti un permesso.

Non nascondo che fui molto contento. Mi disse che dovevo tornare a Bari a prendere i tabacchi; io però temevo che mi potessero fermare e riferii le mie perplessità, ma il Comandante mi rispose di non preoccuparmi perchè nessuno mi avrebbe ostacolato e mi salutò con il consueto affetto.

Non potevo sapere che era l'ultima volta che lo vedevo!

Così presi la mia valigetta, la riempii di capi di biancheria e partii. Giunto a Bari dopo tante peripezie, l'8 settembre fu dichiarato l'armistizio. Non potevo più ripartire e mi presentai al Comando Marina di Bari.

Del MAS. n. 531 non seppi più nulla!

Dopo tanti anni ho appreso quanto era accaduto: il Comandante Rizzo aveva preso tutti i documenti di bordo (da distruggere) e con una motobarca si era diretto all'isola d'Elba, ma qui durante un bombardamento tedesco perse la vita. (…) Spesso penso all'equipaggio del M.A.S. n. 531, al mio direttore di Macchine, agli altri amici: eravamo sempre d'accordo e in armonia. Eravamo sempre "Pronti al fiammifero"."


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Giorgio Rizzo

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Rivista Marittima, Volume 81

Le front oublié des Alpes-Maritimes (15 août 1944 - 2 mai 1945)

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Testimonianza di Aurelio Cosatto

Spoils of War: The Fate of Enemy Fleets after the Two World Wars

Die Seestreitkräfte »Marina Nazionale Repubblicana« (MNR) der »Repubblica Sociale Italiana« (RSI)