L’Onda durante la prima guerra mondiale, in servizio nella Regia
Marina come vedetta-dragamine (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net)
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Piropeschereccio da 97,89 tsl, appartenente all’armatore Nicola Delfino di Porto Torres, matricola 2148 al Compartimento Marittimo di Genova.
Breve e parziale cronologia.
1902 o 1903
Costruito ad Oslo
(forse nei cantieri Akers Mek. Vaerksted) come baleniera norvegese Angola (nome iniziale non noto, poi
cambiato in Angola), del dislocamento
di 150 tonnellate.
27 agosto 1916
Acquistato dalla
Regia Marina (come molte altre baleniere e piropescherecci acquistati dalla
Marina italiana durante la prima guerra mondiale per essere impiegati come
vedette e dragamine) ed incorporato nel naviglio militare, passando sotto
bandiera italiana. Trasformato in vedetta-dragamine e ribattezzato Onda.
6 dicembre 1919
Radiato dai quadri
del naviglio della Regia Marina e venduto all’armatore viareggino Pietro Larini.
Trasformato in piropeschereccio.
Successivamente
venduto all’armatore Nicola Delfino di Porto Torres.
12 maggio 1940
Requisito a Porto
Torres dalla Regia Marina.
1° giugno 1940
Iscritto (alle 00.00
del 1° giugno) nel ruolo del naviglio ausiliario dello Stato come dragamine
ausiliario, con caratteristica R 106.
L’equipaggio viene militarizzato.
L’affondamento
Dopo aver prestato
servizio per qualche tempo come dragamine in Mar Egeo, avendo base a Patrasso, l’Onda tornò in Sardegna e riprese ad
operare come peschereccio anche per conto della Regia Marina, pescando per
rifornire i militari del presidio nonché la popolazione stessa di Porto Torres
e dei paesi vicini. Nelle ristrettezze della guerra, il pesce pescato a strascico
dall’Onda, che batteva continuamente
i fondali del golfo dell’Asinara, perennemente in mare come altri pescherecci,
era una delle poche risorse disponibili per non patire la fame.
Ad inizio maggio
1943, durante una battuta di pesca nel Golfo dell’Asinara, l’Onda, in navigazione a quattro miglia da
Fornelli, rallentò improvvisamente la propria andatura alle 9.45 (o 9.30) del
mattino. Il macchinista Sergio Del Giudice chiamò il comandante del
peschereccio, il ponzese Gennaro Sandolo, perché qualcosa di grosso – non un
pesce – era finito nelle reti. Dopo alcuni secondi, i dieci membri
dell’equipaggio videro un sommergibile emergere ad una cinquantina di metri
dalla loro nave: il battello nemico aveva i timoni bloccati dalle reti che vi
si erano impigliate, ma il comandante Sandolo, vedendo il suo armamento, decise
di mollare le reti e tornare subito in porto. Fu Del Giudice stesso, che era il
verricello, a sganciare le reti.
Al rientro in porto,
l’equipaggio si recò a Cala Reale (sede del locale comando militare) e segnalò subito
l’incontro avvenuto con l’unità nemica, ma non fu creduto: la Capitaneria di
Porto (comandante del porto era il comandante Giuseppe Longo) ritenne che il
suo equipaggio, definito “visionario”, avesse semplicemente scambiato una
balena od un delfino (un cetaceo era stato avvistato in zona nei giorni
precedenti) per un sommergibile, ed una breve perlustrazione con dei MAS,
disposta a seguito della segnalazione, non portò a localizzare alcuna unità
nemica. Nemmeno l’armatore Nicola Delfino credette al proprio equipaggio
(recandosi da lui, gli uomini gli riferirono dell’accaduto ed aggiunsero «ci
passa così e così. Noi non usciamo per questa settimana»), ritenendo anche lui
che l’Onda avesse semplicemente
incontrato uno squalo, ed arrabbiandosi con i propri uomini, che voleva
tornassero a pescare.
(Secondo una
versione, quando l’Onda tornò sul
luogo dell’“incontro”, l’equipaggio recuperò le reti, che apparivano tranciate
a tronchese e torchietto, ma nemmeno questo convinse della veridicità di quanto
i pescatori avevano raccontato. Quest’ultimo particolare, tuttavia, non è
chiaro: secondo una differente versione, l’Onda
sarebbe stato affondato proprio perché uscito per recuperare le reti, dunque le
reti non sarebbero state recuperate sino a dopo la sua perdita).
Salvatore Fois,
tornando a casa e vedendo il figlio Nino indossare il suo, gli disse “Questo
berretto, a momenti, l’avresti dovuto portare per tutta a vita!”, poi raccontò
dell’incontro fatto al largo. Pietro Bancalà credeva che quello del
sommergibile fosse stato un “avvertimento”, ed aveva paura, ma sapeva di dover
tornare a pescare per sfamare gli otto figli.
Cinque giorni dopo l’Onda ricevette l’ordine di tornare in mare a pescare: il comandante
Sandolo avrebbe voluto restare in porto, temendo attacchi da parte di
sommergibili, ma il locale comando militare marittimo costrinse l’equipaggio a
prendere il mare, pena il deferimento per diserzione al Tribunale militare di
Oristano.
Nino Fois, figlio di
Salvatore, ricordò poi che l’equipaggio, che aveva chiesto di sbarcare a
seguito dell’“incidente”, venne messo in fila sulla coperta dell’Onda, dopo di che fu chiesto “chi vuole
sbarcare alzi la mano”; tutti alzarono la mano, ma la risposta fu “Come vi sono
state tolte le stellette, così sarete messi sotto processo. Sarete denunciati
al tribunale militare!”. I marinai si guardarono in faccia, poi il pratico di
bordo Antonio Striani disse ai compagni, in dialetto, “Zi tocca a iscì, tanto
da la morthi no si fuggi. Si zi dibbaschemmu, nostri figliori abarani a assè
figliori di babbi fusiraddi a la ischina in Aristhàni. Si iscimmu a mari,
nostri figliori abarani a assè figliori di babbi morthi trabagliendi cun onori”
(cioè “Ci tocca uscire, intanto dalla morte non si fugge. Se ci sbarchiamo i
nostri figli saranno figli di babbi fucilati alla schiena ad Oristano. Se
usciamo a mare, nostri figli saranno figli di babbi morti lavorando con
onore”), e tutti decisero che sarebbero rimasti a bordo.
La successiva uscita
fu fatale alla piccola nave ed al suo sfortunato equipaggio. Il mattino del 6
maggio 1943 l’Onda lasciò di nuovo
Porto Torres, con a bordo nove uomini al comando di Gennaro Sandolo, per
pescare nel Golfo dell’Asinara. Il decimo membro dell’equipaggio, il
macchinista Sergio Del Giudice, aveva invece ottenuto una settimana di permesso
per rimanere vicino al figlio ammalato.
Alle 9.22 (ora del Safari, un’ora prima rispetto al fuso
italiano) di quel mattino il sommergibile britannico Safari, al comando del tenente di vascello Richard Barklie Lakin,
dopo aver avvistato alle 6.55 del fumo dalla direzione di Porto Torres ed
essersi avvicinato per investigare, emerse a poppavia dell’Onda, intento a pescare a tre miglia per 60° da Punta Falcone (a
sud dell’Asinara), ed aprì il fuoco con il cannone da 76 mm da una distanza di
soli 550 metri. Il piccolo piropeschereccio, facile e vulnerabile bersaglio,
venne crivellato di colpi: contro di esso il Safari sparò ben 46 salve con il cannone, ripartendole equamente
sui due lati, e di queste 40 andarono a segno. Alle 9.33 (10.33 ora italiana)
il relitto devastato dell’Onda
affondò nel punto 40°58’ N e 08°20’ E, tre miglia ad ovest dell’Asinara.
Dodici minuti dopo il
Safari, avendo avvistato un aereo ed
essendo finito sotto il tiro delle batterie costiere (le cannonate sparate dal
sommergibile erano state sentite fino a Porto Torres), s’immerse e si allontanò
senza recuperare i naufraghi.
Solo i due fuochisti,
il portotorrese Antonio Sanna e l’algherese Giovanni Sposito, si salvarono
gettandosi in mare durante il breve lasso di tempo che passò mentre il Safari, finito di cannoneggiare un
fianco della nave, l’aggirava per aprire il fuoco sul fianco opposto, e venendo
successivamente recuperati. Il marinaio Ciro Valente, che nel cannoneggiamento
aveva subito la recisione dell’arteria femorale, morì dissanguato in acqua.
Morirono sette
uomini, tra cui il comandante Sandolo ed il capo pesca Michele Zeno.
Le vittime dell’Onda:
Emilio Acciaro, marinaio
Paolo Bancalà, marinaio
Salvatore Fois, marinaio
Gennaro (o Giuseppe) Sandolo, comandante, da
Ponza
Antonio Striano (o Striani), pratico di bordo
Ciro Valente, marinaio
Michele Zeno (o Nole), capo pesca
L’affondamento dell’Onda nel giornale di bordo del Safari (da Uboat.net):
“0655 hours - Sighted
smoke from the direction of Porto Torres. Closed to investigate.
0922 hours - Surfaced
astern of a 300 tons steam trawler and engaged her with the 3" gun from
600 yards. 46 Rounds were fired for 40 hits.
0933 hours - The ship
sank in position 40°58'N, 08°20'E.
0945 hours - Dived
after sighting an aircraft and shore batteries had opened fire.”
Contrariamente a
quanto sovente affermato, il Safari
non era lo stesso sommergibile finito nelle reti dell’Onda qualche giorno prima: il Safari,
infatti, era entrato nel golfo dell’Asinara solo il 6 maggio, il giorno stesso
dell’affondamento dell’Onda (nei
giorni precedenti il sommergibile aveva operato ad ovest dell’isola, dove il 2
maggio aveva affondato il piropeschereccio Sogliola), ed in ogni caso non
menzionò di essere finito nelle reti di alcun peschereccio. Dalla
documentazione britannica non risulta che nella zona, nei giorni in cui
l’equipaggio dell’Onda aveva riferito
di aver trovato un sommergibile nelle proprie reti, si trovassero altri
sommergibili della Royal Navy. L’episodio del sommergibile nelle reti rimane
quindi piuttosto oscuro.
Oltre a precipitare
le famiglie delle vittime nella disperazione, la tragedia ebbe per loro gravi
risvolti anche sul piano pratico, lasciandole prive degli uomini che andavano
per mare a guadagnare il pane per la famiglia. La loro situazione d’indigenza,
aggravata dalle restrizioni della guerra, divenne tale che alcuni familiari non
poterono nemmeno permettersi di comprare i vestiti neri – che non avevano – per
il lutto.
L’Onda rimase sui fondali del golfo
dell’Asinara per più di quattro anni, poi, nel luglio del 1947, il relitto del
piropeschereccio venne riportato a galla e portato al molo della Teleferica a
Porto Torres; ad attenderlo c’era una grande folla, in molti conoscevano i
pescatori uccisi, e la tragedia era stata molto sentita dalla comunità
portotorrese. A bordo furono trovati gli scheletri di quattro delle vittime,
che poterono finalmente ricevere sepoltura. I corpi di Ciro Valente ed Antonio
Striani, invece, furono gli unici a non essere mai più ritrovati. Dopo lunghe
riparazioni, nel 1954 (o 1955) la piccola nave tornò a navigare sempre per
conto di Nicola Delfino, con il nome modificato di Onda Delfino. Il
peschereccio navigò per l’armatore Delfino sino al 1965 (fu cancellato dal
Registro Navale Italiano dopo il maggio 1965), poi, dopo essere affondato una
seconda volta a seguito di un fortunale, venne demolito in Grecia nel 1978.
Nel maggio 2014 il 71° anniversario dell’affondamento dell’Onda è stato commemorato con una cerimonia cui hanno partecipato sei barche (messe a disposizione da piloti, ormeggiatori ed Assovela) con oltre 50 persone. Le imbarcazioni hanno raggiunto il punto della tragedia, a circa otto miglia da Porto Torres (40°58’ N e 08°20’ E), dove sono stati letti i nomi dei caduti (cui gli astanti hanno risposto ogni volta “Presente”) e, dopo la recitazione del Padre Nostro e della Preghiera del Marinaio ed un fischio in onore delle vittime, due figlie dei caduti hanno lanciato in mare una corona d’alloro, benedetta da Don Salvatore Ruiu. La corona è stata lanciata in mare alle 10.33, ora dell’affondamento del peschereccio. La cerimonia si è conclusa con il suono del silenzio.
Agli inizi dello stesso anno è stato pubblicato anche un libro riguardante la
triste vicenda, “L’affondamento del peschereccio Onda”.
Sempre nel 2014 la
piazza Renaredda a Porto Torres, antistante il mare dove avvenne la tragedia, è
stata intitolata ai Caduti dell’Onda.
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