Disegno del Tembien con i colori dell’armatore Messina (g.c. Mauro Millefiorini via www.naviearmatori.net |
Piroscafo da carico da
5584 tsl, 3548 tsn e 8200 tpl, lungo 121,9 metri, largo 16,2 e pescante 8,35,
di 10-12 nodi di velocità. Appartenente all’armatore Ignazio Messina di Genova,
ed iscritto con matricola 1847 al Compartimento Marittimo di Genova; nominativo
di chiamata IBUX.
Breve e parziale cronologia.
1914
Costruito dai
cantieri Rickmers Werft AG di Bremerhaven come Mabel Rickmers (numero di cantiere 167) per la compagnia tedesca
Rickmers Reismühlen, Reederei & Schiffsbau A. G., con sede ad Amburgo.
1917
Ceduto all’armatore
tedesco C. Wohlenberg e ribattezzato Franziska.
1919
Trasferito sotto il
controllo del governo britannico (British Shipping Controller), in conto
riparazioni danni di guerra.
1920 o 1921
Trasferito alla
Adelaide Steamship Company Ltd., con sede ad Adelaide (Australia), e
ribattezzato Milluna.
Febbraio 1923
Il Milluna subisce una grave avaria alle
caldaie durante la navigazione da Melbourne a Sydney.
La nave sotto il nome di Milluna (State Library of Queensland,
via Wikimedia Commons)
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2-3 agosto 1924
Il Milluna, giunto a Port Kembla da Sydney
verso le 17 del 2 agosto ed ormeggiatosi con una sola ancora in considerazione
del tempo relativamente buono, viene investito in serata da un’improvvisa
burrasca da ovest. Essendo l’ancoraggio divenuto insicuro, e la nave pressoché
scarica (c’è a bordo solo un po’ di zavorra), il suo comandante, capitano Simter,
decide di salpare l’ancora, mettere le caldaie in pressione e portarsi al
largo, ma il Milluna risulta poco
manovrabile, ed alle 23.10 viene gettato dalle onde contro una banchina,
danneggiandola ed incagliandosi. Durante la notte, con la bassa marea, viene
espulsa parte dell’acqua di zavorra, e verso le 7 del 3 agosto, con l’arrivo
dell’alta marea, il Milluna riesce a
disincagliarsi senza assistenza esterna. I danni subiti dal piroscafo non sono
gravi.
Dicembre 1926
Durante uno sciopero
dei gruisti a Sydney, il Milluna,
giunto in città il 1° dicembre dopo aver portato un carico di carbone ad
Adelaide (in questo periodo il piroscafo trasporta carbone da Newcastle ad
Adelaide, ed occasionalmente fino a Fremantle), dev’essere temporaneamente
posto in disarmo per l’impossibilità di caricare un nuovo carico.
Dicembre 1928-Gennaio 1930
Trasferito ad
Auckland.
Marzo 1930
Mentre il Milluna è ormeggiato a Port Adelaide, il
marinaio cinese Ah Mar entra nella cabina del terzo ufficiale Hugh Johnson
Davidson, che sta discutendo con uno stivatore, e si scatena una discussione
tra i due. Davidson ordina ad Ah Mar di lasciare la cabina, ma questi rifiuta e
dà uno spintone al terzo ufficiale; Davidson reagisce a sua volta con uno
spintone, facendo cadere a terra il cinese. Quest’ultimo, alzatosi ed andato
via, ritorna spalleggiato da altri cinque membri dell’equipaggio anch’essi
cinesi (tutto l’equipaggio del piroscafo è composto da cinesi, eccetto il
comandante Nelson, tre ufficiali di coperta e quattro ufficiali di macchina),
uno dei quali armato con una piccola ascia e due con pezzi di tubature, dà
l’assalto alla cabina del terzo ufficiale (nella quale Davidson, dopo aver
riferito dell’accaduto al secondo ufficiale P. H. Philp, si è chiuso a chiave
su suggerimento di quest’ultimo, per attendervi che il marinaio cinese faccia
sbollire la rabbia), sfonda la porta ed aggredisce l’ufficiale. Questi tenta di
fuggire, ma gli aggressori gli saltano addosso e lo picchiano con i tubi; il
secondo ufficiale Philp, richiamato dal trambusto, sopraggiunge e mette in fuga
i cinesi. Viene chiamata la polizia, che arresta due dei cinesi a bordo del Milluna e più tardi ne arresta altre
due, che erano fuggiti, a terra.
Durante le successive
udienze, emerge che la maggior parte dei marinai cinesi del Milluna sono stati reclutati tra varie
“gangs” di Bias Bay, famigerata baia della Cina nota per essere stata la sede,
negli anni Venti, di feroci bande di pirati. Gli ufficiali dichiarano che
quello imbarcato sul Milluna negli
ultimi dieci-undici mesi è stato il peggior equipaggio che abbiano mai visto:
durante un precedente viaggio da Nauru all’Australia, cinque mesi prima, con
dodici passeggeri a bordo, gli ufficiali hanno dovuto girare per i ponti, e
persino dormire, con le rivoltelle in mano per mantenere una sembianza d’ordine
tra l’equipaggio; in un’altra occasione, hanno bloccato la nave per due giorni
nel porto di Bowen per ottenere un aumento salariale; un’altra volta, si sono
rivolti contro uno di loro, ferendolo tanto gravemente da dover costringere
all’amputazione di una sua gamba, nell’ospedale di un carcere, poco dopo
l’aggressione.
A seguito di questo
episodio, il Milluna viene posto in
disarmo a Sydney; non navigherà più per oltre un anno.
Il Milluna a Melbourne (Port Adelaide Enfield Local History Photos,
via Flickr)
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Giugno 1930-Giugno 1931
Trasferito ad
Auckland.
Giugno 1931
Venduto alla European Shipping Company Ltd., con sede
a Londra, senza cambiare nome. Subito noleggiato dalla Farmers & Graders'
Co-op. Grain Insurance & Agency Company, carica sacchi di grano da
trasportare nel Regno Unito.
1931
Il Milluna, dopo aver trasportato grano
dall’Australia al Regno Unito, si reca in zavorra a Batum, sul Mar Nero, e vi carica
70.000 taniche di benzina e cherosene, da portare a Dairen (Corea): a causa del
rischio d’incendio legato al carico di benzina (che è stata stivata in un
locale vicino alla sala macchine), tuttavia, alla nave è interdetto di
transitare nel canale di Suez con le proprie macchine (a meno di pagare 4000
sterline per il rimorchio attraverso il canale, ma a bordo non ci sono tanti
soldi), pertanto il Milluna deve
riattraversare il Mediterraneo, passare lo stretto di Gibilterra, circumnavigare
l’Africa fino al Capo di Buona Speranza, rifornirsi di carbone a Durban ed
attraversare l’Oceano Indiano fino a Darian.
Terminato il lungo
viaggio (che in tutto dura quasi tre mesi), la nave rimane all’ancora per sei
settimane, poi riparte in zavorra verso l’Australia meridionale, per caricare
grano da trasportare a Vladivostok.
Giugno 1932
Il Milluna, in navigazione scarico da
Darian verso Port Lincoln, rimane alla deriva per cinque giorni nella Grande
Baia Australiana (a 200 miglia da Albany) a seguito della rottura dell’asse
dell’elica, fino all’arrivo del rimorchiatore Uco inviato da Fremantle (non essendovi alcun rimorchiatore
disponibile ad Albany). In attesa dell’Uco,
il piroscafo King Malcolm rimane
nei pressi del Milluna per fornire
eventuale assistenza.
Le burrasche da
sudovest impediscono di rimorchiare il Milluna,
che rolla fortemente, ad Albany, pertanto si decide di rimorchiarlo ad
Adelaide, distante 740 miglia, precedendo la burrasca. Durante il rimorchio le
due navi incontrano tre distinte burrasche, ed il basso pescaggio del Milluna rende molto difficile il
rimorchio, dato che il piroscafo viene continuamente sballottato e rischia
innumerevoli volte di traversarsi. Uco
e Milluna, dopo sette giorni, venti
ore e 700 miglia, riescono a raggiungere Port Adelaide sani e salvi il 18
giugno; successivamente l’Uco rimorchia
il Milluna per fino a Birkenhead,
dove si procede all’ispezione dei danni all’asse dell’elica.
Una sequenza di immagini
scattate dall’Uco al Milluna durante il lungo rimorchio,
dalle quali traspare anche la violenza del mare (Maritime Albany Remembered):
1933
Venduto alla Società
Esercizio Armamento, con sede a Genova, e ribattezzato Mouni (o Mauni).
La nave sotto il nome di Mouni (g.c. Rosario Sessa via www.naviearmatori.net)
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1936
Acquistato
dall’armatore Ignazio Messia, con sede a Genova, e ribattezzato Tembien.
Dopo la vittoriosa
conclusione della guerra d’Etiopia, il Tembien
viene posto in servizio sulla “linea postale per l’Impero Etiopico”
(Genova–Livorno–Napoli–Massaua–Assab–Gibuti e, a volte, Mogadiscio). Insieme ad
esso vengono messi in servizio sulla medesima rotta altri tre piroscafi
acquistati nello stesso anno e, come il Tembien,
battezzati con nomi di province della nuova colonia etiopica: Goggiam (ex Alga), Ogaden (ex Nayos) e Semien (ex Fortunastar).
Il Tembien in un manifesto pubblicitario dell’armatore Messina, datato
1937 (g.c. Pietro Berti)
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28 ottobre 1938
Il Tembien salpa dal Pontile Eritrea di Genova
insieme ad altri sette piroscafi, carichi di migliaia di coloni italiani
diretti in Libia. Una volta al largo, le navi si uniscono ad altri sette
mercantili provenienti da Napoli, formando un unico convoglio di quindici
bastimenti (tra cui, oltre al Tembien,
i piroscafi Semien, Liguria, Sardegna, Sannio, Piemonte, Umbria e Calabria e le
motonavi Olbia, Vulcania, Città di Napoli,
Città di Savona e Città di Bastia) che trasportano in
tutto 20.000 coloni italiani (1290 famiglie contadine del Nord Italia e 520 del
Sud) inviati a colonizzare la Libia. Questa “trasmigrazione” è stata
organizzata dal governatore della Libia, Italo Balbo; i coloni, costituiti da
famiglie numerose di agricoltori, dovranno coltivare le regioni meno aride
della Tripolitania settentrionale e del Gebel cirenaico, dove sono stati
appositamente fondati 27 nuovi villaggi agricoli (12 in Cirenaica e 15 in
Tripolitania, con rispettivamente 2035 e 1664 poderi). I “Ventimila” dovrebbero
essere i primi dei 100.000 coloni italiani che, secondo i piani di Balbo,
dovrebbero trasferirsi dall’Italia in Libia nell’arco di cinque anni; Balbo
intende portare la popolazione italiana della Libia a 500.000 unità
(“colonizzazione demografica”) ed a raggiungere entro il 1950 l’autosufficienza
alimentare, mediante la pratica dell’agricoltura intensiva. Lo scoppio della
seconda guerra mondiale manderà in fumo questi piani (oltre ai 20.000 del 1938,
soltanto altri 11.000 coloni giungeranno in Libia nel 1939 prima che la guerra
fermi tutto).
Il Tembien ha a bordo 135 famiglie, in
massima parte siciliane, destinate ai villaggi colonici della zona di Derna;
durante la navigazione nascono a bordo tre bambini, tra cui due gemelli.
Le navi procedono in
linea di fila, con intervalli di mille metri tra l’una e l’altra; al largo di
Ponza e Ventotene il convoglio viene passato in rassegna da Mussolini,
imbarcato sull’incrociatore pesante Trieste,
proveniente da Gaeta e scortato da quattro cacciatorpediniere.
Il Tembien in partenza da Genova nel 1938 con i coloni rurali diretti in Libia (da ceraunavoltagenova.blogspot.it) |
4 novembre 1938
Le navi del convoglio
giungono in Libia e sbarcano i coloni a Tripoli e Bengasi. Il Tembien (primo ad approdare in Libia) ed
altre navi sbarcano i loro coloni a Ras Hilal, dove li accoglie Balbo.
Agosto-Dicembre 1939
È comandante del Tembien il capitano di lungo corso
Carmelo D’Urso, che il 26 dicembre sarà chiamato alle armi e quindi costretto a
lasciare il comando della nave.
10 giugno 1940
L’Italia entra nella
seconda guerra mondiale.
8 settembre 1940
Il Tembien ed il piroscafo Zena salpano da Napoli per Tripoli alle
17.45, scortati dalla torpediniera Calipso.
A causa di un’avaria
sulla Calipso, il convoglio
dev’essere dirottato a Trapani.
10 settembre 1940
Tembien e Zena ripartono da
Trapani alle 7.30, ora scortati dalla torpediniera Sagittario.
12 settembre 1940
Il convoglietto
giunge a Tripoli alle 11.
21 settembre 1940
Requisito a Genova dalla Regia Marina, senza essere iscritto nel ruolo del
naviglio ausiliario dello Stato.
13 novembre 1940
Il Tembien lascia Tripoli per Bengasi alle
10.50, insieme al piroscafo Rapido e
con la scorta della torpediniera Generale
Carlo Montanari.
15 novembre 1940
Tembien, Rapido e Montanari giungono a Bengasi a
mezzogiorno.
23 novembre 1940
Il Tembien riparte da Bengasi alle 18.35
per tornare a Tripoli, scortato dalla torpediniera Giuseppe La Farina.
27 novembre 1940
Tembien e La Farina arrivano a
Tripoli nel pomeriggio.
8 dicembre 1940
Il Tembien, la motonave Mauly e la pirocisterna Marangona salpano da Tripoli per Palermo
alle 17.30, scortati dalla torpediniera Orione.
10 dicembre 1940
Alle 13.30, poco a sud di Pantelleria, la Marangona
urta due mine in successione; il Tembien
le presta assistenza, ma la petroliera affonda verso le 16.30. Il Tembien recupera l’equipaggio della Marangona, poi le navi proseguono per
Palermo.
11 dicembre 1940
Tembien, Mauly ed Orione giungono a Palermo alle 19.30.
Disegno del Tembien (da “Ignazio Messina, vita di un
armatore genovese” di P. Lingua, Ed. Sagep, 2003, via Nedo B. Gonzales e www.naviearmatori.net)
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6 febbraio 1941
Tembien e Mauly, insieme al
piroscafo tedesco Leverkusen, partono
da Napoli alle 4.40 diretti a Tripoli, con la scorta dell’incrociatore
ausiliario RAMB III.
8 febbraio 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 17.
12 febbraio 1941
Tembien, Mauly e Leverkusen, scortati dalla torpediniera Centauro, lasciano Tripoli alle 4.30 per
tornare a Napoli.
Alle 9.30 dello steso
giorno il sommergibile britannico Utmost
(capitano di corvetta Richard Douglas Cayley) avvista il convoglio a tre miglia
per 100°, mentre quest’ultimo procede con rotta 260°. Il battello britannico
manovra per attaccare il mercantile di testa, la Mauly, contro cui lancia tre siluri; subito dopo aver lanciato, l’Utmost s’immerge a 24 metri.
Due delle armi
mancano il bersaglio, ma una va a segno, colpendo a poppa la Mauly in posizione 32°50’ N e 13°20’ E
(o 33°00’ N e 12°00’ E, o 35°41’ N e 23°01’ E), a nord di Zuara ed al largo di
Tripoli: la motonave, seriamente danneggiata ed abbandonata dall’equipaggio,
rimane però a galla, mentre la Centauro,
dalle 9.54 alle 10.22, dà infruttuosamente la caccia al sommergibile lanciando
25 bombe di profondità.
Presa a rimorchio
dapprima dalla nave soccorso Giuseppe
Orlando e poi dai rimorchiatori Pronta
e Polifemo, con la scorta della
torpediniera Rosolino Pilo, la Mauly raggiungerà faticosamente Tripoli
alle 19.30 del 19.
Intanto, il resto del
convoglio prosegue.
14 febbraio 1941
Tembien, Centauro e Leverkusen arrivano a Napoli alle 10.
2 aprile 1941
Il Tembien salpa da Napoli per Tripoli alle
11.30, in convoglio con i piroscafi tedeschi Alicante, Maritza, Procida e Santa Fe. La scorta è costituita dai cacciatorpediniere Turbine e Saetta (caposcorta, capitano di corvetta Sandrelli) e dalla
torpediniera Orsa.
Il convoglio,
denominato «Maritza», procede a velocità che varia tra gli 8 ed i 10 nodi.
5 aprile 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli alle 00.45, dopo aver sventato un attacco di sommergibile.
10 aprile 1941
Il Tembien ed il piroscafo Capo Orso salpano da Tripoli alle 22,
diretti a Napoli, scortati da Turbine
e Saetta (caposcorta) nonché dalla
torpediniera Pegaso.
13 aprile 1941
Il convoglietto
giunge a Napoli alle 14.30.
8 maggio 1941
Il Tembien lascia Napoli alle tre di notte
in convoglio con il piroscafo Ernesto
e con le motonavi Giulia e Col di Lana, italiane, e Preussen e Wachtfels, tedesche. La scorta diretta è costituita dai
cacciatorpediniere Dardo, Aviere (caposcorta), Geniere, Camicia Nera e Grecale.
9 maggio 1941
All’1.15 il convoglio
rientra a Napoli per allarme navale.
11 maggio 1941
Il convoglio riparte
da Napoli alle due di notte, fruendo anche di una scorta a distanza costituita
dalla IV e VIII Divisione Navale, con gli incrociatori leggeri Giovanni delle Bande Nere, Luigi Cadorna (IV Divisione), Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi (VIII Divisione) ed i
cacciatorpediniere Nicoloso Da Recco,
Emanuele Pessagno, Antoniotto Usodimare, Antonio Pigafetta (aggregati alla VIII
Divisione), MaeStrale, Scirocco, Bersagliere, Fuciliere ed
Alpino (aggregati alla IV Divisione).
Il convoglio gode
anche di adeguata scorta aerea nelle ore diurne.
La navigazione
procede senza problemi, a parte alcune difficoltà nelle comunicazioni
all’interno del convoglio e tra le navi della scorta diretta e gli incrociatori.
13 maggio 1941
Il convoglio arriva
Tripoli alle 11.40.
20 maggio 1941
Tembien, Wachtfels, Ernesto, Amsterdam (altro piroscafo italiano), Col di Lana, Giulia e
Sanandrea lasciano Tripoli alle 16 per rientrare a Napoli, scortati dai
cacciatorpediniere Aviere
(caposcorta), Grecale, Dardo e Camicia Nera e dalla torpediniera Enrico Cosenz. Vi è inoltre una scorta a distanza costituita dalla
VII Divisione Navale (incrociatori Duca
degli Abruzzi e Garibaldi,
cacciatorpediniere Granatiere, Bersagliere ed Alpino).
23 maggio 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 23.
10 giugno 1941
Il Tembien salpa da Napoli per Tripoli alle
5.30, in convoglio con Ernesto, Giulia, Col di Lana, Wachtfels ed
Amsterdam. Li scortano il
cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello
(caposcorta, capitano di fregata Nicolò Del Buono) e le torpediniere Orsa, Procione e Pegaso. Le
navi procedono a 10 nodi.
Più tardi, al largo
di Favignana, si aggregano al convoglio anche la nave officina Antonio Pacinotti e la torpediniera Clio, salpate da Trapani alle 14.30.
11 giugno 1941
Alle 18.30, a sud di
Pantelleria, due bombardieri britannici Bristol Blenheim appaiono a poppavia
del convoglio, volando a bassissima quota, e si avventano sul Tembien, secondo mercantile della
colonna di sinistra, mitragliando e sganciando bombe. Prima dello sgancio,
tuttavia, il tiro contraereo di Tembien
e Wachtfels colpisce uno dei due
aerei attaccanti: il bombardiere perde quota, urta l’albero del Tembien e precipita in mare,
incendiandosi. Il secondo bombardiere, eseguito lo sgancio delle bombe, si
allontana inseguito da un Savoia Marchetti SM. 79 (che, al momento
dell’attacco, era l’unico velivolo dell’Asse in visto del convoglio, 5 km a
proravia) e poi da due caccia della scorta aerea, nonché dal tiro delle mitragliere
della Pegaso (secondo una fonte,
sarebbe stato poi anch’esso abbattuto).
Il Tembien non viene colpito dalle bombe e
non subisce danni di rilievo, ma deve lamentare parecchi feriti per il
mitragliamento.
12 giugno 1941
Il convoglio giunge a
Tripoli tra le 19 e le 21.
21 giugno 1941
Alle 15 il Tembien salpa da Tripoli insieme a Wachtfels, Amsterdam, Giulia, Ernesto e Col di Lana, con la scorta del cacciatorpediniere Lanzerotto Malocello (caposcorta,
capitano di fregata Del Buono) e delle torpediniere Enrico Cosenz, Orsa, Procione, Pegaso e Clio.
22 giugno 1941
Alle 12.08 sei
bombardieri Bristol Blenheim, che volano a bassissima quota, vengono avvistati
sulla dritta del convoglio (che in quel momento ha una scorta aerea formata da
due caccia biplani FIAT CR. 42 e da un idrovolante antisommergibili CANT Z.
501). Il caposcorta apre il fuoco con le mitragliere per dare l’allarme, e poi,
quando possibile, anche con i cannoni; il CANT Z. 501 s’interpone tra i
bombardieri ed i piroscafi, sparando con le proprie mitragliere (tornerà poi in
posizione di scorta al termine dell’attacco). Anche le altre navi della scorta
ed i mercantili aprono il fuoco; la formazione nemica si divide in due gruppi
di tre bombardieri ciascuno, che attaccano uno la prima linea di piroscafi e
l’altro la seconda. I mercantili accostano in modo da volgere la poppa agli
aerei; due o forse tre dei velivoli vengono abbattuti (due colpiti dal tiro
delle siluranti: uno cade in mare, l’altro s’incendia in volo e poi precipita;
un terzo è forse abbattuto dai FIAT CR. 42 della scorta aerea) ed altri si
allontanano scaricando le bombe in mare, ma due riescono a portare a termine
l’attacco, sganciando le loro bombe su Tembien
e Wachtfels.
Entrambi i piroscafi
riportano danni gravissimi, imbarcando molta acqua; solo grazie all’assistenza
prestata da Orsa e Procione, che li prendono a rimorchio, i
due mercantili rimangono a galla. Proprio mentre le torpediniere stanno
prestando assistenza a Tembien e Wachtfels, viene localizzato un
sommergibile nemico probabilmente intenzionato ad attaccare i due piroscafi
immobilizzati e danneggiati: Orsa e Procione provvedono subito a dargli la
caccia, insieme alla Pegaso (tenente
di vascello Sironi). Quest’ultima, particolarmente attiva nel contrattacco,
effettua un primo lancio di bombe di profondità alle 12.54, per poi vedere il
sommergibile emergere parzialmente (si vedono tutto il fianco e la parte
superiore della torretta) e fortemente sbandato (circa 70° a dritta); poco dopo
il battello si immerge nuovamente. La quasi totalità dell’equipaggio del Tembien, oltre a quello della Pegaso, assiste all’affioramento del
sommergibile, che si ritiene agonizzante, celebrandolo con applausi ed
acclamazioni; il comandante del Tembien
grida “Viva l’Italia”. Alle 12.59 la Pegaso
effettua un secondo lancio di bombe, per poi vedere grosse chiazze di nafta
sulla superficie del mare. Verso le 16 l’Orsa
recupera da un battellino tre aviatori britannici di uno degli aerei abbattuti:
il maggiore John Davidson-Broadley ed i sergenti Stewart Carl Thompson e
Leonard Felton, quest’ultimo ferito gravemente.
Dopo alcune ore di
rimorchio, Tembien e Wachtfels riescono a riparare le avarie
ed a contenere le infiltrazioni d’acqua, così riuscendo a rimettere in moto con
le proprie macchine. Stante comunque la gravità dei danni, entrambi i piroscafi
devono raggiungere Pantelleria, scortati da Orsa
e Procione, cui poi si aggiungono
anche i cacciatorpediniere MaeStrale
e Grecale inviati in loro soccorso da
Palermo.
23 giugno 1941
In rinforzo alla
scorta viene inviata la X Squadriglia Cacciatorpediniere, con MaeStrale, Grecale ed Antoniotto
Usodimare.
24 giugno 1941
Il convoglio giunge a
Napoli alle 3.30.
10 settembre 1941
Alle 10.30 il Tembien, i piroscafi Caffaro, Nirvo, Bainsizza e Nicolò Odero e la motonave Giulia salpano da Napoli diretti a
Tripoli, con la scorta dei cacciatorpediniere Fulmine ed Alfredo Oriani (capitano di fregata Vittorio
Chinigò, caposcorta) e delle torpediniere Orsa,
Procione ed Orione, più una quarta, la Circe,
aggregatasi nel Canale di Sicilia. Si tratta del convoglio «Tembien», che,
essendo composto da navi piuttosto lente, riceve l’ordine di seguire la rotta
di ponente (Marettimo-Canale di Sicilia-Secche di Kerkennah).
12 settembre 1941
Alle 3.10 di notte il
convoglio, dopo essere stato scoperto da un ricognitore a sud di Pantelleria,
viene attaccato da bombardieri od aerosiluranti, ma nessuna nave viene colpita,
grazie alle manovre evasive, all’emissione di cortine nebbiogene ed alla
reazione dell’armamento contraereo delle navi. Il mattino seguente, il
convoglio procede su rotte varie nella zona delle Kerkennah, senza alcun
allarme.
Alle 14, mentre il
convoglio procede sotto scorta di velivoli della Regia Aeronautica, si verifica
un nuovo attacco aereo, da parte di otto bombardieri (Fairey Swordfish dell’830th
Squadron della Fleet Air Arm, decollati da Malta): i velivoli, provenienti da
ovest, si avvicinano a bassa quota e sganciano le loro bombe. Sia le unità
della scorta che i mercantili aprono il fuoco, puntato e di sbarramento: tre
aerei nemici vengono abbattuti e precipitano in fiamme, ma alle 14.10 il Caffaro viene colpito ed incendiato da
una bomba. Circe, Orsa e più tardi anche il Fulmine ricevono ordine di fornirgli
assistenza, mentre il resto del convoglio prosegue. Alle 16.05 il Caffaro esplode ed affonda in posizione
34°14’ N e 11°54’ E (a nordovest di Tripoli); Circe ed Orsa si
ricongiungono al convoglio, mentre il Fulmine,
avendo a bordo un ferito gravissimo, dirige verso Tripoli.
Alle 23.54 il
convoglio raggiunge il punto «C» della rotta di sicurezza di Tripoli; i
piroscafi si dispongono in linea di fila.
13 settembre 1941
All’1.05 vengono
avvistati 4-5 aerei che procedono con rotta 240° ed i fanali di via accesi; il
caposcorta dirama l’allarme aereo, ed all’1.20 diversi razzi illuminanti
(diciotto in tutto) si accendono sulla sinistra del convoglio. Le unità di
scorta, in base agli ordini del caposcorta, emettono fumo; sia queste che i
mercantili aprono il fuoco, puntato e di sbarramento.
Alle 2.30 l’attacco
si conclude senza danni, e la formazione si riordina e riprende la navigazione.
Alle 3.45 si sentono
rumori di aerei di poppa, ed alle 3.55 viene avvistato un fuoco galleggiante
sulla dritta del convoglio. Di nuovo le unità di scorta iniziano ad emettere
fumo, e tutte le navi aprono il fuoco di sbarramento: ma alle quattro del
mattino, il Nicolò Odero viene
colpito. Circe, Orsa e la torpediniera Perseo
(inviata incontro al convoglio da Zuara e giunta durante l’attacco) vengono
inviate ad assisterlo, mentre il resto del convoglio, riordinatosi in
formazione alle cinque, prosegue.
All’alba partono da
Tripoli i rimorchiatori Pronta e Porto Palo, che tentano vanamente di
domare le fiamme sul Nicolò Odero con
ogni mezzo disponibile, poi lo prendono
a rimorchio e tentano dapprima di portarlo a Tripoli, indi lo portano ad
incagliare in costa. Sarà tutto vano, perché alle 15 del 14 le fiamme
raggiungeranno una stiva piena di munizioni, ed il Nicolò Odero salterà in aria.
All’alba otto
bombardieri Bristol Blenheim del 105th Squadron RAF, guidati dal
maggiore Smithers, attaccano il convoglio in posizione 34°14’ N e 11°52’ E: la
scorta aerea, composta da tre caccia Macchi MC. 200 ed altrettanti FIAT CR. 42
del 230° Gruppo della Regia Aeronautica, interviene ed abbatte tre dei Blenheim,
cioè i velivoli numero Z7357, Z7423 e Z7504. L’attacco fallisce.
Il resto del
convoglio giunge a Tripoli alle 12.30 del 13.
20 settembre 1941
Tembien, Giulia, Nirvo e Bainsizza lasciano Napoli per Tripoli alle 20.20, scortati dai
cacciatorpediniere Freccia
(caposcorta, capitano di fregata Giorgio Ghè), Folgore, Euro e Vincenzo Gioberti, seguendo la rotta di
ponente.
21 settembre 1941
Alle 19.45, dopo il
tramonto, il convoglio viene attaccato a sorpresa da due bombardieri: è proprio
il Tembien ad essere colpito. Mentre
il resto del convoglio prosegue, l’Euro
viene lasciato sul posto per assistere la nave colpita. Giunto nei pressi del Tembien, il cacciatorpediniere vede che
sono già in mare tre imbarcazioni con naufraghi, che hanno inopinatamente abbandonato
la nave; avvicinate una dopo l’altra le prime due, recupera da esse 38
naufraghi, tra cui dieci feriti (tre gravi e sette lievi). L’Euro manovra poi per accostare la terza
lancia, ma viene attaccato da un aereo, che lo mitraglia a volo radente, e poi
avvista sulla sinistra altri due velivoli, che si avvicinano bassi sull’acqua
per attaccare: il cacciatorpediniere accosta rapidamente e si allontana a tutta
forza per vanificare l’attacco, poi ritorna verso il Tembien, che non è ancora riuscito ad avvicinare. Avvicinatosi al
piroscafo, l’Euro nota che esso è
ancora in moto; ogni ricerca della terza imbarcazione, precedentemente
avvistata in mare, risulta inutile. Vedendo che il Tembien dirige verso nord, il comandante dell’Euro rinuncia a cercarla ulteriormente (sarà inviata a cercarla,
più tardi, la nave ospedale Arno) e –
alle 22 – raggiunge il piroscafo, ordinandogli di seguirlo. Da bordo rispondono
che la nave è rimasta senza bussola.
22 settembre 1941
Alle 00.06 Tembien ed Euro raggiungono il convoglio, ed il Tembien riassume il suo posto in formazione. Alle 7.30, su ordine
del caposcorta, il Tembien lascia
nuovamente il convoglio, sempre scortato dall’Euro, e dirige verso Pantelleria. In prossimità del porto
dell’isola, l’Euro trasborda sul Tembien i 28 naufraghi illesi recuperati
in precedenza, e sbarca i 10 feriti a Pantelleria.
Il Tembien prosegue poi a lento moto per
Trapani, dove giunge alle 17, con la scorta del Gioberti, che sostituisce l’Euro,
riunitosi al convoglio. Per altra fonte il Tembien
sarebbe invece giunto a Napoli con le altre navi, alle 23 del 23 settembre.
Il caposcorta Ghè, a
seguito del danneggiamento del Tembien,
trae varie conclusioni che include nel suo rapporto come suggerimenti per il
futuro: che i cacciatorpediniere stendano cortine fumogene tenendosi
sottovento, per ingannare gli aerei attaccanti sull’estensione e direzione del
convoglio; che i mercantili siano armati con mitragliere da 20 mm anziché da
13,2 mm, e che i loro armamenti siano meglio addestrati.
24 gennaio 1942
Il Tembien parte da Palermo per Tripoli
alle 20, scortato dalla torpediniera Generale
Achille Papa.
25 gennaio 1942
Tembien e Papa arrivano a
Tripoli alle 21.
16 febbraio 1942
Il Tembien salpa da Trapani alle 20, alla
volta di Tripoli, scortato dal cacciatorpediniere Saetta.
18 febbraio 1942
Tembien e Saetta giungono a
Tripoli alle 22.
Il Tembien in tempo di pace (Coll. Guido Alfano via Giorgio Parodi e www.naviearmatori.net) |
L’affondamento
Alle 15.50 del 27
febbraio 1942 il Tembien, vuoto di
carico, lasciò Tripoli per rientrare in Italia, a Trapani (per altra fonte a
Palermo), scortato dal cacciatorpediniere Strale
(capitano di corvetta Enea Picchio).
Il piroscafo, che non
trasportava merci o rifornimenti di sorta, aveva però un ingente carico umano:
erano ben 654 gli uomini a bordo, 498 dei quali erano prigionieri di guerra del
Commonwealth catturati a Tobruk durante l’Operazione «Crusader». L’equipaggio
della nave era composto da 40 civili e 16 militari; viaggiavano inoltre sul Tembien anche 81 militari italiani e 20 tedeschi
di passaggio. Tra i militari italiani vi erano uomini dell'808a Batteria del 500° Gruppo Mitraglieri, addetti alle mitragliere Breda da 20/65 mm che costituivano l'armamento contraereo del piroscafo, e del Nucleo Nebbiogeni della 30a Compagnia. Il comandante civile era il capitano di lungo corso Antonino
Cappiello, quarantaduenne di Meta di Sorrento, al comando del Tembien già da molti mesi e decorato con
la Croce di Guerra al Valor Militare per la perizia e sangue freddo mostrati
nei tanti attacchi che la nave aveva dovuto subire.
Il piroscafo avrebbe
dovuto seguire rotte costiere. Poco prima di partire era stata fatta una
richiesta urgente per l’imbarco di altri salvagente, essendo quelli disponibili
del tutto insufficienti alle esigenze sia dei soldati italo-tedeschi che dei
prigionieri; ma invano.
Il viaggio del Tembien si concluse però poche ore dopo
essere cominciato, a sole 24 miglia per 265° dal faro di Tripoli (25 miglia ad
ovest di tale città).
Il sommergibile
britannico Upholder (capitano di
corvetta Malcolm David Wanklyn), in agguato vicino alla costa, avvistò nella
foschia, alle 18.45, il Tembien e lo Strale su rilevamento 060°, poco dopo
aver sentito il rumore prodotto dai loro motori. Ai comandi britannici, come in
altre occasioni, non era ignoto che sul piroscafo vi fossero dei prigionieri:
decrittazioni di messaggi intercettati da parte di “ULTRA” lo avevano rivelato
fin dalle 13.10 del 25 febbraio (dispaccio di “ULTRA” ZTPI/6689, che indicava
anche rotta, velocità ed orari previsti per vari punti lungo la rotta), prima
ancora che la nave partisse, pur sbagliando il loro numero (un esagerato 5000,
anziché i quasi 500 effettivamente imbarcati). Ma come negli altri casi, per
evitare che i comandi dell’Asse fossero insospettiti da attacchi “selettivi”
che risparmiassero le navi cariche di prigionieri Alleati, rivelando che i
britannici conoscevano queste informazioni (e quindi inducendo a cambiare i
codici), si decise di non avvertire i comandanti delle unità in mare, e
lasciare che il Tembien fosse
attaccato.
Alle 19.05, in
posizione 32°55’ N e 12°42’ E, l’Upholder
lanciò tre siluri da 2560 metri contro il Tembien,
del quale Wanklyn stimò la stazza – con rara precisione – in circa 5500 tsl,
ritenendo che si trattasse di una nave mista e notando che era verniciata con
colorazione mimetica.
venutosi a trovare
tra la costa e la nave italiana, lanciò una salva di siluri contro il Tembien. Alle 19.06 (ora italiana; 19.07
secondo l’Upholder) il piroscafo
venne colpito da due siluri sul lato sinistro, uno a centro nave ed uno a
poppa: subito la nave si fermò, e sbandò repentinamente di 40° sulla sinistra.
Uno sbandamento tanto elevato rese molto difficile mettere a mare delle
imbarcazioni, e le operazioni di salvataggio dell’ingente massa umana imbarcata
furono rese ancor più difficili dal mare mosso. Moltissimi dei prigionieri
erano rimasti uccisi dall’esplosione dei siluri nelle stive.
Dopo soli quattordici
minuti dal siluramento, alle 19.20, il Tembien,
ormai abbattuto di 90° a sinistra – cioè coi ponti a perpendicolo sulla
superficie del mare – ed invaso dalla nafta, s’inabissò portando con sé la
maggior parte degli uomini a bordo.
Lo Strale, dopo una brevissima caccia
(furono lanciate nove bombe di profondità, che non danneggiarono l’Upholder), si volse subito al recupero
dei naufraghi, operazione intralciata dal mare mosso e dal forte vento di
Ghibli, mentre da Tripoli venivano inviate in soccorso anche le torpediniere Clio e Generale Antonio Cantore, che però giunsero sul posto solo alle 22.
Sempre da Tripoli uscirono anche la piccola nave soccorso Laurana, anch’essa incaricata della ricerca dei naufraghi (ma non
ne trovò neanche uno, nonostante ricerche protrattesi per due giorni), e le
torpediniere Pallade e Circe, col compito di dare la caccia al
sommergibile.
Fu possibile salvare
soltanto 157 uomini, che furono sbarcati a Tripoli: si trattava di 69 italiani
(tra cui il comandante Cappiello ed il commissario di bordo), 10 tedeschi e solo
79 prigionieri.
Gli scomparsi furono
497, di cui 68 erano militari e marittimi italiani, 10 militari tedeschi (il
diario della Divisione Operazioni dello Stato Maggiore della Kriegsmarine,
però, parla di 70 soldati tedeschi a bordo e solo 10 salvati, oltre che di 200
prigionieri britannici uccisi dall’esplosione del siluro nella stiva; si tratta
quasi certamente di un errore) e 419 prigionieri del Commonwealth.
Tra i superstiti italiani vi fu anche il sergente artigliere Serafino Rossi, dei Granatieri di Sardegna, non ancora ventenne. Era addetto all'armamento difensivo della nave; quando il primo siluro andò a segno a centro nave, Rossi vide un'enorme colonna d'acqua alzarsi e lanciare in aria, insieme a molti rottami, anche moltissimi uomini, soprattutto prigionieri. Tuffatosi nell'acqua buia e fredda, disperava ormai di potersi salvare quando avvistò uno zatterone di salvataggio, che riuscì a raggiungere; arrampicatosi a bordo, aiutò a salire sul galleggiante altri naufraghi, tra cui anche uno o due prigionieri britannici. Vennero soccorsi da una silurante di scorta dopo quattro ore e portati a Tripoli, da dove poi raggiunsero l'Italia per via aerea, a bordo di un Savoia Marchetti 79. Delle decine di commilitoni di Rossi, si salvarono in 17, lui compreso.
Tra i superstiti italiani vi fu anche il sergente artigliere Serafino Rossi, dei Granatieri di Sardegna, non ancora ventenne. Era addetto all'armamento difensivo della nave; quando il primo siluro andò a segno a centro nave, Rossi vide un'enorme colonna d'acqua alzarsi e lanciare in aria, insieme a molti rottami, anche moltissimi uomini, soprattutto prigionieri. Tuffatosi nell'acqua buia e fredda, disperava ormai di potersi salvare quando avvistò uno zatterone di salvataggio, che riuscì a raggiungere; arrampicatosi a bordo, aiutò a salire sul galleggiante altri naufraghi, tra cui anche uno o due prigionieri britannici. Vennero soccorsi da una silurante di scorta dopo quattro ore e portati a Tripoli, da dove poi raggiunsero l'Italia per via aerea, a bordo di un Savoia Marchetti 79. Delle decine di commilitoni di Rossi, si salvarono in 17, lui compreso.
Sopra,
Serafino Rossi accanto alla sua mitragliera da 20 mm a bordo di una nave, forse
proprio il Tembien; sotto, un elogio
agli uomini della 808a Batteria del 500° Gruppo Mitraglieri (per
g.c. del figlio Roberto)
Trafiletto del “Giornale di Sicilia” con una parte del Bollettino di Guerra n. 638, riferita all’affondamento del Tembien (g.c. Roberto Rossi) |
Il subacqueo
tripolino Mohamed Arebi, nel corso delle sue immersioni nelle acque della
Tripolitania, si è immerso nel 2004 sul relitto di un piroscafo che giace a 77
metri di profondità, circa 3,5 miglia ad ovest del punto indicato come luogo
dell'affondamento del Tembien (32°55
N, 12°42' E), vicino al porto di Zawiyah. La pessima visibilità ha impedito di
fare foto, ed eventi successivi hanno impedito ad Arebi di effettuare altre
immersioni dopo la prima; risulta tuttavia molto probabile che il relitto
scoperto da Mohamed Arebi possa essere quello del Tembien.
L’affondamento del Tembien nel giornale di bordo dell’Upholder (da Uboat.net):
“1845 hours - Heard
faint HE bearing 060° and sighted a large merchant vessel and one destroyer /
torpedo boat in the haze. Started attack.
1905 hours - In
position 32.55'N, 12.42'E fired three torpedoes at the merchant vessel that was
of about 5500 tons, half passenger type and she was dazzle painted.
1907 hours - Two
torpedo hits were obtained. The escort shortly increased speed and started
depth charging but stopped after dropping eight depth charges to pick up
survivors.
1925 hours - Heard
the ship breaking up.
1950 hours - The
escort moved off towards Tripoli.”
Un altro disegno a colori del Tembien (g.c. Rosario Sessa via www.naviearmatori.net) |
Proprio ieri sera ho trovato su ebay una foto in vendita del Tembien mentre imbarca militari per l'AOI. La segnalo poiché si presenta senza la classica filigrana ed in buona qualità.
RispondiEliminahttp://www.ebay.it/itm/FOTO-MILITARE-WW2-A-O-I-IMBARCO-NAVE-TEMBIEN-P-N-F-BALILLA-IMBARCO-FASCISMO-/321713542708?hash=item4ae79f1634:g:6cIAAOSwfZ1Wbpdu
Saluti
Dante Flore
Complimenti per l 'accurata ricerca.
RispondiEliminaMio padre, sergente dei Granatieri di Sardegna, era imbarcato sul Tembien il giorno dell'affondamento. Gli 81 militari italiani non erano infatti "di passaggio", erano artiglieri della 808 batt. 500` Gruppo Mitraglieri e Gruppo Nebbiogeni della 30` Compagnia (info raccolte da documento titolato O.D. 131 11/5/1942 XX.) assegnati alla scorta convogli.
Dai suoi racconti solo lui e altri 16 dei suoi commilitoni si salvarono.
Con l'esplosione si formò una colonna d'acqua che porto per aria un numero impressionante di uomini (prigionieri) e materiale. Nel buio riuscì a scorgere uno "zatterone di salvataggio" sul quale poi si raccolsero altri maufraghi fra cui un inglese. Vennero ecuperati in mare dopo quattro ore.
Sbarcati poi a Tripoli rientarono in Italia in volo su in S.M. 79.
Ho un brandello del Giornale (di Sicilia?) che da notizia nell'affondamento del piroscafo.
Roberto Rossi
La ringrazio.
EliminaComplimenti per l'accuratezza della ricerca.
RispondiEliminaMio padre Sergente Artigliere era su Tembien il giorno dell'affondamento, assegnato con il suo reparto alla scorta convogli. Da un documento che conservo risulta che l'armamento montato sul Piroscafo e in dotazione agli artiglieri erano le contraeree Breda 20/65. Gli artiglieri assegnati al Tembien appartenevano alla 808° batt. del 500°Gruppo Mitraglieri e al Nucleo Nebbiogeni della 30° Compagnia.
Dai racconti di mio padre il siluro che colpì al centro la nave provocò una colonna d'acqua che alzandosì portò con sè un grande numero di uomini (prevalentemente prigionieri) e materiale. Abbandonata la nave nel buio e nel freddo riuscì, quando si sentiva ormai perduto, a scorgere uno"zatterone di salvataggio" sul quale poi raccolse altri naufraghi fra cui due inglesi. Tratti in salvo da una nave di scorta vennero poi sbarcati a Tripoli e rientrarono in Italia in volo con un S.M.
Non aveva ancora compiuto 20 anni.
Roberto Rossi
Ho conosciuto serafino rossi e frequento saltuariamente la moglie Ivrea i figli Roberto Giancarlo e Giovanna nipoti e pronipoti.sono fiero e commosso di condividere questi ricordi.Grazie Serafino.
RispondiElimina