Una bella immagine del Bande Nere, probabilmente in tempo di pace. |
Incrociatore leggero
della classe Di Giussano della serie Condottieri (dislocamento standard 5130
tonnellate, in carico normale 6571 tonnellate, a pieno carico 6954 tonnellate).
In guerra effettuò
quattro missioni di ricerca del nemico, otto di scorta convogli e tre di posa
di mine, percorrendo complessivamente 18.559 miglia nautiche e
trascorrendo in mare 964 ore.
Il Bande Nere fu l’unico incrociatore
costruito durante il periodo interbellico nei cantieri di Castellammare di Stabia,
che nel trentennio 1913 (corazzata Duilio)–1943
(incrociatore leggero Giulio Germanico)
non costruì nessun’altra nave maggiore. In assoluto, il Bande Nere fu il penultimo incrociatore (e la penultima nave
maggiore di qualsiasi tipo) costruita a Castellammare, seguito solo dal Germanico (che però, affondato prima del
completamento e poi recuperato, venne completato come cacciatorpediniere
conduttore).
Il Bande Nere con colorazione mimetica, a fine 1941 o inizio 1942 (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
Rispetto ai tre
gemelli (Da Barbiano, Di Giussano, Colleoni), il Bande Nere
era caratterizzato da allestimento e rifinitura "non impeccabili", al
punto da essere soprannominato dagli equipaggi “Brande Nere”; non godé mai di
reputazione particolarmente buona, ed è generalmente considerato
qualitativamente inferiore ai gemelli (anche se, ironia della sorte, fu dei
quattro quello che sopravvisse più a lungo).
Mentre Da Barbiano, Di Giussano e Colleoni,
tutti e tre realizzati dal medesimo cantiere (Ansaldo di Genova) erano molto
difficili da distinguere a causa della mancanza di grandi differenze tra l’uno e
l’altro, il Bande Nere poteva
facilmente essere riconosciuto da alcuni suoi particolari: i suoi fumaioli
presentavano delle tubolature orizzontali (su quattro livelli) particolarmente
vistose (tali da far apparire “rigate” le camicie dei fumaioli), e distinguibili
anche a distanze moderate, ed in cima al suo torrione di comando (che in
generale aveva un disegno più complesso rispetto ai gemelli) si trovava una plancia
ammiraglio, destinata ad ospitare il Comando di Divisione, che Da Barbiano, Di Giussano e Colleoni
non avevano (cosicché il torrione del Bande
Nere era di un livello più alto rispetto a quelli dei gemelli).
Al momento
della costruzione il Bande Nere era
anche caratterizzato da un albero maestro "a palo" anziché a tripode
come sugli altri tre, ma poco dopo la fine dell’allestimento anche sui gemelli
l’albero a tripode venne sostituito con uno a palo, per ridurre i pesi e
migliorare la stabilità. Altre peculiarità del Bande Nere includevano un alberetto più lungo rispetto ai gemelli,
alcune differenze nel ponte di poppa (che includeva due complessi da 100/47
mm), alcune “finestrature” e la posizione di alcune mitragliere da 20 mm,
nonché la presenza sul fumaiolo prodiero di una tubatura frontale a Y
(sfiatatoio per l’emissione di cortine fumogene).
Una bella immagine del Bande Nere da prua, nella quale è possibile notare la duplice plancia che lo contraddistingueva (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
Breve e parziale cronologia.
31 ottobre 1928
Impostazione nel Regio
Cantiere Navale di Castellammare di Stabia (numero di costruzione 167).
27 aprile 1930
Varo nel Regio
Cantiere Navale di Castellammare di Stabia. È madrina Adelaide di
Savoia-Genova.
Il Bande Nere pronto al varo (dall’alto: Gazzetta
di Napoli; www.italie1935-45.com; www.liberoricercatore.it; ANMI
Reggio Calabria)
In un evento cui
viene dato grande rilievo dalla stampa, in occasione della celebrazione della
cerimonia della "leva fascista", il 27 aprile 1930 vengono varate
contemporaneamente, in diversi cantieri navali sparsi in tutta Italia, ben
cinque navi da guerra (evento, secondo i giornali dell’epoca, «senza precedenti
negli annali delle Marine da Guerra»), tra cui quattro incrociatori: oltre al Bande Nere, sono varati lo stesso giorno
il gemello Alberto Di Giussano (a
Sestri Ponente), gli incrociatori pesanti Zara
(a La Spezia) e Fiume (a Trieste) ed il sommergibile Delfino (a Monfalcone).
Il varo (sopra: da www.italie1935-45.com; sotto: da www.archiviofotograficoparisio.it)
Il Bande Nere appena varato (da www.italie1935-45.com) |
Successivamente, durante
le prove in mare, l’apparato motore del Bande
Nere sviluppa una potenza di 101.231 HP (rispetto ai 95.000 di progetto) e
raggiunge la velocità di 38,18 nodi, la minore tra le quattro navi della sua
classe, ma comunque ragguardevole e ben superiore a quella previsa dal
contratto: tuttavia sono prestazioni raggiunte in condizioni irrealistiche, con
la nave completamente scarica e forzando le macchine, come prassi durante le
prove a mare degli incrociatori italiani; la velocità effettiva in condizioni
operative risulterà più bassa di diversi nodi. D’altro canto, le prestazioni
velocistiche di queste navi – ottenute a discapito della protezione – sono
comunque notevoli, se si considera che durante la battaglia di Capo Spada
(1940) il Bande Nere, nonostante i
nove anni di servizio alle sue spalle ed il conseguente logorio, riuscirà a
sviluppare una velocità di 32 nodi anche con una caldaia fuori uso.
"Ricordo del varo" prodotto dalla tipografia U. Fedel di Castellammare di Stabia (g.c. Giorgio Micoli via www.naviearmatori.net) |
1° aprile 1931
Entrata in servizio.
Assegnato alla 2a Squadra Navale; suo primo comandante è il capitano
di vascello Gualtiero Gorleri, che ne ha assunto il comando prima ancora del
completamento, il 16 gennaio 1931.
Nei primi anni di
servizio, dopo le prove e l’addestramento iniziale, il Bande Nere svolgerà normale attività addestrativa e di squadra,
compiendo visite in porti italiani e stranieri del Mediterraneo e prendendo
parte alle manovre navali annuali.
1° maggio 1932
Assume il comando del
Bande Nere, sostituendo il comandante
Gorleri, il capitano di vascello Luigi Notarbartolo.
Il Bande Nere negli anni Trenta (da www.forummarine.forumactif.com) |
8 ottobre 1932
Il comandante
Notarbartolo viene avvicendato al comando del Bande Nere dal capitano di vascello Aldo Ascoli, che manterrà
questo ruolo fino al maggio 1934, ricoprendo contemporaneamente anche il ruolo
di capo di Stato Maggiore della 2a Squadra Navale.
1932
Subisce, al pari dei
gemelli, dei lavori di modifica tesi a rinforzare le strutture dello scafo (in
seguito a vari danni riportati con il maltempo) ed a ridurne l’eccessiva
sensibilità ai colpi del mare, aumentando anche la corazzatura da 24 mm a 32 mm,
con però un conseguente aumento del dislocamento e diminuzione della velocità.
Nello stesso periodo
subisce anche una modifica all’armamento contraereo, con la sostituzione dei
due cannoncini singoli da 40/39 mm Vickers-Terni 1917 con quattro mitragliere
binate da 13,2/76 mm.
Il Bande Nere nel grande bacino di
carenaggio di Genova nel giugno 1933, per lavori di verniciatura dello scafo (sopra:
g.c. Dante Flore, via www.naviearmatori.net;
sotto: da www.italie1935-45.com)
4 maggio 1934
Assume il comando del
Bande Nere (nave ammiraglia della 2a
Squadra Navale) il capitano di vascello Manlio Tarantini.
22 aprile 1934
Con una solenne
cerimonia, alla presenza della I (Luca
Tarigo, Ugolino Vivaldi, Antoniotto Usodimare, Alvise Da
Mosto) e II Squadriglia Esploratori (Lanzerotto
Malocello, Giovanni Da
Verrazzano, Nicoloso Da Recco, Emanuele Pessagno), della IV Squadriglia
Cacciatorpediniere (Francesco Crispi, Quintino Sella, Giovanni Nicotera, Bettino Ricasoli, Tigre, Francesco Nullo, Daniele Manin) e del posamine Dardanelli, il Bande Nere, i gemelli Alberico
Da Barbiano, Alberto Di Giussano e Bartolomeo Colleoni ed il similare Luigi Cadorna ricevono le proprie
bandiere di combattimento nel bacino di San Marco a Venezia. La bandiera
del Bande Nere – in seta,
ricamata a mano e racchiusa in un cofano artistico in legno pregiato decorato
con sculture, motti e bassorilievi, al pari delle altre – è offerta dalla
città di Forlì, città natale del condottiero eponimo. In origine era previsto
che la cerimonia di benedizione delle bandiere avvenisse in Piazza San Marco,
ma a causa della pioggia si è infine deciso di celebrarla nell’omonima
basilica.
Qualche giorno prima
le navi sono state visitate da Vittorio Emanuele III, assieme al capo di Stato
Maggiore della Regia Marina, ammiraglio Domenico Cavagnari, ed al comandante
del Dipartimento Marittimo dell’Alto Adriatico, ammiraglio Ferdinando di
Savoia.
Il Bande Nere a Venezia per la cerimonia di consegna della bandiera di combattimento (da www.italie1935-45.com) |
Dicembre 1934
Il Bande Nere, insieme ai similari Bartolomeo Colleoni ed Armando Diaz ed a quattro
cacciatorpediniere classe Navigatori, forma la III Divisione della 2a
Squadra Navale.
11 febbraio 1935
Assume il comando del
Bande Nere, sostituendo il comandante
Tarantini, il capitano di vascello Ferdinando Casardi: cinque anni più tardi,
come ammiraglio di divisione, avrà il Bande
Nere come nave ammiraglia.
Recupero dell’idrovolante sul Bande Nere, Taranto, 10 ottobre 1935 (foto fam. Bertoglio-Paolino) |
7 marzo 1936
Assume il comando del
Bande Nere, avvicendando il
comandante Casardi, il capitano di vascello Carlo Bergamini, capo di Stato
Maggiore della 2a Squadra Navale.
4 giugno 1936
Il capitano di
vascello Bergamini lascia il comando del Bande
Nere, che viene nuovamente assunto dal comandante Casardi.
6 agosto 1936
Il capitano di
vascello Casardi viene sostituito dal parigrado Carlo Giartosio.
1936-1938
Partecipa ancora alle
operazioni navali legate alla guerra civile spagnola. I bastimenti mercantili
adibiti al trasporto di truppe e rifornimenti per le forze nazionaliste
spagnole partono da Napoli con a bordo i "Legionari" del Corpo Truppe Volontarie ed i rifornimenti per
le forze nazionaliste spagnole, e poi, usualmente, costeggiano la Sardegna
orientale, passano davanti a Cagliari e dirigono a nord verso le coste del
Sulcis; al largo dell’isolotto del Toro vengono raggiunti dalle unità della
scorta, che escono da Cagliari o La Maddalena, e raggiungono Cadice cinque
giorni dopo la partenza.
Il Bande Nere è appunto una delle navi
assegnate alla scorta di questi mercantili; ha base a La Maddalena, insieme ai
gemelli Colleoni, Da Barbiano e Di Giussano, al similare Diaz
ed al più moderno incrociatore leggero Eugenio
di Savoia (altre navi hanno invece base a Cagliari).
Con questo sistema,
che vede l’impiego complessivamente di una quarantina di navi mercantili,
risulta possibile inviare in Spagna 48.000 uomini (in 66 viaggi) e 356.000
tonnellate di materiali (tra cui 488 pezzi d’artiglieria, 706 mortai, 700
velivoli e 46 carri armati).
11-14 agosto 1936
Il Bande Nere (capitano di vascello Ferdinando
Casardi, e con a bordo l’ammiraglio Silvio Salsa) scorta il piroscafo Nereide (già Alicantino), diretto in Spagna con truppe e rifornimenti inviati
dall’Italia alle forze nazionaliste spagnole di Francisco Franco, durante la
guerra civile spagnola. Durante tale missione il Bande Nere, insieme al più moderno incrociatore leggero Muzio Attendolo ed ai
cacciatorpediniere Luca Tarigo ed Antonio Da Noli, segue a distanza i piroscafi Nereide ed Aniene,
partiti da Cagliari (dove sono giunti da La Spezia) e diretti l’uno a Melilla
(dove arriva nella notte del 13-14 agosto) e l’altro a Vigo (dove arriva il 27
agosto), con a bordo un gruppo di aerei da caccia FIAT CR. 32 della Regia
Aeronautica (12 sul Nereide e
9 sull’Aniene) ed alcuni carri
leggeri Ansaldo L. 3/35 (cinque, a bordo dell’Aniene), carburante, munizioni, parti di ricambio e gli equipaggi
degli aerei (18 uomini sul Nereide e
14 sull’Aniene) e dei carri (tutti
sull’Aniene). L’operazione, sotto
copertura e con gran segretezza (gli aerei sono imballati in cassoni di abete,
gli avieri sono in borghese e senza documenti, l’imbarco è effettuato sotto la
sorveglianza della polizia), serve ad inviare tali aerei ad appoggiare le
truppe nazionaliste di Francisco Franco nella guerra civile in corso in Spagna. Mentre
Da Noli e Tarigo seguono i mercantili
tenendosi entro il loro raggio visivo, Bande
Nere ed Attendolo si tengono
più distanti, pattugliando le loro rotte. I due mercantili vengono avvistati in
alcune occasioni da navi spagnole repubblicane (ed anche britanniche), ma la
presenza delle navi italiane impedisce loro di intercettarli ed ispezionarli.
In particolare il Bande Nere, accompagnato da Tarigo e Da Noli, scorta a distanza il Nereide,
salpato da Cagliari l’11 agosto e giunto a Melilla il 14; poi, raggiunge
Tangeri.
14 agosto-3 ottobre 1936
Durante la guerra
civile spagnola, il Bande Nere viene
dislocato a Tangeri per un mese e mezzo.
Tre foto
del Bande Nere a Taranto nel 1937 (foto
del marinaio Francesco Serlenga, imbarcato sulla nave dal 1937 al 1941; Coll.
Fulvio Serlenga, via www.associazione-venus.it).
L’idrovolante sulla catapulta nella terza foto è un idrocaccia biplano CANT 25.
23-31 gennaio 1937
Compie una crociera
pendolare di pattugliamento nel Mediterraneo occidentale, per intercettare e segnalare
alle forze falangiste le navi dirette in porti spagnoli controllati dalle
truppe repubblicane.
18-24 febbraio 1937
Altra crociera
pendolare durante la guerra civile spagnola.
1937
Il Bande Nere è nave ammiraglia dell’ammiraglio
di divisione Guido Bacci di Capaci, comandante della II Divisione Navale.
11 ottobre 1937
Il capitano di
vascello Giacomo Perissinotti Bisoni assume il comando del Bande Nere, rimpiazzando il comandante Giartosio.
La nave a Taranto a fine anni Trenta (da www.italie1935-45.com) |
11-12 novembre 1937
Altra crociera di
pattugliamento contro il traffico repubblicano nel Mediterraneo occidentale,
sempre nell’ambito delle operazioni militari in Spagna.
Al termine della
guerra civile spagnola, che si concluderà con la vittoria delle forze
falangiste di Francisco Franco, il Bande
Nere, insieme al Colleoni ed ai
sommergibili Jalea, Topazio, Iride e Torricelli,
presenzierà a Cagliari alla sfilata dei "Legionari" italiani di ritorno dalla Spagna.
26 gennaio 1938
Assume il comando del
Bande Nere il capitano di vascello
Giulio Del Guercio.
Aprile 1938
Il Bande Nere trasporta in Albania il
principe Adalberto di Savoia-Genova, duca di Bergamo e cugino di Vittorio
Emanuele III, mandato nel Paese balcanico per rappresentare Casa Savoia al matrimonio
di Zog I, re d’Albania, con la contessa ungherese Géraldine Apponyi de
Nagy-Appony.
29 aprile 1938
Il Bande Nere rientra in Italia
trasportando Adalberto di Savoia, di ritorno dal matrimonio di Zog, e Galeazzo
Ciano, genero di Mussolini e ministro degli Esteri, di ritorno da una visita ufficiale
in Albania.
Sopra: il
Bande Nere, nave più vicina, seguito
dal Colleoni e dal ben più moderno Duca d’Aosta al largo di Napoli durante
la rivista "H", il 5 maggio 1938; sotto, il Bande Nere con l’equipaggio schierato durante la medesima rivista
navale (da www.italie1935-45.com)
5 maggio 1938
Il Bande Nere partecipa alla rivista navale
«H» organizzata in occasione della visita in Italia di Adolf Hitler: nella
rivista, il Bande Nere fa
della Divisione dell’ammiraglio Barone (insieme ai gemelli Alberto Di Giussano e Bartolomeo
Colleoni), inquadrata nella I Squadra Navale (ammiraglio Vladimiro Pini),
formata, oltre che da tale divisione, dagli incrociatori pesanti Trento, Trieste e Bolzano,
dalle Divisioni di incrociatori leggeri degli ammiragli Minghetti (Muzio Attendolo, Eugenio di Savoia, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta) e
Romagna (Alberico Da Barbiano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz), da due squadriglie di
esploratori classe Navigatori (Antonio Da
Noli, Antoniotto Usodimare, Ugolino Vivaldi, Nicolò
Zeno, Giovanni Da Verrazzano, Alvise Da Mosto, Antonio Pigafetta e Luca Tarigo)
e da una squadriglia di cacciatorpediniere (Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco).
27 settembre 1938
Il comando del Bande Nere passa dal capitano di
vascello Del Guercio al parigrado Arturo Solari.
Il Bande Nere in uscita da Genova il 30 maggio 1938 (da “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia) |
1938-1939
A seguito di nuovi
lavori, l’armamento contraereo viene rinforzato con l’aggiunta di quattro
moderne mitragliere binate Breda 1935 da 20/65 mm. Vengono imbarcate anche due
tramogge per bombe di profondità (40 cariche).
Fotocelere Campassi, Torino, 1938 (g.c. Giorgio Micoli via www.naviearmatori.net) |
1° gennaio 1939
Assume il comando del
Bande Nere il capitano di vascello
Manlio De Pisa, che avvicenda il comandante Solari.
Il Bande Nere a Venezia nel 1939 (sopra: g.c. Giorgio Parodi, via www.naviearmatori.net; sotto: ANMI Reggio Calabria)
1939
Il Bande Nere va a formare, insieme al
gemello Bartolomeo Colleoni, la
II Divisione Navale, al comando dell’ammiraglio di divisione Carlo Cattaneo
(poi sostituito dal parigrado Ferdinando Casardi) e di base a La Spezia,
facente parte della 2a Squadra.
7-9 aprile 1939
Il Bande Nere (capitano di vascello Manlio
De Pisa), alzando l’insegna dell’ammiraglio di divisione Angelo Iachino, partecipa
all’occupazione di San Giovanni di Medua durante le operazioni per l’invasione
dell’Albania (Operazione "Oltre Mare Tirana", OMT). Il Bande Nere è nave ammiraglia del I
Gruppo Navale (al comando appunto dell’ammiraglio Iachino), insieme ai
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco, Folgore e Fulmine, alle torpediniere Polluce
e Pleiadi, alla nave cisterna e da
sbarco Garigliano ed al
grosso piroscafo Umbria: queste navi
devono sbarcare due compagnie del Reggimento "San Marco" e tre
battaglioni di bersaglieri (il III Battaglione dell’8° Reggimento Bersaglieri,
il VI Battaglione del 6° Bersaglieri ed il XXVIII Battaglione del 9°
Bersaglieri), al comando del colonnello Arturo Scattini.
Lo sbarco, preceduto
da un bombardamento navale, viene contrastato dai difensori albanesi (circa
200, secondo quanto riferito dagli informatori) con vivo fuoco di fucileria e
qualche mitragliatrice, che causano qualche perdita; alcune navi intervengono
coi loro cannoni in supporto delle truppe da sbarco e risolvono rapidamente la
situazione in favore di queste ultime, che riescono così a sopraffare la
resistenza albanese e ad occupare San Giovanni di Medua nel giro di un’ora
circa. Sbarcano per primi gli uomini del "San Marco", e poi i
bersaglieri; anche il Bande Nere ha a
bordo dei bersaglieri, che deve trasbordare su dei pescherecci inviati da
Brindisi, ma tale operazione subisce alcuni ritardi a causa dei fondali bassi e
del ritardo nell’arrivo dei pescherecci stessi. Date le ridotte dimensioni e
ricettività delle strutture portuali, parte delle truppe devono essere sbarcate
sulla spiaggia, anziché nel porto. Molti dei bersaglieri, provenienti da un
mondo contadino, vedono il mare per la prima volta in questa occasione:
l’ammiraglio Iachino annoterà nel suo rapporto che, non volendo essi entrare in
acqua, vengono improvvisati dei pontiletti di sbarco che permettono alle truppe
di scendere sulla spiaggia con le loro biciclette e motociclette senza
bagnarsi.
Il giorno seguente la
colonna del colonnello Scattini, avanzando verso nord senza incontrare molta
resistenza, conquista Scutari, suo obiettivo principale.
Durante le operazioni
per l’occupazione dell’Albania il Bande
Nere catapulta anche il suo idrovolante da ricognizione IMAM Ro. 43. Il 9
aprile si aggrega al Bande Nere anche
l’incrociatore leggero Luigi Cadorna.
1° giugno 1939
Il Bande Nere (capitano di vascello Manlio
De Pisa) diviene nave ammiraglia della Divisione Scuola Comando (ammiraglio di
divisione Angelo Iachino, poco dopo sostituito dall’ammiraglio di divisione Carlo
Cattaneo), dislocata ad Augusta ed alle dipendenze del Ministero della Marina.
La Divisione Scuola Comando, impiegata nell’addestramento ma avente anche
funzione di "forza silurante di immediato impiego nel Canale di Sicilia"
in caso di necessità, ha alle sue dipendenze quattro squadriglie di
torpediniere, una flottiglia di sommergibili, tre squadriglie di MAS ed alcune
navi ausiliarie.
Il Bande Nere esce dal Mar Piccolo di Taranto il 22 giugno 1939 (da www.italie1935-45.com) |
31 luglio 1939
Il comandante De Pisa
lascia il comando del Bande Nere che
viene assunto in via provvisoria, solo per pochi giorni (fino al 3 agosto), dal
capitano di fregata Costanzo Casana.
3 agosto 1939
Assume il comando del
Bande Nere il capitano di vascello
Francesco Maugeri; nello stesso periodo diviene comandante in seconda
dell’incrociatore il capitano di fregata Francesco Dell’Anno, futura MOVM.
Maugeri esprimerà
poi, nelle sue discusse memorie pubblicate in inglese ("From the Ashes of
Disgrace"), un giudizio ben poco lusinghiero nei confronti del Bande Nere (addirittura "La nave era la peggiore di tutta la Marina")
che però verrà curiosamente cambiato nella versione italiana di quelle memorie
("Ricordi di un marinaio", in cui Maugeri scrive che nel novembre
1940 si separò "con grande
dispiacere dal mio caro Bande Nere, che mi aveva dato molte soddisfazioni").
Il Bande Nere nel canale navigabile di Taranto, nel 1939 (da www.italie1935-45.com) |
10 giugno 1940
All’ingresso in
guerra dell’Italia, il Bande Nere
è nave ammiraglia della II Divisione Navale (al comando dell’ammiraglio di
divisione Ferdinando Casardi), che forma insieme al gemello Colleoni, dislocata a Palermo e facente
parte della 2a Squadra Navale.
Alle 20 (o poco dopo)
dello stesso 10 giugno, Bande Nere
(capitano di vascello Franco Maugeri) e Colleoni lasciano
Palermo per coprire le operazioni di posa, da parte del posamine Buccari e del posamine ausiliario
(ex traghetto ferroviario) Scilla,
dello sbarramento di mine «G P» (Capo Granitola-Pantelleria) nel Canale di
Sicilia (altra fonte parla, erroneamente, dello sbarramento «L K»,
Lampedusa-Kerkennah). In mare è anche una forza d’appoggio, costituita dalle
Divisioni Navali III (da Messina) e VII (da Napoli), dall’incrociatore pesante Pola (da Messina) e dalla X
Squadriglia Cacciatorpediniere (da Napoli), che compie una puntata esplorativa
notturna tra Marettimo e Capo Bon.
11 giugno 1940
Completata
l’operazione, Bande Nere e Colleoni fanno ritorno a Palermo.
16 giugno 1940
Bande Nere e Colleoni si
trovano nel porto di Palermo quando la città viene sorvolata da cinque aerei
che lanciano manifestini; i due incrociatori aprono il fuoco contro di essi con
le loro artiglierie contraeree.
22 giugno 1940
La II Divisione (Bande Nere e Colleoni ), insieme alle Divisioni incrociatori I
(incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia) e III (incrociatori pesanti Trento e Bolzano),
all’incrociatore pesante Pola (nave
ammiraglia del comandante superiore in mare; è in mare tutta la 2a Squadra
Navale, più la I Divisione) ed alle Squadriglie Cacciatorpediniere IX, X e XII),
prende il mare per fornire copertura alla VII Divisione ed alla XIII
Squadriglia Cacciatorpediniere, inviate a compiere un’incursione contro il
traffico mercantile francese nel Mediterraneo occidentale, dopo che
intercettazioni radio e ricognizioni aeree eseguite tra il 19 ed il 21 giugno hanno
posto in evidenza l’esistenza di un intenso traffico convogliato dalla Provenza
verso l’Algeria, scortato da forze leggere e regolato in modo da giungere
all’alba presso la costa dell’Algeria dopo essere passato verso mezzogiorno del
giorno precedente sul parallelo di Minorca, 50-70 miglia ad est di Port Mahon.
Bande Nere e Colleoni partono
da Palermo alle 17.30 del 22 giugno ed al tramonto dello stesso giorno, a nord
di Palermo, si riuniscono al Pola ed
alla I e III Divisione, uscite da Augusta e Messina. La formazione fa rotta
fino ad un punto situato 40 miglia ad ovest dell’isola di San Pietro
(Sardegna), da dove poi tenersi pronta ad intervenire a supporto della VII
Divisione in caso di necessità (la VII Divisione ha l’ordine di impegnarsi
decisamente in caso d’incontro con forze nemiche non superiori, mentre nel caso
di incontro con forze nettamente superiori dovrebbe ripiegare per attirarle
verso il punto in cui le altre tre Divisioni devono trovarsi per darle
manforte).
23 giugno 1940
In mattinata il Bande Nere catapulta un idrovolante da
ricognizione; sia questo che gli altri ricognitori (tanto quelli catapultati
dalle navi quanto quelli di base a terra), tuttavia, non trovano nessuna nave
nemica, anche a causa delle avverse condizioni del tempo (nubi basse, piovaschi
e foschia).
Bande Nere e Colleoni dirigono
dunque per rientrano a Palermo.
24 giugno 1940
Bande Nere e Colleoni arrivano a
Palermo alle 2.50 del 24.
28 giugno 1940
Il Bande Nere salpa da Palermo alle 22.30, seguito
alle 23.15 dal Colleoni, per
trasferirsi ad Augusta, seguendo la rotta che passa a nord della Sicilia.
29 giugno 1940
I due incrociatori
giungono ad Augusta alle 9.30.
2 luglio 1940
Bande Nere e Colleoni salpano
da Augusta tra le 20 e le 20.30, insieme alla X Squadriglia Cacciatorpediniere,
per tentare l’intercettazione di un cacciatorpediniere britannico classe J,
indicato come in navigazione da Gibilterra verso, probabilmente, Malta.
3 luglio 1940
Alle 5.40 il Bande Nere catapulta un aereo da
ricognizione per ampliare il raggio delle ricerche, ma non si effettuano
comunque avvistamenti; la visibilità sul mare, con vento fresco da Maestrale, è piuttosto contenuta, ed
alla fine le navi sono costrette a rientrare ad Augusta a mani vuote,
giungendovi alle 17.50 (Colleoni) ed
alle 19 (Bande Nere).
4 luglio 1940
Bande Nere e Colleoni lasciano
Augusta tra le 00.05 e l’1.40 per raggiungere, a 100 miglia dalla
Sicilia, un convoglio di due trasporti truppe (il piroscafo Esperia e la motonave Victoria, scortati dalle
torpediniere Procione, Orsa, Orione e Pegaso)
di ritorno da Tripoli (da dove sono salpati alle 13 del 2 luglio), del quale
assumere la scorta per un tratto assieme agli incrociatori pesanti Zara, Fiume e Gorizia della
I Divisione ed ai cacciatorpediniere Alfieri, Oriani, Gioberti e Carducci della
IX Squadriglia e Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco della
X Squadriglia. Completata la missione (il convoglio giungerà indenne a Napoli
lo stesso 4 luglio, alle 23), il Bande
Nere torna ad Augusta alle 9.30, seguito dal Colleoni che vi arriverà alle 19.55.
7 luglio 1940
Bande Nere (con a bordo l’ammiraglio Casardi, comandante della II
Divisione) e Colleoni lasciano
Augusta alle 12.55, insieme ai cacciatorpediniere della X Squadriglia (Maestrale, Grecale, Libeccio, Scirocco), per assumere la scorta del
primo convoglio di grandi dimensioni inviato in Libia (operazione «TCM», Terra,
Cielo, Mare): lo compongono il piroscafo Esperia, la motonave passeggeri Calitea (usati per trasporto truppe) e le motonavi da
carico Marco Foscarini, Francesco Barbaro e Vettor Pisani, partite da Napoli alle
ore 18 del 6 luglio (tranne la Barbaro
che, partita da Catania con la scorta delle torpediniere Pilo e Abba, si aggrega
al convoglio il mattino del 7 luglio) e scortate dalle moderne unità della XIV
Squadriglia Torpediniere (Orsa, Procione, Orione e Pegaso).
Mentre il convoglio
si trova in Mar Ionio, Supermarina viene informato che alle otto del mattino
del 7 luglio la Forza H britannica (portaerei Ark Royal, corazzate Valiant e Resolution, incrociatore da
battaglia Hood, incrociatori
leggeri Arethusa, Delhi ed Enterprise, cacciatorpediniere Faulknor, Foxhound, Fearless, Douglas, Active, Velox, Vortingern, Wrestler, Escort e Forester) è uscita in mare da Gibilterra. Scopo di tale uscita
(operazione «MA 5») è attaccare gli aeroporti della Sardegna, per distogliere
l’attenzione dei comandi italiani da un traffico di convogli tra Alessandria a
Malta (due convogli di mercantili per l’evacuazione di civili e materiali da
inviare ad Alessandria, ed uno di cacciatorpediniere con alcuni rifornimenti
per Malta), con l’appoggio dell’intera Mediterranean Fleet (corazzate Warspite, Malaya e Royal Sovereign,
portaerei Eagle, incrociatori
leggeri Orion, Neptune, Sydney, Gloucester e Liverpool, cacciatorpediniere Dainty, Defender, Decoy, Hasty, Hero, Hereward, Hyperion, Hostile, Ilex, Nubian, Mohawk, Stuart, Voyager, Vampire, Janus e Juno); questo, però, non è a conoscenza
dei comandi italiani, che decidono di fornire protezione al convoglio diretto a
Bengasi, facendo uscire in mare l’intera flotta italiana.
La scorta diretta
viene così rinforzata dalla II Divisione Navale, con Bande Nere e Colleoni,
e dalla X Squadriglia Cacciatorpediniere con Maestrale, Grecale, Libeccio e Scirocco.
Quale scorta a
distanza, escono in mare la 1a Squadra Navale con le Divisioni
IV (incrociatori leggeri Alberico Da
Barbiano, Alberto Di Giussano, Luigi Cadorna ed Armando Diaz), V (corazzate Giulio Cesare e Conte di Cavour) e VIII (incrociatori
leggeri Luigi di Savoia Duca
degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi) e le Squadriglie Cacciatorpediniere VII (Freccia, Dardo, Saetta, Strale), VIII (Folgore, Fulmine, Lampo, Baleno), XIV
(Leone Pancaldo, Ugolino Vivaldi, Antonio Da Noli), XV (Antonio Pigafetta, Nicolò Zeno) e XVI (Nicoloso Da Recco, Emanuele
Pessagno, Antoniotto Usodimare),
e la 2a Squadra Navale con l’incrociatore pesante Pola (nave ammiraglia), le
Divisioni I (incrociatori pesanti Zara, Fiume, Gorizia), III (incrociatori pesanti Trento e Bolzano)
e VII (incrociatori leggeri Emanuele
Filiberto Duca d’Aosta, Eugenio
di Savoia, Raimondo Montecuccoli e Muzio Attendolo) e le Squadriglie
Cacciatorpediniere IX (Vittorio Alfieri, Alfredo Oriani, Vincenzo Gioberti, Giosuè Carducci), XI (Aviere, Artigliere, Geniere, Camicia Nera), XII (Lanciere, Carabiniere, Ascari, Corazziere) e XIII (Granatiere, Bersagliere, Fuciliere, Alpino). Pola, I e III Divisione, con le relative
squadriglie di cacciatorpediniere (IX, XI e XII), si posizionano 35 miglia ad
est del convoglio, per proteggerlo da un attacco navale proveniente da est,
mentre la VII Divisione e la XIII Squadriglia, posizionate 45 miglia ad ovest,
forniscono protezione da attacchi provenienti da Malta; il resto della flotta
(IV, V e VIII Divisione, VII, VIII, XIV, XV e XVI Squadriglia) forma infine un
gruppo di sostegno. Non è tutto: viene organizzata un’intensa ricognizione
aerea con grandi aliquote dei velivoli della ricognizione marittima, il
posamine ausiliario Barletta viene
inviato a posare mine a protezione del porto di Bengasi, e vengono inviati in
tutto 14 sommergibili in agguato nel Mediterraneo orientale.
L’avvistamento anche
della Mediterranean Fleet, uscita da Alessandria nel pomeriggio del 7 – come si
è detto – per proteggere i convogli con Malta, non fa che confermare la
convinzione di Supermarina circa la necessità delle misure adottate.
Il convoglio,
procedendo a 14 nodi (il gruppo che comprende la II Divisione procede a 20 nodi
sino ad incontrare il convoglio a sud della Sicilia, per scortarlo nel tratto
più pericoloso, fino a Bengasi), segue rotta apparente verso Tobruk fino a
giungere in un punto situato 245 miglia a nordovest di Bengasi, quindi assume
rotta verso quest’ultimo porto; dopo altre 100 miglia il convoglio si divide,
lasciando proseguire a 18 nodi le più veloci Esperia e Calitea,
mentre le motonavi da carico mantengono una velocità di 14 nodi. La II
Divisione si tiene in immediato contatto con il convoglio.
8 luglio 1940
All’1.50 l’ammiraglio
Inigo Campioni, comandante della flotta italiana, a seguito di avvistamenti
della ricognizione che rivelano la presenza in mare della Mediterranean Fleet
britannica (anch’essa uscita a tutela di convogli), ordina al convoglio ed alla
II Divisione, che si trovano in rotta 147° (per Bengasi), di assumere rotta
180°, in modo da essere pronti ad essere dirottati su Tripoli in caso di
necessità. Alle 7.10, appurato che la Mediterranean Fleet non può essere
diretta ad intercettare il convoglio, Campioni ordina a quest’ultimo di tornare
sulla rotta per Bengasi.
Il convoglio «TCM»
arriva a Bengasi, dopo una navigazione tranquilla, tra le 18 e le 22; la II
Divisione e la X Squadriglia, lasciati i mercantili a Bengasi, proseguono per
Tripoli, dove hanno ordine di dislocarsi temporaneamente. In tutto, il
convoglio porta in Libia 2190 uomini (1571 sull’Esperia e 619 sulla Calitea),
72 carri armati M11/39, 232 automezzi, 5720 tonnellate di carburante e 10.445
tonnellate di rifornimenti.
9 luglio 1940
La II Divisione e la
X Squadriglia vengono dislocate a Tripoli, dove il Bande Nere dà fondo alle 10.25, seguito, alle 13.10, dal Colleoni. Queste unità non
parteciperanno quindi alla battaglia di Punta Stilo, scatenatasi il giorno
seguente tra la flotta italiana (1a e 2a Squadra
Navale) e quella britannica e conclusasi senza vincitori né vinti.
A Taranto (Coll. Guido Alfano, via g.c. Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
13-16 luglio 1940
Dopo che la II
Divisione, al termine dell’operazione del 9 luglio, si è dislocata a Tripoli,
Supermarina decide di trasferirla per un breve periodo in Egeo, e precisamente
nella base navale di Portolago, a Lero, per impiegarla come forza d’attacco
veloce per rapide incursioni contro il traffico britannico nell’Egeo, allo
scopo di recare il maggior danno possibile («eseguire scorrerie nelle acque dell'Egeo per recare il massimo danno al
traffico nemico in quelle acque, se risultasse che gli Inglesi stessero
concentrando verso Creta piroscafi provenienti da porti turchi e greci»). Un’idea
simile spingerà nell’ottobre 1941 la Royal Navy a dislocare a Malta la Forza K
– incrociatori leggeri Aurora e Penelope e cacciatorpediniere Lance e Lively – per attaccare i convogli italiani diretti in Libia, con
notevole successo. Di per sé l’idea di Supermarina era valida, ma non è stata
molto azzeccata la scelta degli incrociatori da utilizzare: il principale
pregio di Bande Nere e Colleoni è la velocità, e nell’Egeo,
mare disseminato di isole, ci si ritrova di frequente in acque “chiuse”, dove
la possibilità di manovra è limitata e la velocità, spesso, non può essere
sfruttata adeguatamente. Sarebbe stato più appropriato l’invio di due
incrociatori delle classi più recenti, un po’ meno veloci ma meglio protetti.
(Secondo altra fonte, invece, Supermarina avrebbe scelto le navi della II
Divisione proprio perché i "Di Giussano" erano stati pensati per
fronteggiare i cacciatorpediniere, pareggiandoli o superandoli – almeno in
teoria – in velocità e superandoli in armamento: sarebbero stati così in grado
di inseguire ed ingaggiare i cacciatorpediniere nemici tenendosi al contempo
fuori tiro rispetto ai loro pezzi da 120 mm, ed avrebbero avuto velocità
sufficiente a sfuggire ad unità più pesantemente armate, qualora ne avessero
incontrate. Altro motivo della scelta di questi incrociatori sarebbe stato il
loro minore consumo di nafta rispetto a quelli delle classi successive, in
considerazione delle scarse riserve di nafta disponibili nel Dodecaneso,
territorio lontano dall’Italia e, in quella fase della guerra, difficile da
rifornire). Altre obiezioni, a posteriori, hanno riguardato la scelta di
inviare i due incrociatori in Egeo senza scorta di cacciatorpediniere: la
scorta di una squadriglia di cacciatorpediniere, oppure un maggior numero di
incrociatori (quattro anziché due), probabilmente, avrebbero potuto evitare
l’infausto esito della battaglia di Capo Spada.
Il piano di
Supermarina prevede che Bande Nere (nave
di bandiera dell’ammiraglio di divisione Ferdinando Casardi, comandante la II
Divisione) e Colleoni, partiti
da Tripoli senza scorta di cacciatorpediniere (li scorteranno i
cacciatorpediniere di Tobruk, solo nell’ultimo tratto di avvicinamento a quella
base e nella navigazione fino a Sollum e ritorno), dovranno rifornirsi
rapidamente a Tobruk, poi eseguire un’azione (breve ma intensa) di
bombardamento contro posizioni costiere britanniche a Sollum (o, solo
secondariamente, Marsa Matruh) dopo di che dovranno dirigere inizialmente su
Tobruk fino al tramonto, in modo da trarre in inganno eventuali ricognitori
britannici, per poi assumere rotta per Lero, dove dovranno giungere nel primo
pomeriggio del giorno da stabilire, transitando nel canale tra Rodi e Scarpanto
oppure tra Cerigo e Candia.
Il bombardamento di
Sollum è un’idea che Supermarina considera già da qualche tempo: si era
inizialmente pianificato di farlo eseguire ad una sezione della IV Divisione (Diaz e Di Giussano) mandata da Taranto, che avrebbe raggiunto Tobruk nelle
prime ore del mattino, incontrare la II Squadriglia Cacciatorpediniere (che ne
avrebbe assunto la scorta), effettuare il bombardamento e poi tornare subito a
Taranto. La presenza a Tripoli della II Divisione e la decisione di trasferirla
in Egeo (viaggio durante il quale dovrebbe in ogni caso passare al largo delle
coste egiziane), lì giunta al termine della missione di scorta del convoglio «Esperia»,
ha suggerito una modifica nei piani.
Il 13 luglio 1940,
pertanto, Supermarina informa con telecifrato – la presenza di un cavo
telegrafico dalla Sicilia a Tripoli e Bengasi permette di comunicare con i
Comandi della Libia senza rischiare di essere intercettati – l’ammiraglio di
divisione Bruno Brivonesi, comandante di Marina Libia (con quartier generale a
Bengasi), del progettato impiego della II Divisione («Qualora interessasse Supercomando ASI sarebbe intenzione eseguire con
incrociatori II Divisione bombardamento zona Sollum, ripeto Sollum e non Marsa
Matruk, data sua vicinanza Alessandria alt Incrociatori sosterebbero Tobruk per
rapido rifornimento proseguendo subito per zona Sollum ed dirigendo quindi Lero»)
e gli ordina di chiedere al Comando Superiore Africa Settentrionale Italiana
quali siano gli obiettivi da colpire a Sollum, avvertendo al contempo anche
l’ammiraglio Casardi della prossima missione della sua Divisione. Vengono
inoltre richieste ricognizioni aeree ad est di Tobruk, con velivoli delle basi
di Rodi e della Cirenaica, per accertare che non vi si trovino forze navali
avversarie; e sono contattati gli Addetti Navali ad Atene ed Ankara (o
Istanbul) per avere informazioni sull’eventuale concentramento, verso Creta, di
piroscafi provenienti da porti della Grecia e della Turchia. L’indomani anche
il Comando Superiore delle Forze Armate delle Isole Italiane dell’Egeo
(Egeomil, a Rodi) viene avvisato – a mezzo di dettagliato dispaccio spedito per
aereo del Comando Servizi Speciali, onde evitare intercettazioni – della
prossima dislocazione della II Divisione a Portolago, dei relativi scopi e dei
tempi e modalità di massima dell’arrivo. La sosta forzata dell’aereo a Bengasi
(tappa intermedia del suo viaggio dall’Italia a Rodi), per “ragioni
meteorologiche”, ne ritarda però l’arrivo a Rodi di ben dieci giorni, fino al
24 luglio, quindi alle 9.35 del 18 Supermarina è costretta ad inviare un
telegramma, molto meno particolareggiato.
Il 14 luglio
Supermarina ha inviato all’ammiraglio Casardi, sempre con aereo del Comando
Servizi Aerei Speciali e con plico sigillato, anche l’ordine d’operazione Prot.
1512 – firmato dal Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Domenico
Cavagnari – con obiettivi («a) Eseguire
una breve intensa azione di bombardamento contro gli obiettivi costieri della
zona di Sollum indicati dal Supercomando A.S.I., dopo una breve sosta a Tobruk
per rifornimento. b) Trasferirsi, alla fine del bombardamento, a Portolago per
compiere da quella base incursioni contro il traffico britannico nelle acque
dell’Egeo.») e dettagli della missione dei due incrociatori. Le navi dovranno
salpare il giorno “X” e procedere a 20 nodi (di più, a scelta di Casardi, nelle
zone in cui volesse zigzagare) seguendo la rotta diretta Tripoli-Tobruk in modo
da giungere, alle 5.30 del giorno seguente alla partenza, 20 miglia a
nordovest del punto prestabilito «C», dove verranno raggiunte dai
cacciatorpediniere di Tobruk, che le scorteranno in porto. Qui si riforniranno
di acqua (il minimo possibile) e nafta, poi ripartiranno in giornata, raggiungeranno
Sollum a 25 nodi ed effettueranno il bombardamento nel pomeriggio, in modo da
concluderlo due ore prima del tramonto; poi faranno rotta per Tobruk a 25 nodi come
se dovessero rientrare in quella base, allo scopo di ingannare il nemico,
salvo, calato il buio, lasciare i cacciatorpediniere liberi di rientrare a
Tobruk (per altra fonte l’azione sarebbe eseguita senza alcuna scorta di
cacciatorpediniere; ma si tratta di un errore, in quanto l’ordine d’operazione
menziona chiaramente che i cacciatorpediniere di Tobruk devono scortare la II
Divisione «da Tobruk fino a Sollum e
ritorno (limitatamente alle ore diurne)»), e dirigere da sole per
Portolago, passando, a seconda degli ordini che riceveranno, tra Rodi e
Scarpanto (messaggio in codice «Rimandate sosta prevista», anche cifrato per
maggior sicurezza) oppure ad ovest di Creta («Pervenuto plico confidenziale»,
sempre in codice e cifrato), sempre a 25 nodi. Giunti a Portolago, gli
incrociatori, rifornitisi delle munizioni impiegate nel bombardamento, si dovranno
tenere pronti ad uscire in mare (in 6 ore fino a mezzanotte del giorno seguente
a quello di arrivo, poi pronti in 2 ore salvo che nelle 24 ore successive al
rientro da ciascuna incursione, quando dovranno essere pronti in 6 ore) per
rapide scorrerie contro naviglio mercantile britannico od al servizio del Regno
Unito, e relative scorte. Durante la navigazione, specie verso Sollum, le navi
si dovranno tenere per quanto possibile sopra fondali di profondità non
inferiore ai 500 metri, in modo da non rischiare di incappare in campi
minati («Navigherete per quanto possibile
in fondali superiori ai 500 metri, e a Tobruk assumerete le informazioni utili
a stabilire se nel golfo di Sollum i Ct dovranno precederVi coi paramine.
PortarVi in ogni caso nella zona da cui dovete far fuoco per bombardare,
seguendo il minimo percorso in acque inferiori ai 500 metri e tenendo presente
che a nord di Ras Azzas risulterebbero mine posate da un sommergibile nemico»).
Per tutta la durata della missione le navi di Casardi dovranno mantenere il più
rigido silenzio radio; durante il periodo trascorso nei porti di Tobruk e di
Lero, per le eventuali comunicazioni Casardi non dovrà usare le radio delle sue
navi, bensì quelle dei locali Comandi Marina, al fine di dissimulare la
presenza della II Divisione. Anche le istruzioni più dettagliate che verranno
impartite via radio a Casardi una volta a Portolago saranno comunicate non alla
II Divisione, ma a Marina Lero, che poi provvederà a farle pervenire
all’ammiraglio. Le istruzioni di massima per l’attività una volta giunti a
destinazione prescrivono: «Di massima
dovrete tenerVi pronto ad eseguire rapide puntate nelle zone che Vi saranno
indicate, per affondare traffico mercantile con la bandiera inglese o al
servizio degli inglesi e unità sottili di protezione a detto traffico».
Terminato il proprio compito, la II Divisione rienterà successivamente in
Italia, in una base che verrà comunicata da Supermarina, quando ne riceverà
l’ordine.
Se l’azione contro
Sollum e la sosta a Tobruk dovranno essere comprese nella missione, Casardi riceverà
un telegramma cifrato con il messaggio convenzionale (anch’esso cifrato)
«Sedici terreni saranno espropriati», indicante che il giorno X (inizio della
missione, partenza da Tripoli) sarà il 16 luglio; se invece la II Divisione dovrà
lasciare Tripoli diretta subito in Egeo, senza sostare a Tobruk e bombardare
Sollum, il messaggio previsto sarà «Sedici trasmissioni errate», pure in cifra.
Nessuno all’infuori di Casardi deve essere messo al corrente degli ordini
d’operazione; anche i comandanti dei due incrociatori, capitani di vascello
Franco Maugeri (Bande Nere) e Umberto
Novaro (Colleoni), riceveranno ordini
più precisi soltanto una volta in mare, aprendo plichi consegnati loro
dall’ammiraglio prima della partenza ma da non aprirsi finché non saranno in
mare aperto. L’ordine d’operazione è molto particolareggiato perché occorre un
orario di movimenti prestabilito per permettere la necessaria coordinazione tra
la II Divisione, i cacciatorpediniere che dovranno scortarla (se del caso) nel
bombardamento di Sollum, la ricognizione aerea e le basi di Tobruk e Portolago,
mantenendo poi il silenzio radio nel corso della missione. Copia dell’ordine
d’operazione viene inviata anche al Comando della 2a Squadra Navale,
dalla quale la II Divisione dipende.
L’Addetto Navale ad
Istanbul, dopo che Supermarina gli ha telegrafato chiedendo notizie su
eventuali movimenti di mercantili britannici in partenza per l’Egeo, comunica
il 15 luglio che quel giorno, alle 18.30 ora italiana, tre motocisterne
fluviali britanniche di 1500-2000 tsl, apparentemente a pieno carico, sono
passate nel Bosforo dirette ai Dardanelli; il 16 aggiunge che hanno sostato a
Çanakkalè, sulla sponda asiatica dei Dardanelli, per attendere altri tre
piroscafi britannici, che stanno caricando merce ad Istanbul, onde poi salpare
in un unico convoglio. Non manca di descrivere l’aspetto delle cisterne, così
che siano riconoscibili, e poi di indicare anche i nomi di tutte e sei le navi.
Al contempo, il 15, Marina Libia ha riferito al Ministero che in quel momento
un bombardamento di Sollum non occorre (il Comando Superiore in Libia ha
riferito che non è ritenuto utile: probabilmente perché risulterebbe difficile
riconoscere gli obiettivi da bombardare); verrà chiesto in seguito, se
necessario, in tempo utile.
Sulla base di queste
informazioni, il 16 sera Supermarina comunica ad Egeomil quanto saputo da
Istanbul e domanda se tale Comando acconsenta all’invio a Lero, direttamente da
Tripoli (senza bombardamento su Sollum) di Bande
Nere e Colleoni, che dovrebbero così
passare presso Cerigo all’alba del 19, richiedendo inoltre ricognizione aerea
sulla rotta per Lero (soprattutto, gli aerei dovrebbero perlustrare all’alba
del 19 luglio il canale di Cerigotto, che separa tale isola da Creta). Egeomil
dispone complessivamente delle seguenti forze aeree, di base negli aeroporti di
Rodi: due Gruppi da Bombardamento con in totale una ventina di trimotori
Savoia-Marchetti S.M. 81; la 163a Squadriglia Caccia Terrestre con
undici biplani Fiat C.R.32 e nove Fiat C.R.42; e la 161a Squadriglia
Autonoma Caccia Marittima con sette idrovolanti IMAM Ro.44.
In attesa della
risposta, alle 9.30 del 17 luglio Supermarina ordina ai due incrociatori di
accendere le caldaie e tenersi pronti a muovere, quindi telegrafa
all’ammiraglio Casardi «diciassette trasmissioni errate» (partire da Tripoli e
trasferirsi direttamente in Egeo, giorno X è appunto il 17) e poi aggiunge che
la II Divisione dovrà salpare alle 21 del 17 procedendo a 20 nodi, dirigendo da
Tripoli per un punto situato 30 miglia a nord di Derna, in Cirenaica (dove
presumibilmente giungerà alle 21 del 18), da dove poi farà rotta 12° verso il
passaggio tra Creta (più precisamente, Capo Spada, all’estremità
nordoccidentale della baia di La Canea) e Cerigotto (a nord di Creta, transito
previsto probabilmente per le 4.30 del 19); l’arrivo a Portolago dovrebbe
presumibilmente avvenire verso le 14.30 del 19 luglio. Arrivato l’assenso da
Egeomil (ma solo dopo che il Comando Supremo – Stamage, lo Stato Maggiore – ha
dovuto ribadire gli ordini di Supermarina, perché il governatore dell’Egeo, il
borioso megalomane Cesare De Vecchi, “accetta” direttive o “suppliche” solo dal
Comando Supremo, come si curò di precisare in un telegramma delle 5.20 del 18
luglio), Supermarina informa Casardi che tale Comando provvederà alla
ricognizione aerea sulla rotta che devono seguire, e che una volta in Egeo la
II Divisione potrà ordini diretti anche da esso.
La segretezza
sull’operazione è mantenuta, nonostante De Vecchi, che prende a mandare
lunghissimi ed inutili telegrammi a Supermarina ed al Comando Supremo, finché
la sera del 18 Supermarina è costretto a ricordargli che la II Divisione deve
mantenere il silenzio radio, che gli aerei non potranno tentare di contattarla
e, sostanzialmente, di stare zitto per non compromettere la segretezza dei
codici della Regia Marina («Riferimento
vostro telegramma 73632 odierno note unità hanno ordine mantenere assoluto silenzio
alt Aerei non ripeto non dovranno tentare collegarsi alt Pregherei disporre
siano evitati lunghi frequenti telegrammi con codici R. Marina per non
comprometterne segretezza»): i comandi britannici non sanno nulla di quanto
quelli italiani stiano pianificando.
Ma Supermarina non è
l’unico comando a predisporre in quel momento operazioni in Mar Egeo: per
contrastare l’attività dei sommergibili italiani, dislocati agli sbocchi
meridionali dell’Egeo ed a settentrione di Creta, a danno dei convogli britannici
in navigazione tra l’Egitto ed i Dardanelli, il comando della Mediterranean
Fleet è solito predisporre, in coincidenza con il passaggio di propri convogli,
dei rastrelli antisommergibile con impiego di unità leggere.
Uno di questi
rastrelli, da compiersi a nord di Creta, ha inizio il 18 luglio 1940, prima
della partenza dall’Egitto per i Dardanelli del convoglio «AN. 2» (Aegean North
2): in base a ordini diramati il pomeriggio del 17 luglio, la 2nd Destroyer
Flotilla, con i cacciatorpediniere britannici Hasty (capitano di corvetta Lionel Rupert Knyvet
Tyrwhitt), Hero (capitano
di fregata Hilary Worthington Biggs), Hyperion (capitano
di fregata Hugh St. Lawrence Nicolson, capoflottiglia) ed Ilex (capitano di corvetta Philip
Lionel Saumarez), dovrà effettuare un rastrello antisommergibili nel canale tra
Caso e Creta; al contempo l’incrociatore leggero australiano Sydney (capitano di vascello John
Augustine Collins) ed il cacciatorpediniere britannico Havock (capitano di corvetta Rafe
Edward Courage) forniranno appoggio a distanza a tale formazione ed effettueranno
un rastrello contro il traffico italiano (tra l’Italia da una parte e Mar Nero
e Dodecaneso dall’altra) nel golfo di Atene. Le sei navi salpano da Alessandria
d’Egitto il 18 luglio (la 2nd Flotilla poco dopo
mezzanotte, Sydney e Havock alle 4.30), poi si dividono
in due gruppi, diretti ai rispettivi obiettivi. Quando avrà completato la
missione, la flottiglia di Nicolson dovrà lasciare l’Egeo attraverso il canale
di Cerigotto, passandovi alle 6 del 19 luglio.
Altri otto
cacciatorpediniere britannici, nello stesso momento, si trovano nell’Egeo
meridionale per proteggere la navigazione di un convoglio in partenza da Port
Said il 19 e per riceverne un altro proveniente dai Dardanelli e diretto in
Egitto, cioè proprio quello segnalato dall’addetto navale italiano ad Istanbul.
17 luglio 1940
Il Bande Nere (capitano di vascello
Franco Maugeri, con a bordo l’ammiraglio di divisione Ferdinando Casardi,
comandante della II Divisione) ed il Colleoni
(capitano di vascello Umberto Novaro, che nel periodo interbellico, col grado
di capitano di fregata, era stato anche comandante in seconda del Bande Nere) lasciano Tripoli come
previsto alle 20.35 (o 21). L’arrivo a Lero è previsto per il 19 luglio. Poco
prima della partenza, l’ancora del Bande
Nere s’impiglia in un “corpo morto” e si rende necessario, per liberarla,
l’intervento del sergente palombaro Francesco Romanelli, mandato dal Comando
del Porto di Tripoli.
Supermarina, come
previsto, comunica al Comando Aeronautica dell'Egeo (a Rodi) di svolgere
ricognizioni sul Canale di Cerigotto, e di garantire agli incrociatori di
Casardi copertura aerea durante la navigazione.
18 luglio 1940
Durante la giornata,
le navi della II Divisione navigano verso est, verso il punto convenuto 30
miglia a nord di Derna. Alle 22.07 Bande
Nere e Colleoni raggiungono il
punto prestabilito al largo di Derna, dove accostano verso nord per dirigere
verso il canale di Cerigotto, attraverso il quale entreranno in Mar Egeo.
(g.c. Giorgio Micoli via www.naviearmatori.net) |
19 luglio 1940
Fino alle sei del
mattino del 19 luglio la navigazione dei due incrociatori procede tranquilla,
senza imprevisti. Secondo una fonte, ai due incrociatori sarebbe stato ordinato
di preparare delle squadre d’abbordaggio, in previsione dell’incontro con il
convoglio di navi cisterna segnalato in partenza dai Dardanelli.
Il sole sorge intorno
alle cinque e un quarto. Bande Nere
e Colleoni sono dotati di idrovolanti
da ricognizione IMAM Ro. 43, ma l’ammiraglio Casardi non li ha fatti
catapultare, perché sarebbe difficile e pericoloso, sia per le navi che per gli
aerei, a causa delle condizioni meteomarine sfavorevoli, con vento teso da maestrale
e mare molto agitato (per catapultare gli aerei le navi devono invertire la
rotta per mettere la prua al vento – perdendo tempo –, il che in quelle
condizioni comporterebbe la riduzione della velocità, esponendoli al rischio di
attacchi da parte dei sommergibili che si teme siano in quelle acque), e
soprattutto perché, stando a quanto gli è stato comunicato, sarà Egeomil a provvedere
alla ricognizione aerea nella zona attraversata dalla II Divisione.
A questo scopo, come
indicato, Egeomil ha fatto eseguire delle ricognizioni aeree con idrovolanti
IMAM Ro. 44 nel pomeriggio del 18, sul Canale di Cerigotto ed a sud di Creta,
ma senza che questi avvistassero nulla; il mattino del 19 tre idrovolanti CANT
Z. 501 della ricognizione marittima (84° Gruppo della Regia Aeronautica) sarebbero
dovuti decollare da Lero alle 4.45, ma non hanno potuto farlo per problemi
tecnici (il primo, alle 4.45, ha subito il surriscaldamento del motore durante
il decollo, reso difficile dal mare mosso, ed ha così dovuto interrompere il
decollo; il secondo decolla alle 4.50, ma deve rientrare dopo un’ora per lo
sforzo sostenuto dal motore; il terzo, decollato alle 4.55, è costretto
anch’esso al rientro per problemi al motore) ed altri due velivoli dello stesso
tipo (il primo della 147a Squadriglia ed il secondo della 185a Squadriglia)
possono decollare solo alle 6.20 ed alle 6.50: ormai troppo tardi per influire
sul corso degli eventi, che sono già in svolgimento.
Se Casardi avesse
catapultato gli idrovolanti senza fare troppo affidamento sulla tempestiva
ricognizione da parte di Egeomil, ha in seguito osservato il generale Giuseppe
Santoro (autore della storia ufficiale dell’Aeronautica italiana nella seconda
guerra mondiale), avrebbe probabilmente evitato la sorpresa tattica che seguì.
Ma d’altra parte gli era stato esplicitamente promesso: «Per garantirVi da sorprese durante le traversate e le operazioni in
mare, sarà tempestivamente disposto un adeguato servizio di ricognizione aerea,
il cui segnale di scoperta potrete anche direttamente intercettare».
Alle 6.17 Bande Nere e Colleoni stanno procedendo a 25 nodi a zig zag su rotta 73° (o 75°)
e si trovano a circa dodici miglia dal passaggio tra Creta e Cerigotto (a
nordovest di Creta: in pratica sono appena entrati in Mar Egeo; per altra
versione avrebbero imboccato il canale tra Creta e Cerigotto verso le sei del
mattino), quando le vedette del Bande
Nere avvistano di prua, a circa 18 miglia di distanza (per altra
fonte a dieci miglia, per altra 17 km), i profili di quattro navi, distese in
linea di fronte a circa mille metri l’una dall’altra, come lo schermo
esplorativo di una formazione di navi maggiori. Pur avendo negli occhi l’accecante
riverbero del sole (che è sorto proprio dietro le unità sconosciute), gli
equipaggi italiani riconoscono i nuovi arrivati per altrettanti
cacciatorpediniere britannici: sono infatti Hasty, Hero, Hyperion ed Ilex della 2nd Destroyer
Flotilla, che – terminato il rastrello antisom e diretti ora alla loro base –
si stanno anch’essi avvicinando al passaggio tra Creta e Cerigotto (Canale di
Cerigotto, dal quale distano in quel momento 6 miglia) provenendo da est-nord-est
(mentre la II Divisione proviene da ovest), con rotta per sudovest.
Alle 6.22 l’Hero, secondo cacciatorpediniere da
nord, avvista a sua volta le navi di Casardi e dà l’allarme: subito tutti i
cacciatorpediniere accostano per 60° (cioè a dritta) ed accelerano gradualmente
da 18 a 31 nodi, il massimo ottenibile, ritirandosi verso nordest
(ossia verso la posizione in cui sanno trovarsi il Sydney) inseguiti dagli incrociatori italiani, ed organizzandosi in
sezioni attorno all’Hyperion, come da
ordini precedentemente diramati. Alle 6.33 l’Hero riferisce al Sydney –
che si trova 40 miglia (per altra fonte 60) più a nord-nord-est, insieme all’Havock (non hanno trovato alcuna
nave da attaccare, e si stanno dirigendo verso il Golfo di Atene) –
l’avvistamento di due incrociatori nemici circa dieci miglia a sudovest della
propria posizione, su rilevamento 255°, diretti verso nord con rotta stimata
160°. Un minuto dopo, l’Hyperion invia
al Sydney una comunicazione
più dettagliata, indicando la propria rotta come 60° e quella delle navi
italiane – che intanto hanno virato a sinistra – come 360°, oltre a precisare
posizione (3 miglia per 340° dal faro dell’isolotto di Agria Gramvousa) e
velocità. L’incontro, in una delle poche circostanze del genere nella guerra
del Mediterraneo, è stato del tutto casuale: sull’Hyperion gli uomini hanno appena lasciato i posti di guardia
dell’alba, e si sta preparando la colazione, quando la vedetta dell’ala dritta
di plancia annuncia “Two cruisers on the starboard bow, sir” precisando poi
“and they’re Italian, too”. Suonati i campanelli d’allarme, i
cacciatorpediniere compiono subito una netta virata verso nordest issando le
bandiere di combattimento; Hyperion ed Ilex, i più vicini alle navi italiane, aprono
anche il fuoco durante la manovra (l’Hyperion con
i soli cannoni poppieri, al limite della gittata), ma con tiro troppo corto,
così che lo interrompono dopo poco.
(Secondo una fonte,
gli incrociatori di Casardi sarebbero stati avvistati dalla RAF il giorno
precedente, ma Collins non ne era stato informato. Nella storia ufficiale
dell’USMM e della Royal Australian Navy e nella maggior parte dei libri scritti
a riguardo, però, non si fa menzione di questo avvistamento, tanto da far
dubitare della sua veridicità).
Quando riceve la
comunicazione sulla situazione della 2nd Flotilla, il
comandante Collins del Sydney –
che si trova in quel momento a 40 miglia per 010° da Capo Spada (cioè
a nord di tale Capo) – assume subito rotta verso sud a tutta forza,
insieme all’Havock (a causa del
rollio, il Sydney non può superare i
32 nodi), per raggiungere i cacciatorpediniere di Nicolson il prima possibile.
Dapprima le due navi assumono rotta 240°, alle 6.36, ed un minuto dopo,
ricevuto il secondo segnale dell’Hyperion,
190°; successivamente modificano la rotta con varie accostate verso est/sudest
in base agli aggiornamenti sulla posizione del’Hyperion. Poco dopo il comando della Mediterranean Fleet, avendo
intercettato i messaggi inviati dai cacciatorpediniere, ordina che Sydney ed Havock si riuniscano agli altri quattro cacciatorpediniere,
per condurre un attacco congiunto. Collins, stando agli ordini che aveva
ricevuto (cercare ed attaccare traffico italiano), si dovrebbe trovare in
realtà circa 200 miglia più a nord di dove effettivamente è (per
altra fonte, dovrebbe trovarsi a 53 miglia per 010° da Capo Spada); si è
portato lì di sua iniziativa, temendo di trovarsi altrimenti troppo lontano dai
cacciatorpediniere della 2nd Flotilla in caso di attacco da
parte di unità nemiche (i suoi ordini sono sia di fornire appoggio alle unità
di Nicolson, sia compiere il rastrello antinave nel Golfo di Atene: il
comandante australiano ha giudicato i due compiti incompatibili, ed ha deciso
di regolarsi in modo da assolvere al meglio il primo), ed ha visto giusto. Grazie
a questa iniziativa del comandante Collins, Sydney
ed Havock saranno in grado di
giungere in aiuto dei cacciatorpediniere almeno mezz’ora prima che se avessero
seguito alla lettera le istruzioni ricevute.
Sul Sydney l’equipaggio, consumata
rapidamente la colazione, si prepara alla battaglia; alle 7.15 verrà ordinato
il posto di combattimento. La foschia ed il sole mattutino rendono difficile
l’avvistamento a lunghe distanze.
Da parte italiana si è
completamente all’oscuro della presenza in zona di queste altre due navi, e si
continua a restarne all’oscuro, perché Collins mantiene il silenzio radio per
tutto il tempo, proprio per giungere loro addosso di sorpresa (ma al contempo
ascolta le comunicazioni radio dei cacciatorpediniere, che lo aggiornano
sull’evolversi della situazione).
Intanto la II
Divisione, portata la velocità a 30 nodi, si spiega sulla sinistra (assumendo
rotta 360°) per poter puntare tutti i cannoni, ed alle 6.27 apre il fuoco,
da 17.400 metri, sui due cacciatorpediniere più a sinistra (i più vicini),
cioè Ilex ed Hyperion. Gli incrociatori assumono una
rotta verso nord, leggermente divergente da quella dei cacciatorpediniere (che è
verso nordest), il che impedisce alle distanze di diminuire; ciò viene spiegato
con il sospetto, da parte di Casardi, che i cacciatorpediniere siano lo schermo
avanzato di una formazione più pesante, ma di fatto impedisce alla II Divisione
di sfruttare la sua superiorità in armamento e (almeno teoricamente) velocità
per infliggere gravi danni alla 2nd Destroyer Flotilla. Nel
loro inseguimento dei cacciatorpediniere, le navi di Casardi incontrano mare
mosso e forte vento.
Alle 6.32 i
cacciatorpediniere rispondono al fuoco; Casardi tiene le sue navi ad una
distanza tale da restare al di fuori della portata dei cannoni da 120
mm delle unità nemiche (cioè 15.550 metri, contro i 28.350 teorici,
ma 24.600 reali, dei pezzi da 152 degli incrociatori di Casardi), oltre che per
evitare attacchi siluranti. Pezzi di tale calibro non dovrebbero, normalmente,
impensierire un incrociatore, ma la pochezza della corazzatura delle prime due
classi del tipo “Condottieri” rende invece Bande Nere e Colleoni
vulnerabili anche ai tiro dei pezzi da 120, se colpiti. Il problema derivante
da questa decisione, come detto, è l’impossibilità, tirando a distanze tanto
elevate, di mettere un sol colpo a segno sulle navi britanniche.
Il tiro dei
cacciatorpediniere del comandante Nicolson appare centrato, ma corto di 700-800
metri; quello delle navi dell’ammiraglio Casardi, molto disperso (“corto e
irregolare”, secondo una fonte britannica). Un marinaio di uno dei
cacciatorpediniere britannici ricorderà in seguito che durante tale fase
dell’azione le navi della 2nd Flotilla non potevano far altro che
cercare di distanziare alla massima velocità possibile (31 nodi raggiunti alle 6.35,
secondo la maggior parte delle fonti; altra fonte parla di 35 nodi) le unità
avversarie, evitando i colpi che frequentemente risultavano sparati alla giusta
distanza, ma sempre disallineati dai bersagli (azimut errato), che non
riuscivano così mai a colpire (ciò è dovuto anche al fatto che i “Da Barbiano”
erano delle piattaforme d’artiglieria piuttosto mediocri, soggetti con mare
mosso – come appunto in quello scontro – a forte rollio, che disturba
seriamente il tiro). Guardare le salve da 152 che esplodono tra le navi,
sollevando “spruzzi verdi, gialli e rossi”, è per quegli equipaggi uno
“spiacevole passatempo”. Alle 6.40 l’Hyperion,
stimando che le navi italiane abbiano accostato per 170° e distino 11 miglia,
ordina a tutti i cacciatorpediniere di cessare il fuoco, essendo gli
incrociatori ormai fuori tiro.
La distanza tra le
opposte formazioni, a causa della maggior velocità dei cacciatorpediniere e
delle rotte divergenti, va gradualmente aumentando, anziché diminuire. Alle 6.43,
secondo Casardi, la 2nd Flotilla cessa il tiro e lancia i
propri siluri da 18.000 metri, per poi coprirsi con cortine nebbiogene
che, assieme alla foschia naturale del mattino ed alla luce del sole (che si
sta alzando su rilevamento 070°, ed ha un’elevazione di 11) che acceca i
puntatori italiani (che devono sparare col sole in faccia), permettono loro di
allontanarsi indenni verso nordest, passando a proravia delle navi di Casardi.
Queste ultime cessano il fuoco alle 6.48 (in quel momento esse si trovano a
sudest di Cerigotto, mentre i cacciatorpediniere sono a nord di Capo Spada),
essendo i bersagli ormai occultati dalla foschia naturale e dalla nebbia
artificiale, e due minuti dopo accelerano a 32 nodi (di più non è possibile
fare, anche a causa del rollio causato dal mare non calmissimo) e compiono una
netta accostata ad un tempo sulla dritta (per 60°, verso sudest) nel tentativo
di ridurre le distanze, che sono aumentate fino a 24.000 metri, troppi
anche per i pezzi da 152 di Bande Nere
e Colleoni (le rotte dei due
gruppi risultano infatti leggermente divergenti, mentre dopo questa manovra divengono
leggermente convergenti).
Il lancio dei siluri
da parte delle navi di Nicolson, ed il successivo avvistamento di due dei
siluri, passati molto lontani sulla dritta degli incrociatori, è però solo il
frutto di un’illusione ottica da parte italiana: la 2nd Flotilla
non esegue in realtà alcun lancio di siluri in questa fase, non potendo fare
altro che manovrare per evitare le salve tirate dalle navi italiane. L’emissione
di fumo, invece, c’è stata davvero. Nella loro fuga, intorno alle sette i
cacciatorpediniere passano a otto miglia da un vecchio mercantile greco: il suo
equipaggio, temendo di essere coinvolto nella battaglia e forse attaccato per
errore, ferma la nave e l’abbandona su una lancia.
Frattanto, alle 6.47
le navi di Nicolson hanno virato per 360° per tentare di riconoscere la classe
degli incrociatori italiani (che in quel momento si trovano a 14 miglia di
distanza su rilevamento 270°, diretti verso nord), ma alle 6.53, vedendo le
navi di Casardi manovrare per ridurre le distanze, tornano su rotta 60°. Alle
6.57 Casardi ordina di virare ancora, stavolta verso est, mentre Nicolson ha
virato verso nordest quattro minuti prima, nel tentativo di avvicinarsi al
sopraggiungente Sydney che
ancora non si vede, e di attirare verso di esso le navi italiane. Questa
manovra, mantenendo ancora una rotta divergente, continua ad impedire agli
incrociatori italiani di ridurre le distanze, il che consentirebbe invece loro
una maggior precisione del tiro. Ormai i cacciatorpediniere britannici sono
praticamente spariti nelle cortine fumogene, e gli incrociatori italiani, pur
continuando ad inseguirli a 32 nodi, non riescono a ristabilire il contatto
balistico.
Il fuoco viene aperto
solo saltuariamente, ogniqualvolta qualche cacciatorpediniere appare
fugacemente tra nebbia artificiale e foschia naturale, prima di sparire
nuovamente; alle 6.58 i cacciatorpediniere ridiventano visibili, a 23.000
metri, e viene nuovamente aperto il fuoco contro di loro, ma ormai la distanza
– in aggiunta alla sfavorevole posizione rispetto al sole – è tale da rendere
vano il tiro (che da parte avversaria viene valutato sia corto che irregolare),
ed alle 7.05, dopo poche salve, viene cessato il fuoco. Alle 7.03 Casardi ordina
di virare a sinistra (verso est), con rotta pressoché analoga a quella di
Nicolson: ora la rotta non è più divergente, e le distanze iniziano a calare;
ma intanto i cacciatorpediniere sono passati di prora agli incrociatori, e si
trovano ormai fuori tiro. Alle 7.21 la velocità della II Divisione viene
nuovamente ridotta a 30 nodi, ed un minuto dopo l’ammiraglio Casardi chiede via
radio ad Egeomil di inviare dei bombardieri, indicando la propria posizione e comunicando
di essere «in contatto balistico con quattro cacciatorpediniere che fuggono
verso est»: ma l’Aeronautica – le basi aeree di Rodi distano circa un’ora di
volo dal luogo della battaglia – non si farà vedere fino a dopo la fine della
battaglia (quando anzi i suoi attacchi, che danneggeranno con una bomba il
cacciatorpediniere Havock intento
nelle operazioni di soccorso, provocheranno l’abbandono in mare di parecchi
naufraghi italiani). Alle 7.25 viene nuovamente aperto il fuoco, giudicato dai
britannici come “molto corto ed irregolare”.
Intanto la 2nd Flotilla
ha più volte cambiato rotta: 030° alle 7.04 (quattro minuti dopo che aver
ricevuto dal comandante in capo l’ordine di riunirsi al Sydney), 060° alle 7.06 (un minuto dopo
aver comunicato al Sydney che
la II Divisione è in quel momento a 17 miglia per 265° dai
cacciatorpediniere, con rotta 090°), 040° alle 7.14 e 030° alle 7.21.
Nel mentre, il Sydney ha assunto rotta 150° alle
7, 160° alle 7.15 e 120° alle 7.20. Secondo una fonte, in questa fase
l’ammiraglio Casardi, ritenendo pericoloso il progressivo spostamento verso
nord delle sue navi, ordina di accostare per 60°, obbligando le navi nemiche a
tornare sulla rotta precedente.
Alle 7.30, mentre la
II Divisione sta navigando a 30 nodi verso nordest con rotta leggermente
convergente a quella dei cacciatorpediniere, che si sono intanto distanziati
verso nord (per una versione, sono scomparsi nella foschia), il Bande Nere vede diverse salve di medio
calibro, provenienti da nord/nordest (cioè da sinistra, sul lato opposto
rispetto ai cacciatorpediniere), cadere sulla sua sinistra, a poca distanza. La
II Divisione è stata colta completamente di sorpresa: le cannonate provengono
da una zona coperta da bassa e densa foschia, l’arrivo del nemico è annunciato
dalle sue cannonate che già cadono nelle immediate vicinanze degli incrociatori
di Casardi. Dalle navi italiane si vedono le vampe dei cannoni, ma non si riesce
a vedere quali siano le navi da cui proviene quel tiro, essendo nascoste da un
banco di densa foschia («Si scorgevano soltanto le vampe degli spari, ma non si
distinguevano le sagome delle navi né il numero di queste», scriverà Casardi): si
tratta del Sydney, che alle 7.20
ha avvistato del fumo all’orizzonte ed alle 7.26 ha avvistato gli incrociatori
italiani alle 7.26 verso sud (a 21.000 metri per 188°, cioè a 20° al
traverso a dritta), con rotta stimata 090° (est-nord-est), ed ha aperto il
fuoco tre minuti più tardi, da 18.000 metri di distanza (12.000 per
altra fonte). Al contempo, Collins ha rotto il silenzio radio per inviare un
segnale di scoperta a Nicolson ed al suo superiore, ammiraglio Cunningham. La
nave australiana ha rotta sudest, rapidamente convergente con quella di Bande Nere e Colleoni, rispetto ai quali si trova al traverso a sinistra.
Il tiro del Sydney, diretto dapprima contro il Bande Nere (nave di testa della
formazione italiana), è rapido e da subito ben centrato sulle due unità di
Casardi; da parte loro, queste rispondono al fuoco immediatamente (alle 7.31)
con tutti i cannoni, ma senza poter telemetrare, regolando il tiro sulle vampe
che avvistano sulla foschia: non riescono ad osservare la caduta delle salve. Un
minuto più tardi, alle 7.32, Bande Nere
e Colleoni accostano a un tempo di
90° a dritta (ripiegando verso sudest, su rotta parallela al Sydney; altra fonte parla di
un’accostata per 150°, mentre da parte britannica si apprezzò che le navi
italiane avessero accostato di circa 40°, assumendo rotta 115°) per evitare di
ridurre velocemente le distanze, trovandosi però così a poter impiegare solo le
torri poppiere, sparando verso dritta.
Mentre da parte
italiana non si riesce ancora a vedere le unità avversarie, il Sydney vede bene gli incrociatori
di Casardi, contro i quali spara continuamente salve di sei-otto colpi
da 152 mm. Il primo ad essere colpito, alle 7.30 (relazione del servizio
Genio Navale; le 7.35 per altra fonte), è il Bande Nere, raggiunto sul lato sinistro da un proiettile da 152 che
lo colpisce all’altezza della prima sovrastruttura circostante la cassa a fumo
caldaie prodiere. Il proiettile perfora il montante (gamba) di sinistra dell’albero
quadripode, aprendo uno squarcio di cinque metri per quattro, e poi prosegue
nella sua corsa passando da parte a parte, in successione, la cassa nafta di
servizio delle cucine sottufficiali ed equipaggio e la cassa a fumo della
caldaia numero 1; infine perfora il fumaiolo prodiero, aprendo uno squarcio di
sei metri per cinque e contorcendo e schiodando le lamiere. Impattando contro
le lamiere del fumaiolo, il proiettile esplode, sfogando la gran parte degli
effetti dirompenti all’esterno del fumaiolo, schiodando e contorcendo
l’osteriggio della lavanderia e schiodando le lamiere delle mastre, che però
non vengono danneggiate. L’esplosione del colpo produce danni e squarci nella
zona antistante. (Per altra versione, il colpo del Sydney passa da parte a parte il fumaiolo prodiero ed esplode presso
la porta poppiera dell’aviorimessa, o nell’aviorimessa, o contro gli apparati
della catapulta poppiera). Nel complesso, i danni cauati da questo colpo non
sono gravi; si devono però lamentare, tra l’equipaggio, quattro morti ed
altrettanti feriti. Il colpo a segno viene notato dal Sydney, che concentra il suo fuoco sul Bande Nere, ma senza ottenere altri centri. (Secondo una fonte
britannica, in questa fase la foschia sarebbe andata dissolvendosi; la medesima
fonte parla però ancora di foschia in seguito, nella fase conclusiva della
battaglia, durante l’inseguimento del Bande
Nere da parte del Sydney).
Nel frattempo le
salve italiane dirette sul Sydney,
dapprima corte, divengono lunghe, e di tanto in tanto qualche salva “occasionale”
inquadra anche l’incrociatore australiano (per una fonte, diverse salve
italiane inquadrano il Sydney, ma
senza colpirlo). Casardi scriverà nel rapporto che il rollio causato dal forte
vento di nordovest rende molto difficile il puntamento (da parte britannica si
parla invece di tempo calmo ed ideale per l’azione), ma per contro è proprio Collins
a ritenere invece che il tiro italiano sia piuttosto accurato, sebbene ad un
ritmo di tiro troppo lento. Il Sydney spara
invece con cadenza di tiro molto superiore: l’incrociatore australiano sparerà
da solo 956 colpi da 152 mm, ed in tutto più di 1300 proiettili di tutti i
calibri, in due ore di azione, mentre Bande
Nere e Colleoni spareranno
tra tutt’e due soltanto 500 colpi in tre ore, includendo anche la fase precedente
all’arrivo del Sydney. Il ritmo
di fuoco della nave australiana è tanto intenso che i suoi cannoni si scaldano
fino a far staccare la vernice, ed i bossoli dei proiettili espulsi dai cannoni
sono anch’essi surriscaldati al punto da essere troppo caldi per essere
toccati; dato che da essi cola tritolo in stato semiliquido, si decide di
gettarli fuori bordo. Dato che il Sydney
usa quasi esclusivamente le torri prodiere, quando le riserve di queste ultime
iniziano a diminuire considerevolmente, dai depositi munizioni poppieri vengono
prelevati degli altri proiettili che vengono poi portati a mano a prua.
Alle 7.36 (o 7.38) la
flottiglia cacciatorpediniere di Nicolson – dopo essere precedentemente passata
da rotta 020° a 240° e poi 260° – inverte la rotta di 180°, portandosi su rotta
sudovest (cioè 170°), e manovra per portarsi in posizione favorevole a tentare
un attacco silurante, aprendo al contempo il fuoco coi cannoni alla massima
distanza contro l’incrociatore più a sinistra (ma cessando il tiro dopo cinque
minuti, essendo questo troppo corto). In quel momento, gli incrociatori di
Casardi distano 15.900 metri dalle unità della 2nd Destroyer
Flotilla, e stanno dirigendo verso sudest ad alta velocità emettendo denso fumo
nero. Solo a questo punto i cacciatorpediniere vengono avvistati dal Sydney (verso sudest, a circa sei miglia
di distanza), che distacca poi l’Havock per
unirsi a loro, ed alle 7.41 ordina a Nicolson di avvicinarsi ed attaccare con i
siluri.
Per cercare di
migliorare la propria situazione (dato che le salve nemiche continuano a cadere
vicine, mentre da parte italiana non si riesce ancora a vedere l’avversario), o
piuttosto peggiorare quella del nemico e così “pareggiare”, l’ammiraglio
Casardi ordina di emettere per quattro minuti una cortina nebbiogena: il
provvedimento si rivela efficace, e la precisione del tiro del Sydney va rapidamente calando
(quando il fumo si è diradato, la distanza è salita a 19.200 metri). Smesso di
far nebbia (per altra fonte, Casardi ordina di cessare l’emissione di fumo alle
7.46, quando la distanza è salita a tal punto da rendere molto impreciso il
tiro britannico), il Bande Nere compie
una decisa accostata di 90° a dritta (verso sudovest) ed alle 7.40 il Colleoni gli si accoda. Questa
virata vanifica l’intento di Nicolson di compiere un attacco silurante, almeno
per il momento; il comandante britannico porta allora le sue navi su rotta 215°
e le dispone in linea di rilevamento su 350°, e si sviluppa un inseguimento
alla massima velocità, 32 nodi. La manovra del Sydney (alle 7.45 accosta anch’esso per 215°), per continuare
a seguire le navi italiane, lo porta a trovarsi in una sorta di “linea di
fronte” con i suoi cacciatorpediniere (per altra versione, questi ultimi si
accodano al Sydney).
Alle 7.46 la
formazione italiana accosta di nuovo, per 215° (cioè verso sudovest), e le navi
nemiche – distanti 19.000 metri – risultano infine visibili tra la
foschia: viene però commesso un notevole errore di riconoscimento, dato che
l’una viene correttamente riconosciuta quale incrociatore “classe Sydney”, ma l’altra – l’Havock, un cacciatorpediniere – viene
scambiata per un ben più grande incrociatore leggero “classe Gloucester”, dalla
sagoma molto differente. Non risulta ancora possibile telemetrare le unità
avversarie. Alle 7.48, dato che il Bande
Nere risulta troppo nascosto dal fumo (l’ammiraglia di Casardi, dopo
il colpo che ne ha danneggiato il fumaiolo prodiero, emette fumo irregolarmente,
e questo la rende meno visibile), il Sydney –
che al contempo ha correttamente identificato gli incrociatori come “classe Colleoni”
– sposta il tiro sul Colleoni,
che impegna con le torri prodiere da 17.000 metri; anche i
cacciatorpediniere si aggiungono con il loro tiro, ma soltanto per un paio di
minuti (almeno fino alle 8, la distanza rimarrà troppo elevata per la gittata
dei loro cannoni da 120 mm).
L’ammiraglio Casardi
sa che il principale vantaggio delle sue navi è rappresentato dalla loro velocità,
e, non ritenendo di poter manovrare liberamente nel tratto di mare in cui si
trova (e temendo che le unità avversarie possano sfruttare la loro superiorità
numerica, e le caratteristiche del bacino in cui si sta svolgendo lo scontro –
così intrappolando le sue navi tra sé stesse e la costa cretese –, per
impedirgli la ritirata qualora le cose si dovessero mettere al peggio), manovra
per attirare la formazione britannica in acque libere. A questo scopo alle
7.46, invece che dirigere su Lero per ritirarsi a tutta forza in quella
direzione, Casardi ordina un’altra netta accostata di 50° a dritta (dirigendo
verso sud), con schieramento approssimativamente parallelo a quello britannico,
in modo da rilevarlo nei settori di massima offesa e da combattere in posizione
avanzata, idonea anche all’eventuale impiego dei siluri. (Per una fonte, le
navi di Casardi non riescono a “seminare” il Sydney, a dispetto della loro maggiore velocità, perché la via di
fuga più diretta sarebbe verso sud, mentre Casardi, per non restare intrappolato
tra le navi nemiche e la costa di Creta, ha scelto una rotta verso
sud/sudovest, il che permette al Sydney
di ridurre le distanze. Altra fonte afferma che, dato che Creta preclude alla
II Divisione la ritirata verso sud, Casardi deve scegliere se dirigere verso
est, raggiungendo Lero con un ampio giro, oppure verso sudovest, verso il mare
aperto, così da poter sfruttare la velocità per seminare gli inseguitori. Nel
primo caso, le navi di Casardi dovrebbero effettuare una stretta virata, che
permetterebbe alle unità nemiche di avvicinarsi di molto, aumentando
l’accuratezza del proprio tiro; nel secondo caso, invece, si riuscirebbe a
mantenere le distanze, dunque vi sarebbe minor probabilità di essere colpiti. Inoltre
Casardi sa che verso ovest, da dove proviene, non ci sono altre navi nemiche,
mentre non ha idea di cosa ci possa essere più ad est; tutto ciò lo porta, alle
otto, ad ordinare di virare a sudovest).
Alle 7.50 Casardi
ordina di accostare a sinistra per ridurre l’efficacia del tiro avversario (il Sydney fa subito lo stesso, così
portando in punteria tutti i pezzi da 152), e per lo stesso motivo ordina
invece un’accostata a dritta, di sedici gradi, alle 7.53. Secondo il rapporto
britannico, la distanza tra inseguiti e inseguitori va lentamente aumentando,
grazie alla maggiore velocità degli incrociatori italiani (circa 30 nodi; una
fonte afferma che il Sydney avrebbe
raggiunto la velocità massima di 32,5 nodi durante l’inseguimento, ma la
maggior parte indica invece una velocità di circa 30 nodi da parte della nave
australiana). I cacciatorpediniere di Nicolson accelerano fino ad una velocità
di 32 nodi nel tentativo di serrare le distanze, ma queste rimangono costanti
fino alle 8.18, quando quella del Colleoni
inizierà a calare.
Alle 7.53 la II
Divisione accosta a dritta per dirigere su Capo Spada (Creta), e poi accosta
ancora per doppiare tale Capo, assumendo rotta 230° (verso sudovest). Queste
manovre sono coperte con cortine fumogene. Il Sydney, però, vira a sua volta, dapprima verso sudest e poi verso
sud-sudovest, assumendo rotta parallela alla loro.
Solo alle 8.01 risulta
possibile telemetrare adeguatamente le unità avversarie, così che Bande Nere e Colleoni possono nuovamente aprire
il fuoco con tutte le torri. (Fino ad allora, mentre ambedue le formazioni
effettuavano ripetute accostate per variare le distanze o portare almeno
momentaneamente in campo tutte le artiglierie, le navi di Casardi hanno sparato
solo ad intermittenza, mentre il Sydney ha
eseguito un tiro continuo, prendendo di mira ora il Bande Nere, ora il Colleoni).
Alle 8.02 il Sydney, che insegue
la II Divisione da circa dieci miglia di distanza (“scartando” di tanto in
tanto per tirare qualche bordata con tutte le torri), torna a sparare
contro il Bande Nere, da 19.200
metri di distanza; poi, dalle 8.08 (dato che il Bande Nere è nuovamente occultato dal fumo), dirige il tiro – delle
sole torri prodiere – nuovamente contro il Colleoni, distante ora non più di 17.000 metri su
rilevamento 210°.
Nel frattempo, però,
i quattro cacciatorpediniere della 2nd Flotilla (disposti in
linea di rilevamento) hanno accostato verso ovest per riunirsi al Sydney, rispetto al quale sono più
arretrati, ed alle 8.10 (7.49 per altra fonte) aprono il fuoco a loro volta,
sparando in tre riprese, ogni volta della durata di alcuni minuti; poco dopo si
unisce a loro anche l’Havock, che ha
lasciato il Sydney. La II
Divisione, che dispone di 16 pezzi da 152 mm, si viene così a trovare
sotto il tiro di un totale di 8 pezzi da 152 e 20 pezzi da 120 (anche se il
tiro dei cacciatorpediniere risulta, per il momento, ancora corto): come
accennato sopra, anche questi ultimi, se portati entro sufficiente distanza di
tiro, sono in grado di danneggiare navi così poco corazzate come i “Da Barbiano”.
Dato anche che il Bande Nere è
spesso oscurato da cortine fumogene, il principale bersaglio del tiro
britannico è il Colleoni, anche
perché quest’ultimo è più vicino, essendo la nave di coda.
Alle 8.15 il Sydney accosta di 35° a dritta, in
modo da mettere in punteria tutte e quattro le torri; cinque minuti dopo le
vedette italiane avvistano l’isoletta di Agria Gramvousa davanti a loro: ciò
significa che hanno superato Capo Spada, ma sono troppo a sud per poter
doppiare Capo Busa (estremità nordoccidentale di Creta) e devono quindi virare
un altro po’ più verso dritta per portarsi in acque aperte. La manovra,
intanto, ha fatto scendere le distanze tra gli incrociatori italiani e quello
australiano a 16.000 metri.
Il mare vivo da maestrale fa rollare tutte le navi,
ostacolando la punteria da ambo le parti, ma il tiro sia italiano che
britannico rimane intenso e serrato. Le unità della II Divisione, sparando con
tutte le torri ed eseguendo ripetute accostate per disturbare il tiro
avversario, giungono quasi al traverso di Capo Kimaros, cinque miglia oltre
Capo Spada. Essendo le distanze in calo, il tiro italiano diviene via via più
preciso (“piuttosto accurato” secondo il rapporto britannico), ed alle 8.21 il
tiro delle navi della II Divisione ottiene l’unico centro italiano (contro
cinque da parte del Sydney, due
sul Bande Nere e tre
sul Colleoni) di tutto lo
scontro: un proiettile da 152 mm passa da parte a parte il fumaiolo
prodiero del Sydney, aprendo uno
squarcio quadrangolare di circa 90 cm di lato, danneggiando lievemente
tre imbarcazioni ed alcune attrezzature e ferendo leggermente il marinaio D.
Thompson, ma senza comunque causare danni seri. Questo colpo a segno è
usualmente attribuito al tiro del Bande
Nere (si è così avuto un curioso ‘scambio di colpi’ sui rispettivi
fumaioli).
Alle 8.23 il Colleoni viene colpito da un proiettile
che mette fuori uso il timone, rendendo la nave ingovernabile, e subito dopo da
altri due, che danneggiano il torrione e l’apparato motore. Nel giro di un
minuto, il Colleoni si ritrova così
immobilizzato e gravemente danneggiato, con numerosi morti e feriti tra i
quali, in modo grave, anche il suo comandante. Alle 8.24 la nave danneggiata
segnala avaria di macchine al Bande Nere;
quest’ultimo, rimasto solo contro sei navi nemiche, accosta subito verso sud (dopo
aver compiuto in giro intorno all’immobilizzato Colleoni, secondo le fonti britanniche, ma ciò non risulta da
quelle italiane, e fu probabilmente frutto di un’impressione errata; una fonte
afferma che il Bande Nere avrebbe
accostato verso sud alle 8.50) per cercare di disimpegnarsi alla massima
velocità possibile, passando tra Pondiconisi e Creta. Frattanto, alle 8.40,
appare sulla scena della battaglia un idrovolante italiano IMAM Ro. 44 (uno dei
due decollati da Lero alle 6.20 ed alle 6.50), che potrà soltanto constatare la
situazione (le unità britanniche stanno recuperando i naufraghi del Colleoni, mentre il Bande Nere si ritira verso sudest inseguito dal Sydney e da due cacciatorpediniere) e
riferire alla base di Lero.
Una foto scattata dal Bande Nere durante la battaglia di Capo Spada, in secondo piano il Colleoni (g.c. Carlo Di Nitto) |
Alle 8.38 il Sydney, insieme ad Hasty ed Hero, cessa il
tiro contro il Colleoni e si pone
all’inseguimento del Bande Nere,
mentre gli altri cacciatorpediniere britannici si concentrano sull’incrociatore
immobilizzato per finirlo. Colpito dai loro siluri, il Colleoni affonderà alle 8.59 a 6,4 miglia da Capo Spada, portando
con sé 121 dei 646 uomini del suo equipaggio. Casardi, che assiste alla tragica
scena dalla plancia del Bande Nere,
così la descriverà nel suo rapporto, in toni forse un po’ retorici: «Per alcuni minuti (…) le unità nemiche concentrano il tiro su di
esso [il Colleoni], ad eccezione di un incrociatore [sic] che ha continuato a sparare sul BANDE NERE.
Dalla plancia ammiraglio osservo gli ultimi gloriosi istanti dell’incrociatore.
In brevi momenti lo si vede circondato dalle colonne d’acqua delle salve. Non
si scorge nessuno in coperta; la sua estrema eroica volontà di combattere si
manifesta nel ritmico implacabile succedersi delle sue bordate. Ma l’imparità
della lotta è in breve dolorosamente evidente: un’esplosione ha luogo nella
parte prodiera della nave per probabile scoppio delle munizioni dei depositi
prodieri. Immediatamente dopo, due altissime colonne d’acqua sul fianco della
nave morente indicano che i siluri dei Ct nemici, ormai vicini alla preda,
hanno colpito. Una grande nuvola di fumo nero-biancastro, e la gloriosa unità
immersa sin quasi all’altezza della coperta, sbandandosi sul lato sinistro,
scompare…».
Il Bande Nere, intanto, continua la sua
ritirata, inseguito e cannoneggiato, da Sydney,
Hasty ed Hero; doppiato Capo Spada ed aggirata la costa settentrionale di
Agria Gramvousa, l’incrociatore dirige a tutta forza verso sudovest, passa al
traverso di Capo Kimaros, poi accosta verso sud, dirigendo verso l’isolotto di
Pondiconisi, rispondendo al fuoco con le torri poppiere, in tiro autonomo. Il Sydney spara con le torri prodiere, non
riuscendo a portare in punteria anche quelle poppiere, che sono state ruotate
al massimo. Alle 8.45 il Bande Nere,
passato tra Pondiconisi e la costa cretese, assume rotta 192°; la distanza dal Sydney è di 18.300 metri. Circa cinque
minuti dopo, diverse salve da 120 e 152 mm cadono nelle immediate vicinanze
dell’incrociatore italiano.
Alle 8.50 il Bande Nere viene colpito di nuovo, da un
proiettile da 152 (secondo la maggior parte delle fonti ed anche la relazione
del servizio Genio Navale) o da 120 mm (secondo una fonte, sparato dall’Hyperion; ma a quanto risulta questa
unità stava in quel momento recuperando i naufraghi del Colleoni), che perfora il ponte di poppa (la coperta del castello).
Il colpo raggiunge il Bande Nere tra
le ordinate 177 e 178, producendo un foro ovale di 30 cm per 22 e rompendo il
baglio del castello, dopo di che fora il termotank (apparecchio per la
fornitura di acqua fresca potabile), spezza il baglio di coperta sull’ordinata
181, lacerando le lamiere del ponte e producendo un foro di 80 cm per 25,
perfora una condotta d’aria, asporta un rinforzo longitudinale intercostale fra
le ordinate 180 e 182 ed infine esplode contro la paratia divisoria fra la zona
1 e la zona 2, rompendo tre montanti della paratia ed asportando una porta. Lo
scoppio del proiettile apre nella paratia una “lacerazione” di 110 cm per 80,
provocando tutt’intorno danni da schegge (una delle quali esce dal bagnasciuga
tra le ordinate 184 e 185). Anche in questo caso, il danno non è grave, ma
quattro uomini perdono la vita, e dodici sono feriti.
Più o meno
contemporaneamente, il malfunzionamento di una valvola di sicurezza costringe a
spegnere una caldaia, che si è surriscaldata (alcune fonti attribuiscono lo
spegnimento della caldaia al colpo a segno, ma questo non è quello che risulta
dalla relazione del Genio Navale né da quella dell’ammiraglio Casardi),
riducendo la potenza a circa 80.000 HP; la velocità cala ben presto a 29 nodi
(e ben presto «si nota una sensibile diminuzione della distanza»), ma dopo
circa dieci minuti, sebbene propulso da solo cinque caldaie in luogo di sei
(altra fonte dice invece che la velocità aumentò di nuovo “dopo opportune
riparazioni”), il Bande Nere riesce
nuovamente a raggiungere i 30 nodi di velocità, ed alle 9.16 – sempre con sole
cinque caldaie in funzione – vengono toccati i 32 nodi. Questa velocità, che
conferma le notevoli prestazioni che le macchine del Bande Nere riescono ancora raggiungere dopo nove anni di servizio,
è superiore di un paio di nodi a quella massima raggiunta dal Sydney, ed è probabilmente proprio
questo a salvare il Bande Nere dalla
sorte toccata al Colleoni. Al
contempo, anche le salve sparate dalle torri poppiere dell’incrociatore
appaiono ben centrate, grazie alla migliorata visibilità che permette di
telemetrare a dovere (questo secondo fonti italiane, mentre una fonte britannica
parla invece di tiro “sporadico ed inaccurato” in questa fase, mentre un’altra
dice che “il Bande Nere continuava a
sparare con i suoi cannoni poppieri, i cui colpi cadevano continuamente a 300
iarde dalla poppa del Sydney”). Alle
8.52 l’ammiraglio Casardi invia a Supermarina una richiesta di aiuto via radio,
chiedendo l’intervento dei bombardieri.
Il Sydney, per parte sua, ha cessato il
fuoco alle 8.50, dato che ormai le munizioni scarseggiano, e ricomincia a
sparare contro il Bande Nere alle
8.58, quando la distanza è calata a 18.300 metri. Già alle 9.11 la nave
australiana cessa nuovamente il fuoco; intanto, alle 8.55, Collins ha ribadito
a Nicolson di sbrigarsi a finire il Colleoni,
e di unirsi poi a lui con i rimanenti cacciatorpediniere per proseguire
l’inseguimento. Le distanze non accennano a diminuire, ed anzi cominciano a
crescere rapidamente (calate ad un certo punto fino a meno di 16.000 metri,
sono risalite a 19.000), rendendo un “sorpasso” sempre più improbabile; con
l’aumento della distanza, la visibilità del bersaglio e l’osservazione della
caduta delle salve risultano sempre più vaghe. Alle 9.22 il Sydney spara le ultime due salve da
19.200 metri, ma non ha modo di osservarne la caduta; l’atmosfera densa di
foschia ed il fumo emesso dal Bande Nere
rendono ormai la visuale sempre più precaria. Poco dopo la nave italiana (la
cui rotta e velocità sono apprezzate dai britannici in 200° e 32 nodi),
distante ormai undici miglia, scompare nella foschia. Hasty ed Hero sorpassano
il Sydney e cercano di proseguire
l’inseguimento, avanzando a 31 nodi e sparando ad intervalli delle salve con i
cannoni nella speranza che le frequenti accostate del Bande Nere riducano le distanze a sufficienza da portarlo a tiro;
ma tutti i colpi sparati cadono corti. Alle 9.20 l’Hero comunica al Sydney “Mi
dispiace, ma non lo sto raggiungendo”, ed alle 9.28 il Sydney ordina ad Hero ed Hasty di tornare indietro per formare
uno schermo ravvicinato attorno all’incrociatore australiano. Poco prima
Collins ha comunicato ai suoi superiori “One cruiser sunk. Ammunition
practically gone”.
Alle 9.26 (orario
italiano), subito dopo l’arrivo di una salva ben centrata del Bande Nere, il Sydney (che si trova all’estremità destra dello schieramento
britannico) viene visto accostare bruscamente a destra, cessando di fare fuoco.
In poco tempo la distanza sale a 19.000 metri, e tutte le navi nemiche cessano
il fuoco e rompono il contatto; ciò induce l’ammiraglio Casardi a ritenere
erroneamente di aver messo a segno sul Sydney,
che ha correttamente identificato come “nave ammiraglia” nemica (anche se in
realtà non ha a bordo un ammiraglio), un colpo che ne abbia fermato le
macchine, costringendola a desistere (Casardi aggiunge anche: «certo è che il Bande Nere ha continuato a sparare
quando ormai l’avversario taceva»).
In realtà, la rottura
del contatto da parte del Sydney è avvenuta
perché le distanze vanno aumentando, e le munizioni sono quasi finite: nelle
torri prodiere gli restano soltanto dieci colpi da 152 di tipo semi-perforante
(un po’ di più del tipo ad alto esplosivo, che però viene usato poco nelle
azioni antinave), cioè quattro colpi per cannone nella torre A, ed un solo
colpo per cannone nella torre B. Alle 9.37 (orario britannico), pertanto, il Sydney accosta sulla dritta ed abbandona
l’inseguimento, allontanandosi seguito da Hasty
ed Hero. Le tre navi assumono rotta
150°, per Alessandria, e riducono la velocità a 25 nodi, per permettere ad Ilex ed Hyperion di raggiungerli; l’ultima nave a perdere di vista il Bande Nere è l’Hero, che alle 9.44 vede sparire lentamente una macchia
all’orizzonte, su rilevamento 177°, a 15 miglia di distanza. Da parte italiana,
si vede il Sydney iniziare a scadere
alle 9.30, per poi allontanarsi.
Il Bande Nere, arrivato quasi al traverso
di Gaudo (che dista una quarantina di miglia), fa rotta per Tobruk a 32 nodi
per circa un’ora, finché alle 10.15, quando le navi nemiche sono scomparse
all’orizzonte e Casardi è certo di essere fuori vista (accorgimento che si
rivelerà provvidenziale), accosta per Bengasi. Poco dopo le 13 il Bande Nere riceve un messaggio radio
inviato da Supermarina alle 12.25, nel quale si avverte che due ricognitori
della Cirenaica hanno avvistato incrociatori e cacciatorpediniere britannici
usciti da Alessandria e diretti verso ovest. Anche per questo Casardi decide di
dirigere su Bengasi, in modo da scongiurare la possibilità di incontrare tali
forze navali.
Giunto a Bengasi alle
otto di sera, il Bande Nere si
ormeggia all’estremità del molo interno, e sbarca immediatamente i feriti, che
vengono ricoverati a bordo della nave ospedale California, ormeggiata anch’essa a Bengasi.
Il comandante in capo
della Mediterranean Fleet, ammiraglio Cunningham, prende intanto il mare da
Alessandria con un’aliquota della sua flotta, nella speranza di riuscire ad intercettare
il Bande Nere, che si presume essere
diretto a Tobruk: l’ultima volta che è stato visto dai britannici, infatti
– alle 10 del mattino, prima di sparire
definitivamente all’orizzonte –, il Bande
Nere si trovava 40 miglia ad ovest di Gaudo ed aveva rotta 170°, cioè verso
Tobruk. Da parte britannica non si sa che la nave ha poi accostato per Bengasi;
l’uscita in mare del grosso della Mediterranean Fleet viene inoltre decisa
nell’ipotesi che la presenza della II Divisione nelle acque dell’Egeo possa
essere un preludio di movimenti di altre e più consistenti forze navali
italiane (come è stato riferito da alcuni naufraghi del Colleoni, che hanno detto che la loro nave ed il Bande Nere dovevano incontrarsi con
altre navi maggiori).
Alle 9.15 salpano dunque
da Alessandria gli incrociatori leggeri Orion
e Neptune, che fanno rotta verso
Tobruk a 30 nodi nella speranza che i danni inflitti dal Sydney abbiano rallentato il Bande
Nere abbastanza da permetter loro di raggiungerlo (in base alle ultime
informazioni disponibili, Orion e Neptune devono percorrere 260 miglia per
raggiungere Tobruk, contro le 200 del Bande
Nere); alle 11 prende il mare la corazzata Warspite (nave ammiraglia di Cunningham) con relativa scorta di
cacciatorpediniere, ed alle 12.30 salpano le corazzate Malaya e Ramillies e la
portaerei Eagle, nonché altri
cacciatorpediniere: praticamente tutta la Mediterranean Fleet tranne la vecchia
e lenta corazzata Royal Sovereign.
Tutte queste unità compiono un rastrello verso ovest, in cerca del Bande Nere; ma in realtà, l’incrociatore
ha fatto rotta per Bengasi, troppo ad ovest per poter essere intercettato dalle
navi britanniche, che infatti non lo trovano. Le navi britanniche vengono
avvistate da due ricognitori italiani decollati dalle basi della Cirenaica, i
quali, come detto più sopra, lo comunicano a Marina Tobruk, che lo riferisce a
Supermarina, che a sua volta informa il Bande
Nere alle 12.25. Dato che gli aerei non parlano dell’avvistamento di
corazzate, ma soltanto di incrociatori e cacciatorpediniere, sembra probabile
che avessero incontrato il primo gruppo uscito da Alessandria, con Orion e Neptune.
Alle 21, dato che per
tutto il pomeriggio non sono giunte altre notizie sul Bande Nere, Cunningham dà l’ordine a tutte le sue unità di
rientrare ad Alessandria, dove giungeranno il giorno seguente.
Sempre nella presunzione
che l’incrociatore italiano si sia rifugiato a Tobruk, rinforzata anche dal
mancato ritorno di un idroricognitore della Warspite
inviato a controllare quel porto (catapultato dalla Warspite alle 17, l’aereo è stato abbattuto dalle batterie contraeree
di Tobruk, ed il suo equipaggio fatto prigioniero), Cunningham chiede alla RAF
di lanciare contro quel porto un attacco di bombardieri Bristol Blenheim
(dodici, del 55th e 201st Squadron della Royal Air Force)
e qualche ora dopo ordina un attacco di aerosiluranti Fairey Swordfish (otto,
del 824th Squadron della Fleet Air Arm), appartenenti al gruppo di
volo dell’Eagle ma decollati dalle basi egiziane. L’attacco dei Blenheim è
infruttuoso; non trovandovi il Bande Nere,
gli Swordfish attaccheranno le altre navi presenti in porto, affondandovi i
cacciatorpediniere Nembo e Ostro ed il piroscafo Sereno.
Durante la battaglia
di Capo Spada il Bande Nere ha anche
perso il suo idrovolante da ricognizione, un IMAM Ro. 43 contrassegnato 212 MM.
27121, sfasciatosi a causa dal tiro della nave.
Vi è stato chi ha
sostenuto che l’incontro tra la II Divisione e le navi britanniche non sarebbe
avvenuto per caso, ed a supporto di tale supposizione è stato portato il che a
comandare il Bande Nere, nello
scontro di Capo Spada, fosse il capitano di vascello Francesco Maugeri,
additato nel dopoguerra, da elementi perlopiù postfascisti come Antonio
Trizzino (che cercavano nel "tradimento" dei capi militari, in
special modo della Marina, una scusa per la sconfitta dell’Italia nella guerra)
come un probabile "traditore" per via di quanto scritto nel suo libro
di memorie "From the ashes of disgrace" (nel quale sosteneva, forse
più che altro per opportunismo politico nel nuovo clima postbellico – il libro,
peraltro, era destinato al pubblico anglosassone –, di essere giunto nel
1942-1943 a ritenere che la sconfitta militare sarebbe stata necessaria, ed
anche auspicabile, per la liberazione dell’Italia) e per una decorazione
conferitagli nel 1948 dagli Stati Uniti (la Legione
al Merito) "Per la condotta eccezionalmente meritoria nell'esecuzione di
altissimi servizi resi al governo degli Stati Uniti come capo dello spionaggio
navale italiano" (tale motivazione si riferiva, con ogni probabilità,
all’attività svolta da Maugeri dopo l’armistizio, quando aveva costituito nella
Roma occupata dai tedeschi un "Servizio Informazioni Clandestino"
che, operando con grande rischio, raccoglieva informazioni poi trasmesse agli
Alleati con radio clandestine: ma naturalmente i sostenitori della tesi del
"tradimento" colsero l’occasione per sostenere che invece i
"servizi" in questione si riferissero ad una intelligenza
pre-armistiziale con gli Alleati, mai dimostrata). In realtà, la presenza di
Maugeri sul Bande Nere sembra
piuttosto una conferma che tradimento non ci fu, per lo meno non da parte sua:
difficile credere che sarebbe stato così stupido da agevolare
l'intercettazione, da parte nemica, della propria nave, scatenando un
combattimento nel quale era possibilissimo restare ucciso. Durante la battaglia,
come si è visto, il Bande Nere venne
colpito anch'esso dal tiro nemico, con danni e vittime tra l'equipaggio, e
nulla avrebbe impedito ad uno dei colpi nemici di centrare la plancia invece di
altre parti della nave uccidendo lo stesso Maugeri: se così non avvenne, ciò fu
dovuto soltanto al caso.
Peraltro si può aggiungere che tutto lo svolgimento dell'azione di Capo Spada è
assai poco compatibile con un'intercettazione pre-organizzata dai britannici –
in generale, quando la Royal Navy intercettò formazioni navali italiane perché
disponeva informazioni su di esse, lo fece nottetempo e a colpo sicuro, con
un'unica formazione che attaccò a sorpresa e nel luogo e momento più favorevole
ai britannici. Invece i cacciatorpediniere britannici al largo di Creta furono
sorpresi dall'arrivo degli incrociatori italiani, e corsero un grosso rischio:
sarebbe stato tutt'altro che impossibile che qualcuno di essi venisse colpito
dal tiro italiano prima dell'arrivo del Sydney. Ed a proposito di quest’ultimo, sarebbe stato sommamente
imprudente, se si fossero voluti intercettare due incrociatori italiani,
inviare contro di essi una forza navale che comprendeva un solo incrociatore.
La dinamica della battaglia, insomma, non sembra proprio quella di un'imboscata
preparata in precedenza.
Qualche chiosa sul
“caso Maugeri”. Chi – ancora oggi – accusa questo ufficiale di tradimento, si
compiace di citare ad nauseam le
parole «la condotta eccezionalmente meritoria nell'esecuzione di altissimi
servizi resi al governo degli Stati Uniti» contenute nella citazione del
conferimento della Legione al Merito,
dando ad intendere che una simile formulazione “confermi” che il conferimento
fu motivato dal “tradimento” di Maugeri: e in ciò mostra la propria crassa
ignoranza, giacché queste parole non sono specificamente riferite a Maugeri ma
costituiscono invece una formula “standardizzata”, ripetuta con poche
variazioni – quasi prestampata, si potrebbe dire – in tutte le citazioni della Legion of Merit, come può agevolmente
controllare chiunque andando a cercare i testi delle citazioni dei conferimenti
di detta decorazione ad altri destinatari della Legion of Merit.
Infine, bisogna
precisare che le accuse rivolte a Maugeri riguardano generalmente più il
periodo da questi trascorso come capo del Servizio Informazioni Segrete (il
servizio segreto della Marina), dal 1941 in poi, che non quello al comando del Bande Nere. Giova ricordare che Maugeri,
in qualità di capo del SIS, era tra i pochi ufficiali della Marina ad essere
posti al corrente di tutte le operazioni in corso, anche quelle coperte da
massimo riserbo come gli attacchi della X Flottiglia MAS: se davvero fosse
stato un traditore, sarebbe bastata una sua parola per mandare in fumo, ad
esempio, l’impresa di Alessandria, uno dei più duri colpi subiti dalla
Mediterranean Fleet in tutta la guerra. Non risulta che ciò sia accaduto…
21 luglio 1940
Ormeggiatosi a fianco
della California, il Bande Nere trasferisce su di essa i
corpi degli otto uomini rimasti uccisi durante la battaglia: cinque appartenevano
all’equipaggio, mentre gli altri trefacevano parte del personale della Regia
Aeronautica addetto agli idrovolanti da ricognizione.
I loro nomi:
Alvaro Barbucci, sergente radiotelegrafista
A.A. (Regia Aeronautica), da Lucca
Gaetano Capuano, sergente motorista A. A.
(Regia Aeronautica), da Napoli
Vittoriano Crovetto, maresciallo pilota di
terza classe (Regia Aeronautica), da Busalla
Carlo Luca, marinaio fuochista (Regia Marina),
da Savona
Renato Rossi, sottocapo cannoniere puntatore
scelto (Regia Marina), da Castel S. Nicolò
Edgardo Scigliano, secondo capo meccanico
(Regia Marina), da Palermo
Antonio Simeone, allievo fuochista M.A. (Regia
Marina), da Calvizzano
Giuseppe Taibi, marinaio furiere (Regia
Marina), da Altofonte
Il Bande Nere, salutato alla voce
dall’equipaggio della California, lascia Bengasi alle 9.15 (o 9.30) scortato
dalla torpediniera Centauro, per
trasferirsi a Tripoli. Nel corso del tragitto, ironia della sorte, la nave
scorta si ritrova a diventare quella che di scorta ha bisogno: la Centauro, infatti, subisce un’avaria al
timone ed il Bande Nere deve girarle
intorno seguendo varie rotte di protezione, fino a che il guasto non è stato
riparato.
22 luglio 1940
Bande Nere e Centauro arrivano a
Tripoli alle 18.52 (le 2.30 per altra fonte) ed iniziano subito a rifornirsi.
Il mattino seguente il Bande Nere
viene sottoposto ad una verifica completa di carena, eliche, timoni, kingston e
prese a mare, eseguita dal sergente palombaro Francesco Romanelli; questi
provvede inoltre a turare alcune piccole falle con cunei di legno d’abete.
25 luglio 1940
Lascia Tripoli per
trasferirsi a La Spezia, ma tre ore più tardi gli viene ordinato di tornare a
Tripoli. Qui si ormeggia al Molo Sottoflutto (dove già si trovava prima),
restandovi fino a fine mese.
31 luglio 1940
Il Bande Nere lascia Tripoli alle 12.10
diretto a La Spezia, dove dovrà ricevere le riparazioni per i danni subiti
nella battaglia di Capo Spada. Alle 20 apre il fuoco contro un ricognitore
nemico avvicinatosi a 12.000 metri, sparando tre salve con i pezzi da 100 mm.
I comandi britannici
apprendono della partenza (presumibilmente tramite la ricognizione aerea) ed
alle 21.57 comunicano al sommergibile Parthian
(capitano di corvetta Richard Douglas Cayley), che ha appena iniziato il viaggio
per rientrare ad Alessandria al termine di una missione nelle acque a levante
della Sicilia, che un incrociatore italiano dovrebbe passare al largo di Capo
Passero con rotta nord. Il Parthian
inverte allora la rotta e pattuglia la zona fino all’alba, ma non riesce a
trovare il Bande Nere, pertanto
ritorna ad Alessandria.
2 agosto 1940
Arriva a La Spezia
alle 10.15.
4 agosto 1940
Durante il mattino il
Bande Nere entra in Arsenale a La
Spezia; i lavori di riparazione si protrarranno fino al 29 agosto.
21 agosto 1940
Esce dal bacino di
carenaggio.
29 agosto 1940
Terminate le
riparazioni, il Bande Nere esce
dall’Arsenale di La Spezia e si ormeggia agli scali, dove vengono eseguiti
alcuni altri lavori di minore entità, che saranno conclusi il 5 settembre.
Contestualmente, il
25 agosto la II Divisione, ridottasi al solo Bande Nere dopo la perdita del Colleoni,
viene sciolta; il Bande Nere viene
assegnato invece alla IV Divisione (per altra fonte, probabilmente erronea, il
passaggio dalla II alla IV Divisione avvenne il 9 dicembre 1940), e ne diviene
la nave ammiraglia, sostituendo in tale ruolo l’Alberico Da Barbiano, passato in riserva per un periodo di lavori.
Il 25 agosto l’ammiraglio Casardi ed il suo stato maggiore sbarcano pertanto
dal Bande Nere, mentre quattro giorni
dopo prendono imbarco sull’incrociatore l’ammiraglio di divisione Alberto
Marenco di Moriondo, comandante della IV Divisione, ed il suo capo di Stato
Maggiore, capitano di fregata Franco Baslini.
Il Bande Nere in navigazione (foto Aldo Fraccaroli-USMM) |
6 settembre 1940
Completati anche gli
ultimi lavori, il Bande Nere esce da
La Spezia per svolgere prove di macchina.
18 settembre 1940
Altra uscita da La
Spezia, stavolta per esercitazioni di tiro.
28 settembre 1940
Altra breve uscita da
La Spezia, nella quale il Bande Nere
esegue alcune serie di tiri.
16 ottobre 1940
Il Bande Nere lascia La Spezia a
mezzogiorno per trasferirsi a Napoli.
Nella stessa data, la
IV Divisione passa alle dirette dipendenze di Supermarina, cessando di far
parte della 2a Squadra Navale.
17 ottobre 1940
Arriva a Napoli alle
9.
19 ottobre 1940
Lascia Napoli alle 7
per trasferirsi a Palermo, dove arriva alle 17.15.
28 ottobre 1940
In coincidenza con l’invasione
della Grecia, la IV Divisione (Bande Nere,
Alberto Di Giussano ed Armando Diaz) lascia Palermo alle 15 per
trasferirsi a Valona, in previsione di un suo impiego in appoggio al previsto
sbarco a Corfù.
Tale operazione
dovrebbe essere svolta dalla Forza Navale Speciale, al comando dell’ammiraglio
di squadra Vittorio Tur, formata dai vecchi incrociatori leggeri Bari e Taranto, dai cacciatorpediniere Mirabello e Riboty,
dalle vecchie torpediniere Bassini, Fabrizi e Medici e dalle torpediniere Altair, Antares, Andromeda ed Aretusa, oltre che alle navi
cisterna/da sbarco Tirso, Sesia e Garigliano. La forza di sbarco consiste nella 47a
Divisione di fanteria "Bari" ed in un battaglione del Reggimento "San
Marco" della Marina, da sbarcare in quattro punti dell’isola all’alba del
giorno previsto.
Gli ordini
d’operazione per l’assalto contro Corfù sono stati diramati il 22 (Supermarina,
ordine generale di operazione) e 26 ottobre (Forza Navale Speciale, ordine più
particolareggiato), ed in quest’ultimo giorno è stata disposta la sospensione
di tutte le partenze dai porti nel Basso Adriatico a sud di Manfredonia, tranne
che per le navi di Maritrafalba; lo sbarco è pianificato per il 28 ottobre, in
contemporanea con l’inizio delle operazioni terrestri contro la Grecia, ma il
maltempo (mare in tempesta) costringe a rimandare l’operazione dapprima al 30 e
poi al 31 ottobre (anche perché i comandi militari, ritenendo che l’occupazione
della Grecia dovrebbe avvenire in tempi rapidi, considerano di scarsa utilità
un’invasione di Corfù dal mare).
Intanto, verso le 21 del
28 Bande Nere, Di Giussano e Diaz
attraversano lo stretto di Messina, poi proseguono senza che si verifichino
eventi degni di nota.
29 ottobre 1940
Bande Nere, Di Giussano e Diaz arrivano nella rada di Valona nel
pomeriggio, in condizioni meteomarine pessime (vento teso e mare agitato).
Il 31 Supermarina
dirama l’ordine esecutivo per lo sbarco a Corfù, da effettuarsi il 2 novembre,
ma nel frattempo la situazione rivelata dai primi giorni di combattimento in
Grecia, con operazioni che vanno molto più a rilento del previsto e si rivelano
molto più difficili a causa del maltempo, delle interruzioni nella rete
stradale e dell’accanita resistenza greca, indurrà Mussolini a rinunciare
all’operazione contro Corfù, inviando invece la Divisione "Bari" in
Albania come rinforzo.
1° novembre 1940
Alle 18, dato che il
maltempo non accenna a diminuire, Diaz e Di Giussano non possono più restare
ormeggiati, pertanto lasciano Valona e si rifugiano nella rada di Ducati. Il Bande Nere intenderebbe fare
altrettanto, ma ne è impossibilitato da un’avaria alle caldaie; il Comando
della IV Divisione si trasferisce temporaneamente sul Di Giussano.
Lo stesso giorno, sempre
a causa del maltempo e delle pessime condizioni del mare, lo sbarco a Corfù
viene rimandato a data da definirsi (sarà poi annullato del tutto),
perciò Diaz e Da Barbiano lasciano Valona diretti
ad Augusta. Il Bande Nere rimane
invece a Valona.
2 novembre 1940
Arriva a Valona la XV
Squadriglia Cacciatorpediniere «Pigafetta» con a bordo l’ammiraglio Alberto Da Zara,
che si trasferisce sul Bande Nere e
vi alza la sua insegna.
4 novembre 1940
Alle 8.45 Bande Nere, XV Squadriglia
Cacciatorpediniere e XII Squadriglia Torpediniere, formando un unico gruppo al
comando dell’ammiraglio Da Zara, lasciano Valona per trasferirsi a Brindisi.
7 novembre 1940
Il gruppo Bande Nere-XV Squadriglia Ct-XII Squadriglia
Tp viene sciolto; di conseguenza, l’ammiraglio Da Zara sbarca dal Bande Nere.
12 novembre 1940
Il Bande Nere lascia Brindisi per portarsi
a Palermo, dove si sono trasferiti gli altri incrociatori della IV Divisione (Di Giussano e Diaz, da Augusta), in seguito all’attacco aerosilurante britannico
contro la base di Taranto (si è infatti deciso di spostare temporaneamente le
navi maggiori – in attesa di potenziare le difese antiaeree delle basi
principali – in porti dove l’aerosiluramento risulti più difficile).
13 novembre 1940
Arriva a Palermo.
14 novembre 1940
Il Bande Nere torna ad essere nave
ammiraglia della IV Divisione: trasborda su di esso, infatti, il Comando di
Divisione.
La IV Divisione
rimane ferma a Palermo per un mese, tenendosi costantemente pronta a muovere in
sei ore, ma senza mai uscire in mare. Nel corso di questo periodo Palermo viene
ripetutamente attaccata da aerei britannici; ogni volta, le navi della IV
Divisione effettuano tiro di sbarramento con il loro armamento contraereo.
25 novembre 1940
In serata,
Supermarina ordina alla IV Divisione di prepararsi a partire in tre ore, in
seguito alla segnalazione della partenza da Gibilterra, alle 8.25 di quel
giorno, di consistenti forze navali britanniche (incrociatore da battaglia Renown, portaerei Ark Royal, quattro incrociatori leggeri e otto cacciatorpediniere)
diretta verso est, ed al successivo avvistamento (alle 11.30), da parte di un
aereo civile della linea Italia-Libia, dell’avvistamento di una formazione di
dieci navi da guerra nemiche, tra cui una portaerei e probabilmente una
corazzata, a circa 150 miglia per 110° da Malta, con rotta 330°. È infatti in
corso l’operazione britannica "Collar", l’invio a Malta di un
convoglio di rifornimenti con la scorta ravvicinata di forze leggere e la
protezione a distanza della Forza H di Gibilterra.
26 novembre 1940
Alle 13.40
Supermarina ordina che la IV Divisione si tenga pronta a prendere il mare
all’alba del 27 (l’ordine viene impartito separatamente rispetto a quelli
destinati alla 1a e 2a Squadra Navale, dato che la IV
Divisione non fa parte di esse, ma è invece alle dirette dipendenze di
Supermarina). Le due squadre navali prenderanno il mare nelle ore successive
per contrastare l’operazione britannica, dando luogo all’inconclusiva battaglia
di Capo Teulada, mentre la IV Divisione rimarrà in porto (probabilmente perché
i suoi incrociatori, i più anziani e meno protetti tra quelli costruiti nel
dopoguerra, non sono più giudicati idonei per l’impiego di squadra con il resto
delle forze da battaglia).
27 novembre 1940
Il capitano di
vascello Maugeri, destinato al comando dell’incrociatore pesante Bolzano, lascia il comando del Bande Nere, che viene assunto dal
capitano di vascello Roberto Carmel.
14 dicembre 1940
Bande Nere e Di Giussano lasciano
Palermo alle 11, scortati dai cacciatorpediniere Ascari e Granatiere (per
protezione contro i sommergibili), per fornire scorta indiretta (si teme
infatti un possibile attacco di navi di superficie britanniche) ad un convoglio
veloce diretto a Tripoli, composto dai trasporti truppe Esperia, Conte Rosso e Marco Polo con la scorta diretta della
XIV Squadriglia Cacciatorpediniere (capitano di vascello Giovanni Galati;
cacciatorpediniere Vivaldi, Da Noli, Tarigo e Malocello,
usciti da Palermo alle 10.15 del 14 per rimpiazzare le torpediniere Cascino e Cosenz che hanno scortato il convoglio nel tratto iniziale
Napoli-Palermo).
Il convoglio, partito
da Napoli alle 2 del 13 dicembre, arriverà a Tripoli alle 15 del 15.
16 dicembre 1940
Completata la
missione con l’arrivo a destinazione del convoglio, la IV Divisione, senza
entrare a Tripoli, dirige per rientrare a Palermo, dove arriva alle 12.45.
Due
particolari del Bande Nere: l’idroricognitore
sulla sua catapulta (da www.world-war.co.uk)
e le torri prodiere da 152 mm (da www.regiamarinaitaliana.forumgratis.org)
8 gennaio 1941
Bande Nere e Di Giussano compiono
una breve uscita da Palermo per esercitazioni di tiro e di attacco simulato da
parte di aerosiluranti, tornando in porto alle 15.30.
9 gennaio 1941
In seguito ad una
serie di avvistamenti aerei di forze navali britanniche nel Mediterraneo
centrale (si tratta dell’operazione britannica «Excess», l’invio a Malta di un
convoglio di rifornimenti), Supermarina ordina alle 13.10 alla IV Divisione di
mettee a disposizione di Marina Messina la sua squadriglia cacciatorpediniere,
la XIV, per l’impiego in appoggio alle torpediniere ed ai MAS che dovranno
attaccare le forze britanniche nel Canale di Sicilia ed al largo di
Pantelleria. Più tardi, Supermarina ordina alla IV Divisione di trasferirsi
subito da Palermo a Napoli, tenendosi poi pronta a muovere.
Bande Nere e Di Giussano lasciano
pertanto Palermo alle 20.30, per trasferirsi a Napoli.
10 gennaio 1941
I due incrociatori
arrivano a Napoli alle sei del mattino e vengono qui sottoposti ad alcuni
lavori di ridotta entità, che si protrarranno per una settimana. Durante questo
periodo Napoli viene bombardata varie volte da aerei britannici, e gli
incrociatori reagiscono con tiro di sbarramento da parte delle proprie armi.
13 gennaio 1941
Il grande
transatlantico Lombardia, ormeggiato nel porto di Napoli accanto del Bande Nere, rompe gli ormeggi a causa di
un improvviso groppo di vento e va ad urtare il Bande Nere, danneggiando l’idrovolante sulla catapulta.
17 gennaio 1941
Il capitano di
vascello Carmel, comandante del Bande
Nere, sbarca per malattia e viene temporaneamente sostituito dal capitano
di vascello Mario Azzi, già comandante del Da
Barbiano che si trova ai lavori.
5 febbraio 1941
Il Bande Nere salpa da Napoli alle 23.45
diretto a Palermo.
6 febbraio 1941
Il Bande Nere (con a bordo l’ammiraglio
Alberto Marenco di Moriondo) arriva a Palermo alle 10.30 e riparte a
mezzogiorno, per assumere la scorta di un convoglio veloce (trasporti truppe Conte Rosso, Marco Polo, Esperia e Calitea; capoconvoglio contrammiraglio
Luigi Aiello) partito da Napoli alle 18.30 del 5 e diretto a Tripoli con truppe
della 132a Divisione Corazzata "Ariete": originariamente
scortato dai cacciatorpediniere Freccia,
Saetta e Luca Tarigo, il convoglio si è poi ritrovato senza scorta perché il
mare troppo avverso ha costretto i cacciatorpediniere a riparare a Palermo. Il Bande Nere viene dunque inviato ad assumerne
la scorta, in sostituzione dei cacciatorpediniere. Da Trapani prende in mare
anche un altro cacciatorpediniere, il Luca
Tarigo, per unirsi al Bande Nere
nella scorta del convoglio, ma anch’esso si rivela non in grado di tenere il
mare e deve tornare indietro.
Il Bande Nere raggiunge il convoglio alle
17, al largo di Marettimo, e si posiziona a poppavia dei primi tre trasporti, i
più veloci (Conte Rosso, Esperia e Marco Polo), mentre lascia di poppa la Calitea, più lenta.
7 febbraio 1941
Arrivati in vista di
Tripoli in serata, il Bande Nere
lascia il convoglio (che entra indenne in porto poco dopo, tra le 17 e le 20)
e rientra a Palermo, scortando al
contempo la motonave Calino (partita
da Tripoli alle 17.30 e diretta a Palermo). Le condizioni meteomarine
continuano a peggiorare, tanto che il Bande
Nere deve ridurre di parecchio la propria velocità.
8 febbraio 1941
Alle 11.36 Bande Nere e Calino passano al traverso del faro di Kuriat; alle 12.28, 13.24,
16.14, 16.23 e 17.10 vengono incontrati diversi convogli o navi isolate
italiane (nell’ordine, prima un convoglio di tre mercantili scortati
dall’incrociatore ausiliario Deffenu,
poi tre piroscafi isolati, ed infine i cacciatorpediniere Freccia, Saetta, Tarigo e Malocello) ed alle 23.45 le due navi passano al traverso di
Marettimo, seguendo una rotta che li tenga nelle acque più profonde della zona.
9 febbraio 1941
Arriva a Palermo alle
tre di notte (o 3.30).
Lo stesso giorno il
comandante del Bande Nere, capitano
di vascello Mario Azzi, viene avvicendato dal parigrado Sesto Sestini.
Metà febbraio 1941
Palermo subisce vari
bombardamenti aerei; il Bande Nere
reagisce con il suo armamento, unendosi alla contraerea di terra nel tiro di
sbarramento.
24 febbraio 1941
Alle 5.45 il Bande Nere (nave di bandiera del comandante
della IV Divisione Navale, ammiraglio di divisione Alberto Marenco di Moriondo)
lascia Palermo insieme all’incrociatore leggero Armando Diaz (capitano di vascello Francesco Mazzola) ed ai
cacciatorpediniere Ascari e Corazziere, per una missione di scorta a
distanza ai convogli che trasportano in Libia truppe e materiali dell’Afrika
Korps. Sono infatti in mare tre convogli diretti in Libia: uno (partito da
Napoli alle 19 del 23 facendo tappa a Palermo il 24, e diretto a Tripoli a 14
nodi) formato dalle motonavi tedesche Marburg, Reichenfels, Ankara e Kybfels, scortate
dai cacciatorpediniere Aviere, Geniere e Da Noli e dalla torpediniera Castore; un secondo (salpato da Napoli a mezzogiorno del 25)
composto dai trasporti tedeschi Leverkusen, Arcturus, Wachtfels ed Alikante e
dall’italiano Giulia, scortati
dal cacciatorpediniere Ugolino
Vivaldi e dalle torpediniere Procione, Orsa e Calliope; ed un convoglio veloce (partito da Napoli alle 20 del 24
febbraio) formato dai trasporti truppe Conte Rosso, Esperia, Marco Polo e Victoria, scortati dai
cacciatorpediniere Baleno e Camicia Nera e dalle
torpediniere Orione ed Aldebaran. Sono inoltre in mare anche i
piroscafi Arta, Nirvo e Giovinezza di ritorno da Tripoli (che avevano lasciato alle
5.30 del 24) con la scorta della torpediniera Generale Achille Papa, ed i piroscafi Santa Paola e Honor partiti
da Palermo il 25.
La IV Divisione ha
avuto ordine di portarsi nel Canale di Sicilia per proteggere, tra il 25 ed il
27 febbraio, i convogli «Esperia», «Marburg» e «Alikante» in navigazione da
Napoli a Tripoli, tenendosi pronta a qualsiasi evenienza. Supermarina vuole
così coprire l’intenso traffico tra Italia e Libia, e proteggere i convogli da
eventuali incursioni di navi di superficie provenienti da est; ma per la
verità, tale provvedimento risulta pressoché inutile, in quanto la ricognizione
aerea ha già mostrato che a Malta non ci sono navi di superficie britanniche,
dunque dall’isola non possono partire attacchi navali, e la possibilità di un
attacco a sorpresa da un incrociatore britannico proveniente da Alessandria
senza essere visto risulta quasi inesistente. Le uniche minacce concrete ai
convogli in mare sono costituite da aerei e sommergibili, e contro di essi gli
incrociatori non possono fare nulla per proteggere i mercantili, e rischiano
anzi di diventare a loro volta bersagli, come infatti accadrà. Scrive in
proposito la storia ufficiale dell’USMM: «La
Divisione BANDE NERE aveva pertanto solo una funzione genericamente protettiva;
si ha motivo di ritenere che la sua uscita sia stata ordinata unicamente per
soddisfare le richieste di alti Comandi estranei alla Marina; ma non appare
giustificata da un’effettiva esigenza bellica».
Alle 11.30 la IV
Divisione prende contatto con il convoglio «Marburg» (avente una velocità di 14
nodi) ed inizia il serizio di scorta; in base agli ordini, la Divisione deve
mantenersi a proravia del convoglio per fornirgli, durante la notte, scorta
ravvicinata.
Sino al tramonto la
IV Divisione si tiene tra gli 8.000 ed i 12.000 metri a proravia del convoglio
«Marburg», procedendo a zig zag, con Ascari e
Corazziere in posizione di scorta
ravvicinata (il Corazziere di prora
al Bande Nere, l’Ascari 45° sulla sinistra dello stesso incrociatore). Tramontato il
sole, i due incrociatori mantengono la velocità a 14,5 nodi sino alla boa n. 4
di Kerkennah.
Il Bande Nere entra in Mar Piccolo a Taranto (da www.italie1935-45.com) |
25 febbraio 1941
La notte è senza
luna, l’oscurità particolarmente profonda; ciò induce l’ammiraglio Marenco di
Moriondo, intorno alle due di notte, dopo aver scapolato la zona obbligata della
boa n. 4 di Kerkennah, ad interrompere lo zigzagamento ed a procedere con Bande Nere e Diaz in linea di fila, preceduti
dal Corazziere e seguiti
dall’Ascari, per eventuale reazione
antisommergibili e per fornire scorta agli incrociatori se la IV Divisione
dovesse eseguire marcate ed improvvise accostate. Alle 2.10 la formazione, passando
un miglio ad ovest della boa n. 4 di Kerkennah, assume rotta 180°, ed intorno
alle tre, per non allontanarsi dal convoglio, viene ridotta la velocità a 13,5
nodi, sempre mantenendo la linea di fila Corazziere-Bande Nere-Diaz-Ascari. Via via che
le navi procedono verso sud, in direzione di Zuara, la già scarsa visibilità va
progressivamente calando. Il mare è calmo, senza vento.
Alle 3.22 il
sommergibile britannico Upright (tenente
di vascello Edward Dudley Norman) avvista le navi da guerra italiane (identificate
come due incrociatori scortati da un cacciatorpediniere, tutti in linea di
fila) su rilevamento 315°, a circa due miglia e mezzo di distanza. L’Upright, restando in emersione, accelera
e descrive parzialmente un semicerchio, manovrando per avvicinarsi ed
attaccare. Il Corazziere e
l’Ascari procedono rispettamene
a proravia ed a poppavia dei due incrociatori, in linea di fila; il Diaz naviga nella scia del Bande Nere, ed al comandante dell’Upright (che ritiene sia la seconda
nave della fila) sembra la nave più grossa: perciò è contro di esso che, alle
3.40, l’Upright lancia quattro
siluri, immergendosi subito dopo. Nel buio della notte, né il Bande Nere né il Diaz avvistano le scie dei siluri od altra traccia del
sommergibile.
Alle 3.43, quando
il Diaz (che naviga nella scia
del Bande Nere, seguendolo a 600
metri di distanza) si trova a poche miglia dalla boa numero 4 delle secche
di Kerkennah, due dei siluri lo colpiscono sul lato dritto, nei pressi del
deposito munizioni prodiero, provocandone la devastante esplosione. Alle
detonazioni dei due siluri segue una fiammata sulla dritta e poi un’esplosione
molto più rovinosa, con una colossale fiammata generata dalla combustione delle
polveri. Nel giro di soli sei minuti il Diaz affonda di prua, fortemente sbandato sulla sinistra, in
posizione 34°33’ N e 11°45’ E (al largo di Sfax, a 20 miglia e mezzo per 190°
dalla boa n. 4 di Kerkennah), trascinando con sé i tre quarti dell’equipaggio.
Sul Bande Nere, che si trova esattamente di
prora al Diaz (la posizione viene
controllata dal capo di Stato Maggiore della IV Divisione, che si trova in
plancia ammiraglio rivolto proprio verso il Diaz),
vengono chiaramente avvertiti due scoppi e si vede una fiammata levarsi sulla
dritta del Diaz, seguita da una forte
esplosione con lancio di materiali incandescenti. Mentre il Bande Nere accelera ed accosta sulla
sinistra per allontanarsi, zigzagando, vengono visti da bordo dei focolai
d’incendio che illuminano un’alta colonna di fumo che sale dal Diaz; l’intensità dell’incendio varia
nei pochi minuti in cui esso dura, fino a quando l’incociatore non s’inabissa
alle 3.49. Un ufficiale del Bande Nere,
il sottotenente di vascello Stefano Baccarini, descriverà poi così la scena:
«Vi fu una prima esplosione, poi una seconda grande simile a un'alta fontana
luminosa, dalla quale si innalzarono rottami voluminosi. Il bagliore era simile
a quello prodotto dalla combustione delle polveri. Poi per quattro minuti è
rimasto ancora un fuoco di colore vivo, simile a una colata d' acciaio. Infine
è scomparso tutto».
Mentre Ascari e Corazziere contrattaccano e poi iniziano a recuperare i naufraghi
dal mare, il Bande Nere prosegue
nella scorta del convoglio, aumentando la velocità e zigzagando; si mantiene in
contatto radio coi cacciatorpediniere mediante gli apparati ad onde ultracorte
ed i radiosegnalatori. L’incrociatore conduce il convoglio attraverso i campi
minati; all’alba aerei della Luftwaffe attaccano un altro sommergibile nemico,
che si trova in agguato all’uscita degli sbarramenti.
Alle 8.44, intanto, Ascari e Corazziere, una volta appurato che non vi siano più naufraghi in
mare, rimettono in moto dirigendo verso nordovest, per ricongiungersi col Bande Nere.
Giunto il convoglio a
destinazione, le tre navi fanno rotta per Palermo (per altra versione, Bande Nere e Corazziere sarebbero rientrati a Palermo, mentre l’Ascari sarebbe proseguito con il
convoglio).
26 febbraio 1941
Corazziere, Ascari e Bande Nere giungono a Palermo, dove
vengono sbarcati i naufraghi.
Dell’equipaggio
del Diaz sono morti 464
uomini, su un totale di 605 imbarcati.
Il Bande Nere resterà a Palermo fino al 20
marzo.
21 marzo 1941
Il Bande Nere esce da Palermo per compiere
esercitazioni di tiro e di attacco simulato di aerosiluranti.
Al termine
dell’esercitazione torna in porto e si ormeggia al Molo Piave, dove resterà per
ben un mese, fino al 24 aprile.
16 aprile 1941
Secondo una fonte, in
questa data il Bande Nere sarebbe partito
da Palermo assieme ad altre unità per proteggere da eventuali attacchi nemici
le navi impegnate nei soccorsi dei naufraghi del convoglio "Tarigo",
distrutto la notte precedente da quattro cacciatorpediniere britannici (uno dei
quali, il Mohawk, è stato a sua volta
affondato) nelle acque delle secche di Kerkennah, al largo della Tunisia.
22 aprile 1941
Il Bande Nere (nave ammiraglia della IV
Divisione Navale, al comando dell’ammiraglio di divisione Guido Porzio
Giovanola) e l’incrociatore leggero Luigi
Cadorna, insieme ai cacciatorpediniere Maestrale
e Scirocco, prendono il mare poco
dopo la mezzanotte per rinforzare nel Canale di Sicilia la scorta del convoglio
«Arcturus», partito da Napoli alle 17 del 21 e diretto a Tripoli, formato dai
piroscafi tedeschi Arcturus, Leverkusen, Castellon e Wachtfels
(quest’ultimo partito da Palermo ed aggregatosi al convoglio in un secondo
momento) e dalla motonave italiana Giulia,
con la scorta diretta dei cacciatorpediniere Folgore (caposcorta), Turbine,
Saetta e Strale.
Il convoglio segue la
rotta di ponente, che passa al largo delle secche di Kerkennah (Tunisia);
l’uscita in mare della IV Divisione per scorta indiretta è stata decisa dopo
che la ricognizione aerea ha avvistato a Malta alcune unità leggere di
superficie.
23 aprile 1941
La IV Divisione si unisce
al convoglio «Arcturus» alle 17.44, nel Canale di Sicilia, al largo delle boe 3
e 4 delle Kerkennah (cioè ad est di quelle secche), dopo di che prosegue verso
Tripoli tenendosi di poppa al convoglio e seguendo rotte varie in modo da
mantenere una velocità maggiore di quella dei mercantili, ma senza allontanarsi
da essi. Al momento dell’incontro lo Scirocco
viene momentaneamente distaccato per contattare la scorta diretta ed accordarsi
sulle rotte da seguire durante la notte, prima che cali il buio.
Tramontato il sole,
la IV Divisione rimane nei settori poppieri del convoglio, seguendo rotte varie
inclinate rispetto alla direttrice di marcia. Qualche minuto dopo le 22 vengono
visti dei bagliori di proiettili contraerei in direzione di Tripoli, che sta
venendo bombardata da aerei nemici.
24 aprile 1941
Alle 00.44 vengono
chiaramente distinti dalla IV Divisione, in direzione 80° (verso est), dei
proiettili illuminanti e poi le codette luminose di proiettili sparati in una
vivace azione di tiro battente; dato che si distinguono i bagliori prodotti
dalle artiglierie, ma non le vampate, l’ammiraglio Porzio Giovanola ne deduce
che il combattimento che sta avendo luogo deve essere in corso ad almeno 30
miglia di distanza; giudica comunque che sia opportuno deviare dalla rotta e
dirigere verso ovest, in modo da allontanarsi dal potenziale pericolo. Il
convoglio fa lo stesso di propria iniziativa, così permettendo di evitare il
ricorso alla radio.
I bagliori visti
dalla IV Divisione costituiscono l’epitaffio dello sfortunato incrociatore
ausiliario Egeo. Durante la notte,
infatti, è partita da Malta la 14th Destroyer Flotilla
britannica (cacciatorpediniere Jervis, Janus, Jaguar e Juno),
proprio con lo scopo di intercettare il convoglio «Arcturus». I
cacciatorpediniere britannici non riescono a trovare il convoglio, ma verso le
00.40 incontrano invece l’Egeo, che
viene affondato dopo un impari combattimento. (La storia ufficiale dell’USMM
annota a riguardo, riconoscendo i limiti degli incrociatori tipo Da Barbiano e
quelli, più in generale, delle navi maggiori italiane nel combattimento
notturno: «Particolarmente inadatti ad un combattimento notturno a distanza
ravvicinata apparivano gli incrociatori tipo BANDE NERE che, completamente
privi di corazzatura, erano suscettibili di essere danneggiati seriamente anche
dai proiettili da 120 dei cacciatorpediniere tipo JERVIS o tipo TRIBAL (…) è difficile stabilire chi avrebbe avuto la
meglio se i JERVIS avessero
incontrato di notte i BANDE NERE»).
Sia il convoglio
«Arcturus» che la IV Divisione, frattanto, incrociano al largo di Ras
Turgoeness, del quale non si vede il faro (il che porta l’ammiraglio Porzio
Giovanola a ritenere che sia spento), seguendo rotte varie in attesa del
giorno, prima di procedere all’atterraggio; tutti si tengono pronti a reagire
ad eventuali attacchi.
Il convoglio arriva a
Tripoli alle 17. Durante tutto il viaggio, aerei della Regia Aeronautica e del
X Corpo Aereo Tedesco provvedono continuamente a sorvegliare i cieli del convoglio.
Come ordinato da
Supermarina, Bande Nere e Cadorna entrano a Tripoli e vi si trattengono
per alcune ore, aspettando di ripartire prima del tramonto alla volta di
Palermo.
Durante la
navigazione di ritorno, Supermarina comunica alla IV Divisione che nella zona
di Malta si trovano un incrociatore tipo Southampton e cinque
cacciatorpediniere; l’ammiraglio Porzio Giovanola ordina pertanto di
accelerare, in modo da ridurre la probabilità di incontrare tali forze durante
la notte, anche se rimane la possibilità di un incontro tra l’una e le tre di
notte del 25 aprile, nella zona tra Lampedusa e le Kerkennah. Durante la
navigazione gli uomini rimangono pertanto al posto di combattimento generale;
la vigilanza viene incrementata al massimo possibile e si tengono le armi
pronte ad un uso immediato.
Superata Lampedusa
senza aver avvistato nulla, l’ammiraglio Porzio Giovanola decide di imboccare
le rotte di ponente in modo da evitare di incontrare il nemico all’alba, sulle
rotte di atterraggio di Capo San Marco.
25 aprile 1941
La IV Divisione
arriva a Palermo alle 16.20. A conclusione del suo rapporto, l’ammiraglio
Porzio Giovanola scriverà: «Vista
l’impossibilità di impedire al nemico in ore diurne l’avvistamento nella zona
da Marettimo a Lampedusa dei convogli che si recano in Libia, e data la
facilità con la quale forze leggere appoggiate da incrociatori possono muovere
da Malta dopo il tramonto in tempo utile per intercettare le rotte
Kerkennah-Zuara, sembra doversi tenere presente l’opportunità che questo ultimo
tratto sia effettuato dai convogli in ore diurne con conveniente appoggio di
unità navali in grado di contrastare azioni di incrociatori nemici. Ad ogni
modo la precauzione di tenere la Divisione in appoggio a breve distanza dal
convoglio di poppa a questo, costringe la forza navale a mantenersi a modesta
velocità in zone molto insidiate. Si è creduto opportuno perciò di far seguire
alla Divisione rotte varie molto inclinate rispetto alla direttrice di marcia
per poter mantenere una velocità superiore a quella del convoglio senza
peraltro allontanarsene. L’esperienza ha dimostrato la particolare
vulnerabilità e possibilità di insidie delle rotte obbligate in prossimità
delle boe du Kerkennah e pertanto sarebbe opportuno provvedere al dragaggio di
dette rotte con dragamine normali e magnetici nonché con la vigilanza a.s.».
Altre due
foto del Bande Nere a Venezia (sopra:
ANMI di Reggio Calabria; sotto: foto Federico Baschetti, Venezia, via g.c.
Giorgio Micoli e www.naviearmatori.net)
8 maggio 1941
Bande Nere, Cadorna (IV
Divisione) e gli incrociatori leggeri Luigi
di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe
Garibaldi (VIII Divisione) salpano da Palermo dopo le 20 (o alle 20.45) con
la scorta dei cacciatorpediniere Bersagliere,
Fuciliere, Alpino, Maestrale e Scirocco, per eseguire una crociera di
vigilanza a nord della Sicilia settentrionale. È in corso l’operazione
britannica «Tiger» (iniziata il 6 maggio e conclusasi il 12), consistente
nell’invio da Gibilterra ad Alessandria di un convoglio di cinque piroscafi
veloci carichi di rifornimenti e rinforzi per le forze britanniche operanti in
Egitto (tra cui 238 carri armati e 43 aerei da caccia), e da Alessandria a
Malta di due convogli (uno veloce di quattro navi da carico, ed uno lento di
due navi cisterna) con rifornimenti per la guarnigione dell’isola (il primo è
scortato dagli incrociatori leggeri Dido,
Calcutta e Phoebe e da 4 cacciatorpediniere, il secondo dagli incrociatori
antiaerei Carlisle e Coventry, da 3 cacciatorpediniere e da 2
unità minori). Al contempo, la corazzata Queen
Elizabeth e tre incrociatori leggeri
(Naiad, Fiji e Gloucester, più 5
cacciatorpediniere) si trasferiscono da Gibilterra ad Alessandria per
rinforzare la Mediterranean Fleet, che esce in mare a copertura dell’operazione
(con le corazzate Warspite, Valiant e Barham, la portaerei Formidable
e 12 cacciatorpediniere), al pari della Forza H da Gibilterra (incrociatore da
battaglia Renown, portaerei Ark Royal, incrociatore Sheffield e 9 cacciatorpediniere).
Normalmente ai convogli con i rifornimenti per le truppe britanniche operanti
in Egitto viene fatta circumnavigare l’Africa, doppiando il Capo di Buona
Speranza e risalendo il Mar Rosso, rotta molto più lunga rispetto a quella di
Gibilterra e del Mediterraneo, ma anche molto meno a rischio di attacchi;
questa volta, però, i comandi britannici hanno deciso per un invio diretto di
rifornimenti attraverso il Mediterraneo a causa dell’estrema gravità della
situazione in Egitto, dove le truppe britanniche in ritirata dalla Cirenaica
(con la nuova offensiva italo-tedesca seguita all’arrivo del generale Rommel)
hanno perso la maggior parte dei loro mezzi corazzati, mentre anche le truppe
britanniche inviate in Grecia (caduta in aprile a seguito dell’intervento
tedesco) hanno perduto, nella loro frettolosa evacuazione verso l’Egitto, la
quasi totalità dei loro mezzi ed equipaggiamenti.
La reazione della
Marina italiana, pur messa sull’allarme dai molti avvistamenti aerei (alle
6.35, alle 7.20, alle 10.40 ed alle 16.20, però molto confusi ed incoerenti: ad
esempio, non si ha idea fino ad operazione compiuta del trasferimento da
Gibilterra ad Alessandria della Queen
Elizabeth), non si materializza: Supermarina, disponendo soltanto di due
corazzate in efficienza (Cesare e Doria; altre due, Duilio e Littorio, sono
in riaddestramento dopo il completamento dei lavori di riparazione dei danni
subiti nell’attacco di Taranto nel mese precedente, mentre la Vittorio Veneto è in riparazione per i
danni subiti nella battaglia di Capo Matapan), decide di non tentare di
intervenire contro una forza britannica che conta 5 tra corazzate ed
incrociatori da battaglia (3 da Alessandria e 2 da Gibilterra) più 2 portaerei,
giudicando il rapporto di forze troppo sfavorevole.
L’uscita da Palermo
della formazione che comprende il Bande
Nere è appunto l’unico provvedimento disposto da Supermarina in
concomitanza con l’operazione nemica, ordinato per l’eventualità che la flotta
britannica sia uscita in mare per lanciare un altro attacco di aerosiluranti
analogo a quello del novembre precedente contro Taranto. (Secondo il libro "Struggle
for the Midde Sea" di Vincent O’Hara, invece, l’uscita da Palermo della IV
e VIII Divisione con i relativi cacciatorpediniere sarebbe stata ordinata da
Supermarina allo scopo di tendere un’imboscata alla formazione britannica, che
si riteneva diretta proprio verso Palermo per bombardare quella città; il
maltempo impedì però il contatto, fortunatamente per le navi italiane, che si
sarebbero trovate in condizione di netta inferiorità). Lo stesso giorno, la IV
e VIII Divisione vengono avvistate e segnalate da aerei britannici a ponente di
Trapani, ma senza conseguenze.
Per ogni evenienza,
vengono approntate a Napoli le corazzate Cesare
e Doria ed a Taranto gli incrociatori
ivi presenti, ma nessuna di queste unità prenderà il mare. Il maltempo
impedisce l’impiego di MAS e torpediniere nel Canale di Sicilia, cui si è fatto
ricorso altre volte.
Il passaggio del
convoglio britannico sarà contrastato solo dagli aerei della Regia Aeronautica,
che nonostante ripetuti attacchi non riusciranno ad affondare alcuna nave, a
causa sia del tempo fosco con nuvole basse che della reazione della scorta
aerea britannica; una bomba danneggia gravemente il cacciatorpediniere
britannico Fortune, mentre da parte
italiana vengono perduti cinque aerei. Uno dei mercantili britannici, l’Empire Song, affonderà per urto contro
mina, ma gli altri giungeranno tutti a destinazione.
9 maggio 1941
Le navi partite da
Palermo vi fanno ritorno, dopo aver infruttuosamente percorso 296 miglia
incontrando cattivo tempo per tutta la notte.
11 maggio 1941
Bande Nere e Cadorna (la IV
Divisione) partono da Palermo alle 18.40, insieme ai cacciatorpediniere Maestrale, Scirocco, Bersagliere, Fuciliere ed Alpino (altra fonte parla solo di Maestrale, Scirocco ed Alpino) per fornire protezione a
distanza a due convogli: uno formato dai piroscafi italiani Ernesto e Tembien, dalle motonavi Giulia e Col di Lana e dai piroscafi
tedeschi Preussen e Wachtfels (scortati dai
cacciatorpediniere Dardo, Aviere – caposcorta –, Geniere, Grecale e Camicia
Nera) partiti da Napoli alle due dell’11 (dopo essere salpati già l’8 salvo
poi rientrare per allarme navale) e diretti a Tripoli, dove arriveranno alle
11.40 del 13; l’altro composto dalle motonavi italiane Victoria, Andrea Gritti e
Barbarigo e dalla motonave tedesca Ankara (con la scorta diretta dei
cacciatorpediniere Vivaldi, Malocello, Saetta e Da Noli) in
navigazione in direzione opposta (partito da Tripoli alle 19.30 del 12, il
convoglio arriva a Napoli alle 16.30 del 14).
Allo stesso scopo
escono in mare anche gli incrociatori leggeri Duca degli Abruzzi e Garibaldi (la
VIII Divisione) ed i cacciatorpediniere Da Recco, Pessagno
ed Usodimare (per altra versione Granatiere e Bersagliere).
12 maggio 1941
La IV Divisione
raggiunge il convoglio in navigazione da Napoli a Tripoli alle cinque del
mattino, ma nel pomeriggio dello stesso giorno il Bande Nere subisce delle infiltrazioni di acqua salata nei
condensatori delle caldaie poppiere: alle 17 Supermarina autorizza il Comando
della IV Divisione a trasbordare sul Cadorna,
dopo di che il Bande Nere rientra a
Palermo, scortato dall’Alpino.
Il resto della
Divisione rientrerà a Palermo al termine dell’operazione.
14-19 maggio 1941
Lavori di riparazione
dell’avaria.
21 maggio 1941
Alle 8.30 Bande Nere e Cadorna salpano da Palermo per trasferirsi ad Augusta, scortati dal
Maestrale e dalla torpediniera Circe, seguendo rotte costiere. Alle 10
il Bande Nere, per insufficiente
lubrificazione, deve fermare la motrice di dritta e dirigere su Messina
navigando con una macchina sola, arrivandovi alle 18.20.
22 maggio 1941
Dopo alcun verifiche
nell’Arsenale di Messina, che non portano a scoprire particolari avarie, in
mattinata il Bande Nere compie una
prova in mare nella quale tocca la velocità di 29,7 nodi; non essendovi nulla
fuori posto, l’incrociatore prosegue verso Augusta, dove giunge alle 18.35,
ormeggiandosi alla boa. Insieme al Bande
Nere si trasferisce ad Augusta anche il Di
Giussano, che si trovava a Messina da quasi un mese, con la scorta del
cacciatorpediniere Gioberti.
I due incrociatori
sono stati trasferiti ad Augusta in previsione della loro partecipazione alla
posa di uno sbarramento di mine, il «T», da posare nelle acque di Tripoli.
Un’altra immagine del Bande Nere (La Voce del Marinaio) |
1° giugno 1941
Sul Bande Nere viene celebrata messa, evento
abbastanza eccezionale, da don Sergio Pignedoli, giovane prete fattosi
cappellano militare dopo lo scoppio della guerra (e futuro cardinale). Don
Pignedoli ha fino a quel momento prestato servizio su navi ospedale, ma la
messa celebrata sul Bande Nere e
l’incontro con l’equipaggio di quella nave (gli viene detto, tra l’altro, che
la IV Divisione sente la mancanza di un cappellano) lo spinge a chiedere
insistentemente, ed ottenere, di essere invece imbarcato su navi da guerra, per
essere più vicino ai combattenti (scriverà, il 2 giugno, in una lettera ai suoi
superiori: «Ieri, invitato
dall’Ammiraglio di Divisione, sono andato a celebrare sul Giovanni delle Bande
Nere – ove era venuto anche l’equipaggio di un altro incrociatore. Sono stati
gentilissimi tutti – e io entusiasta – Ma il bello viene qui: mi hanno detto
che desiderano vivamente un cappellano – che la sua mancanza si sente in tutta
la Divisione – che ci sarebbe da fare tanto (erano gli stessi comandanti a
dirlo) come prime comunioni ecc. Mi hanno anche detto (non faccio nomi) – l’Ordinariato Militare dimentica un
po’ la Marina -. Io mi sono arrischiato a far presente ciò che Voi una volta mi
avevate detto: “Non è possibile – mancherebbe persino l’alloggio per il
cappellano” – Mi è stato risposto che su uno o su l’altro degli incrociatori si
può trovare benissimo l’alloggio»).
2 giugno 1941
Il Bande Nere (capitano di vascello
Sesto Sestini), avente a bordo l’ammiraglio di divisione Guido Porzio Giovanola
(comandante della IV Divisione), ed il Di
Giussano (capitano di vascello Giovanni Marabotto) salpano da Augusta
alle 16 con la scorta dei cacciatorpediniere Gioberti (capitano di fregata Marc’Aurelio Raggio) e Scirocco (capitano di fregata
Domenico Emiliani) allo scopo di partecipare, con altre unità, alla posa di
alcune spezzate dello sbarramento minato difensivo «T» a nordest di Tripoli.
Alle 18.10 la IV
Divisione giunge in vista delle altre navi incaricate dell’operazione, cioè la
VII Divisione dell’ammiraglio Ferdinando Casardi, comandante superiore in mare
(incrociatori leggeri Eugenio di
Savoia, Muzio Attendolo ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta), la XV Squadriglia
Cacciatorpediniere (Antonio Pigafetta,
Alvise Da Mosto e Giovanni Da Verrazzano) e parte della
XVI Squadriglia (Nicoloso Da Recco ed Antoniotto Usodimare); alle 18.30
(o 18.40) le navi assumono la loro posizione in formazione. Gli ordini
prevedono di portare la velocità a 22 nodi, ma essa dev’essere tenuta sui 18
nodi a causa di un’avaria del Da
Mosto; in serata sarà possibile portare la velocità a 20 nodi. Alle 22.12 è
lo Scirocco ad essere colto
da un’avaria, questa volta al timone, ma riesce a ripararla ed a riassumere la
sua posizione alle 22.52.
3 giugno 1941
All’alba la
formazione, che a causa dell’avaria del Da Mosto ha accumulato due ore di ritardo, si ritrova senza
scorta aerea, perché il ghibli e la scarsa visibilità impediscono agli aerei di
decollare ed individuare le navi. Alle 10.05 viene avvistato il fumo emesso
dalla torpediniera Castore per segnalare la posizione della posa, ed
alle 10.37, dopo aver via via ridotto la velocità, le unità ricevono l’ordine
di dividersi nei gruppi stabiliti per la posa.
Alle 11.06 le unità
del gruppo «Eugenio» (Eugenio di Savoia, Bande Nere, Di Giussano, Da Mosto e Da Verrazzano; si sono separati Duca d’Aosta, Pigafetta, Gioberti e Scirocco) iniziano a manovrare per
assumere rotta e formazione di posa (per la linea «b», linea di fronte con, da
sinistra, sul lato esterno il Bande
Nere, poi il Di Giussano a 300
metri, poi l’Eugenio di Savoia a 200
metri da quest’ultimo, quindi il Da
Mosto a 100 metri da esso); l’Usodimare è colto da avaria al timone, ma la risolve
rapidamente. La posa della linea «b» inizia alle 11.31 e finisce alle 12.15,
quella della linea «c» (posata invece dall’Attendolo e
dall’Eugenio di Savoia) comincia alle
12.22 e termina alle 12.51; entrambe vengono compiute a 10 nodi. Il Bande Nere, che è la prima nave a
cominciare la posa tra quelle assegnate alla linea «b», posa 139 mine, al pari
del Di Giussano, mentre l’Eugenio di Savoia posa 228 boe esplosive
e poi (al pari dell’Attendolo) 88
mine ad antenna per la linea «c»; il Da
Mosto posa 116 boe strappanti ed il Da Verrazzano ne posa altre 95 dello stesso tipo e 17
esplosive.
La linea «b» (311
mine italiane antinave, 259 boe esplosive e 259 boe strappanti) rappresenta il
primo sbarramento di mine multiplo posato da unità italiane, essendo composto
da 4 file, di cui 2 di mine antinave ad antenna (con intervallo di 100
metri tra ogni ordigno), una di boe esplosive (60 metri tra ogni boa)
ed una di boe strappanti (anch’esse a 60 metri l’una dall’altra), con
le armi sfalsate tra le file. Le due file di mine sono distanziate di 300
metri, quella di boe esplosive è a 200 metri dalla seconda fila di
mine e la fila di boe strappanti è a 200 metri da quest’ultima. Si
tratta di uno sbarramento sostanzialmente indragabile, ma la sua posa richiede
grande coordinazione e precisione.
Alle 13.30 le navi
del gruppo «Eugenio» giungono nel punto di riunione; il Da Mosto viene inviato a Tripoli
per le riparazioni dell’avaria, mentre il Bande Nere e le altre navi eseguono evoluzioni fino a quando,
alle 14.10, sopraggiunge anche il gruppo «Aosta». A questo punto Casardi ordina
di assumere la rotta di rientro e velocità 22 nodi; la visibilità migliora
leggermente e progressivamente con l’allontanamento dalla costa.
Alle 14.52 vengono
avvistati degli aerei da caccia che si allontanano, ed alle 18 il Bande Nere comunica all’ammiraglio
Casardi che il Di Giussano ha avvistato
per breve tempo un ricognitore di tipo imprecisato. Da Malta decollano degli
aerosiluranti, e Supermarina, debitamente informata, ne avvisa le navi in mare
alle 23.15; Casardi decide di proseguire sulla rotta transitoria 45°, invece
che accostare per nord come deciso precedentemente, così da mantenere la luna
nei settori poppieri e permettere ai cacciatorpediniere della scorta avanzata
di vegliare sul settore più pericoloso; dato che tale diversione provocherà un
allungamento del percorso, l’ammiraglio fa anche aumentare la velocità a 25
nodi, in modo da trovarsi lo stesso, all’alba, sotto la protezione dei caccia
della Regia Aeronautica (nonché allo scopo di incrementare la possibilità di
manovra delle sue navi). Vi sono due allarmi, a poca distanza l’uno dall’altro,
a seguito di presunti avvistamenti da parte dell’Usodimare (il primo) e del Bande Nere (il secondo); la formazione accosta per imitazione di
manovra, ma nessuna nave apre il fuoco e non si verificano attacchi.
4 giugno 1941
All’1.14, dato che la
luna più bassa mette in risalto le sagome delle navi, queste accostano per
rotta 70° così da avere la luna di poppa, ma all’1.53, tramontata la luna,
riassumono rotta verso nord.
Alle quattro del
mattino la VII Divisione e la IV Divisione si separano; quest’ultima dirige per
lo stretto di Messina. Il Di Giussano
entra in quest’ultima città alle undici, mentre il Bande Nere prosegue per Palermo insieme al Cadorna, arrivandovi alle 16.20.
Sul campo minato «T»
andrà distrutta, nel dicembre 1941, la temibile Forza K britannica:
affonderanno sulle mine l’incrociatore leggero Neptune ed il cacciatorpediniere Kandahar, mentre subiranno danni gli incrociatori leggeri Aurora (gravi) e Penelope (lievi), ponendo fine per lungo tempo ad una gravissima
minaccia britannica ai convogli italiani per l’Africa Settentrionale.
9 giugno 1941
Breve uscita da
Palermo per esercitazioni di tiro, con la scorta dei cacciatorpediniere Maestrale, Grecale e Scirocco.
19 giugno 1941
Il Bande Nere esce da Palermo per recarsi
incontro al Di Giussano, salpato da
Messina alle 8.05 per trasferirsi nel capoluogo siciliano. I due incrociatori
s’incontrano in mare aperto, eseguono congiuntamente esercitazioni di tiro e
poi entrano a Palermo alle 19, per poi restarvi fermi fino al 5 luglio.
6 luglio 1941
Il Bande Nere ed il Di Giussano (IV Divisione, al comando dell’ammiraglio Porzio
Giovanola) imbarcano a Palermo 130 mine ciascuno (tipo Elia, dotate di congegno
antidragante) per partecipare alla posa della terza tratta («S 3», con le
spezzate «S 31» e «S 32» per un totale di 292 mine e 444 boe esplosive) dello
sbarramento minato «S», da posare al largo della Sicilia. Mentre i due
incrociatori stanno completando il carico, ed hanno già molte mine in posizione
sulle ferroguide in coperta, alcuni aerei britannici appaiono all’improvviso,
cogliendoli completamente di sorpresa (tanto che non fanno neanche in tempo a
reagire col loro armamento), e li mitragliano a volo radente. L’attacco nemico,
che potrebbe avere esito catastrofico (basterebbe che una mina venisse colpita
e scoppiasse per scatenare una catena di esplosioni), non causa nessun danno.
Alle 19.30 Bande Nere e Di Giussano salpano da Palermo con la scorta dei cacciatorpediniere
Maestrale, Grecale e Scirocco
(X Squadriglia Cacciatorpediniere; per altra fonte sarebbe stato presente anche
il Libeccio), per prendere parte alla
posa della
7 luglio 1941
Poco dopo le cinque
del mattino la IV Divisione e la X Squadriglia si accodano alla VII Divisione (Attendolo e Duca d’Aosta, che ha a bordo
l’ammiraglio Ferdinando Casardi, comandante della VII Divisione e comandante
superiore in mare) ed ai cacciatorpediniere Da Recco, Da Mosto, Da Verrazzano, Pigafetta e Pessagno (questi
ultimi due partiti da Trapani, mentre le altre unità sono salpate da Augusta).
Data la scarsa visibilità, l’ammiraglio Casardi tiene i cacciatorpediniere in
posizione di scorta ravvicinata anche di notte, e fa zigzagare nelle zone dove
più probabile è l’incontro con sommergibili avversari.
Alle 7 le navi (le
mine saranno posate dagli incrociatori nonché da Pessagno e Pigafetta)
iniziano a manovrare per assumere rotta e formazione di posa (Bande Nere, Duca d’Aosta, Attendolo
e Di Giussano, in linea di
rilevamento 47°, con Pigafetta all’appoggio
del Bande Nere e Pessagno all’appoggio del Di Giussano), ed alle 7.45 iniziano a
posare le mine, terminando alle 8.57. Il Bande
Nere posa, insieme al Pigafetta,
la linea "U", la seconda da destra delle quattro: per primo il Pigafetta posa 92 mine E2 con congegno
antidragante, poi il Bande Nere posa
130 E2 compiendo, dopo la posa della sua ventesima mina, un’accostata a dritta che
modifica la rotta di posa da 25° a 72° (lo fanno tutte le navi, in quel
momento, così che lo sbarramento cambia orientamento un po’ oltre la metà,
oltre ad aumentare in larghezza: di fatto è una composizione di due sbarramenti
uno attaccato all’altro, «S 31» e «S 32»). La distanza tra due mine di una
stessa fila è di 100 metri (per le file "U" e "V", mentre
nelle due file di sinistra, "S" e "T", è di 150), quella
tra le file (le mine di file diverse sono sfalsate tra loro) è di 300 metri
fino alla virata a dritta, e di 420 metri dopo la virata. L’operazione di posa,
effettuata alla velocità di 10 nodi, avviene con manovre più complesse del
solito, poiché sulla terza e quarta linea devono posare le torpedini prima i
cacciatorpediniere e poi gli incrociatori, senza soluzione di continuità nel
ritmo e nell'equidistanza; le navi danno comunque prova di buon addestramento
ed affiatamento in tali operazioni di precisione, sovente effettuate con pochi
elementi per la determinazione della posizione, oltre che in zone pericolose
per possibili attacchi nemici.
La posa del Bande Nere viene messa a rischio da un pericoloso
incidente verificatosi a bordo proprio al momento di cominciare l’operazione:
quando la formazione assume la linea di rilevamento 47° e comincia il lancio
delle mine, il Bande Nere lascia la
sua posizione nella linea di rilevamento ordinata ed avanza fino a portarsi in
linea di fronte col Duca d’Aosta,
mentre del fumo esce da un locale sotto la plancia. Sul Bande Nere si infatti è verificato un cortocircuito, che ha
provocato un piccolo incendio nel locale del materiale antigas, vicino al
deposito munizioni di prua (per arginare l’incendio si rende necessario
allagare alcuni locali, di ridotta cubatura), nonché la messa fuori uso di
girobussola, radiosegnalatore ad ultracorte e contagiri di macchina
(quest’ultimo problema ha impedito di mantenere la posizione in linea di
rilevamento). L’accaduto viene comunicato dal Comando della IV Divisione alla
VII Divisione. Il problema, tuttavia, viene risolto in tempo per poter
effettuare regolarmente l’operazione: il Pigafetta,
che non ha seguito il Bande Nere ma
si è invece mantenuto sul rilevamento del Duca
d’Aosta, posa le sue 92 mine come da ordini, ed entro quel tempo il Bande Nere è riuscito a riassumere la
sua posizione in formazione, in tempo per posare le sue mine come da
disposizioni.
La VII Divisione
dirige poi per Taranto; alle 15.11 la IV Divisione viene lasciata libera di
raggiungere Palermo, dove giunge alle 16.30.
Il Bande Nere (in primo piano), l’Attendolo (in secondo piano) ed il Duca d’Aosta (sulla destra, con
colorazione mimetica) fotografati durante la missione di posa di mine del 7
luglio 1941 (sopra: USMM; sotto: g.c. STORIA militare), verso le ore 7.45. Le
tre navi dovrebbero procedere in linea di rilevamento per 135° dal Duca d’Aosta, ma in queste due foto il Bande Nere sta superando l’Attendolo a causa di un’avaria al
contagiri di macchina.
12 luglio 1941
L’ammiraglio di
divisione Guido Porzio Giovanola, comandante della IV Divisione, trasborda con
il suo stato maggiore dal Bande Nere,
che cessa così di essere la nave ammiraglia della IV Divisione, al Di Giussano, che assume tale ruolo al
suo posto.
16 luglio 1941
Il Bande Nere lascia Palermo alle 5.30,
scortato dai cacciatorpediniere Fulmine
e Strale, per trasferirsi a La Spezia
per un periodo di lavori di grande manutenzione.
17 luglio 1941
Arriva a La Spezia
alle 7.45.
18 luglio 1941
Entra nell’Arsenale
di La Spezia, ormeggiandosi nella darsena Duca degli Abruzzi, dove iniziano i
lavori, che si protrarranno per tre mesi.
Il capitano di
vascello Sesto Sestini lascia il comando del Bande Nere per assumere quello della corazzata Giulio Cesare; al suo posto assume il comando dell’incrociatore il
capitano di vascello Enrico Mirti della Valle (altra fonte data tale
avvicendamento al 9 luglio).
13 agosto 1941
Passa formalmente in
riserva, posizione nella quale resterà fino al 20 ottobre. Mentre il Bande Nere è ai lavori, si avvicendano
al suo comando, in successione, il capitano di fregata Vittore Raccanelli (che rileva
il comandante Mirti della Valle il 7 agosto) ed il capitano di vascello Giorgio
Rodocanacchi (dal 22 settembre al 19 ottobre).
12 ottobre 1941
Compie una breve
uscita nella rada di La Spezia, allo scopo di eseguire giri di bussola.
16 ottobre 1941
Altra uscita in mare,
per tarare il radiogoniometro e compiere esercitazioni di tiro contro manica;
scortano il Bande Nere i MAS 507 e 525.
19 ottobre 1941
Assume il comando del
Bande Nere il capitano di vascello
Ludovico Sitta, che sarà il suo ultimo comandante. Nello stesso giorno, la nave
– che è ancora ai lavori – “lascia” la IV Divisione ed assume il ruolo di nave
ammiraglia della Forza Navale Speciale, alzando l’insegna dell’ammiraglio di
squadra Vittorio Tur.
26 ottobre 1941
Termine dei lavori di
grande manutenzione: il Bande Nere è
nuovamente operativo. A conclusione dei lavori, la nave riceve la
colorazione mimetica, a due tonalità di grigio (fasce di colore grigio scuro su
un fondo grigio chiaro): sono i colori rivelatisi come più efficaci per gli scopi
mimetici. Quella del Bande Nere è
l’ultima colorazione mimetica “sperimentale” tra le tante esaminate dalla
Marina italiana nel corso del 1941 e, essendosi rivelata particolarmente
riuscita, diverrà la base della colorazione standard adottata nelle Norme per la mimetizzazione delle Regie Navi
emanate nel dicembre 1941. (Per altra fonte la colorazione mimetica, decisa da
Maristat nel novembre 1941, sarebbe stata applicata al Bande Nere a inizio dicembre).
24 novembre 1941
Esce dalla darsena
dell’Arsenale di La Spezia e si porta fino alla diga foranea per eseguire dei
giri di bussola; in serata esce in mare per svolgere esercitazioni di tiro
notturno.
27 novembre 1941
Il Bande Nere compie un’altra fugace uscita
da La Spezia, per esercitazioni di tiro contro bersaglio rimorchiato, fruendo
della scorta delle torpediniere Libra
e Giuseppe La Masa e dei MAS 510 e 515.
Il Bande Nere, con la colorazione mimetica da poco ricevuta, a Messina a inizio dicembre 1941 (da www.italie1935-45.com) |
9 dicembre 1941
Il Bande Nere cessa di essere sede del
Comando della Forza Navale Speciale. Lo stesso giorno, esegue dei giri di
bussola presso la diga foranea di La Spezia.
10 dicembre 1941
Lascia La Spezia alle
16.25, diretto in Sicilia, dove dovrà riunirsi al resto della IV Divisione (Da Barbiano e Di Giussano).
11 dicembre 1941
Arriva a Palermo alle
15.05. In serata carica viveri e circa 500 tonnellate di benzina in fusti, che
dovrà trasportare in Libia per una missione urgente di trasporto insieme a Da Barbiano e Di Giussano.
Il mese di novembre
1941, durante il quale il Bande Nere era
fermo per lavori a La Spezia, si è rivelato per il traffico libico il peggiore
dell’intero conflitto: le perdite tra i rifornimenti inviati in Libia hanno
sfiorato il 70 %, e quelle tra i carburanti, carico più importante e di
conseguenza più bersagliato, hanno toccato il 92 %, livelli mai toccati prima
d’allora e mai più raggiunti in seguito.
Approfittando della
carenza di rifornimenti creata da tale situazione, il 19 novembre l’VIII Armata
britannica è passata all’offensiva con l’operazione "Crusader"; di
conseguenza, le truppe italo-tedesche in Nordafrica hanno un disperato bisogno
di carburante e munizioni. Stante la gravissima situazione dei trasporti in
quel momento, Supermarina, su richiesta del Comando Supremo, ha messo a punto
un piano per effettuare trasporti urgenti di essenziali rifornimenti mediante navi
da guerra, ossia sommergibili, cacciatorpediniere ed incrociatori. Le quantità
di rifornimenti imbarcabili su tali unità sono in realtà assai scarse, e la
sistemazione di fusti e latte di benzina, stipate alla meglio nei locali
interni disponibili o direttamente in coperta, pone gravi rischi alle navi
stesse, che sovente si trovano impossibilitate ad usare il proprio armamento
(nel caso di fusti sistemati in coperta) oltre che a rischio di essere
incendiate anche solo da un banale mitragliamento, mentre nei locali interni il
pericolo è rappresentato dall’accumulo di vapori. Ciononostante, il piano viene
attuato, e, pur tra numerose difficoltà e perplessità, la larga maggioranza dei
trasporti andrà a buon fine. Ma non sempre.
Bande Nere, Cadorna, Da Barbiano e Di Giussano (che formano la IV Divisione) sono stati scelti per
questo pericoloso compito per via delle loro mediocri caratteristiche –
scarsissima corazzatura, modeste qualità marine, velocità ormai ridotta dal
lungo servizio –, che li rendono ormai inadatti all’impiego di squadra con le
altre navi maggiori. Dovranno trasportare in Libia provviste, nafta, gasolio e
benzina per aerei, carico quest’ultimo carico di vitale importanza, perché
all’inizio del dicembre 1941 la disponibilità di carburante per aerei in
Tripolitania è tanto ridotta che a breve non sarà più possibile fornire scorta
aerea ai convogli in arrivo.
Per primi, nella
notte tra il 9 ed il 10 dicembre, sono stati inviati il Da Barbiano (nave ammiraglia del comandante della IV Divisione, ammiraglio
di divisione Antonino Toscano) ed il Di
Giussano, trasferiti a questo scopo da Taranto a Palermo. Durante la
navigazione verso Tripoli, tuttavia, i due incrociatori sono stati scoperti
dalla ricognizione aerea nemica, e l’ammiraglio Toscano, vista così sfumare la
sorpresa, ed in considerazione sia del ritardo accumulato sulla tabella di
marcia (a causa del maltempo) sia dell’estrema vulnerabilità delle sue navi
agli attacchi aerei (basterebbe un semplice mitragliamento per incendiare i
fusti di benzina sistemati in coperta), ha deciso di interrompere la missione e
rientrare a Palermo.
Proprio a causa di
questo rinvio, si rende necessario inviare un maggiore quantitativo di benzina:
ed a questo scopo, per aumentare la quantità di rifornimenti trasportati in
Libia dalla IV Divisione, si è deciso di includere anche il Bande Nere (capitano di vascello
Lodovico Sitta) nella successiva missione, programmata per il 12-13 dicembre, ordinando
il suo trasferimento da La Spezia a Palermo per unirsi a Da Barbiano e Di Giussano.
Il 13 dicembre deve infatti prendere il via un’operazione complessa di
traffico, la «M. 41», con la quale devono essere inviati in Libia tre convogli
per totali sei mercantili e dodici cacciatorpediniere, più una scorta indiretta
di due corazzate, cinque incrociatori e nove cacciatorpediniere ed una forza
d’appoggio di due corazzate, quattro cacciatorpediniere e due torpediniere. Nel
tratto finale della navigazione, i convogli dovranno essere scortati dagli
aerei di base in Tripolitania: questi, tuttavia, hanno ormai così poco
carburante – appena 25 tonnellate in tutto – da non poter più effettuare tale
servizio. Per garantire la scorta aerea ai convogli in arrivo in Libia, si è
reso necessario programmare una nuova missione della IV Divisione.
Il Bande Nere dovrebbe partire insieme a Da Barbiano e Di Giussano (per altra versione la sua partenza è prevista per il
13 dicembre), ma la sua partenza dev’essere rimandata di ventiquattr’ore a
causa di un’infiltrazione di acqua di mare nel condensatore principale di prua,
che immobilizza la nave in porto e le impedisce di salpare. (Secondo una fonte,
il carico destinato al Bande Nere
viene imbarcato sugli altri due incrociatori, ma dal fascicolo della serie "Orizzonte
Mare" relativa agli incrociatori tipo Di Giussano apparirebbe invece che
il carico del Bande Nere sia rimasto
a bordo della nave, venendo poi sbarcato il 15 dicembre, come riportato poco
oltre). Da Barbiano e Di Giussano prendono invece il mare come
previsto, alle 18.10 del 12 dicembre, alla volta di Tripoli, con il loro carico
di benzina: ma i decrittatori britannici dell’organizzazione “ULTRA” hanno
intanto intercettato e decifrato alcuni messaggi relativi alla missione,
apprendendo che «Gli incrociatori Da
Barbiano, Di Giussano e Bande Nere debbono lasciare Palermo
alle 18.00 di oggi 12 e procedere per Tripoli a 22 nodi, arrivando a Tripoli
alle 15 del giorno 13. Essi salperanno da Tripoli nella notte del 14 per
ritornare in Italia. Il Bande Nere rientrerà
a Palermo, ma la destinazione delle altre due unità non è conosciuta» (i
britannici rimarranno all’oscuro del fatto che in realtà il Bande Nere non abbia potuto partecipare
alla missione, ed anche a cose fatte – il 13 dicembre – continueranno a
ritenere che anche il Bande Nere
fosse partito insieme ai due gemelli).
L’avaria si rivelerà
provvidenziale per il Bande Nere,
salvandolo da distruzione certa: durante la missione, infatti, nella notte tra
il 12 ed il 13 dicembre, Da Barbiano
e Di Giussano cadranno in un agguato
teso da quattro cacciatorpediniere Alleati (tre britannici ed uno olandese)
presso Capo Bon, e verranno incendiati e affondati con la morte dell’ammiraglio
Toscano e di oltre ottocento uomini.
15 dicembre 1941
A seguito della
perdita di Da Barbiano e Di Giussano, l’analoga missione del Bande Nere (che secondo le disposizioni
di Supermarina sarebbe dovuto partire, una volta riparata l’avaria, 24 ore dopo
gli altri due incrociatori) viene annullata.
Alle 00.10, dopo aver
sbarcato la benzina che avrebbe dovuto portare in Libia, il Bande Nere lascia Palermo con la scorta
della torpediniera Climene e fa rotta
per Messina, dove arriva alle 8.24 seguendo rotte costiere. Ormeggiatosi al
pontile Etiopia, in mattinata il Bande
Nere sbarca il resto del carico di provviste, poi viene temporaneamente
assegnato all’VIII Divisione Navale: ormai la IV Divisione non esiste più.
21-22 dicembre 1941
Mentre si trova a
Messina, il Bande Nere riceve ordine
di imbarcare viveri e poi di sbarcarli di nuovo.
26 dicembre 1941
Sempre a Messina,
giunge l’ordine di imbarcare personale militare e materiali da trasportare a
Tripoli, ma in serata tale ordine viene revocato.
3 gennaio 1942
A seguito dello
scioglimento della IV Divisione, causato dalla battaglia di Capo Bon, il Bande Nere viene trasferito all’VIII
Divisione Navale.
Marinai
del Bande Nere assistono ad uno
spettacolo di pupi a Messina, inizio 1942; la nave, ormeggiata nel porto, è
visibile sullo sfondo (sopra: da www.italie1935-45.com;
sotto: g.c. STORIA militare)
12 gennaio 1942
Facendo parte
dell’VIII Divisione, il Bande Nere
entra a far parte della 2a Squadra Navale.
31 gennaio 1942
Il Bande Nere viene visitato a Messina dal
principe ereditario Umberto di Savoia, recatosi in visita in Sicilia insieme al
maresciallo tedesco Hermann Göring, comandante della Luftwaffe. Terminata la
visita, Umberto e Göring ripartono salutati dagli equipaggi schierati delle
navi presenti in porto.
21 febbraio 1942
Alle 17.30 il Bande Nere salpa da Messina precedendo
di un’ora gli incrociatori pesanti Trento e Gorizia (nave di bandiera
dell’ammiraglio di divisione Angelo Parona) ed ai cacciatorpediniere Alpino (caposquadriglia), Alfredo Oriani ed Antonio Da Noli, insieme ai quali forma il gruppo «Gorizia», uno dei
due gruppi di scorta indiretta previsti nell’ambito dell’operazione di traffico
«K. 7».
Tale operazione vede
l’invio in Libia di due convogli, uno salpato da Messina alle 17.30
(motonavi Monginevro, Ravello ed Unione, cacciatorpediniere Ugolino Vivaldi – nave ammiraglia
del contrammiraglio Amedeo Nomis di Pollone, caposcorta –, Lanzerotto Malocello, Nicolò Zeno, Premuda e Strale e
torpediniera Pallade) e l’altro
da Corfù alle 13.30 (motonavi Lerici e Monviso, nave cisterna Giulio Giordani, cacciatorpediniere Antonio Pigafetta – caposcorta, capitano di vascello Enrico
Mirti della Valle –, Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Maestrale e Scirocco e torpediniera Circe). Oltre al gruppo «Gorizia», c’è
un secondo gruppo di scorta indiretta, il gruppo «Duilio», formato dall’omonima
corazzata (nave di bandiera dell’ammiraglio di squadra Carlo Bergamini,
comandante superiore in mare) insieme a quattro cacciatorpediniere (Aviere, Geniere, Ascari e Camicia Nera).
Alle 23.15, la
divisione «Gorizia» si unisce al convoglio n. 1 (quello partito da Messina),
che prosegue per Tripoli seguendo rotte che passano a circa 190 miglia da
Malta.
Il Bande Nere, in primo piano, ed il Gorizia in Mar Ionio durante l’operazione K. 7, il 22 febbraio 1942 (g.c. STORIA militare) |
22 febbraio 1942
All’alba del 2 il
convoglio n. 1 viene raggiunto anche dal gruppo «Duilio», che lo segue a breve
distanza.
Intorno alle 12.45
(per altra versione, verso le dieci), 180 miglia ad est di Malta, i convogli 1
e 2 si riuniscono; il convoglio n. 2 si accoda – con una manovra piuttosto
lenta – al convoglio n. 1. La formazione (di cui è caposcorta l’ammiraglio
Nomis di Pollone) assume rotta 184° e velocità 14 nodi; sin dalla prima mattina
(e fino alle 19.45) volano sul suo cielo aerei tedeschi Junkers Ju 88 e
Messerschmitt Bf 110 decollati dalla Sicilia per la sua scorta.
Dalle prime ore del
mattino (precisamente, dalle 7.25) compaiono anche ricognitori britannici, che
segnalano il convoglio agli aerei di base a Malta; tra le 14 e le 16 si
verifica un attacco aereo, che i velivoli della Luftwaffe respingono,
abbattendo tre degli aerei attaccanti ed impedendo agli altri di portare a
fondo l’attacco (tranne un Boeing B 17 che lancia delle bombe di piccolo
calibro contro la Duilio, senza
colpirla). La caccia tedesca si rivela particolarmente efficace durante questa
operazion; quando l’ammiraglio Bergamini chiede altri aerei mediante il
collegamento radio diretto, la richiesta viene prontamente soddisfatta.
La sera del 22, in
base agli ordini ricevuti, il gruppo «Duilio» lascia i convogli, che proseguono
con la scorta diretta ed il gruppo «Gorizia».
Nella notte seguente
il convoglio, che è rimasto diviso in due gruppi (cioè i convogli 1 e 2, che
procedono uno dietro l’altro ma separati), viene più volte sorvolato da dei
bengalieri nemici (tra le 00.30 e le 5.30 del 23 dei bengala si accendono sul
cielo dei convogli), ma non subisce danni, grazie alle manovre ed all’emissione
di cortine fumogene.
Un’altra immagine di Bande Nere e Gorizia durante l’operazione K. 7 (da “Mussolini’s Navy” di Maurizio Brescia) |
23 febbraio 1942
Poco dopo le otto del
mattino sopraggiungono due torpediniere inviate da Marilibia in rinforzo alla
scorta, cui l’ammiraglio Parona ordina di unirsi al gruppo «Vivaldi». La foschia
impedisce ai due convogli, distanti solo 8-9 miglia, di vedersi, ed alla scorta
aerea della Luftwaffe di trovare le navi; le trovano invece, ma solo quelle del
gruppo «Gorizia», i caccia italiani FIAT CR. 42 inviati anch’essi per la
scorta.
Alle 10.14 del
mattino, una novantina di miglia ad est di Tripoli ed al largo di Capo
Misurata, la Circe localizza
con l’ecogoniometro il sommergibile britannico P 38, che sta tentando di attaccare il convoglio (poco dopo ne
viene avvistato anche il periscopio, che però subito scompare poiché il
sommergibile, capendo di essere stato individuato, s’immerge a profondità
maggiore), e, dopo aver ordinato al convoglio di virare a dritta, alle 10.32 lo
bombarda con bombe di profondità, arrecandogli gravi danni. Subito dopo
il P 38 affiora in
superficie, per poi riaffondare subito: a questo punto si uniscono alla caccia
anche l’Usodimare ed il Pessagno, che gettano altre cariche di
profondità, e, insieme ad aerei della scorta, mitragliano il sommergibile.
L’attacco è tanto violento e confuso che un marinaio, su una delle navi
italiane, rimane ucciso dal tiro delle mitragliere, e la Circe deve richiamare le altre
unità al loro posto per poter proseguire nella sua azione. Dopo questi
ulteriori attacchi, la Circe effettua
un nuovo attacco con bombe di profondità, ed alle 10.40 il sommergibile affiora
di nuovo con la poppa, fortemente appruato, le eliche che girano all’impazzata
ed i timoni orientati a salire, per poi affondare di prua con l’intero
equipaggio in posizione 32°48’ N e 14°58’ E. Un’ampia chiazza di carburante,
rottami e resti umani marcano la tomba dell’unità britannica.
Intanto, alle 11.25,
il sommergibile P 34 (tenente
di vascello Peter Robert Helfrich Harrison) avvista su rilevamento 040° il
convoglio formato da Ravello, Unione e Monginevro e scortato da Strale, Vivaldi, Malocello, Zeno, Pallade e Premuda, che procede su rotta 250°. Alle
11.49, in posizione 32°51’ N e 13°58’ E (un’ottantina di miglia ad est di
Tripoli), il P 34 lancia
quattro siluri da 4150 metri di distanza; nessuna nave è colpita, e la scorta
inizia alle 11.58 un contrattacco nel quale sono lanciate 57 bome di
profondità, alcune delle quali esplodono molto vicine al sommergibile. Il P 34, in ogni caso, riesce ad
allontanarsi.
Nel frattempo, alle
10.30, lo Scirocco, come
stabilito in precedenza, lascia la scorta del convoglio numero 2 e si aggrega
al gruppo «Gorizia», che a quell’ora – essendo ormai il convoglio all’inizio
delle rotte costiere per Tripoli, e non presentandosi più rischi di attacchi di
navi di superficie – si avvia sulla rotta di rientro.
I convogli giungono
indenni a Tripoli tra le 16 e le 16.40 del 23, portando a destinazione in tutto
113 carri armati, 575 automezzi, 405 uomini e 29.517 tonnellate di
rifornimenti.
24 febbraio 1942
Il gruppo «Gorizia»
arriva a Messina alle 11.40; il Bande
Nere giunge in porto un po’ più tardi, alle 13.05.
22 marzo 1942
All’1.05 di notte il Bande Nere (capitano di vascello
Ludovico Sitta), aggregato alla III Divisione Navale (incrociatori pesanti Trento e Gorizia), salpa da Messina insieme ad essa ed alla XIII Squadriglia
Cacciatorpediniere (Lanciere, Fuciliere, Bersagliere, Alpino), per
partecipare all’intercettazione del convoglio britannico «M.W. 10», diretto a
Malta. Tale convoglio, partito da Alessandria alle 7 del mattino del 20 marzo,
è formato dalla cisterna militare Breconshire e
dai piroscafi Clan Campbell, Pampas e Talbot, con la scorta diretta dell’incrociatore leggero Carlisle e dei cacciatorpediniere Avon Vale, Dulverton, Beaufort, Eridge, Southwold e Hurworth,
rinforzata per il tratto più pericoloso dagli incrociatori leggeri Dido, Euryalus e Cleopatra e
dai cacciatorpediniere Hasty, Havock, Hero, Sikh, Zulu, Lively, Jervis, Kelvin, Kingston e Kipling.
Quest’ultima forza, il 15th Cruiser Squadron della Royal Nay, è
salpata da Alessandria alle 18 del 20 ed è comandata dall’ammiraglio Philip L.
Vian. Da Malta si uniscono ad essi, nella giornata del 22 marzo, anche
l’incrociatore leggero Penelope ed il
cacciatorpediniere Legion.
Il Bande Nere lascia Messina a mezzanotte,
ma deve poi aspettare quasi un’ora il Gorizia,
il quale ha problemi a lasciare gli ormeggi per via del vento fortissimo. A
causa di tale ritardo, Supermarina posticipa di un’ora il previsto arrivo della
III Divisione nel punto Beta.
La III Divisione
forma il gruppo «Gorizia» (al comando dell’ammiraglio di divisione Angelo
Parona, comandante la III Divisione, con bandiera sul Gorizia), uno dei due usciti in mare per tale missione; l’altro
gruppo, denominato «Littorio» (corazzata Littorio,
cacciatorpediniere Ascari, Aviere, Oriani e Grecale, più Geniere e Scirocco che però partono in ritardo e di fatto non si riuniranno
mai al resto della formazione), parte invece da Taranto. Comandante superiore
in mare è l’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, imbarcato sulla corazzata Littorio.
Il primo sentore di
una possibile operazione nemica lo si è avuto il 19 marzo 1942, quando da
intercettazioni radio è emerso che si trova in mare, a bordo di un incrociatore
classe Dido, il comandante delle forze leggere della Mediterranean Fleet,
ammiraglio Philip L. Vian. Alle 00.22 del 20 marzo è stato intercettato un
telegramma di precedenza assoluta trasmesso a Malta, e da ciò è derivata
l’impressione che le navi britanniche siano in movimento da Alessandria verso
Malta; il mattino del 21 un ricognitore Junkers Ju 88 del X Fliegerkorps
tedesco ha avvistato un convoglio di tre piroscafi e quattro cacciatorpediniere
con rotta ovest, una quarantina di miglia a nord di Sidi el Barrani. Successivi
ulteriori avvistamenti e decrittazioni di messaggi britannici hanno confermato
che il convoglio dirige verso ovest a 14 nodi di velocità. Rilevamenti
radiotelegrafici e segnalazioni di un U-Boot tedesco, nella sera e notte del
20-21 marzo, hanno confermato l’esistenza di importante traffico nemico al
largo dell’Egitto, anche se si è ritenuto che il convoglio avvistato dallo Ju
88 sia diretto a Tobruk e non a Malta (per quanto anche questa possibilità non
venga categoricamente esclusa), il che appare anche dalle comunicazioni
intercettate, nelle quali il convoglio riferisce ad Alessandria i propri
movimenti.
Quello stesso giorno
un secondo convoglio, dal nome convenzionale di «Empire», è stato avvistato
alle 2.21 da un U-Boot tedesco, 28 miglia a nord-nord-ovest di Sidi el Barrani,
con rotta nordovest; alle 16.30 lo stesso convoglio è stato avvistato anche dal
sommergibile italiano Platino
(tenente di vascello Innocenzo Ragusa), il quale ha riferito che un
incrociatore leggero, quattro cacciatorpediniere e tre grossi piroscafi si
trovano a 48 miglia a sud-ovest di Gaudo (Creta), con rotta 320°.
Alle 16.58 un altro
ricognitore Ju 88 del X Fliegerkorps ha avvistato davanti al convoglio, cento
miglia a nord di Derna, un gruppo di circa 14 navi da guerra, tra cui tre di
grandi dimensioni. Alle 18 Supermarina, stimando che il convoglio sia diretto a
Malta, accompagnato da un gruppo leggero di scorta composto da non più di tre
incrociatori ed alcuni cacciatorpediniere, oltre ad alcune altre navi partite
da La Valletta nella notte tra il 21 ed il 22 marzo (nel pomeriggio ricognitori
tedeschi hanno avvistato in quel porto delle bettoline di rifornimento
affiancate ad un incrociatore ed un cacciatorpediniere), ha deciso di
intervenire con la flotta da battaglia, ossia la Littorio e la III Divisione Navale, più le relative squadriglie di
cacciatorpediniere. Per la III Divisione l’ordine operativo è: «Terza Divisione
con BANDE NERE – ALPINO – FUCILIERE – LANCIERE – BERSAGLIERE escano appena pronti regolando navigazione modo
trovarsi ore 080022 punto Beta latitudine 3540 longitudine 1740 quindi
incrocino zona venti miglia attorno detto punto attesa risultati ricognizioni»,
mentre il gruppo «Littorio» riceve i seguenti ordini: «Nave LITTORIO et sei C.T. escano ore et
dirigano vela 24 rotta 150 fino meridiano 18 quindi rotta sud fino punto Alfa
latitudine 3530 longitudine 1800 dove dovrà giungere ore Terza Divisione con BANDE NERE ALPINO FUCILIERE LANCIERE BERSAGLIERE escano appena pronti regolando navigazione modo
trovarsi ore punto Beta latitudine 3540 longitudine 1740 quindi incrocino zona
venti miglia attorno detto punto attesa risultati ricognizioni».
Lasciata Messina, il
gruppo «Gorizia» procede a 24 nodi lungo la costa calabrese sino a 4 miglia da Capo
Spartivento, poi, alle 2.52, accosta assumendo rotta 150° verso il punto
prestabilito «B» (a 160 miglia per 95° da Malta), a 25 nodi. Le navi vengono
poi raggiunte da Junkers Ju 88 tedeschi del I./NJG.2, che ne assumono la
scorta. Alle 7.30 il Gorizia
catapulta un idrovolante da ricognizione, che deve però rientrare subito a
Siracusa per guasto al motore; alle 8.16, pertanto, è il Bande Nere a catapultare il suo idroricognitore IMAM Ro. 43, con
l’incarico di esplorare il settore compreso tra 124° e 144° (cioè verso
levante, dove si presume essere il nemico) fino a 120 miglia di distanza.
L’idrovolante compie esplorazione verso sudest per un centinaio di miglia, ma
non avvista alcunché, dopo di che dirige per Augusta. In effetti, quando il Bande Nere ha catapultato il ricognitore
la formazione britannica si trovava davvero in una direzione compresa nel
settore assegnato all’aereo per l’esplorazione, ma a distanza maggiore del
previsto (160 miglia) nonché con una ridotta componente di avvicinamento sulla
bisettrice del settore, a causa della sua rotta verso ovest. Ad avvistare le
navi britanniche sono invece aerei del II Corpo Aereo Tedesco (bombardieri ed
aerosiluranti) ed un ricognitore catapultato dal Trento.
Il gruppo «Gorizia» passa
all’altezza del punto «B» alle 9.11, in orario rispetto alla tabella di marcia
aggiornata, e prosegue con rotta 150°, riducendo la velocità a 20 nodi, fino
alle 9.48, dopo di che inverte la rotta, come ordinato da Supermarina, ed
inizia ad incrociare nella zona del punto «B», aspettando che giungano notizie
sul nemico (poco dopo le 10, il gruppo ha rotta 330° e velocità 20 nodi).
Arriva la notizia che gli aerosiluranti di base in Libia hanno attaccato un
convoglio nemico formato da almeno 15 navi, 130 miglia a nord di Bengasi.
Il Bande Nere durante un’accostata per
contromarcia ad alta velocità della III Divisione in Mar Ionio, il mattino del
22 marzo 1942 (sopra: g.c. STORIA militare; sotto: g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net)
Alle 10.40, per
ordine dell’ammiraglio Iachino (impartito alle 10.20), la III Divisione accosta
per 160° (più tardi per 165°) per stabilire contatto visivo con le forze
britanniche, quindi la XIII Squadriglia si porta in posizione di scorta
avanzata e poi la formazione assume una velocità di 30 nodi. A causa del mare
sempre più agitato da sudest (ormai forza 5 in peggioramento, con forte vento
da scirocco), alle 12.12 l’ammiraglio Parona ordina di ridurre la velocità a 28
nodi per non causare eccessivi problemi ai cacciatorpediniere; alle 13.32, per
gli stessi motivi, la velocità dev’essere ulteriormente ridotta a 26 nodi, e le
navi accostano per 180°. Alle 13.40 la formazione assume rotta 210°. Alle 13.42
il gruppo «Gorizia» si dispone perpendicolarmente alla probabile direzione di
avvistamento dei britannici, con il Gorizia al
centro, Trento e Bande Nere alla sua sinistra su
rilevamento 90° e la XIII Squadriglia alla sua dritta su rilevamento 270°, ad
una distanza di 4000 metri. Gli ordini per la III Divisione sono di prendere
contatto visivo con il nemico senza impegnarsi prima della riunione con il
gruppo «Littorio». La direzione di probabile avvistamento del nemico, determinata
in base alle informazioni comunicate dagli aerei (non sempre concordi in merito
alla posizione degli avvistamenti), si rivela poi essere esatta: le navi
nemiche vengono avvistate verso le 14.20, su rilevamento 185° (a 23.000
m)-170°-160°. Il Bande Nere, in
particolare, avvista due piroscafi ed alcune navi da guerra alle 14.22. Le navi
britanniche, dal canto loro, avvistano prima dei fumi alle 14.17 (l’Euryalus) e poi (Euryalus e Legion) le
navi italiane alle 14.27; l’ammiraglio Vian identifica erroneamente i tre
incrociatori italiani, alle 14.34, per altrettante corazzate, distanti 12
miglia.
Dopo l’avvistamento,
le navi di Parona accostano per 250° (per sudovest), come prestabilito, allo
scopo di assumere rotta convergente a quella delle navi britanniche, ma
restando al contempo in grado di fare fuoco con tutte le artiglierie
principali. Ha così inizio l’avvicinamento al nemico; le condizioni di
visibilità sono altalenanti, il cielo è parzialmente coperto da nuvole basse.
L’Avon Vale, il Carlisle e le navi della "Strike Force" di Vian iniziano
ad emettere fumo. Alle 14.44, mentre il convoglio viene rapidamente nascosto da
cortine nebbiogene (dopo soli 40 secondi dall’avvistamento, le navi britanniche
sono completamente avvolte dalla cortina fumogena, che offusca anche una vasta
zona di mare tutt’intorno; il vento spinge il fumo verso le navi italiane) ed
accosta per 210° in modo da allontanarsi verso ovest-sud-ovest (scortato dal Carlisle e dai cacciatorpediniere della
scorta diretta), gli incrociatori britannici (disposti in colonne, per
divisione, e guidati dal Cleopatra),
dirigono contro quelli italiani per difendere il convoglio, assumendo rotta
ovest-nord-ovest. La III Divisione, come precedentemente ordinato, fa rotta
verso nord per attirarli verso il gruppo «Littorio» (corazzata Littorio, cacciatorpediniere Ascari, Aviere, Oriani e Grecale): il piano dell’ammiraglio
Iachino, che si aspetta che le navi britanniche inseguano quelle italiane, è di
attirare il nemico tra il gruppo «Gorizia» da una parte ed il gruppo «Littorio»
dall’altra. (Per una fonte, l’accostata verso nord della III Divisione sarebbe
avvenuta alle 14.29). Questo piano è stato in seguito oggetto di critiche,
perché di fatto porterà ad una sospensione del combattimento per quasi un’ora e
mezza (dalle 15.15 alle 16.37): tempo prezioso fatto perdere alle navi della
III Divisione, che in quel lasso di tempo avrebbero potuto, anche senza
l’appoggio della Littorio, infliggere
gravi danni a quelle di Vian. Invece, questa perdita di un’ora e mezza
contribuirà poi a far sì che il calare dell’oscurità ponga fine alla battaglia
prima che le navi italiane riescano a raggiungere il convoglio od infliggere
danni significativi alla scorta. Iachino negherà, in seguito, di aver dato tale
ordine, registrato da Parona nel suo rapporto di missione, nonché da
quest’ultimo riferito a voce nel primo rapporto telefonico fatto a Supermarina
alla fine della missione e nel successivo primo breve resoconto telegrafico:
probabilmente, rileva lo storico Francesco Mattesini, perché Iachino si è reso
conto, a posteriori, di aver dato un ordine controproducente.
Avvicinandosi, gli
incrociatori di Vian escono dalla cortina nebbiogena che i cacciatorpediniere
britannici hanno steso sulla formazione, e risulta così possibile stabilire il
contatto balistico: alle 14.35, mentre corrono verso nord, gli incrociatori di
Parona aprono il fuoco con le torri poppiere, da 21.700 metri di distanza. Il
tiro italiano risulta piuttosto intermittente, perché la visibilità dei
bersagli è altalenante: le navi nemiche vengono impegnate ogni volta che escono
dalla nebbia, ma questo accade solo di quando in quando; inoltre, il mare mosso
fa rollare e beccheggiare fortemente le navi ed il vento soffia schiuma contro
i telemetri, rendendo pressoché impossibile – insieme al fumo ed alle grandi
distanze – una mira accurata. Alle 14.43 le navi di Parona interrompono il tiro
e poi lo riprendono dieci minuti dopo, mentre gli incrociatori britannici
descrivono un ampio semicerchio, virando a nordest alle 14.33 per diffondere
ulteriormente il fumo, e poi a nordovest alle 14.56, ora in cui il Cleopatra e l’Euryalus iniziano a rispondere al fuoco (per la prima volta
dall’inizio dello scontro) da una distanza di 19.000 metri, prendendo di mira
il Bande Nere. Le salve sparate dalle
navi di Vian risultano ben presto assai centrate, specialmente sul Bande Nere (che risulterebbe essere
stato impegnato dal Cleopatra e dall’Euryalus dalle 14.56 alle 15.09, ora
nella quale la distanza diviene eccessiva per la portata delle artiglierie
britanniche), che viene inquadrato ma non colpito dalle salve nemiche,
nonostante parecchi colpi gli cadano tutt’attorno. Parimenti, il tiro del Bande Nere inquadra il Cleopatra e l’Euryalus ma senza colpire. A causa del fumo, poche navi
britanniche, eccetto Cleopatra ed Euryalus, avvistano quelle italiane; e
di esse soltanto il cacciatorpediniere Lively
spara qualche colpo.
Alle 15.06 Vian si
rende conto di avere di fronte degli incrociatori, e non delle corazzate (anche
se sbaglia ancora a quantificarne il tipo ed il numero, credendo trattarsi di
un incrociatore pesante e tre incrociatori leggeri), che navigano in linea di
fronte su uno schieramento ampio circa 2 miglia e rotta stimata 200°; i primi
colpi italiani, che cadono molto corti, sono stati visti alle 14.36. Le navi
britanniche accostano prima ad est, poi a sud e poi di nuovo ad ovest, per non
allontanarsi dal convoglio; il gruppo «Gorizia» le asseconda, mantenendo il
contatto balistico e variando la distanza in base alla visibilità ed agli
ordini di tenere il nemico agganciato, ma senza impegnarsi a fondo. Alle 15.10
la III Divisione, che ha ridotto la velocità a 25 nodi, viene inquadrata da
numerose salve d’artiglieria, molto rapide, sparate da circa 20.000 metri di
distanza: esse inquadrano con particolare precisione il Bande Nere, ma nessun colpo va a segno.
Tra le 15.09 e le
15.15 uno degli incrociatori italiani inizia a centrare le sue salve su Cleopatra ed Euryalus, anche dopo che questi si sono ritirati dietro la cortina
nebbiogena; il Cleopatra reagisce
sparando anch’esso alcune salve contro la nave italiana, ed alle 15.15 le unità
avversarie accostano entrambe in fuori. Alle 15.13 gli incrociatori italiani
cessano il tiro; quando le unità nemiche accostano di nuovo verso nord, il
gruppo «Gorizia» cerca di nuovo di portarle verso il gruppo «Littorio», ormai
vicino, che avvista alle 15.23 ad una distanza di 15 km. La III Divisione
riduce pertanto la velocità a 20 nodi ed accosta per assumere la posizione
assegnata in formazione, cioè a sinistra della Littorio (durante la battaglia, la posizione relativa della III
Divisione rispetto alla Littorio
varierà più volte nelle diverse fasi del contatto balistico; alla fine la
Divisione si ritroverà grosso modo a poppavia dritta della corazzata). La
riunione avviene alle 15.30.
Mentre le unità di
Parona e di Vian erano impegnate in questo primo scambio di colpi, il convoglio
è stato attaccato da bombardieri tedeschi Junkers Ju 88, che sono stati
respinti dal furioso tiro contraereo del Carlisle
e dell’Avon Vale (che durante tale
azione sono entrati in collisione tra di loro, ma senza riportare danni gravi).
Alle 15.20 gli
incrociatori britannici accostano di nuovo verso sud (o sudovest) per riunirsi
al convoglio (alla stessa ora, il Gorizia
avvista la Littorio verso nord), e la
prima fase dello scontro volge al termine. Il convoglio torna ad assumere l’originaria
rotta verso ovest. Vian, non a conoscenza della manovra italiana, ritiene di
aver respinto il nemico e così comunica al suo superiore, ammiraglio
Cunnignham, alle 15.35. Le navi di Vian si ricongiungono col convoglio alle
16.30; dato che i cacciatorpediniere classe “Hunt” della scorta diretta hanno
già consumato gran parte del proprio munizionamento contraereo, Vian ordina a
due dei suoi gruppi (il primo e quello incaricato di emettere fumo) di unirsi
alla scorta diretta.
Il tempo va
peggiorando: il vento aumenta, fino a 30 nodi, e la schiuma delle onde genera
una sorta di foschia bassa, con conseguente mediocre visibilità.
Una volta riuniti i
due gruppi, la flotta italiana si dispone con la III Divisione in linea di
fronte a sinistra (ad est) della Littorio,
così da avere uno schieramento perpendicolare al probabile rilevamento delle
forze nemiche; poi, data anche la sua eterogeneità, la III Divisione viene
lasciata a 5 km di distanza dalla corazzata, per garantirle maggiore
scioltezza. (Per una fonte, la squadra italiana si dispone in linea di
rilevamento, con la III Divisione ad ovest-nord-ovest della Littorio). Successivamente, la III
Divisione passa alla formazione in linea di fila nell’ordine Gorizia (in testa), Trento (al centro), Bande
Nere (in coda).
L’ammiraglio Iachino,
cui risulta che gli incrociatori nemici stiano navigando verso sud ad alta
velocità, ritiene che il convoglio abbia deviato per sudovest, e decide di
manovrare per tagliargli la strada; alle 16.18 giunge una comunicazione di un
aereo che riferisce che il nemico si trova a 30 miglia di distanza, 10° di
prora a sinistra, con rotta 255°, e Iachino ordina di accostare per 230° per
intercettarlo. Altra decisione criticata è quella di Iachino di seguire, dopo
la riunione dei gruppi, una rotta verso sudovest (per “tagliare il T” alla
formazione nemica, secondo una fonte); rotta infatti più diretta, ma che
porterà le navi italiane ad essere sottovento rispetto a quelle britanniche,
col conseguente rischio di essere accecata (come poi accadrà) dal fumo e dalle
cortine nebbiogene emesse dalle navi britanniche.
Alle 16.31 la squadra
italiana (più precisamente, la Littorio)
avvista di nuovo quella britannica per rilevamento 210° (circa dieci miglia più
ad ovest di quanto previsto in base alle segnalazioni degli aerei);
contestualmente, un idroricognitore catapultato dalla Littorio avvista il convoglio a 10 miglia per 240° dagli
incrociatori britannici (cioè al di là di questi ultimi), su rotta 270°. In
base a queste informazioni, Iachino ordina di accostare a dritta e poi di
dirigere verso ponente.
Le prime navi
britanniche ad avvistare quelle italiane sono lo Zulu (che vede 4 navi di tipo imprecisato a 9 miglia di distanza,
verso nordest in direzione 42°) e l’Euryalus
(che avvista tre incrociatori per 35°, a 15 miglia di distanza), alle 16.37 ed
alle 16.40; la III Divisione avvista a sua volta il nemico alle 16.40, di
prora. La squadra italiana si dispiega subito sulla dritta, accostando in
successione per 90°, per 290° e per 270°, ed alle 16.43 viene aperto il fuoco
da entrambe le parti; allo stesso tempo, alle 16.40, anche la formazione
britannica dirige incontro a quella italiana per affrontarla (eccetto i
cacciatorpediniere Jervis, Kipling, Kingston e Kelvin, che
invece stendono un’altra cortina fumogena tra le navi italiane ed il convoglio),
assumendo rotta nord-nord-est. Le condizioni di visibilità sono già di per sé
pessime, ed a peggiorarle ulteriormente le navi britanniche emettono di nuovo
copiose cortine fumogene: l’orizzonte nella direzione del nemico appare
estremamente confuso; delle navi britanniche si vedono soltanto i fumi e
occasionalmente qualche scafo, che appare parzialmente di quando in quando. Il Bande Nere è dotato di apparecchiature
per la stabilizzazione del tiro con forte moto ondoso, ma queste non sembrano
funzionare granché.
L’azione di fuoco
delle navi italiane si svolge in due periodi, tra le 16.43 e le 17.16,
prendendo di mira gli incrociatori britannici che emergono dalla cortina
nebbiogena; nella prima fase, tra le 16.43 e le 16.52, mentre le distanze
calano da 17.000 metri a 14.000 metri, il tiro italiano si concentra sugli
incrociatori Dido, Penelope, Cleopatra ed Euryalus e
sul cacciatorpediniere Legion. Il
tiro delle navi italiane è molto intenso, ma saltuario, in quanto i bersagli
appaiono e scompaiono nella nebbia artificiale.
Una foto scattata sul Bande Nere durante la seconda battaglia della Sirte (dal saggio di Francesco Mattesini su www.societalitalianastoriamilitare.org) |
Alle 16.44 è proprio
il Bande Nere ad ottenere un colpo a
segno: un proiettile da 152 mm della seconda salva sparata da questo
incrociatore colpisce infatti il Cleopatra
(capitano di vascello Guy Grantham), nave ammiraglia di Vian, esplodendo
nell’angolo destro poppiero della controplancia. Il colpo del Bande Nere distrugge la centrale per il
tiro contraereo e la colonnina di punteria del tiro illuminante del Cleopatra, fa cadere tutte le antenne
radio tranne una (ed anche i fasci di sagole, tranne uno) e provoca tra
l’equipaggio dell’incrociatore britannico 15 morti, tra cui un ufficiale, e 5
feriti, tra cui un altro ufficiale; l’ammiraglio Vian, che si trova anche lui
in controplancia, rimane invece illeso. (Secondo alcune fonti, il colpo del Bande Nere avrebbe danneggiato o persino
distrutto le torri poppiere del Cleopatra,
ma sembra trattarsi di un errore. Qualche fonte menziona che il colpo a segno
avrebbe messo fuori uso, oltre alla radio, anche il radar del Cleopatra, o che avrebbe distrutto due
mitragliere contraeree della nave britannica).
Occorre menzionare
che secondo la stima dell’ammiraglio Iachino, a colpire il Cleopatra non sarebbe stato il Bande
Nere, dato che quest’ultimo è la nave della linea di tiro più lontana da
quelle nemiche, bensì i pezzi secondari da 152 mm della Littorio. Da parte britannica, tuttavia, il colpo sul Cleopatra è attribuito al Bande Nere, e questa versione è quella
usualmente accreditata dalla totalità delle fonti.
Subito dopo essere
stato colpito, il Cleopatra accosta verso
ovest e ripiega, portandosi dietro la cortina di nebbia artificiale, cessando
momentaneamente il fuoco alle 16.48. Anche dopo l’accostata, per alcuni minuti,
le salve italiane continuano ad essere ben centrate; il Cleopatra non subisce altri colpi a bordo, ma una scheggia di un
proiettile caduto vicino uccide un altro membro dell’equipaggio. Dido, Penelope e Legion, che
hanno aperto il fuoco sugli incrociatori italiani alle 16.44 (senza riuscire ad
osservarne i risultati, causa la nebbia ed i colpi di mare), imitano la manovra
della loro nave ammiraglia.
Durante la prima fase
del combattimento il tiro britannico è ben centrato, ed il Bande Nere stesso si ritrova inquadrato da salve dell’Euryalus e del Cleopatra, sparate da 19.000 metri, ma non viene colpito (nessuna
nave italiana viene colpita dal tiro britannico; soltanto schegge di proiettili
scoppiati molto vicini cadono a bordo).
Le navi italiane
sospendono il fuoco alle 16.52 e lo riprendono alle 17.03, dopo una pausa di
undici minuti; il tiro italiano risulta diretto contro sagome che appaiono
molto vaghe, delle quali s’intravedono in mezzo alla nebbia artificiale le
vampe dei cannoni. La distanza delle navi britanniche è stimata in 10.000
metri. Alle 17.11 viene nuovamente cessato il fuoco, dato che le navi di Vian
sono interamente avvolte dalla nebbia e non si riesce più a vedere niente. Da
parte britannica, tra le 17.01 e le 17.12 Cleopatra
ed Euryalus impegnano le navi italiane,
che riescono a vedere piuttosto vagamente, a distanza di circa 14.000 metri;
tra le 17.03 e le 17.10 anche Dido, Legion e Penelope aprono il fuoco, concentrandosi sull’incrociatore italiano
più ad ovest. Diverse salve britanniche cadono vicinissime alla III Divisione,
ma nessuna va a segno. Alle 17.07 le navi italiane, ritenendo erroneamente di
aver avvistato delle scie di siluri (in realtà, non risulta che siano stati
lanciati siluri da parte britannica in questa fase, anche se i
cacciatorpediniere Hero, Havock, Lively e Sikh manovrarono
per portarsi in posizione favorevole al lancio), accostano per 290°, ma poco
dopo tornano ad assumere rotta 270°.
Il mare grosso, le
condizioni di visibilità in progressivo deterioramento e le cortine nebbiogene
continuamente emesse dalle navi britanniche (praticamente ininterrottamente
dalle 14.42 alle 19.13) per occultare sia i loro movimenti che il convoglio
complicano molto il puntamento per le navi italiane. Il vento, che spira a 25
nodi, spinge la nebbia artificiale verso le navi di Iachino.
Alle 17.18 la
formazione italiana accosta per 240° ed alle 17.25 per 250°, riducendo la
velocità a 20 nodi, per accerchiare la forza nemica da ovest; dato però che le
unità britanniche si trovano sottoposte a continui e pesanti attacchi aerei
(protrattisi fino alle 19.25, e dei quali le navi italiane hanno sentore sia
perché gruppi di bombardieri ed aerosiluranti passano non lontano da loro, sia
perché si nota il forte tiro contraereo sopra la cortina nebbiogena che
nasconde le navi), Iachino decide alle 17.31 di approfittarne e tagliare verso
sud, assumendo rotta 200°, per ridurre le distanze. Le navi di Vian hanno
ricominciato anche a sparare sulle unità italiane, con grande intensità e
considerevole accuratezza, ma senza colpire niente.
Si riprende il fuoco,
ed alle 17.20 il cacciatorpediniere britannico Havock viene colpito ed immobilizzato (riesce poi a rimettere
in moto a 16 nodi, e Vian gli ordina di unirsi al convoglio, non essendo più in
grado di partecipare al combattimento); il tiro viene più volte sospeso e
ripreso, anche in conseguenza della pessima visibilità causata dal maltempo e
della nebbia artificiale che ormai aleggia un po’ ovunque. Alcuni
cacciatorpediniere britannici (Lively,
Sikh, Hero) tentono di portarsi in posizione idonea a lanciare i siluri,
ma rinunciano poco dopo. La battaglia si frammenta in molti episodi minori, in
cui entrambe le parti commettono errori di valutazione, si avvicinano e si
allontanano a più riprese. Il capoconvoglio britannico, imbarcato sulla
cisterna Breconshire, vorrebbe
proseguire verso Malta ed alle 17.20 fa accostare verso ovest con tale
proposito, ma dieci minuti dopo Vian, intuendo che la manovra italiana mira ad
aggirare il convoglio passando ad ovest della cortina nebbiogena, ordina che il
convoglio diriga nuovamente verso sud. Il tira e molla continua: il
capoconvoglio accosta di nuovo per sudovest alle 17.45, e Vian lo fa tornare
verso sud alle 18.
Prosegue, intanto, il
combattimento tra le contrapposte formazioni: alle 17.40 le navi italiane,
ridotte le distanze fino a 14.000 metri, riaprono il fuoco sugli incrociatori
britannici (i quali governano alternativamente verso est e verso ovest,
emettendo nebbia artificiale per nascondere il convoglio), che appaiono di
quando in quando in mezzo alla nebbia, continuando a loro volta un tiro
serrato. Alle 17.52, anche se la distanza è calata a 13.000 metri, da parte
italiana viene sospeso il tiro, per la visibilità troppo cattiva, mentre da
parte britannica si continua a fare fuoco con l’ausilio del radar, ma senza
colpire. Un minuto dopo la formazione italiana accosta per 220°. Lo stato del
mare va sempre peggiorando, degenerando a poco a poco in una vera e propria
tempesta: avendo il mare approssimativamente al traverso al sinistra, Trento e Gorizia rollano in media di 10°-12°, ed il Bande Nere di ben 24°-27° (in proposito di quest’ultimo, la storia
ufficiale della Marina commenta testualmente: «Questi incrociatori leggeri, molto stretti rispetto alla lunghezza
(L=169 m, l=15,5 m), alti di bordo e con cospicue sovrastrutture, erano le navi
meno atte a reggere il mare di fianco che noi possedessimo»). Alle 17.56 le
navi italiane, per ridurre il violento rollio causato dalla tempesta ed al
contempo evitare di modificare l’orientamento dello schieramento rispetto al
nemico (che si trova a circa 13 km di distanza per 160°), accostano ad un tempo
per 250°, ed alle 18.10 assumono rotta 280°, allontanandosi dalle navi
britanniche (che verso le 18 vengono attaccate da aerosiluranti, visti passare
nelle vicinanze dalle navi italiane), che cessano così il fuoco.
Le unità britanniche
si avvicinano ed attaccano, infruttuosamente, con i siluri: il Cleopatra lancia infruttuosamente tre
siluri contro la Littorio; Dido, Penelope, Legion, Hasty e Zulu tentano anch’essi di lanciare i propri siluri, ma non ci
riescono per via della nebbia, della scarsa visibilità, delle distanze, del
vento e del mare sempre più mosso. Poi, tutte le navi britanniche ripiegano
verso est, allontanandosi da quelle italiane.
Alle 18.20 la squadra
italiana, i cui due gruppi procedono a poca distanza l’uno dall’altro, assume
rotta 220° ed alle 18.27 rotta 180°, per avvicinarsi al convoglio britannico ed
obbligarlo ad allontanarsi da Malta; i vari gruppi in cui è divisa la squadra
britannica, intanto, si riuniscono verso ovest/nordovest per concentrare
l’offesa contro le unità di Iachino, mentre il convoglio torna a dirigere verso
ovest alle 18.25 e poi di nuovo verso sud alle 18.40.
Alle 18.31 le navi
italiane, ora disposte in linea di fila con la Littorio in testa, aprono di nuovo il fuoco da 15.000 metri verso
il nemico, che si trova poco a proravia del loro traverso a sinistra; le navi
britanniche reagiscono concentrando il fuoco su Littorio e Gorizia. Nello
stesso momento tutti i gruppi britannici convergono in un punto situato 15
miglia a sudest della Littorio, tra
quest’ultima ed il convoglio (che in quel momento è 23 miglia a sudest della
corazzata italiana), per poi andare all’attacco silurante. Tale attacco, deciso
e ordinato fin dalle 17.59, ha inizio alle 18.27 e si conclude alle 18.41; i
cacciatorpediniere britannici, divisi in gruppi, serrano le distanze, alcuni
fino a soli 5500 metri (mentre tra gli incrociatori il Cleopatra, che appoggia i cacciatorpediniere con le sue
artiglierie, si avvicina fino a 9000 metri), e lanciano i loro siluri,
intensamente controbattuti dal tiro delle navi italiane. Nessuno dei siluri
lanciati va a segno; durante l’attacco, alle 18.41, il tiro del Trento colpisce il
cacciatorpediniere Kingston, che
viene immobilizzato con gravi danni ed incendio a bordo, mentre alle 18.52 il Lively subisce danni e allagamenti per
schegge di una salva della Littorio
caduta vicinissima. Il combattimento è accanito; le navi italiane sparano con
tutte le artiglierie, compresi i pezzi secondari da 100 mm degli incrociatori.
Nonostante l’attacco
dei cacciatorpediniere, la flotta italiana prosegue a 22 nodi sulla rotta 180°;
alle 18.45 tutte le unità accostano a un tempo per 295°, per evitare i siluri,
riducendo poi la velocità a 20 nodi. Uno dei siluri passa poco a proravia della
Littorio, altri cinque o sei passano
in mezzo alle navi. Alle 18.51 Iachino ordina a tutte le navi di accostare per
330° ed accelerare a 26 nodi, per allontanarsi rapidamente dalla zona degli
attacchi siluranti, anche perché la visibilità è sempre più ridotta causa la
nebbia in aumento (il vento di Scirocco
la spinge verso le navi italiane) ed il mare sempre più mosso. Proprio durante
l’accostata, si verifica l’unico colpo a segno ottenuto dai britannici nel
corso della battaglia: un proiettile da 120 mm, sparato da uno dei
cacciatorpediniere, colpisce la Littorio
a poppa, causando qualche danno di modesta entità. Più o meno in questa fase,
mentre la battaglia navale volge al termine, le navi britanniche vengono
attaccate senza successo da dodici aerosiluranti Savoia Marchetti S.M. 79
“Sparviero”, decollati da Catania, tre dei quali vengono abbattuti, e da alcuni
bombardieri tedeschi.
Il fuoco viene
cessato da entrambe le parti tra le 18.56 e le 18.58 (per altra fonte, l’ultima
azione di fuoco da parte italiana sarebbe stata dalle 18.46 alle 18.48), e poco
dopo si perde il contatto, mentre cala il buio: termina così, in modo
inconcludente, la seconda battaglia della Sirte. Calato il buio, infatti, la flotta italiana, piagata dalla
scarsa preparazione al combattimento notturno (nel quale i britannici sono
invece esperti), non sarebbe in grado di dare battaglia, e per giunta i
cacciatorpediniere sono ormai a corto di carburante: si torna dunque alle basi,
ordine che viene confermato da Supermarina alle 20.
Bande Nere, Trento, Gorizia e Littorio hanno sparato complessivamente 1511 colpi di grosso e
medio calibro (112 da 152 mm il Bande
Nere; 336 da 203 mm e 20 da 100 mm il Trento;
226 da 203 e 67 da 100 il Gorizia;
181 da 381 mm, 445 da 152 mm e 21 da 90 mm la Littorio; più 84 da 120 mm il cacciatorpediniere Aviere); gli incrociatori britannici
hanno sparato tra i 1600 ed i 1700 colpi, ed i loro cacciatorpediniere circa
1300. Da parte britannica sono stati danneggiati in modo serio il Cleopatra ed i cacciatorpediniere Kingston, Havock e Lively, ed in
modo meno grave l’incrociatore Euryalus
ed i cacciatorpediniere Sikh, Lance e Legion, mentre da parte italiana non si sono avuti danni tranne
quelli, pressoché irrilevanti, causati dal colpo da 120 a segno sulla Littorio. Questi danni contribuiranno ad
indebolire non poco la Mediterranean Fleet, almeno temporaneamente, per quanto
concerne il numero di siluranti a disposizione (tra quelli colpiti durante la
battaglia e le unità danneggiate da aerei e sommergibili negli stessi giorni,
ben tredici cacciatorpediniere della Mediterranean Fleet si ritrovano
danneggiati in modo più o meno grave), ma dati i rapporti di forza nella
battaglia sarebbe stato lecito aspettarsi, da parte italiana, un risultato più
favorevole. Il convoglio, obiettivo dell’attacco, è infatti scampato indenne
alle navi italiane, anche se la perdita di tempo causata dalle deviazioni di
rotta imposte dalla battaglia faciliterà gli attacchi aerei che porteranno,
nelle ore successive, alla sua distruzione.
Alle 19.06 la
formazione italiana accosta verso nord, per rientrare alle basi, e poco dopo si
dispone in un’unica linea di fila (navi maggiori), con i cacciatorpediniere in
posizione di scorta laterale ravvicinata; alle 19.20 la velocità viene ridotta
a 24 nodi, ed alle 19.48, calato completamente il buio, la XIII e la XI
Squadriglia vengono posizionate a poppavia delle navi maggiori in doppia
colonna, XIII Squadriglia a dritta e XI a sinistra.
Alle 19.13, intanto,
le navi britanniche cessano l’emissione di nebbia, ritenendo che ormai la forza
italiana non si ripresenterà: il convoglio viene finalmente autorizzato a
procedere verso Malta (in formazione diradata, per rendere più difficile il
lavoro dei bombardieri ed aerosiluranti italo-tedeschi), mentre le navi di Vian
fanno ritorno ad Alessandria (tranne Havock
e Kingston, mandati a Malta con il
convoglio in considerazione dei danni subiti, ed il Lively, inviato a Tobruk per lo stesso motivo). Il convoglio
britannico subirà gravi perdite l’indomani, ormai praticamente sulla porta di
casa: gli attacchi aerei dell’Asse affonderanno la Breconshire ed il piroscafo Clan
Cambpell e metteranno fuori uso il cacciatorpediniere Legion (portato all’incaglio, e poi distrutto durante le
riparazioni da altri bombardamenti su Malta, come pure il Kingston), mentre il cacciatorpediniere Southwold affonderà per urto contro una mina; i due piroscafi
superstiti, Pampas e Talabot, verranno affondati in porto dai
bombardamenti, così che di 25.000 tonnellate di rifornimenti portati dal
convoglio meno di 5000 giungeranno a destinazione.
Il maltempo,
frattanto, è ormai degenerato in una vera e propria tempesta: col mare grosso
al traverso, le navi rollano fortemente, ed il Bande Nere, unità dalla stabilità non eccelsa, sbanda paurosamente,
fino a 27°. A dispetto della velocità ridotta, l’incrociatore rolla così
violentemente da rischiare l’ingavonamento, al punto che alle 19.48 il
comandante Sitta, riferendo la gravità della situazione, chiede libertà di
manovra per assumere rotta 60°, che gli permetterebbe di tenere meglio il mare.
Pochi minuti dopo, l’ammiraglio
Iachino ordina a tutta la squadra, per fronteggiare meglio il mare grosso, di accostare
per 25° e ridurre la velocità a 20 nodi alle 20.00 (avendo il mare grosso in
poppa, per contenere il forte rollio che – nel caso di navi poco stabili come
il Bande Nere – può portare ad
oscillazioni di ampiezza pericolosa, è opportuno navigare a bassa velocità), ed
alle 20.26 ordina di assumere rotta 10°. Alle 20.28 Iachino accorda al Bande Nere il permesso di seguire la
rotta richiesta quaranta minuti prima, fino a quando – a giudizio di Sitta – le
condizioni del mare lo renderanno necessario, e poi lo autorizza a dirigere su
Messina per conto proprio. Alle 21.17 la velocità viene ridotta a 18 nodi ed
alle 23.57 a 16, sempre per lenire il travaglio dei cacciatorpediniere, ma la
situazione va peggiorando. Alle 20.34 Supermarina ordina a Iachino di rientrare
in porto.
Molti
cacciatorpediniere iniziano a manifestare avarie: il Lanciere, l’Aviere, l’Oriani, lo Scirocco, il Fuciliere,
l’Alpino comunicano problemi alle
macchine o al timone, guasti e difficoltà a tenere il mare.
Il Bande Nere, costretto dal maltempo ad
uscire dalla formazione per cambiare rotta, passa tutta la notte alla cappa, su
rotta 60°.
Un’altra immagine del Bande Nere durante la seconda battaglia della Sirte (Ufficio Storico della Marina Militare) |
23 marzo 1942
La violenza del mare
disperde la formazione; all’alba del 23, su un totale di dieci
cacciatorpediniere, soltanto uno è rimasto assieme alle navi maggiori della
forza navale: altri cinque sono rimasti indietro, mentre quattro sono finiti
col trovarsi in posizione molto più avanzata della Littorio. Il mare è ormai diventato forza 8 ed investe le navi nei
settori poppieri, causando gravi avarie e danni alle sovrastrutture.
Due dei
cacciatorpediniere, lo Scirocco ed il
Lanciere, rimangono immobilizzati a
causa delle avarie e soccombono alla violenza del mare: il primo affonda alle
5.45, il secondo alle 10.07. In sei giorni di ricerche, verranno trovati soltanto
15 superstiti del Lanciere e due
dello Scirocco, su equipaggi composti
rispettivamente da 242 e 236 uomini.
Il resto della flotta
italiana rientra alle basi alla spicciolata, tra il 23 ed il 24 marzo.
La partecipazione del
Bande Nere alla seconda battaglia
della Sirte rappresenta l’unica occasione in cui un incrociatore classe Di
Giussano sia stato impiegato con la Squadra Navale dopo la battaglia di Punta
Stilo (luglio 1940): infatti queste unità, fragili e molto vulnerabili a causa
della scarsa corazzatura, sono ritenute inadatte all’impiego di squadra, e per
questo sono impiegate principalmente per scorta convogli, posa di mine o
persino compiti addestrativi. La partecipazione del Bande Nere alla seconda Sirte è stata dettata dalle necessità del momento,
e c’è chi ha criticato la decisione di farlo partecipare, sostenendo che
sarebbe stato meglio inviare, al suo posto, qualcuno dei più moderni
incrociatori leggeri della VII e VIII Divisione. (In generale, la scelta delle
navi per l’attacco al convoglio britannico – operata dall’ammiraglio Luigi
Sansonetti, sottocapo di Stato Maggiore della Marina – è stata oggetto di dubbi
da parte dello stesso Iachino, e di successive critiche per via della
disomogeneità delle navi impiegate; sarebbe stato meglio, si è detto, una
nutrita ma omogenea formazione di incrociatori pesanti e leggeri delle classi
più moderne).
Il Bande Nere, assistito da rimorchiatori,
arriva a Messina di ritorno dalla seconda battaglia della Sirte, alle 13 del 24
marzo 1942 (sopra: g.c. STORIA militare; sotto: Coll. Franco Bargoni via www.italie1935-45.com)
24 marzo 1942
Durante la notte il Bande Nere, rimasto da solo nel mare in
tempesta, deve mettersi alla cappa (rotta 60°) per qualche ora, ma anche così
subisce alcuni danni a causa della violenza del mare.
Dopo una estenuante
navigazione notturna, il Bande Nere
raggiunge Messina alle 13; è la penultima nave italiana a rientrare in porto,
seguito solo dal Grecale (che, avendo
subito gravi avarie a causa della tempesta, si ancora la mattina del 24 al
largo di Punta Stilo e viene poi rimorchiato a Crotone in serata). A causa
della leggerezza della sua costruzione (nella quale si è risparmiato sulla
solidità dello scafo in favore della velocità e degli armamenti) e
dell’eccezionale violenza del mare, il Bande
Nere, al pari dei cacciatorpediniere, ha riportato parecchie avarie.
Un’altra immagine del Bande Nere in arrivo a Messina dopo la seconda Sirte: sarà affondato una settimana più tardi (g.c. Giorgio Parodi via www.naviearmatori.net) |
L’affondamento
Alle sei del mattino
del 1° aprile 1942 il malconcio Bande
Nere, al comando del capitano di vascello Ludovico Sitta, partì da Messina
diretto a La Spezia, nel cui Arsenale avrebbe dovuto essere sottoposto ad un
periodo di lavori di grande manutenzione e di riparazione dei molti danni
causati dalla tempesta di ritorno dalla seconda battaglia della Sirte.
Supermarina aveva
disposto il trasferimento già il 28 marzo, con un telegramma (ordine trasmesso
il 29 marzo dalla Littorio,
ammiraglia di squadra, al Gorizia,
ammiraglia della III Divisione cui era aggregato il Bande Nere), stabilendo che la nave avrebbe dovuto lasciare Messina
alle sette del mattino 31, regolando la navigazione in modo da passare al largo
di Ponza al tramonto dello stesso giorno e da arrivare a La Spezia il mattino
del 1° aprile. La partenza sarebbe dovuta avvenire “con tempo assicurato” e
l’incrociatore avrebbe dovuto compiere la navigazione di trasferimento ad una
velocità di 18 nodi, così da transitare presso Stromboli (punto 38°51’ N e
15°20’E) alle dieci del mattino del 31.
Al Comando della
Squadra Navale (ammiraglio Iachino, sulla Littorio)
era stato di conseguenza ordinato di destinare i cacciatorpediniere Aviere e Fuciliere alla scorta del Bande
Nere da Messina fino ad ovest Ponza; a Marina La Spezia era stato al
contempo ordinato di far partire da Portoferraio l’avviso veloce Diana, che avrebbe dovuto incontrare il Bande Nere al largo di Ponza ed
assumerne la scorta fino a La Spezia, rilevando Aviere e Fuciliere (che a
questo punto avrebbero dovuto raggiungere Napoli). Sia a Marina La Spezia che a
Marina Messina era stato inoltre ordinato di disporre un rinforzo della scorta
navale nei tratti a sud di Stromboli (Marina Messina) ed a nord della Gorgona
(Marina La Spezia); i Comandi Marina di Messina, Napoli e La Spezia avrebbero
inoltre dovuto emanare ordini affinché al Bande
Nere fosse assicurata la scorta aerea, nelle ore diurne, nei diversi tratti
della navigazione («in base previsioni
movimenti che saranno comunicati da LITTORIO per F.N.»). Nell’emanare
l’ordine d’operazione, il Comando della III Divisione stabilì che Bande Nere e scorta avrebbero dovuto
seguire le rotte di sicurezza di Messina fino al punto convenzionale «FN», per
poi dirigere verso il punto 38°51’ N e 15°20’E (al largo di Stromboli).
Le avverse condizioni
del tempo, tuttavia, avevano indotto a rimandare la partenza di un giorno, così
che la nave poté lasciare Messina soltanto alle sei del 1° aprile.
Scortavano il Bande Nere, come ordinato, i
cacciatorpediniere Aviere e Fuciliere e la torpediniera Libra, quest’ultima solo per il primo
tratto. Le unità iniziarono ad uscire dal porto di Messina alle 5.45:
nell’ordine, Libra, Fuciliere, Bande Nere ed Aviere.
Alle 6.36 tutte e quattro erano fuori dalle ostruzioni, e l’Aviere si portò tra Fuciliere e Libra.
Le cose iniziarono ad
andare male subito dopo la partenza. Appena fuori dalle ostruzioni di Messina, alle
6.41, la Libra riferì che aveva
l’ecogoniometro guasto, e poco dopo (6.55) fu il Fuciliere ad annunciare di avere la motrice di dritta bloccata, il
che lo costringeva a ridurre l’andatura; il comandante Sitta, che ricopriva
anche il ruolo di comandante superiore in mare, lasciò libero il Fuciliere di tornare in porto a Messina,
mentre ordinò alla Libra di restare
nella scorta fino a Napoli. A questo scopo, l’Aviere richiese al Comando della III Divisione (sul Gorizia) che la Libra potesse continuare il servizio di scorta fino a Ponza, al
posto del Fuciliere.
Una volta usciti
dalle rotte di sicurezza, Aviere e Libra assunsero posizione di scorta
ravvicinata. Alle 7.10 giunse nel cielo della formazione un idrovolante CANT Z.
501 della Ricognizione Marittima (osservatore guardiamarina Bruno Antonucci),
che iniziò il servizio di scorta antisommergibili.
Alle 8.30 la
formazione risultava così disposta: Bande
Nere al centro, Libra a dritta ed
Aviere a sinistra, con un intervallo
inferiore al miglio. Le navi procedevano a 18 nodi, senza zigzagare, in un mare
leggermente mosso (forza 3) che rendeva più difficile avvistare eventuali scie
di siluri.
Alle 8.30 del mattino,
il sommergibile britannico Urge
(capitano di corvetta Edward Philip Tomkinson), in agguato sugli accessi
settentrionali allo stretto di Messina, avvistò un idrovolante, proveniente
dalla direzione di Messina, intento a pattugliare la rotta per Napoli. Il
sommergibile scese a 26 metri di profondità, ma alle 8.41, rilevando un debole
rumore prodotto da motrici di navi, tornò a quota periscopica: fu allora che
avvistò l’estremità superiore delle alberature di una nave da guerra. Alle 8.44
la nave era divenuta completamente visibile, e Tomkinson ritenne di trovarsi di
fronte ad un incrociatore pesante, scortato da due cacciatorpediniere, che
procedeva a 21 nodi su rotta 330° (quasi esatto: la rotta effettivamente
seguita dal Bande Nere in quel
momento era di 347°), cioè diretto verso nord. Contrariamente a quanto ritenuto
dal comandante britannico, la nave avvistata non era un incrociatore pesante:
si trattava del Bande Nere, scortato
da Aviere e Libra, mentre il Fuciliere
aveva appena da poco lasciato la formazione per rientrare alla base, a causa dell’avaria
alla motrice di dritta.
L’Urge manovrò per attaccare, ed alle
8.54, in posizione 38°37'5" N e 15°22' E, lanciò quattro siluri Mk VIII da
una distanza di 4570 metri. (Sembra pertanto erronea la versione, riportata da fonti
italiane, secondo cui l’Urge – anche
in conseguenza della mancanza del Fuciliere
che, riducendo il numero di siluranti di scorta da tre a due, aveva lasciato
scoperto un ampio settore – si sarebbe infiltrato internamente alla scorta,
portandosi tra l’Aviere ed il Bande Nere e lanciando da ridottissima
distanza, poche centinaia di metri). A causa dell’errore di identificazione – incrociatore
pesante anziché incrociatore leggero –, Tomkinson fece regolare i siluri per
correre a profondità comprese tra i 3,7 e 5,4 metri, anziché a 3-4,8 metri come
al solito, con navi più piccole. Questo errore non ebbe, comunque, impatto
negativo sull’esito dell’attacco.
Il comandante della
flottiglia sommergibili di Malta osservò in seguito che siluri regolati per
quelle profondità non avrebbero normalmente colpito un incrociatore leggero, ma
sarebbero passati sotto il suo scafo senza esplodere; e che avevano colpito
perché il Bande Nere, già
danneggiato, secondo i britannici, dalle navi di Vian alla seconda Sirte, aveva
un pescaggio superiore a quello solito. In realtà, gli unici danni subiti dal Bande Nere erano stati quelli causati
dalla tempesta, e sembra improbabile che la nave potesse pescare di più solo
per quello. Non pare, poi, che la differente regolazione della profondità dei
siluri fosse tanto elevata da dire che questi non avrebbero colpito se il Bande Nere avesse avuto un pescaggio
superiore al normale: il pescaggio normale di quell’incrociatore, infatti, era
di 5,3 metri.
Alle nove del mattino,
scoccava sul Bande Nere l’ora di
colazione: «di solito un panino con la mortadella o il provolone», come ricordò
il sopravvissuto Paolo Puglisi. Ma proprio a quell’ora, otto miglia a sudest di
Stromboli (secondo "Navi militari perdute", invece, a undici miglia
per 144° – cioè a sudest – da quell’isola), vennero avvistate delle scie di
siluri: il guardiamarina Antonucci, osservatore del CANT Z. 501 della scorta
aerea, che registrò l’orario delle 8.57, fu l’unico a vedere il punto di
origine delle scie, sul lato sinistro della formazione. O almeno così ritenne,
dal momento che nel suo rapporto esso indicò che le scie avevano origine a
circa 500 metri dal Bande Nere,
mentre in realtà l’Urge aveva
lanciato da una distanza nove volte più grande. L’aereo avvistò tre scie di
siluri, che furono viste anche da tre membri dell’equipaggio del Bande Nere; ma era ormai troppo tardi
per poter tentare una manovra.
Pochi attimi più
tardi, il Bande Nere venne colpito a
centro nave, sul lato sinistro (nella zona 7, cioè quella delle caldaie 5 e 6),
da uno dei siluri dell’Urge. Alla
detonazione del siluro, che proiettò in aria numerosi rottami, seguirono
l’allagamento del locale caldaie 5 e 6 (per altra fonte, 6 e 7), invasione di
fumo e vapore ed infiltrazioni di acqua nei compartimenti contigui, con un
leggero sbandamento dell’incrociatore sulla sinistra; saltò la corrente. La
situazione non sembrava irreparabile ed il comandante Sitta ordinò di fermare
le macchine, ma subito dopo – otto o forse dieci secondi dopo lo scoppio del
primo siluro – il Bande Nere venne
colpito anche da un secondo siluro, leggermente più a proravia del primo, tra
le zone 6 e 7 (locale macchina di prua). Questa seconda esplosione spezzò in
due il Bande Nere: lo sbandamento a
sinistra aumentò subito dopo lo scoppio del siluro, portando il trincarino a
pelo d’acqua, e la coperta a centro nave venne immediatamente sommersa, mentre
la nave si insellava al centro. In brevissimo tempo i due tronconi
dell’incrociatore s’impennarono verso il cielo, “come due braccia oranti”. Successivamente
sarebbe stato escluso, date le vistose colonne di acqua provocate dagli scoppi
e gli effetti del primo siluro, che il sommergibile attaccante avesse usato
siluri con acciarino magnetico.
Il comandante Sitta
ordinò di gettare in mare le zattere ed abbandonare la nave, ma la rapidità
dell’affondamento fu tale che solo parte delle zattere poté essere liberata; il
troncone prodiero sbandò sulla sinistra, e quando l’ala di plancia fu a tre
metri dalla superficie del mare Sitta si gettò in acqua insieme ad alcuni
marinai che si trovavano vicino a lui. Poco lontano caddero in mare gli
apparati della direzione del tiro. Subito dopo che Sitta si fu tuffato, il
troncone di prua si erse verticalmente nel cielo, girato sulla sinistra, e poi
colò a picco, quasi contemporaneamente a quello di poppa, anch’esso levatosi
verticalmente. Secondo un resoconto dell’epoca, “prua e poppa, emergendo dal
mare quasi verticalmente, si richiusero su loro stesse come un libro,
infilandosi in acqua verso il centro”.
Non erano trascorsi che due o tre minuti tra l’impatto del
primo siluro e l’affondamento completo del Bande
Nere.
La nave era stata
affondata esattamente undici anni dopo la sua entrata in servizio, il 1° aprile
1931.
Il Bande Nere subito dopo essere stato colpito, appena prima di spezzarsi in due, e nei suoi istanti finali (da “In guerra sul mare”, di Erminio Bagnasco) |
Paolo Puglisi,
addetto alla torre numero 4 del Bande
Nere, si trovava nei pressi dei complessi secondari da 100 mm, proprio
nell’area colpita dai siluri, quando la nave venne colpita. Levatosi i vestiti
che lo avrebbero intralciato una volta in acqua, Puglisi si aggrappò ai
passamano ma non fece in tempo a gettarsi a mare: trascinato dal risucchio, finì
sott’acqua. Tentò inutilmente di risalire, ma venne invece trascinato diversi
metri sotto la superficie, forse sette od otto, al punto che aveva già
abbandonato la speranza di salvarsi, quando all’improvviso vide, come in una
visione, l’immagine della madre, e più o meno al contempo venne sospinto a
galla da una grande bolla d’aria fuoriuscita dallo scafo della nave in
affondamento. Emerse nei pressi dell’idrovolante di bordo, che galleggiava
capovolto: ai galleggianti del velivolo erano aggrappate “almeno settanta
persone”. L’acqua era fredda (Puglisi, nei suoi ricordi, disse anche che
pioveva, ma Guido Piccinetti, altro superstite, disse invece che «era una bella
giornata di sole»; non è chiaro chi avesse ragione, d’altro canto la memoria
poteva tradire a distanza di decenni), molti naufraghi erano feriti anche
gravemente; il mare era nero per l’immensa quantità di nafta fuoriuscita dai
serbatoi del Bande Nere. Parecchi
cedettero al freddo ed alla stanchezza, e si lasciarono andare, scomparendo.
Il marinaio fuochista
Guido Piccinetti, ventidue anni, da Fano, era imbarcato sul Bande Nere fin dal 1940. Si era coricato
per riposarsi sopra i tubi lanciasiluri, a centro nave, quando avvertì
improvvisamente un grande scoppio e venne lanciato in aria, perdendo i sensi; quando
si riprese – al contatto con l’acqua – era in mare, a venti o trenta metri
dalla nave che stava affondando. Si guardò intorno: non vedeva altro che fumo;
sentiva tutt’intorno le grida degli altri naufraghi, e percepì anche del sangue
che gli colava dalla testa. Non era, comunque, una ferita grave, così come non
lo era neanche un’altra ferita che aveva riportato alla gamba destra, così
Piccinetti si tranquillizzò. Dopo qualche tempo – alcune ore, secondo la sua
stima – Piccinetti vide il cugino Ivo, anch’egli imbarcato sul Bande Nere, in difficoltà perché
sprovvisto di salvagente; nuotando vigorosamente, lo raggiunse e gli diede il
suo, poi entrambi si aggrapparono ad un rottame galleggiante per tenersi a galla.
Poco dopo li sorvolò un aereo italiano, che lanciò loro dei salvagente
individuali.
Il fuochista
ausiliario Gino Fabbri, da Serra dei Conti (Ancona), era stato chiamato alla
leva nel settembre 1941, a vent’anni appena compiuti, ed era imbarcato sul Bande Nere dal novembre di quell’anno.
Al momento del siluramento si trovava in una delle posizioni meno invidiabili
che si potessero immaginare in una circostanza del genere: di guardia in sala
macchine (precisamente in quella di poppa, vicino al centralino telefonico),
nelle viscere della nave.
Improvvisamente sentì un’esplosione, e subito venne a mancare la luce;
muovendosi al buio, Fabbri seguì il suo capoguardia, capo meccanico di terza
classe Lino Giambastiani, che poi sorpassò lungo la scaletta. Mentre Fabbri
stava per aprire la porta, intervenne un marinaio che la aprì, e Fabbri lo
spinse lungo la scala di dritta. Uscì finalmente in coperta, emergendo vicino
alla torre numero 3: mentre saliva la scala, Fabbri sentì la seconda esplosione
(quella causata dal secondo siluro), che generò molto fumo, al punto da
impedirgli di vedere attorno a sé per qualche minuto. Una volta in coperta,
Fabbri aiutò un altro fuochista ausiliario, Mauro Scalabroni (che risultò poi
disperso), a mettere a mare una zattera, dopo di che si gettò in mare,
scivolando lungo la murata. La zattera venne immediatamente presa d’assalto e
si riempì di naufraghi: Fabbri rimase in acqua per circa un quarto d’ora,
sorretto dal salvagente che indossava, e si aggrappò decisamente alla zattera, che
però dovette poi mollare perché afferrato da altri quattro naufraghi, che lo
strapparono dal galleggiante. Poco dopo, i quattro uomini che lo aggrapparono
scomparvero tra le onde. Rimasto da solo, Fabbri nuotò verso la Libra; giunto sottobordo, fu issato a
bordo con una cima da due marinai.
Il capo meccanico
Lino Giambastiani, 33 anni, da Capannori (Lucca), capoguardia di Fabbri, non
uscì mai salla sala macchine di poppa. Quando il primo siluro esplose
nell’attiguo compartimento caldaie, anche la sala macchine venne invasa
dall’acqua fuoriuscita dalle tubolature danneggiate dall’esplosione, mentre si
verificavano gravi principi d’allagamento; Giambastiani ordinò che tutti
rimanessero ai loro posti, per eseguire gli ordini provenienti dalla plancia, e
nonostante la gravità della situazione tentò di contenere le fughe d’acqua e di
vapore. Mentre era intento in quest’opera, il secondo siluro colpì il Bande Nere, precludendogli la possibilità
di mettersi rapidamente in salvo; rimasto in sala macchine, affondò con la
nave. Alla sua memoria fu conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Il maresciallo
Gastone Lavazzolo, al momento del siluramento, si stava sottoponendo ad
un’iniezione per la cura di alcuni dolori che lo affliggevano da qualche tempo;
uscito in coperta, aspettò con calma che la nave si rovesciasse, poi si gettò
in mare. Una volta in acqua, raccolse altri naufraghi attornò a sé.
Il maresciallo
Giuseppe Piccione vide che della nafta, fuoriuscita dalla nave spezzata, aveva
preso fuoco sul mare; si gettò in mare controvento, per evitare di finire in
mezzo alla nafta incendiata.
Guerrino Bassa,
marinaio puntatore, riuscì a gettarsi in mare insieme ad un amico; in acqua,
vide l’amico venire colpito alla testa da un pezzo di legno caduto dalla nave,
che lo uccise.
Il marinaio Giuseppe
Gernone, di Bari, vide il tenente di vascello Marcello Sanfelice di Monteforte,
secondo direttore del tiro, che si trovava in difficoltà e rischiava di
annegare; gli diede il suo salvagente, salvandolo da morte certa. Anche
Gernone, pur senza il salvagente, riuscì a salvarsi.
Il sottotenente di
vascello Franco Rigutini, 22 anni, da Palermo, stremato dal molto tempo passato
in acqua, esaurì le sue ultime forze nel soccorrere un sottufficiale in
pericolo di vita, e annegò quando ormai era a un passo dal salvataggio. Il suo
sacrificio venne attestato da una Medaglia di Bronzo al Valor Militare.
Anche il capo
cannoniere Guido Felicetti, 35 anni, da Ascoli Piceno, addetto ai pezzi da 152,
fortissimo nuotatore, annegò a causa di una grave ferita riportata alla testa dopo
essersi prodigato per salvare diversi compagni, feriti o presi dal panico. Era
stato colpito dall’ala dell’idroricognitore di bordo, caduto in mare durante
l’affondamento. Il capo cannoniere stereotelemetrista Cosimo Menza, 30 anni, da
Pulsano (Taranto), che aveva già raggiunto il relitto galleggiante
l’idrovolante, sentì Felicetti chiedere aiuto e si gettò nuovamente a nuoto per
salvarlo: lo raggiunse e cercò di portarlo sull’idrovolante, aiutandolo e
sorreggendolo, ma esaurì le forze ed annegò insieme a lui.
Il sottocapo
silurista Luigi Sassi, di 24 anni, da Caversaccio (Como), riuscì a portare un
compagno fin sottobordo alla nave soccorritrice, ma questo gesto generoso gli
costò la vita: come Menza e Rigutini, annegò perché sfinito dallo sforzo, ad un
passo dalla salvezza.
Il comandante Sitta,
in acqua, rifiutò un posto che gli veniva offerto su una zattera, per lasciare
posto ai feriti; incitò i naufraghi a tener duro. Sitta riuscì resistere fino
all’arrivo dei soccorsi, e venne tratto in salvo.
Subito dopo
l’affondamento, mentre l’Aviere dava
la caccia al sommergibile senza risultato (per evitare che i naufraghi in mare
venissero uccisi dalle concussioni degli scoppi delle cariche di profondità, l’Aviere gettò le bombe lontano dal punto
dell’affondamento), la Libra ricevette
l’ordine di recuperare i sopravvissuti. Nel darvi esecuzione, la torpediniera
avvistò altre due scie di siluri, il che portò a ritenere che il battello
attaccante si fosse trattenuto nella zona; ma in realtà l’Urge non lanciò altri siluri dopo la salva iniziale, dunque le scie
avvistate furono con ogni probabilità un falso allarme, generato da qualche
vedetta che, comprensibilmente nervosa dopo il siluramento del Bande Nere, scambiò forse la cresta di
un’onda, più marcata di altre, per la scia di un siluro.
L’Urge sentì le prime bombe di profondità
alle 9.07, e ne contò 38 in tutto, nessuna delle quali vicina; al contempo,
l’equipaggio britannico avvertì i rumori prodotti da una nave che si spezzava,
a conferma del proprio successo. Terminato il contrattacco, il sommergibile
tornò a quota periscopica alle 9.40, vedendo due cacciatorpediniere e tre
idrovolanti, ma nessuna traccia dell’incrociatore; a quel punto Tomkinson diede
ordine di scendere in profondità ed allontanarsi verso ponente.
Terminata la caccia
(durante la quale aveva lanciato complessivamente 11 bombe di profondità da 100
kg, 12 da 50 kg e 13 da 30 kg), anche l’Aviere
si mise a recuperare naufraghi; venne rapidamente organizzata una vasta
operazione di soccorso, con l’invio sul posto della nave soccorso Capri, del piccolo incrociatore
ausiliario Lago Tana e delle
torpediniere Pallade e Centauro.
I due
tronconi lentamente si sollevano dal mare (sopra: da www.italie1935-45.com; sotto: g.c.
STORIA militare)
Molti dei naufraghi
erano coperti di nafta, che impediva di vedere e bruciava gli occhi. Il
maresciallo Gastone Lavazzolo, recuperato in stato di semincoscienza ed
interamente coperto di nafta, venne inizialmente ritenuto morto e messo insieme
ai cadaveri; quando mosse un braccio, i soccorritori si resero conto che era
ancora vivo. Sarebbe passata una settimana prima che Lavazzolo riacquistasse la
vista.
In condizioni anche
peggiori era Paolo Puglisi: quando venne recuperato dalla Libra (dopo cinque ore trascorse in acqua, secondo il suo ricordo),
era completamente ricoperto di nafta, che per la lunga immersione gli aveva
anche causato lesioni e irritazione della pelle su tutto il corpo; al momento
del salvataggio perse i sensi e venne deposto in mezzo alle vittime, perché
sembrava morto. Si svegliò tra la sorpresa dei soccorritori; era in stato
confusionale, non ricordava nulla ed era completamente accecato dalla nafta che
gli era entrata negli occhi. All’arrivo a Messina, ricordò poi Puglisi, la sua
infermità non venne riconosciuta ed anzi, incredibilmente, venne incarcerato,
ma dopo qualche giorno venne rilasciato e mandato a casa, mentre ad essere
punito fu chi aveva disposto il suo arresto. Puglisi ricominciò a vederci
soltanto un mese dopo.
Guido Piccinetti ed
il cugino vennero tratti in salvo (dal cacciatorpediniere Maestrale, secondo il ricordo di Piccinetti; ma non sembra in
realtà che questa nave abbia partecipato ai soccorsi) dopo quelle che a lui
parvero otto o nove ore trascorse in acqua. Dopo le prime cure a bordo della
nave soccorritrice, Piccinetti venne portato a Messina e ricoverato
nell’ospedale militare Regina Margherita, dove rimase una decina di giorni. Una
volta dimesso, ebbe una breve licenza a casa e poi venne destinato alla
polveriera di Malcontenta, vicino a Venezia. Piccinetti sarebbe stato catturato
dai tedeschi dopo l’armistizio e deportato in Germania, ma sarebbe
sopravvissuto alla guerra, morendo nel 2015 all’età di 95 anni.
Il trentenne Vincenzo
Cocciani, marinaio radiotelegrafista, da Montepulciano, ebbe la ventura di
essere ripescato da un concittadino, il capitano del Genio Navale Emilio
Acerbi, della Libra. (Per Cozzani,
questa non sarebbe stata l’ultima volta che scampava alla morte di stretta
misura: trasferito sui MAS, sarebbe in seguito sopravvissuto all’affondamento
di quello su cui era imbarcato; divenuto partigiano dopo l’armistizio, sarebbe
stato catturato dai tedeschi ma sarebbe riuscito ad evadere prima della
fucilazione).
Il fuochista Gino Fabbri,
recuperato dalla Libra dopo essere
riuscito a scappare in tempo dalla sala macchine, fu portato a Messina,
interamente ricoperto di nafta e petrolio. Ricoverato presso il locale
ospedale, vi rilasciò la sua deposizione scritta sugli avvenimenti. Fabbri
sarebbe sopravvissuto anche alla guerra, ma la lunga permanenza nell’acqua
fredda aveva intaccato irrimediabilmente la sua salute: qualche mese dopo
avrebbe manifestato i primi segni di una affezione pleurica, che insieme ad
altre concause lo avrebbe portato ad una morte prematura, all’età di 44 anni.
Tra i tanti che non
si salvarono c’era Giuseppe ("Pepé") Morabito, sergente cannoniere,
da Mosorrofa (Reggio Calabria): si era arruolato volontario in Marina nel 1936
ed aveva prestato servizio sul Di
Giussano dal 1937 al 1940, prima di essere assegnato sul Bande Nere il 27 maggio 1940, seguendolo
in tutte le sue vicissitudini belliche. Di lì a tre settimane avrebbe compiuto
ventiquattro anni. La madre Francesca apprese della tragedia quasi per caso,
prima ancora che le giungesse la notifica ufficiale della scomparsa del figlio:
un giorno la donna chiese ad un tale di Reggio, recatosi a Mosorrofa per
comprare rame, notizie della guerra, e questi rispose che "non andava
affatto bene, perché avevano affondato la nave Giovanni delle Bande Nere". L’indomani la famiglia Morabito si
precipitò a Messina per avere notizie: seppero così che "Pepè" era
disperso. I funerali vennero celebrati senza la salma.
Complessivamente
vennero tratti in salvo 391 dei 772 uomini che erano imbarcati sul Bande Nere; quasi esattamente la metà
(le deposizioni dei superstiti, limitatamente all’equipaggio, risultarono poi
di 18 ufficiali, 33 sottufficiali e 244 tra sottocapi e marinai). Morirono in
381: 16 ufficiali, 57 sottufficiali, 295 tra sottocapi e marinai, cinque
militarizzati ed otto militari della Regia Aeronautica addetti agli idrovolanti
di bordo.
Il comandante Sitta
fu tra i superstiti (anche lui, come tanti altri, rimase per qualche tempo
semiaccecato dalla nafta che gli era finita negli occhi), mentre furono tra gli
scomparsi il comandante in seconda, capitano di fregata Vittore Raccanelli, il
capo servizio Genio Navale, maggiore del Genio Navale Silvio Mazzucchetti, ed
il direttore di macchina, capitano del Genio Navale Giuseppe Odifredi.
I naufraghi tratti in
salvo vennero sbarcatia a Messina e Palermo.
Periti nell’affondamento:
Antonio Alibrandi, marinaio, deceduto
Giuseppe Ambrosoni, marinaio fuochista,
disperso
Pasquale Amitrano, marinaio cannoniere,
deceduto
Mino Andreani, marinaio carpentiere, disperso
Domenico Andreula, marinaio fuochista,
disperso
Mario Angaroni, marinaio cannoniere, deceduto
Armando Angeletti, marinaio cannoniere,
deceduto
Francesco Angioli, secondo capo cannoniere,
deceduto
Sebastiano Annino, marinaio furiere, disperso
Fausto Archetti, capo cannoniere di terza
classe, disperso
Antonino Armato, marinaio, disperso
Domenico Artiaco, marinaio fuochista, disperso
Emanuele Asuni, marinaio cannoniere, disperso
Serafino Azzena, sottocapo meccanico, disperso
Rino Bacco, marinaio furiere, disperso
Valentino Bannò, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Giuseppe Barbaglia, marinaio fuochista,
deceduto
Angelo Barnato, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Barra, marinaio, disperso
Giuseppe Battaglia, marinaio, disperso
Alfio Battisti, marinaio silurista, disperso
Alberto Bellagamba, sottocapo cannoniere,
disperso
Pompeo Bellina, sottocapo fuochista, disperso
Emanuele Bengala, sottocapo elettricista,
deceduto
Carlo Bergamaschi, marinaio cannoniere,
deceduto
Mario Berlato, marinaio fuochista, disperso
Erasmo Bertamino, tenente del Genio Navale,
deceduto
Mario Bertini, secondo capo meccanico,
disperso
Natalino Vittorio Bezzi, marinaio cannoniere,
disperso
Angelo Bianchi, marinaio S.D.T., deceduto
Pietro Biso, secondo capo furiere, deceduto
Giuseppe Blancato, sottocapo segnalatore,
deceduto
Carlo Bocchio, secondo capo segnalatore,
disperso
Luigi Bologna, marinaio cannoniere, deceduto
Spiridione Bonaccorso, marinaio S.D.T.,
deceduto
Antonino Bonanno, marinaio, disperso
Nello Boni, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Bonomo, capitano del Genio Navale,
disperso
Giovanni Borsarelli, secondo capo meccanico,
disperso
Salvatore Borzi, sottocapo cannoniere,
deceduto
Gaetano Bosco, marinaio fuochista, deceduto
Giuseppe Bovone, marinaio, deceduto
Ferruccio Braulin, marinaio fuochista,
disperso
Giuseppe Bricuccoli, marinaio fuochista, disperso
Egino Brucci, capo motorista di seconda
classe, deceduto
Vito Giuseppe Brunetti, sottocapo cannoniere,
deceduto
Giuseppe Bruno, capo cannoniere di terza
classe, deceduto
Antonio Bruognolo, marinaio fuochista,
disperso
Ezio Bruschi, marinaio furiere, deceduto
Alvaro Bucci, marinaio, deceduto
Carlo Bugarini, sottocapo cannoniere, disperso
Giuseppe Burgio, sottocapo nocchiere, disperso
Aniello Caccavale, capo elettricista di terza
classe, disperso
Aldo Calabresi, capo cannoniere di terza
classe, disperso
Luigi Calio, marinaio cannoniere, deceduto
Gualtiero Canetti, marinaio, deceduto
Luigi Cantù, marinaio cannoniere, deceduto
Costante Capardoni, secondo capo cannoniere,
deceduto
Mario Capponi, sergente cannoniere, deceduto
Vito Caprio, marinaio, deceduto
Carlo Carabelli, marinaio fuochista, deceduto
Eliseo Cardia, sottocapo cannoniere, deceduto
Quirino Cardini, marinaio cannoniere, disperso
Italo Carpenito, marinaio elettricista,
deceduto
Mario Carrà, marinaio carpentiere, disperso
Umberto Castilletto, sottocapo cannoniere,
disperso
Giuseppe Catacchio, marinaio, disperso
Angelo Cattaneo, marinaio S.D.T., deceduto
Dino Cenderelli, secondo capo furiere,
disperso
Giuseppe Cerrano, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Ugo Mario Cervini, sottotenente medico,
deceduto
Antonio Cesareo, sottocapo radiotelegrafista,
disperso
Amedeo Cettina, marinaio cannoniere, deceduto
Pasquale Cherchi, capo S.D.T. di terza classe,
disperso
Renato Ciabattini, marinaio fuochista,
disperso
Carlo Cicchetti, sottocapo cannoniere,
deceduto
Domenico Cipriani, sottocapo furiere, deceduto
Mario Cirene, marinaio, deceduto
Giuseppe Cirone, capo S.D.T. di terza classe,
deceduto
Egidio Colao, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Colloraffi, marinaio, disperso
Giovanni Condelli, marinaio, deceduto
Giacomo Conigliaro, sottocapo cannoniere,
disperso
Aurelio Corsini, marinaio cannoniere, deceduto
Ercole Corso, sottocapo nocchiere, disperso
Giuseppe Costa, marinaio, disperso
Alfio Costantini, marinaio cannoniere,
deceduto
Vittorio Costantini, marinaio, disperso
Sergio Costanzi, sottotenente di vascello,
deceduto
Giovanni Battista Covitti, marinaio
cannoniere, disperso
Mario Cuccovillo, marinaio fuochista, disperso
Giovanni D’Adamo, marinaio cannoniere,
deceduto
Antonio D’Agostino, marinaio cannoniere,
deceduto
Oreste D’Agresti, marinaio, disperso
Gennaro D’Amato, marinaio, disperso
Luigi D’Ambrosio, capo meccanico di terza
classe, deceduto
Marco D’Andrea, aspirante guardiamarina,
deceduto
Lorenzo D’Angelo, sottocapo segnalatore,
deceduto
Giuseppe D’Antoni, marinaio elettricista,
disperso
Diuccio D’Attanasio, marinaio, disperso
Ottavio Da Pieve, capo cannoniere di terza
classe, deceduto
Edoardo De Carolis, sottocapo cannoniere,
disperso
Luigi De Cesare, sottocapo furiere, deceduto
Francesco De Crescenzo, marinaio, disperso
Silvio De Finis, capo S.D.T. di prima classe,
deceduto
Francesco De Gennaro, secondo capo
carpentiere, disperso
Giovanni De Gregorio, marinaio, disperso
Giovanni De Luca, secondo capo cannoniere,
disperso
Vincenzo De Nicolò, sottotenente commissario,
deceduto
Carmine De Nuccio, marinaio, deceduto
Pasquale De Pinto, marinaio cannoniere,
disperso
Guglielmo Della Foglia, marinaio furiere,
deceduto
Nicola Della Malva, marinaio, disperso
Biaso Della Morte, marinaio, disperso
Umberto Delmonte, sottocapo meccanico,
disperso
Alfredo Di Blasio, marinaio fuochista,
deceduto
Giovanni Di Cristo, marinaio cannoniere,
disperso
Raffaele Di Donato, marinaio, disperso
Michele Di Maggio, sottocapo cannoniere,
disperso
Claudio Di Nardo, sottocapo cannoniere,
deceduto
Rosario Di Pino, marinaio, disperso
Alberigo Di Somma, marinaio fuochista,
disperso
Biagio Di Stefano, sottocapo motorista,
disperso
Antonio Di Tullo, marinaio meccanico, disperso
Alfredo Di Vincenzo, marinaio nocchiere,
deceduto
Vincenzo Di Vincenzo, marinaio, disperso
Giacomo Doglietto, marinaio cannoniere,
disperso
Secondino Dolla, sottocapo cannoniere,
deceduto
Adriano Duce, marinaio fuochista, disperso
Orfeo Ecchia, sottocapo cannoniere, deceduto
Cosimo Elia, marinaio cannoniere, disperso
Giuseppe Esposito, marinaio, disperso
Salvatore Eterno, marinaio, disperso
Salvatore Evola, marinaio, disperso
Leandro Facchini, marinaio, disperso
Guido Fantini, marinaio elettricista, deceduto
Francesco Fanutti, sottocapo cannoniere,
deceduto
Carmelo Farrauto, secondo capo elettricista,
disperso
Emilio Farris (n. 29/3/1919), marinaio
cannoniere, deceduto
Emilio Farris (n. 29/5/1910), capo segnalatore
di terza classe, deceduto
Guido Felicetti, capo cannoniere di prima
classe, deceduto
Fortunato Ferrari, sottocapo cannoniere,
disperso
Giulio Giacomo Ferraro, marinaio cannoniere,
disperso
Pasquale Ferraro, sergente infermiere,
disperso
Stefano Ferraro, marinaio, disperso
Stefano Ferraro, marinaio, disperso
Giovanni Ferretti, sottocapo S.D.T., deceduto
Felis Ferri, marinaio fuochista, disperso
Luigi Festoso, marinaio cannoniere, deceduto
Michele Fevola, marinaio furiere, disperso
Demetrio Filocamo, marinaio, deceduto
Stefano Finocchiaro, marinaio fuochista,
disperso
Bruno Finotti, sergente meccanico, disperso
Mario Forcina, sottocapo cannoniere, disperso
Alfredo Foresti, marinaio elettricista,
disperso
Onofrio Formicola, sergente cannoniere,
deceduto
Leonardo Fortunati, marinaio fuochista,
deceduto
Giuseppe Frate, marinaio, deceduto
Elio Fresco, marinaio silurista, disperso
Carlo Gaibassi, marinaio fuochista, disperso
Gastone Galvan, sergente S.D.T., deceduto
Bartolomeo Gambetta, marinaio cannoniere,
deceduto
Raffaele Garau, sergente elettricista,
disperso
Virginio Garbi, marinaio, deceduto
Grazio Gelone, marinaio, disperso
Giuseppe Gennuso, marinaio fuochista, disperso
Siro Ghia, sergente meccanico, disperso
Bartolino Ghiotto, sottocapo meccanico,
disperso
Lino Giambastiani, capo meccanico di terza
classe, deceduto
Salvatore Carmelo Giannitto, marinaio,
deceduto
Sebastiano Gimona, marinaio, disperso
Leopoldo Giribono, sottocapo segnalatore,
deceduto
Giovanni Giussani, marinaio, disperso
Virgilio Grandis, marinaio cannoniere,
deceduto
Pietro Grassano, sottocapo cannoniere,
deceduto
Giuseppe Grilli, sottocapo cannoniere,
deceduto
Stefano Grimaldi, sottocapo cannoniere,
disperso
Agostino Guarino, capo meccanico di seconda
classe, disperso
Cosimo Guarino, marinaio, disperso
Giuseppe Guarracino, marinaio, deceduto
Francesco Paolo Guarrasi, marinaio fuochista,
disperso
Ambrogio Giovanni Iacono, marinaio, disperso
Salvatore Iacono, marinaio, disperso
Pietro Imperati, marinaio motorista, disperso
Santo Ingrosso, marinaio silurista, deceduto
Giuseppe Iodice, marinaio, disperso
Francesco La Maestra, sottocapo cannoniere,
deceduto
Pietro La Placa, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Lamberto, secondo capo meccanico,
disperso
Giuseppe Lamborizio, capo cannoniere di terza
classe, deceduto
Giuseppe Larco, marinaio, disperso
Antonio Lazzarin, marinaio cannoniere,
deceduto
Bruno Leghissa, marinaio fuochista, disperso
Vittorio Licausi, capo infermiere di terza
classe, disperso
Antonio Lo Dico, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Lo Monaco, marinaio fuochista,
deceduto
Filippo Lo Pipero, marinaio fuochista,
disperso
Fiorenzo Locci, sottocapo cannoniere, deceduto
Salvatore Locci, marinaio fuochista, disperso
Renato Lodato, aspirante ufficiale del Genio
Navale, disperso
Guglielmo Lonardo, marinaio, deceduto
Oscar Long, marinaio fuochista, deceduto
Enrico Lopez, sottocapo cannoniere, deceduto
Gerardo Lucarelli, capitano C.R.E.M., deceduto
Alfredo Lucchesi, secondo capo elettricista,
disperso
Giorgio Macauda Ciacera, marinaio, disperso
Giovanni Magliulo, marinaio, disperso
Giovanni Maisano, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Malara, marinaio, disperso
Diego Manago, marinaio, deceduto
Ruggero Mantini, marinaio, disperso
Sanzio Maraga, sottocapo cannoniere, deceduto
Francesco Maraglino, marinaio fuochista,
disperso
Giovanni Maritano, sottocapo elettricista,
disperso
Ambleto Marullo, marinaio cannoniere, disperso
Angelo Masia, secondo capo cannoniere,
disperso
Antonio Mattana, marinaio, disperso
Filippo Mauro, secondo capo cannoniere,
deceduto
Pietro Mazzucca, sottocapo cannoniere,
disperso
Silvio Mazzucchetti, maggiore del Genio Navale
(capo servizio Genio Navale), disperso
Giacomo Mazzullo, sottocapo meccanico,
deceduto
Cosimo Menza, capo cannoniere di terza classe,
deceduto
Natale Meuli, marinaio meccanico, disperso
Carlo Moggi, marinaio cannoniere, deceduto
Giuseppe Molino, marinaio, deceduto
Luigi Montanari, sottocapo S.D.T., deceduto
Giuseppe Morabito, sergente cannoniere,
disperso
Giulio Morchio, marinaio, deceduto
Luigi Morelli, marinaio cannoniere, disperso
Guido Moschetti, secondo capo furiere,
disperso
Mario Muntoni, marinaio cannoniere, disperso
Francesco Muro, secondo capo furiere, disperso
Francesco Napoletano, capo cannoniere di prima
classe, deceduto
Franco Navoni, secondo capo cannoniere,
disperso
Federico Negri, sergente cannoniere, disperso
Luigi Nenna, marinaio fuochista, disperso
Gennaro Niglio, marinaio, disperso
Antonio Noceti, sottocapo cannoniere, deceduto
Guido Nucci, secondo capo elettricista,
disperso
Giuseppe Ocovich, marinaio cannoniere,
deceduto
Giuseppe Oddone, capo cannoniere di terza
classe, deceduto
Giuseppe Odifredi, capitano del Genio Navale
(direttore di macchina), deceduto
Fausto Ongaro, sottocapo S.D.T., deceduto
Fabrizio Orlando, sergente cannoniere,
disperso
Giuseppe Ortisi, marinaio, deceduto
Bruno Osbatti, marinaio fuochista, disperso
Giacinto Paciello, secondo capo nocchiere,
disperso
Rizieri Padelli, secondo capo meccanico,
deceduto
Iacopo Pagazzo, marinaio, deceduto
Gregorio Palamara, marinaio cannoniere,
deceduto
Romeo Palamidese, marinaio fuochista, deceduto
Domenico Paolucci, capo cannoniere di seconda
classe, disperso
Tommaso Paolucci, marinaio fuochista, disperso
Marcello Papini, sottotenente del Genio
Navale, disperso
Giovanni Pappalardo, marinaio, deceduto
Giuseppe Pappalardo, marinaio fuochista,
disperso
Giuliano Pardini, secondo capo meccanico,
disperso
Mario Pascarelli, secondo capo meccanico,
deceduto
Mario Pasquetti, capo cannoniere di terza
classe, disperso
Walter Pastore, marinaio motorista, disperso
Teodoro Pennetta, marinaio, disperso
Carmelo Pernazza, marinaio, disperso
Francesco Perrone, marinaio, disperso
Gennaro Petrone, marinaio cannoniere, deceduto
Sabino Petruzzelli, sottocapo motorista,
disperso
Luigi Picchianti, capo meccanico di prima
classe, disperso
Angelo Piccinelli, marinaio fuochista,
disperso
Stefano Pilagatti, marinaio fuochista,
disperso
Vincenzo Pincin, marinaio motorista, disperso
Giuseppe Piombo, marinaio fuochista, disperso
Tommaso Pipitone, marinaio fuochista, deceduto
Eliseo Pirrami, marinaio cannoniere, disperso
Vittorio Pitti, marinaio cannoniere, disperso
Ugo Pizzoferrato, marinaio fuochista, disperso
Pietro Polizzi, marinaio fuochista, disperso
Quintino Pontuti, marinaio, disperso
Mario Porcile, marinaio fuochista, disperso
Giovanni Prestigiacomo, marinaio, deceduto
Vittore Raccanelli, capitano di fregata
(comandante in seconda), deceduto
Cosimo Ragione, marinaio meccanico, disperso
Silvio Ragni, secondo capo radiotelegrafista,
disperso
Giovanni Raiola, capo furiere di terza classe,
deceduto
Michele Ranaudo, sottocapo radiotelegrafista,
deceduto
Alfonso Raucci, marinaio, disperso
Paolo Recchia, marinaio meccanico, disperso
Roffredo Rega, secondo capo cannoniere,
deceduto
Aldo Reghezza, sottocapo meccanico, disperso
Giuseppe Ricatti, marinaio, disperso
Peppino Riccardi, marinaio cannoniere,
disperso
Francesco Ricci, capo meccanico di seconda
classe, deceduto
Quinto Ridolfi, sottocapo S.D.T., deceduto
Franco Rigutini, sottotenente di vascello,
disperso
Giuseppe Rinaldi, marinaio, deceduto
Andrea Roic, marinaio, deceduto
Angelo Romani, sottocapo cannoniere, deceduto
Domenico Romano, sottocapo furiere, disperso
Bruno Romeo, sergente nocchiere, deceduto
Mariano Rosin, marinaio fuochista, disperso
Guerrino Rossettini, marinaio cannoniere,
deceduto
Renato Rotta, capo nocchiere di seconda
classe, disperso
Umberto Ruscillo, marinaio radiotelegrafista,
disperso
Salvatore Russo, marinaio S.D.T., disperso
Vincenzo Rutigliano, marinaio, disperso
Alfredo Salibra, sottotenente di vascello,
deceduto
Italo Salvemini, marinaio elettricista,
deceduto
Vittorio Sanchini, sergente S.D.T., disperso
Giuseppe Santantonio, marinaio cannoniere,
deceduto
Paolo Sanzo, marinaio, disperso
Michele Saraceni, marinaio fuochista, disperso
Angelo Sartorelli, marinaio fuochista,
disperso
Attilio Sassi, marinaio, disperso
Luigi Sassi, sottocapo silurista, deceduto
Lauro Scalabroni, marinaio fuochista, disperso
Gennaro Scalercio, marinaio cannoniere,
deceduto
Nicola Scarci, marinaio fuochista, disperso
Pasquale Sciacca, marinaio, deceduto
Matteo Scognamiglio, secondo capo cannoniere,
deceduto
Onorio Segato, marinaio, disperso
Francesco Serena, secondo capo radiotelegrafista,
disperso
Giacomo Serra, marinaio, disperso
Sante Signorelli, marinaio cannoniere,
deceduto
Domenico Silletti, capo meccanico di terza
classe, disperso
Cesare Simeone, aspirante guardiamarina,
deceduto
Luigi Simonetti, marinaio cannoniere, deceduto
Antonio Soi, capo cannoniere di terza classe,
disperso
Berislavo Soldatich, sottocapo cannoniere,
deceduto
Domenico Soprano, marinaio, disperso
Elia Soriente, sottocapo palombaro, disperso
Gaetano Sottile, marinaio fuochista, disperso
Provino Sozzo, marinaio elettricista, disperso
Giuseppe Spazzafumo, marinaio fuochista,
disperso
Redento Spini, marinaio, disperso
Ivar Spunton, marinaio, deceduto
Luigi Squadrilli, secondo capo furiere,
disperso
Giuseppe Steri, marinaio S.D.T., deceduto
Federico Stoppani, sergente cannoniere,
disperso
Francesco Stornante, marinaio cannoniere,
deceduto
Virgilio Strain, marinaio fuochista, disperso
Francesco Tanese, marinaio, disperso
Vincenzo Tangorre, marinaio meccanico,
disperso
Giuseppe Taranto, marinaio fuochista, disperso
Giuseppe Tarasco, capo elettricista di prima
classe, disperso
Donato Tasco, marinaio, deceduto
Giovanni Tempesta, sergente nocchiere,
deceduto
Luigi Tempesta, capo radiotelegrafista di
terza classe, disperso
Ruggero Tempesta, sottocapo meccanico,
disperso
Bruno Testa, capo radiotelegrafista di prima
classe, disperso
Mario Tibolla, sottocapo cannoniere, deceduto
Abrano Toccagni, marinaio cannoniere, disperso
Erculiano Tofanetti, marinaio cannoniere,
disperso
Giuseppe Tomasello, marinaio fuochista,
disperso
Giulio Tomberli, marinaio fuochista, disperso
Domenico Trane, marinaio, disperso
Tarcisio Valagussa, sergente
radiotelegrafista, disperso
Antonio Vallone, sottocapo segnalatore,
disperso
Filoteo Venturo, secondo capo furiere,
disperso
Nicola Verdoliva, marinaio, disperso
Giovanni Viarengo, marinaio cannoniere,
disperso
Paolo Villani, marinaio cannoniere, disperso
Luigi Visalli, sottocapo cannoniere, deceduto
Santo Viscuso, marinaio fuochista, disperso
Vincenzo Vittozzi, marinaio, disperso
Federico Vogliotti, marinaio fuochista,
disperso
Biagio Volpato, marinaio cannoniere, deceduto
Luigi Volpi, sottocapo meccanico, disperso
Giuseppe Vuchi, marinaio cannoniere, deceduto
Amedeo Zamparini, marinaio meccanico, disperso
Orlando Zavan, secondo capo elettricista, deceduto
Gino Zaviglia, tenente C.R.E.M., deceduto
Altero Zelli, marinaio radiotelegrafista,
deceduto
Marco Ziliucci, marinaio, deceduto
Mancano i nomi dei caduti tra
i militarizzati e tra il personale della Regia Aeronautica addetti agli
idrovolanti di bordo.
Deceduti in data successiva:
Tancredi Byron,
secondo capo motorista, deceduto il 15/5/1944 in territorio metropolitano
(Foto Edizioni Paolo De Siati, Taranto, via Giorgio Micoli e www.naviearmatori.net) |
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita alla memoria del capo meccanico
di terza classe Lino Giambastiani, nato a Capannoni (Lucca) il 6 gennaio 1909:
“Di guardia alle
motrici su incrociatore, gravemente colpito da offesa subacquea nemica,
conservava assoluta calma e presenza di spirito e, noncurante della propria
salvezza, restava al proprio posto con tutto il personale dipendente,
prodigandosi nell’opera intesa a contenere le fughe
d’acqua e di vapore.
Con la mente e con l'animo protesi all’adempimento del compito impostosi,
nonostante una seconda esplosione gli rendesse difficile la possibilità di
uscire dal locale, proseguiva decisamente nell’assolvimento del dovere fino
all’estremo sacrificio, condividendo eroicamente la sorte dell’unità.
Superbo esempio di
fedele attaccamento alla consegna e belle qualità militari.
(Mar Tirreno, 1°
aprile 1942).”
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del sottotenente di
vascello Franco Rigutini, nato a Palermo il 31 gennaio 1920:
“Imbarcato su
incrociatore leggero, che affondava perché gravemente colpito da offesa
subacquea nemica, rimaneva con sereno senso di disaplina e coraggio al proprio
posto, dando esempio di audacia al personale dipendente. Durante la lunga
permanenza in acqua, si prodigava con elevato senso di abnegazione per
soccorrere un sottufficiale in pericolo di vita, finché stremato di forze, scompariva in mare,
allorché era prossimo il soccorso, dimostrando vivo spirito di cameratismo e
belle qualità militari.
(Mar Tirreno, 1 °
aprile 1942).”
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del capitano di
fregata Vittore Raccanelli, nato a Venezia il 4 luglio 1904:
“Comandante in 2a di
incrociatore leggero, gravemente colpito da oflesa subacquea nemica, coadiuvava il comandante con animo sereno
ed elevato senso del dovere, cooperando agli sforzi per tentare la salvezza
dell’unità e prodigandosi per il mantenimento della calma e della fiducia nel personale di bordo. Reso vano ogni
tentativo per lo scoppio di un secondo siluro, «si lanciava tra gli ultimi in
mare, ove perdeva la vita.
Esempio di belle
qualità militari e di carattere.
(Mar Tirreno, 1°
aprile 1942).”
La motivazione della
Medaglia di Bronzo al Valor Militare conferita alla memoria del maggiore del
Genio Navale Silvio Mazzucchetti, nato a Milano il 30 dicembre 1904:
“Capo Servizio Genio
Navale di incrociatore leggero, gravemente colpito da offesa subacquea nemica,
coadiuvava con serenità e competenza il comandante negli sforzi rivolti a
salvare l’unità e si prodigava per mantenere alto il morale dei dipendenti.
Riuscito vano ogni
tentativo per lo scoppio di un secondo siluro, lasciava tra gli ultimi la nave
e, stremato di forze, scompariva in mare nell’adempimento del dovere.
(Mare Tirreno, 1°
aprile 1942).”
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del capo cannoniere
stereotelemetrista di terza classe Cosimo Menza, nato a Pulsano (Taranto) il 26
maggio 1911:
“Imbarcato su
incrociatore leggero, che affondava per grave offesa subacquea nemica, rimaneva
con sereno coraggio al suo posto fino all’ultimo momento. In mare, raggiunto un
galleggiante, se ne allontanava per offrire con elevato senso di abnegazione il
suo aiuto ad un camerata in pericolo di annegare, sacrificando la sua vita nel
compimento dell’atto generoso.”
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del sottocapo
silurista Luigi Sassi, nato a Caversaccio (Como) il 15 luglio 1917:
“Imbarcato su
incrociatore leggero, che affondava per grave offesa subacquea nemica, rimaneva
fino all'ultimo istante al proprio
posto. Nella permanenza in mare, prodigava tutte le sue energie con elevato
senso di abnegazione per il salvataggio di un camerata, che riusciva a portare
presso l'unità di soccorso, ma, esaurito per l'arduo sforzo, soccombeva nel
compimento dell'opera generosa.”
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del
C.R.E.M. Gerardo Lucarelli, nato a La Spezia il 1° giugno 1887:
“Imbarcato su
incrociatore leggero, che affondava per grave offesa subacquea nemica, prima di
abbandonare l’unità radunava attorno a sé la sua gente per innalzare un
vibrante saluto alla Patria, dimostrando disciplina ed elevato attaccamento
alla nave. Decedeva in mare nell’adempimento del dovere.”
La motivazione della
Croce di Guerra al Valor Militare conferita alla memoria del capitano del Genio
Navale Direzione Macchine Giuseppe Odifredi, nato a Quarto a Mare (Genova) il
18 luglio 1908:
“Direttore di
macchina di incrociatore leggero, gravemente colpito da offesa subacquea
nemica, assolveva i suoi incarichi con sereno coraggio ed elevato senso di
disciplina fino all’istante che precedette l’affondamento dell’unità. Perdeva
la vita in mare nell’adempimento del dovere.”
La motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare conferita al capitano di vascello Ludovico
Sitta, nato a Ferrara il 15 maggio 1899:
“Comandante di
incrociatore leggero, gravemente colpito da offesa subacquea nemica, affrontava
con ferma energia e prontezza d’iniziativa la difficilissima situazione, sforzandosi di
contendere l'unità all’ineluttabile fatto, finché per lo scoppio di un secondo
siluro, riuscito vano ogni tentativo di salvezza, ordinava all’equipaggio l'abbandono
della nave, dopo elevato il fatidico saluto al Re e al Duce. Durante la lunga
permanenza in mare, benché in minorate condizioni fisiche, ricusava decisamente di salire su una
zattera per non privare di un posto i naufraghi feriti, più bisognosi di aiuto,
e infondeva, come già sulla nave, sereno coraggio e fiducia alla sua gente. Tratto
in salvo da una silurante di soccorso, stremato di forza e con la vista ofluscata, a causa della nafta cosparsa in acqua,
si soffermava, prima di ricevere le cure, per presenziare allo sbarco dei
superstiti e rendere
omaggio ai caduti,
facendo rifulgere anche in tale circostanza le sue superbe doti militari e di
carattere.
(Mar Tirreno, 1°
aprile 1942).”
L’affondamento del Bande Nere nel giornale di bordo dell’Urge (da Uboat.net):
“0830 hours - Sighted
a flying boat coming up from Messina along the route to Naples. Went to 85
feet.
0841 hours - Returned
to periscope depth after hearing faint HE. Sighted the fore top of a warship.
0844 hours -
Identified the warship as a 8" cruiser with an escort of two destroyers
steering about 330° at 21 knots. Started attack.
0854 hours - In
position 38°37'5"N, 15°22'E fired four torpedoes from 5000 yards. One hit
was obtained.
0907 hours - The
first depth charges were dropped out of a total of 38 but none was close.
Breaking up noises were heard.
0940 hours - Returned
to periscope depth. Saw the two destroyers and three flying boats. There was no
sign of the cruiser. Urge went deep again and withdrew to the Westward.”
Un’altra foto del Bande Nere (da www.portalestoria.net) |
Un’intervista ad un
fuochista del Bande Nere, rimasto
anonimo per scelta (per onorare tutti i caduti del Bande Nere), realizzata a Livorno nel 2002 da Andrea Piccinotti (da
www.regiamarina.net, si ringrazia
Cristiano D’Adamo):
"Quale era il suo ruolo a bordo?
Sono stato chiamato in marina nei primi mesi del 1941 e venni distaccato
all'arsenale di Messina, dove svolsi un periodo di addestramento, in verità
piuttosto ridotto. Poi dopo un paio di mesi trascorsi come addetto di un
magazzino di materiale mi fu ordinato di recarmi a Palermo e di imbarcarmi
sull'incrociatore Giovanni dalle Bande Nere, era, se non mi ricordo male
il giugno del 1941; il mio ruolo era fuochista. Non era poi un ruolo così
malvagio come si potrebbe pensare, a differenza di molti miei compagni avevo la
possibilità di riposare abbastanza frequentemente, infatti nei pressi di ogni
caldaia vi era una piccola stanzina dove, nei momenti di calma potevamo a turno
riposare: ovviamente era vietato, ma per fortuna questa norma non fu applicata
in maniera troppo rigida.
Un fuochista, sta nell'interno della
nave e non sa che cosa sta succedendo o sbaglio?
Beh le voci correvano anche da noi, certamente non potevamo sapere tutto,
noi dovevamo semplicemente ubbidire agli ordini ricevuti, ma più volte mi è
capitato di poter salire sul ponte per vedere cosa stesse succedendo.
Com'era il rapporto con gli
ufficiali?
Eh, rapporto: non c'era alcun rapporto con loro, erano come una casta a se
stante che si rifiutava di parlare con un semplice marinaio se non per dargli
un ordine; pensi che una volta mentre stavo fumando una sigaretta sul ponte
passò un ufficiale, e io cercai di iniziare un discorso ma questo fece finta di
niente e rimase lì a due passi da me in silenzio, quando finii la sigaretta
feci per gettarla in mare ma il vento la riportò sul ponte e quest'ufficiale mi
affibbiò un nota di demerito perché avevo sporcato il ponte!
In marina si mangiava bene anche a quei
tempi?
Ma guardi mi dispiace deluderla ma si mangiava proprio male, fu sempre uno
dei motivi principali delle nostre proteste: quando non ne potevamo più di
mangiare certe schifezze due o tre rappresentanti dell'equipaggio andavano dal
comandante a protestare, il più delle volte non succedeva niente ma un paio di
volte che la protesta fu più energica per due o tre giorni ci dettero
pastasciutta col pomodoro o una buona minestra per poi tornare al rancio di
sempre. Un po' meglio andava per dormire, ognuno aveva la propria branda che
poteva attaccare su dei grossi pali muniti di numerosi ganci a diverse altezze
appositamente costruiti nei locali dove dovevamo riposare, la cosa noiosa era che
ogni volta che smettevamo di dormire dovevamo smontare la branda, ripiegarla e
metterla in degli appositi armadi ai lati delle camerate; la stessa cosa
dovevamo fare se suonavo il posto di combattimento: tutti quelli che in quel
momento stavano dormendo dovevano smontare la propria branda perché in
combattimento tutti i locali dovevano essere perfettamente agibili.
Che tipo di missioni eseguivate?
Le missioni che eseguivamo più spesso era di posa di campi minati:
partivamo la notte e duravano circa due giorni; la cosa impressionante era
vedere sei o sette navi di diverso tipo che navigavano una a fianco all'altra
lasciando cadere ogni tanto una mina in mare; un altro tipo di missione che in
verità eseguimmo poche volte fu quella di scorta a convogli che erano molto
faticose: eravamo sempre sotto attacco aereo e così i nostri cannoni antiaerei erano
sempre in funzione, poiché i proiettili venivano portati dalla santabarbara a
mano dopo un po' gli addetti a tale ruolo era sfiniti e così a turno noi
fuochisti dovevamo aiutarli. Non era certo un lavoro piacevole soprattutto dopo
4 ore di lavoro in caldaia, infatti in teoria i turni erano di 4 ore di lavoro
e di 4 di riposo ma in realtà nelle ore di riposo c'era sempre qualcosa da
fare. Le nostre missioni erano comunque abbastanza corte, e comunque passavamo
più tempo in porto che in mare. Per fortuna non partecipammo mai a missioni di
trasporto benzina come fecero il da
Giussano e il Da Barbiano: se
penso a quanti amici ho perso…! Infine partecipammo alla seconda battaglia
delle Sirte.
Fu una brutta esperienza perché perdemmo un caccia per il mare molto mosso, lo Scirocco: avevo molti amici a bordo [in
realtà furono due i cacciatorpediniere persi a causa del mare mosso: Scirocco e Lanciere]. Pensi che il mare era così mosso che ad un certo punto
non potevamo più sparare e ci ritirammo, in quel momento ero sul ponte per dei
lavori da fare e vidi le vampate della Littorio
fu allora che seppi che con noi c'era anche una corazzata, ma nella burrasca
non riuscì a vederla potevo vedere solo il fuoco dei grossi cannoni. Durante il
viaggio di ritorno subimmo delle avarie molto gravi così appena giunti a
Taranto ci venne ordinato di raggiungere La Spezia per lavori. Eravamo tutti
contenti perché avrebbe voluto significare una licenza: quando la nave era in
bacino noi alloggiavamo in delle palazzine lì vicino e a turni andavamo il
licenza; l'unica cosa negativa dei lavori in bacino era che tutte le cose
superflue della nave, cioè quelle cose che noi mettevamo per migliorare un po'
la vita a bordo, venivano tolte e così ogni volta dovevamo riadattare la nave
alle nostre esigenze. Purtroppo a La Spezia non arrivammo mai.
Se la sente di parlarci del
siluramento?
Fu un esperienza tragica, era il primo di aprile ed io ero di servizio
nella caldaia di mia competenza quando verso le nove del mattino fummo scossi
da una tremenda esplosione e tutta la sala caldaie fu invasa dal fumo [si
trovava evidentemente in un locale caldaia di poppa perché quelli di prora
furono sventrati dal siluro – ndr] così dissi subito ad un mio amico che
dovevamo uscire alla svelta, e ci precipitammo alla scaletta per salire in
coperta: la scaletta di norma era verticale ma mi accorsi subito che ora non lo
era più e cercai di fare ancora più in fretta, nella confusione il mio amico
che era sotto di me mi tolse una scarpa….! Per fortuna la nostra nave non aveva
i boccaporti stagni che avevano le navi più moderne così fu possibile arrivare
sul ponte, qui mi resi subito conto che la situazione era gravissima e mi misi
a cercare un salvagente, ma poi mi decisi a buttarmi senza indossarlo perché
avevo paura di mettermelo male e di peggiorare le cose. Mentre mi buttavo in
mare udii il comandante urlare “Viva il duce, viva il re, viva l'Italia” e mi
venne quasi da ridere. In acqua cominciai a nuotare per allontanarmi dalla
nave, che ormai con la poppa sollevata dall'acqua stava affondando: fu un
bruttissimo momento, era stata la mia casa per nove mesi e ormai mi ci ero
affezionato. Restai in acqua per parecchio tempo fino a quando i caccia di
scorta, dopo aver buttato delle bombe di profondità contro il sommergibile che
ci aveva silurato, ci vennero a prendere: fui raccolto dall'Aviere e subito per il gran freddo che
avevo mi gettai in sala caldaie e mi abbraccia ad un tubo di vapore caldo:
qualcuno cercò di staccarmi da lì ma io resistetti e fu quello probabilmente
che mi ha salvato; poi fui portato in infermeria dove mi si cerco di pulire al
meglio da tutta la nafta che avevo addosso e che soprattutto negli occhi faceva
molto male. Fummo sbarcati a Messina, mentre gli altri superstiti furono
portati a Palermo: tutt'oggi ignoro chi si è salvato e chi no tranne i pochi
che erano con me sull'Aviere. Dopo
l'affondamento fui distaccato a La Spezia, dove prestai servizio nella batteria
a protezione della diga del Varignano: cercai più volte di riavere un incarico
a bordo di una nave perché nonostante tutto si viveva molto meglio che a terra
ma invano, la cosa strana è che prendevo più a terra che in nave: sul Bande Nere 180 lire, a La Spezia 200.”
Il 9 marzo 2019 la
Marina Militare ha annunciato il ritrovamento del relitto del Giovanni delle Bande Nere undici miglia
a sud di Stromboli. Il ritrovamento è avvenuto per opera del cacciamine Vieste, nel corso di un’operazione di
“verifica tecnica e sorveglianza dei fondali del mar Tirreno”, mediante
l’utilizzo di due veicoli subacquei in dotazione a questa unità: il veicolo
filoguidato Multipluto 03, prodotto dalla GAY Marine, ed il veicolo autonomo
subacqueo (Autonomous Underwater Vehicle – AUV) Hugin 1000, prodotto dalla
ditta Kongsberg. Dopo aver circoscritto l’area delle ricerche in base alle
coordinate registrate all’epoca dell’affondamento, il Vieste ha mappato il fondale con il veicolo Hugin, individuando
diversi contatti che potevano corrispondere al relitto, che sono stati poi
identificati e filmati mediante il Multipluto. Il relitto del Bande Nere si presenta spezzato in tre
tronconi, che giacciono a profondità comprese tra i 1460 ed i 1730 metri.
Alcune
immagini del relitto del Bande Nere,
diffuse dalla Marina Militare dopo il ritrovamento:
La corona sabauda sulla poppa |
Un’elica |
La campana di bordo |
I cannoni di poppa |
Un impianto lanciasiluri |
Buonasera, grazie per il bellissimo articolo che ha scritto sulla nave Giovanni delle Bande Nere,sulla quale era imbarcato mio nonno Giuseppe Cerrano da Morano sul Po (AL). Ho letto tutto d'un fiato l'articolo. Molto bello e ricco di particolari che fino ad oggi ignoravo, nonostante abbia fatto diverse ricerche. Grazie ancora.
RispondiEliminaGiuseppe Cerrano